Non si trattava di una delle tante
scorrerie che i pirati moreschi praticavano sulle coste italiche, di quelle che
depredavano piccoli villaggi e i cosiddetti “bagli”, masserie fortificate, per
quelle sarebbe stato più opportuno un numero di navi e di uomini molto
inferiore, che desse meno nell’occhio, perché l’incursione fosse più veloce e
indisturbata.
Si trattava, piuttosto, di un vero e
proprio esercito, un'armata di 600 chelandie e 60.000 uomini, la più imponente mai sbarcata sull'isola, che oscurò l'orizzonte visibile dal litorale fra Sampieri e Plaja Grande.
I mori intendevano riprendere il controllo dell’Isola, perso gradualmente ad iniziare dal
1061 con il colpo di mano di Roberto il Guiscardo che conquistò Messina fino al
1091 (anno in cui avvengono i fatti narrati dal Codice sciclitano) quando gli
ambasciatori dell’emiro Ibn ‘Abbād,
conosciuto come Benavert, signore di Noto e di Siracusa, ultimo baluardo della
dominazione moresca in Sicilia, che aveva combattuto strenuamente e
disperatamente fino alla fine l’esercito normanno di Ruggero d’Altavilla, si
recarono a Mileto durante le nozze di Ruggero con Adelaide di Monferrato,
recando profferte di pace che erano in realtà una capitolazione.
I saraceni non si erano mai rassegnati
alla perdita dell’Isola Bella, la consideravano una terra colma di delizie e per
molti di loro era la terra natia, la propria patria conquistata e predata da
gente estranea che veniva dal nord.
Durante questa guerra trentennale
contro i mori innumerevoli furono le battaglie, gli assedi, i colpi di mano, le
alterne vicende e gli esiti incerti, e vi fu un proliferare di racconti in cui fu
necessario l’intervento divino per risolverne le sorti, si trattò di santi o
angeli guerrieri o, in casi estremi come questo, addirittura dell’intervento
armato della Vergine Maria … l’esatto opposto ad una valkiria o ad una virago,
una figura che è già difficile immaginarsi col coltello in mano a pelare patate,
figuriamoci con una spada in mano a squartare musulmani.
Ma quando urge il bisogno ogni
espediente che possa essere efficace è buono, la figura della Vergine è una
figura semi-divina, il perfezionamento della Eva edenica, che non partorisce l’uomo
perfetto, l’uomo ad immagine e somiglianza di Dio (secondo i disegni divini), ma
addirittura il figlio di Dio, e lo partorisce senza aver conosciuto un uomo,
senza essersi contaminata dal peccato, è l’unica donna senza il peccato
originale … solo Cristo può dire altrettanto.
Mentre tutti i santi erano degli
uomini e, dunque, dei peccatori, seppure fossero riusciti a sollevarsi al livello
dell’espiazione e del perdono per i loro peccati; a livello di potenza
certamente la madre del Cristo era superiore a qualsiasi santo, ed assicurava
la vittoria contro qualsiasi nemico.
Gli sciclitani moderni, che
festeggiano ogni anno l’ultimo sabato del mese di maggio (la tradizione
indicherebbe il sabato precedente alla passione di Cristo, quindi quello che
precede la domenica delle palme) la Madonna delle Milizie, il cui appellativo
non fa riferimento alle “milizie” come esercito però, ma ai Milici, la piana
fra Scicli e Donnalucata dove si narra che la battaglia fosse stata combattuta,
immaginano la Madonna che brandisce la spada sopra un destriero, come se si
fosse lanciata al galoppo nella mischia per incoraggiare l’esercito cristiano.
In realtà i “Codici” riportano il
racconto di una Madonna assisa su una nuvola che incita i cittadini di Scicli e
i guerrieri normanni, senza però partecipare attivamente alla battaglia, pur
avendo in pugno una spada, una Madonna che rispetta comunque il suo ruolo
divino, quando la divinità è ormai diventata trascendente, una divinità che
ancora interviene nei fatti del mondo ma solo per esortare l’uomo, non per
partecipare attivamente alle vicende.
Il passaggio dalla nuvola al cavallo nella
vulgata del festeggiamento sciclitano potrebbe avere delle ragioni religiose e
ideologiche, certamente, ma è più probabile che abbiano prevalso le ragioni
scenografiche (vuoi mettere un’amazzone a cavallo, l’imponenza, l’eleganza, la
potenza del gesto iconico …) ed economiche (la “nuvola di Fuksas” inaugurata di
recente all’EUR è costata 275 milioni secondo lo stesso Massimiliano Fuksas,
quasi 500 milioni di euro secondo la sottosegretaria all’economia Paola de
Micheli, cifre che il comune di Scicli, che conta poco più di 27 mila abitanti,
non potrebbe permettersi di spendere, né vorrebbe ripiegare sulla più economica
“nuvola di Fantozzi”).
Come in ogni vittoria che si rispetti,
finite i dovuti ringraziamenti alla Madonna a Cristo e a tutti i santi e le
cerimonie religiose di rito, iniziarono i festeggiamenti laici, si organizza un gran banchetto che dura per diversi giorni e il piatto principale, se incontra l'approvazione di tutti, diventa piatto della tradizione locale.
Dopo il trionfo
della Norma di Bellini, ad esempio, si iniziò in Sicilia ad apostrofare con: “È una Norma!”
qualsiasi cosa rasentasse la perfezione, tanto che il celebre commediografo
siciliano Nino Martoglio esclamò entusiasta questa frase di fronte ad un piatto di pasta al pomodoro condito
con melanzane fritte, ricotta salata e basilico e da allora questo tipo di
pasta viene chiamata “alla norma”.
Dal momento che i marinai non erano
usciti in mare per la pesca a causa del “nero periglio che vien da lo mare”, si
dovette improvvisare un piatto sostanzioso senza il pesce fresco, usando cioè
abbondantemente acciughe salate e bottarga di tonno; al piatto si volle dare
una nota esotica usando spezie allora estranee alla nostra cucina come la
cannella (solo più di cento anni più tardi Federico II di Svevia pretenderà
questa spezia per condire il suo piatto preferito, i maccheroni con lo
zucchero, ma si tratta di una rara eccezione, solo pochissimi uomini raffinati
dell’Occidente e qualche crociato conoscevano la cannella e la usavano quando
riuscivano a trovarla) e questo spiega il nome di “salsa moresca”.
In quanto al “taratatà” è un suono
onomatopeico con cui si vuole ricordare il clangore delle armi che si
incrociavano, spade, sciabole, scimitarre, coltelli, lance, alabarde, picche,
come se la battaglia si stesse ancora combattendo e si fosse appena passati
dallo sferragliare delle armi bianche allo sferragliare di pentole, piatti e
posate.
LA RICETTA TRADIZIONALE (per 4
persone).
- 320 gr. di spaghetti (io trovo che i
migliori in assoluto siano gli spaghetti grossi n. 5 della Rummo, provati per la
prima volta questa estate in Sicilia, quando ho organizzato una spaghettata fra
amici visto che ero riuscito a trovare delle vongole che profumavano ancora di
mare, in alternativa, visto che non si trovano ovunque, uso pure i De Cecco …
in ogni caso lo spaghetto migliore è quello che si spezza ma non si piega
subito in cottura, quello che ci mette almeno un minuto in acqua bollente prima
di entrare completamente nella pentola).
- 100 gr. di bottarga di tonno in gran
parte grattugiata o già in polvere, mettendo in disparte alcune fettine sottili
per la guarnizione del piatto (ne ho portata di eccezionale questa estate da
San Vito lo Capo, da Scopello, da Castellammare del Golfo, da Trapani, da
Favignana, in passato ho usato quella di Portopalo, di Avola e di Marzamemi … non saprei dire qual è la migliore).
- 80 gr. di pangrattato.
- 40 gr. di pinoli.
- 1 arancia non trattata (fra pochi
giorni arrivano sui mercati le arance tarocco e sanguinella di Sicilia, evitate
se potete le navel).
- 1 limone non trattato.
- 1 cucchiaio raso di aceto di vino
bianco.
- 1 peperoncino o un pizzico di
peperoncino in polvere o la punta di un cucchiaino di crema di peperoncino
rosso.
- 1 spicchio d’aglio.
- 4 cucchiai di olio extra-vergine di
oliva (andrebbe un olio mediamente o decisamente fruttato, limitandomi a quelli
siciliani di cui ho fatto una piccola scorta questa estate, visto che ho
trascorso le mie vacanze nella zona a più alta vocazione olearia e vinicola
dell’Isola, prediligerei per questo piatto un olio DOP delle valli trapanesi,
un oglirola, un biancolella o un cerausola, o un DOP delle valli del Belice; in
loro assenza o se avete gusti più delicati ripiegate su una DOP dei monti Iblei
o della Val Demone, da escludere le DOP Val di Mazara per il fruttato molto
delicato e il sentore erbaceo).
- cannella in polvere.
- un ciuffo di prezzemolo.
- sale.
- zucchero.
Preparazione:
In un padellino antiaderente tostate
il pangrattato e i pinoli a fuoco molto dolce finché non si imbruniscono un po’
e diventano di un bel colore nocciola. Tritate in un mortaio o nel frullatore la
bottarga di tonno con parte la buccia dell’arancia e del limone grattugiata
superficialmente, senza giungere al bianco, e bagnatela col succo di metà dei
due agrumi e con l’aceto in cui avete disciolto un po’ di zucchero e di sale.
Aggiungete la polvere di cannella nella quantità che incontra il gusto del vostro
palato. Mettete questa salsa in una terrina capiente che possa contenere il
tutto e lasciatela riposare per mezzora.
In una pentola antiaderente abbastanza
grande da contenere la pasta fate imbiondire in olio d’oliva a fuoco dolce lo
spicchio d’aglio spellato, tagliato a metà e privato dell’anima, cioè del nerbo
interno, lasciando solo la polpa o capsula esterna, prima che si annerisca e
rovini tutto toglietelo e buttatelo via; aggiungete il peperoncino intero che
spezzetterete col mestolo di legno, o la polvere o la crema di peperoncino
rosso, Fate, cioè, come se steste preparando l’aglio, oglio & peperoncino.
Cuocete gli spaghetti al dente per i
minuti indicati dalla azienda produttrice (anche un minuto in meno), scolateli
e versateli nella pentola con l’olio e il peperoncino, saltateli per circa un
minuto a fuoco vivace e versateci sopra il pan grattato e i pinoli. Sulla pasta
ancora calda, ma a fuoco spento, versate la salsa agrumata, un po’ di olio a crudo
se è molto asciutta ( o un po’ d’acqua di cottura che avrete conservato) e
disponetela in una terrina o, meglio, in un pirofila in ceramica da portata,
guarnita con le fette di bottarga e i ciuffi di prezzemolo che avrete in
precedenza lavato ed asciugato accuratamente e, se preferite, qualche fetta di
arancia e di limone.
Ciccio Sultano,
per rimanere in tema di saraceni e per rimanere in zona, chef stellato del
ristorante Il Duomo di Ragusa, e proprietario del più abbordabile locale I
Banchi (sempre in città), interpreta questo piatto in un modo molto più
elaborato, ma con risultati eccellenti.
Ragusa è una città che amo molto, la
prediligo ad esempio a Modica, la sua eterna rivale e, se non avessi dei
ricordi molto radicati e degli affetti profondi che mi ci legano, la preferirei
persino a Siracusa, per la pace che vi regna e perché il tempo in quella città
sembra esservi sospeso. Da Piazza della Libertà, dove giungete dalla Statale
115, se volete trovare un parcheggio specie in estate, attraversate a piedi il Ponte Nuovo, via Roma, la Cattedrale e vi portate in Corso Italia e da li, attraverso
serpentine e scale, come fosse una discesa agli inferi, vi
ritrovate a Hybla il cuore stesso della città, la parte più antica, ed è come
se aveste fatto un viaggio nel tempo.
Dagli edifici moderni del nostro tempo, scivolate impercettibilmente verso la Ragusa del dopoguerra, della ricostruzione dopo i bombardamenti alleati, fino all’imponente e massiccio stile architettonico fascista, al liberty della belle epoque, fino a palazzi, chiese e magioni che sono rimaste quasi inalterate dal XVIII° e dal XIX° secolo, finché alla fine della discesa vi trovate alle spalle della Chiesa di San Giorgio, senza ombra di dubbio il capolavoro di Rosario Gagliardi.
In quale città trovate ancora un
Circolo della Conversazione in stile neoclassico decorato con capitelli dorici,
triglifi, donne alate, sfingi, leoni antropomorfi e ghirlande di fiori; la sala
principale, quella delle feste, ha quattro grandi specchiere con cornici dorate
appese alle pareti, divani in damasco rosso appoggiati alle pareti tappezzate
in seta rossa e rossi sono pure i tendaggi alle finestre e alle porte, al
centro ammirate un grande lampadario di rame a forma di zucca con tanto di
tralci pendenti … in quale altra regione italiana si fa ancora conversazione
oggi? Quale altro scrittore se non Elio Vittorini poteva scrivere Conversazioni
in Sicilia … e dove altro se no? Converrete che Conversazioni in Emilia o in
Basilicata non avrebbe avuto lo stesso effetto?
Dagli edifici moderni del nostro tempo, scivolate impercettibilmente verso la Ragusa del dopoguerra, della ricostruzione dopo i bombardamenti alleati, fino all’imponente e massiccio stile architettonico fascista, al liberty della belle epoque, fino a palazzi, chiese e magioni che sono rimaste quasi inalterate dal XVIII° e dal XIX° secolo, finché alla fine della discesa vi trovate alle spalle della Chiesa di San Giorgio, senza ombra di dubbio il capolavoro di Rosario Gagliardi.
Questa estate ho voluto togliermi lo
sfizio di concedermi una cena presso Il Duomo, nonostante a Ragusa si mangi
bene ovunque, persino e forse soprattutto se vi fermate in una rosticceria dove
fanno le tipiche scacce; mi è dispiaciuto dover eliminare tutti gli
altri primi piatti in lista per assaggiare finalmente la sua “salsa moresca”,
persino i nomi erano invitanti: c’erano dei “paccheri fuori norma” con sugo
allo scoglio, che al di là del tipo di pasta che non incontra il mio
entusiasmo, doveva essere buonissimo, lo spaghettino con “ambrosia” di gambero rosso
“in amore” dev’essere stato una delizia.
Ho dovuto proprio arrendermi all’evidenza,
io non riuscirò mai a fare un primo piatto così invitante alla vista, così
profumato, sentivo la fragranza di fiori inesistenti, di salmastro, di oriente,
sapore di mare e di antica tonnara, sentivo quasi il vociare della mattanza, il
rollio e lo sciabordio delle barche alla fonda, il dibattersi del tonno sotto i
colpi degli arpioni, lo sbattere del suo corpo cilindrico contro gli scafi di
legno dei barconi, l’odore intenso di sangue e di sale … solo un inzolia
vinificato in purezza, che mi è costato da solo un mese di duro lavoro, poteva
accompagnare degnamente un piatto simile.
Spaghetti in salsa moresca taratatà secondo Ciccio Sultano.
E qui una versione leggermente modificata. Il piatto lo trovate riportato con lo stesso nome anche nel menù de I Banchi, ad un prezzo quasi dimezzato, non saprei dirvi se si tratta dello stesso piatto, ma spero che sia un modo per far assaggiare questa delizia anche a chi non può permettersi quei prezzi.
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