domenica 21 febbraio 2016

STAT ROSA PRISTINA NOMINE, NOMINA NUDA TENEMUS







Trentacinque anni fa, appena adolescente, nell’unica vera libreria del paese in cui sono nato (le altre vendevano quasi esclusivamente libri scolastici e qualche best seller o qualcuno di quei libri di persone conosciute, di quelli che le case editrici ti “consigliavano” caldamente di tenere, così come la mafia ti consigliava di pagare il pizzo), un buco di pochi metri quadrati dove i libri sono esposti più in verticale che in orizzontale, e dovevi salire scale e cercare sopra, sotto, dietro, per scorgere ciò che poteva interessarti, e ciò che non trovavi potevi chiedere al libraio, un tizio col barbone che di nome faceva Francesco (Ciccio) Urso, che sicuramente te lo avrebbe rintracciato, incontravo Umberto Eco.
Non lui di persona, cosa sarebbe venuto a fare un autore già molto noto in uno sperduto paese della Sicilia sud orientale, quando persino Cristo si era fermato a Eboli; si trattava di un suo libro, edito da Bompiani: Opera Aperta, me lo rigiravo fra le mani senza decidermi, quando il suddetto libraio senza essere interpellato mi guardò aggiungendo: “Ottima scelta!”.
Cosa ci faceva un quindicenne, con i capelli tagliati a caschetto, come usavano allora, dedito più all’attenzione delle ragazze sue coetanee, con un libro il cui sottotitolo recava la scritta: “Forma e indeterminazione nelle poetiche contemporanee” era un mistero, quando persino i suoi insegnanti e gli eruditi di quel paese non avrebbero mai preso in considerazione un libro simile e se, costretti a leggerlo, difficilmente l’avrebbero capito.
Ma il quindicenne lo acquistò insieme, ovviamente, alla rivista preferita che leggeva A Rivista Anarchica; si, perché il quindicenne non era certo un tipo qualunque, aveva un magma incandescente di idee, sentimenti e sensazioni che gli bollivano dentro, aveva fame di cose nuove, ma cose che davvero potessero nutrirlo, cose vere, autentiche, perché tutto ciò che lo circondava gli sembrava irrimediabilmente falso e banale. 


Era un tipo che non scriveva “Bimba ti amo” sui muri, ma si inventava cose come: “Il più bel fiore non muore mai” oppure :” Vivi la vita come una battaglia e la morte come un’avventura”.
Cosa poteva insegnare un pacato professore piemontese, vagamente di sinistra, che giocava con la sua indubbiamente notevole intelligenza, che inventava un modo nuovo di fare intelligenza, ad un ragazzo siciliano incandescente come la lava dell’Etna, che era alla ricerca affannosa di sorsate di acqua pura e di aria fina per sfuggire a quella sensazione di soffocamento, grettezza, di limitatezza, di sconforto e di schifo che lo circondava?
Poco o niente. Quelle parole era come non lo riguardassero, così come non riguardavano il mondo che stava vivendo, erano troppo razionali, troppo intellettuali, troppo centrate sull’intelligenza, troppo astratte, per significare qualcosa per un ragazzo che stava assistendo all’invasione della mafia (quella dei corleonesi, quella degli omicidi, quella delle intimidazioni e delle bombe, quella che si nutre delle vostre aspirazioni, dei vostri sogni, del vostro scopo di vita, del motivo stesso per cui vi alzate la mattina e fate delle cose, quella che vi spegne il futuro e che vi lascia solo due opportunità: o vi piegate, a 90° gradi, o vi spegnete).
Lessi quel libro, lo divorai in fretta, ma lo accantonai senza farci niente, non una citazione, non un cenno di averlo letto, non molte riflessioni sopra … solo l’impressione molto vaga di aver letto qualcosa di grande che al momento non riuscivo a comprendere.



Solo qualche anno dopo, era già il 1986, il libro era uscito da qualche anno, riincontrai di nuovo Umberto Eco in una libreria di Padova, un altro libro, stavolta un romanzo, dal titolo oscuro e accattivante Il nome della rosa, ne fui conquistato, lo presi e iniziai a leggerlo senza riuscire ad interrompere la lettura e, finito di leggerlo, riiniziai da capo, e quando lo lessi più volte cominciai a cercare informazioni sui cavalieri templari, su Fra Dolcino, sui movimenti ereticali medioevali, sull’inquisizione, sui francescani, sulla storia di quello scorcio di tempo e, appena mi fu possibile, andai una settimana a soggiornare da solo in una famosa abbazia del nord Italia, seppure non sono mai stato credente.
Dire che il libro mi piacque è poco, è nulla, non ho mai avuto ambizioni letterarie, ma quel libro avrei voluto scriverlo io, davvero, talmente lo sentivo mio; qualsiasi frase non avrei saputo scriverla meglio, qualsiasi termine mi sembrava il più indicato, l’argomento lo sentivo come se fosse qualcosa che in quel momento agitava anche me, mi sembrava l’espressione di un assoluto, di qualcosa di universale, di quelle opere che rimangono scritte nella letteratura universale a lettere di fuoco e parlano ai contemporanei, così come parleranno alle generazioni a venire.
Non mi è mai successo un simile trasporto per un libro, né per altri capolavori universali della letteratura di tutti i tempi, che pure ho apprezzato, e molto, né per altre opere dello stesso Eco, scritte prima o dopo.





In seguito mi sono rifatto del tempo perduto, ho rastrellato tutto ciò che aveva scritto in precedenza, ho intercettato tutto ciò che ha scritto in seguito, tutti i suoi saggi, il Trattato di semiologia che mi ha aiutato moltissimo a ripensare la semeiotica della psicopatologia, insieme ai trattati di psichiatria, gli altri romanzi che sono seguiti, la Bustina di Minerva su L’Espresso, alcune interviste rilasciate a questo o quel giornale, le sue lezioni al DAMS di Bologna che ho frequentato irregolarmente, quando potevo.
Mi dispiace che Eco sia nato in Italia, paese che non l’ha apprezzato quanto avrebbe dovuto, eravamo troppo impegnati a schierarci da una parte o dall’altra, a destra o a sinistra, per i riformisti o per i moderati, per Berlusconi o per Prodi, per Renzi o per Salvini … per cui Eco o stava dalla nostra parte, senza capirlo, o era dall’altra, senza capirlo … una tristezza!
I miei colleghi sudamericani, argentini, cileni, messicani, colombiani e brasiliani lo adorano … letteralmente, i miei colleghi italiani quasi non sanno chi è, e a parte alcuni dei suoi romanzi di successo, non hanno mai letto nient’altro di ciò che ha scritto … una pena!
Ci vorrebbe un altro Umberto Eco per scrivere un necrologio di Umberto Eco degno di lui… e mi dispiace davvero molto di non essere io a saperlo scrivere!  



martedì 16 febbraio 2016

MA ICCHÈ LA MI DICE, SORA BEATRICE!





Aspetta, com’era? “Vedi, il mondo si divide in due categorie: chi ha la pistola carica, e chi scava. Tu scavi”…. no, non era questa … “Quando un pistola incontra una pistola” … neanche, detta così sembra Gianluca Buonanno … “Quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, quello con la pistola è un uomo morto” … Ecco, e quando una donna col tacco dodici incontra un uomo col tacco due, l’uomo col tacco due è un uomo morto.




Conegliano, Valdobbiadene, Belluno, Longarone, Pieve di Cadore, Valle, Vodo, Borca, San Vito, Cortina d’Ampezzo, Pecol, Passo Falzarego, Caprile, Alleghe, Cencenighe, Agordo, Belluno, Vittorio Veneto, Conegliano, Casa.
Con un solo pernottamento al rifugio Lagazuoi a 2752 metri sul livello del mare, da dove affacciandoti dalla sua ampia terrazza puoi vedere il Pelmo, il Civetta, le Pale di San Martino, la Marmolada, il Catinaccio, il Gruppo Sella, le Tofane, il Sorapis, l’Antelao e, ancora più giù, ad ovest, i monti innevati dell’Austria, l’Ötztaler, il Cir-Odle-Puez, il Pan di Zucchero (Zucherhütl). Che ti mette a disposizione la sauna più alta delle Dolomiti, in pratica un cilindro in legno e metallo, adagiato sulla neve e pericolosamente vicino ad un crepaccio.
Ci sono due “ragazze” svedesi, in realtà sono madre e figlia, ma sembrano due sorelle, loro si che dopo la sauna di sera butterebbero volentieri gli asciugamani per aria e si rotolerebbero nude sulla neve, i tedeschi seguirebbero di slancio, un tedesco se non è vietato dalla legge si lancerebbe a fare qualsiasi cosa, poi c’è qualche italiano, due coppie giovani e una famigliola con un lui una lei e una figlia, classica “famiglia normale”, lui si è portato dietro l’osservatorio astronomico del monte Palomar in Arizona, perché quella che ha non può più chiamarsi macchina fotografica, solo all’interno del suo obiettivo potrebbe ospitare un barcone di migranti, … ebbene, loro sono la legge.









Mi riferisco alla legge che non ci si può rotolare nudi sulla neve dopo la sauna, almeno non se sei li con la tua famiglia o con la tua fidanzata, per il resto, mentre in genere i tedeschi sono molto ligi, e anche gli svedesi, entrando nel rifugio si tolgono senza alcuna sollecitazione gli scarponi da sci o da trekking per calzare quelle ciabatte in feltro tipiche della montagna, perché sanno bene che potrebbero strisciare il parquet in legno, noi italiani abbiamo bisogno del suggerimento, ci comportiamo come se la cosa non ci riguardasse, come se i nostri scarponi non potessero rigare il legno.
Ad un certo punto, prima che giungessi a Cortina mi viene voglia di un caffè, attraversando un paesello, una di quelle frazioni con poche case da una parte e l’altra della strada principale, con meno di cento abitanti compresi cani, gatti e galline, vedo un bar aperto e un posto macchina libero.
Mi fermo, scendo, chiedo della toilette, ritorno al banco e ordino un caffè, la barista/proprietaria sembra una donna piacente, non è assemblata male, ma è fin troppo truccata per i miei gusti e anche nell’abbigliamento mi sembra molto carica, jeans a vita bassa, molto aderenti, maglia di lana nera anch’essa aderente, con una giacchina anch’essa nera perché fa freddo, cinturone che più che ad una barista dolomitica la fa assomigliare a Tex Willer in Tex contro Mefisto, gli stivali neri alti fin quasi al ginocchio e i capelli neri legati dietro a coda di cavallo non fanno che confermarmi questa impressione.









Poi è una che parte direttamente con il tu, anche se non ci conosciamo affatto, e questo non mi piace molto, perché sminuisce a mio parere quel senso di conoscenza e di intimità che ci si deve conquistare, non basta azzerare ogni differenze e ogni senso di estraneità usando la seconda persona singolare dei pronomi per sentirsi meno a disagio.
Mi guarda e mi sorride con una certa simpatia, non devono passare tanti “stranieri” da quelle parti, o meglio, per passare passano, visto che è la strada che porta a Cortina, ma non molti devono fermarsi, anche perché la “perla delle Dolomiti” sarà ormai a meno di mezzora di strada, il locale è frequentato solo dallo zio Cola (non so come si chiamasse, ma somigliava in maniera impressionante allo zio Cola che conosco io, che da quando tira di coca lo chiamano Coca Cola), che se ne sta un po’ in disparte, assorto a leggere chissà quali presagi nella sua ombra de vin.
Poi c’era Giovanni, neanche questo so come si chiama davvero e non mi assomiglia a nessuno che conosco, ma un nome devo pur darglielo, con le stampelle colorate di un giallo evidenziatore appoggiate su un tavolino, che gioca nell’altra stanza con quelle infernali macchinette mangiasoldi dondolandosi come se quel dondolio dovesse contribuire a farlo vincere, che si sta giocando con un certo impegno e solerzia tutto il sussidio per l’incidente sul lavoro (almeno questo ho immaginato).










Mi cade la bustina dello zucchero per terra, la raccolgo, lei mi fa un altro sorriso e mi chiede: “Com’è?” e devo rifletterci un istante per capire che si riferisce al caffè che sto bevendo … è letteralmente schifoso … “bror e purp” avrebbe sentenziato un napoletano, ma preferisco mentire spudoratamente rispondendole: “Gradevole”, pur senza enfasi per non esagerare.
Quando sto per pagare mi cade il berretto per terra … “C’è qualcuno che ti pensa!”, mi dice lei … “Prego?”., replico … “Si, qualcuno ti sta pensando, prima la bustina, poi il berretto, qualcuno il cui nome inizia per B” … (“Ce stai a provà?” penso io).
In procinto di uscire e quasi sulla porta, come se fosse una curiosità senza importanza chiedo: “Mi scusi, lei come si chiama?”, “Beatrice!”.











lunedì 1 febbraio 2016

SPARECCHIAVO






La battuta non è mia, ma di Carlo Zanna, la trovo semplicemente stupenda!!!

Prendo le distanze da alcuni insulti veramente volgari che sono giunti a Giorgia Meloni, credo comunque che sia molto volgare anche usare il proprio stato di gravidanza per propagandare il proprio odio (perché non mi verrete a dire che quelle della Meloni sono "idee" politiche) o per approfittare dell'occasione per aumentare il proprio potere e la propria visibilità.