mercoledì 22 giugno 2022

DALLA PARTE GIUSTA DELLA STORIA




Cosa non devo fare
per togliermi di torno
la mia nemica mente:
ostilità perenne
alla felice colpa di esser quel che sono,
il mio felice niente.

(Patrizia Cavalli, “Vita meravigliosa“, Einaudi, 2020).




Amore semplicissimo che crede alle parole
poiché non posso fare quello che voglio fare
non ti posso abbracciare né baciare
il mio piacere è nelle mie parole
e quando posso ti parlo d’amore.
Così seduta davanti a un bicchiere
in un posto pieno di persone
se la tua fronte si increspa veloce
io parlo ad alta voce nell’ardore
tu non mi dici fa’ meno rumore
che ognuno pensi pure quel che vuole
io mi avvicino sciolta di languore
e tu negli occhi hai un tenero velame
io non ti tocco, no, neanche ti sfioro
ma nel tuo corpo mi sembra di nuotare,
e il divano di quel bar salotto
quando ci alziamo sembra un letto sfatto.

(Patrizia Cavalli, Pigre divinità e pigra sorte)





"La poesia secondo lei, da dove viene?

E’ una cosa molto misteriosa. Credo provenga da una certa area del cervello che sta a metà tra quella della musica e quella della parola. Perché suona. E’ una parola che suona. Ma in un modo tutto suo che non ha veramente a che fare con la musica, è un altro genere di sonorità. Io credo all’ispirazione, come a un’affezione biologica, una forma del patire, un essere esposti. Ma l’ispirazione da sola non basta alla poesia, bisogna saperla riconoscere e accoglierla.

Come si manifesta?

C’è qualcosa che percuote le mente e la commuove e forse la convince a sciogliersi, a uscire dalla sua compatta unità. E allora è come se la nostra sostanza si facesse volatile e staccandosi da quel che la tiene insieme esce dai propri margini per mischiarsi al mondo in uno spazio comune, perché anche il mondo si muove verso di noi: due empiti che s’incontrano a metà strada, né dentro né fuori, ma lì vicino o tutt’intorno, come un’aura. Ma nel vuoto che si crea per questo cedimento di sostanza resta scoperto un nucleo vibrante: lì stanno le parole, che bisogna andare a cogliere porgendo ascolto. E’ uno strano esercizio di attività passiva o forse di passività attiva. Perché intanto il giudizio procede nelle sue funzioni: sceglie, accetta, elimina. Ma lo fa in un modo così veloce, anche se frigido, da trasformarsi quasi in istinto. Con questo non penso certo di rivelare la formula operativa o gli ingredienti della poesia. E’ soltanto uno stato psico-fisico nel quale mi ritrovo abbastanza spesso, anche se non è sempre così. Certe poesie brevi, per esempio, sono lì già pronte, si sono formate a mia insaputa, arrivano tutte allegre cogliendomi di sorpresa, loro bussano e io apro, devo solo trascriverle. Senza nessuno sforzo".


(Le parole che suonano, di Lisa Ginzburg, intervista a Patrizia Cavalli, l’Unità”, 3 giugno 2002)













Luigi Di Maio ha dichiarato che lui e i 63 transfughi del derelitto Movimento Cinque Stelle sono: “Dalla parte giusta della storia”, quando sento simili affermazioni da parte di chiunque mi scorrono brividi di terrore lungo la schiena, i peggiori crimini e i peggiori criminali della storia erano convinti graniticamente di essere nel giusto, che Dio (o in mancanza di divinità, la Storia) avrebbe dato loro ragione. Le peggiori atrocità sono state commesse da individui che credevano di avere ragione, di essere in diritto di, di essere loro i buoni contro i cattivi, di fare una guerra santa contro un nemico che sbaglia o che è in malafede.

Il brivido mi cola lungo la schiena anche quando a fare simili affermazioni sono persone che reputo intelligenti ed equilibrate, figuriamoci quando a farle sono invece un gruppo di sciroccati, la maggior parte dei quali sconosciuti, alcuni dei quali conosciuti purtroppo per i danni causati a se stessi, alla propria parte politica e anche al Paese intero, gente che ha già dichiarato in precedenza di aver sconfitto la povertà e chissà quante altre cavolate.

Se loro si siedono dalla parte giusta della storia, io mi siederò dalla parte sbagliata, naturalmente, ma non starò ad aspettare il cadavere del mio nemico seduto sulla sponda del fiume, come quel famoso cinese, contribuirò invece per quanto posso affinché il mio nemico si estingua, così non dovrò aspettare molto, perché se c’è una cosa che mi manca è la pazienza, specie in casi come questi.










Questa sarebbe stata la scelta migliore come nome per il neonato movimento.





Sempre Di Maio dice che lo strappo era obbligato, visto che Conte stava prendendo una deriva anti-atlantista; ora, dubito che Di Maio sapesse dove stava l’Atlantico fino a qualche settimana fa o che avesse (abbia) nozioni solide su cosa vuol dire veramente “atlantista”.; in genere quando parla da ministro degli esteri sembra aver imparato a memoria un discorso preconfezionato costituito al 99,9% di panna montata, mentre il rimanente 0,01% è costituito da cialda per gelati, e lo recita come farebbe uno scolaretto di quinta elementare.

Io credo che il signor Di Maio, ministro degli esteri (e credetemi ho i brividi a scriverlo), abbia armato tutto questo casino pro domo sua, visto che incalza il limite delle due legislature massimo vigente nei 5 Stelle (ribadito di recente da Beppe Grillo e giostrato come una clava da Conte nel tentativo di addomesticare le belve), visto l’approssimarsi delle prossime elezioni politiche, visto il calo esponenziale dei consensi interno al movimento, visto che il Parlamento stesso ridurrà il numero complessivo dei suoi esponenti (riforma fortemente voluta proprio dai 5 Stelle), molti deputati e senatori si son sentiti i piedi freddi.

Eh, già, il potere logora chi non ce l’ha, gli altri prima fanno finta di combatterlo quando non ce l’hanno, poi lo difendono quando ci sono seduti sopra … il continuo accusare gli altri di essere attaccati alle poltrone è segno rivelatore di quanto la poltrona sia nella mente di tutti i parlamentari, nessuno escluso, sia di quelli che attaccano, sia di quelli attaccati: il potere è la droga da cui è più difficile disassuefarsi.    

Molti parlamentari dei 5 Stelle hanno realizzato che molti di loro, come dice Roy Batty in Blade Runner, “andranno perduti come lacrime nella pioggia”, e ne sono terrorizzati; ora che hanno assaggiato il potere e l’agiatezza, l’essere “qualcuno” al posto della loro precedente “nullità”, non accettano di ritornare semplicemente allo stato iniziale di inerzia e irrilevanza.














Certo, non puoi dire pubblicamente a Grillo, a Conte e a tutti: “Scusate, ma io non ci sto a ritornare ad essere un minchia qualunque!”, devi trovare un escamotage, e spesso nelle menti flebili la soluzione più ovvia che si presenta è quella di scappare dalla nave che affonda, prima che questa coli a picco e mentre sono ancora disponibili (si crede) le scialuppe di salvataggio.

Come se l’accusa di poco atlantismo non bastasse, Di Maio & Co. rincarano la dose con l’accusa di perdere consensi nel movimento, con una faccia tosta incredibile, propio lui che da leader ha perso più della metà dei consensi dei 5 Stelle, passati nel corso del Primo Governo Conte (estate 2018- estate 2019) da 33 virgola qualcosa % fino a meno della metà.

Di recente abbiamo assistito alla scissione renziana all’interno del PD, alla creazione di Azione il movimento politico personale di Calenda, alla nascita di Italexit, trionfo del narcisismo di Gialnuigi Paragone e Rinascimento, trionfo di quello di Vittorio Sgarbi, alla proliferazione di partitini centristi e europeisti, e alla galassia delle sinistre, sempre più frammentate, sempre più solipsistiche, sempre più inconcludenti, sempre più convinte di rappresentare la vera ed unica sinistra (di essere cioè anche loro dalla parte giusta della storia).

C’era bisogno di un nuovo partitino? Di un novo centrino da tavola? Di un nuovo gruppo di disperati che fondano qualcosa senza averne i mezzi? La democrazia direbbe di si, perché la democrazia è come il Pil, per entrambi è bene tutto ciò che si muove, anche se poi non produce vera ricchezza.













Di Maio e Co. sarebbero tuttavia guardati di buon occhio se avessero visto qualcosa che mancava nel tessuto politico italiano e avessero pensato di provvedere a colmare questa mancanza; ma datemi un paio di occhiali più forti perché io novità, idee, proposte, analisi politiche serie, cavalli di razza non ne vedo.

E ciò fin dal nome che hanno scelto per definirsi: INSIEME PER IL FUTURO, ma coma, fai una scissione e la prima parola che usi per definirti è “insieme? Ma insieme chi, e insieme a chi se hai appena diviso? 

Per il futuro, qui la preposizione “per” sta a metà fra un complemento di luogo e un complemento di scopo, stiamo insieme per dirigerci nel/verso il futuro (inteso quasi come un luogo da raggiungere) o perché così ci prepariamo ad affrontare il futuro (inteso come punto di soluzione dei problemi); futuro, poi? Già, perché il congiuntivo è ancora un tabù per i 5 Stelle.

Dovranno, comunque, prepararsi a ricevere querele per essersi appropriati di uno slogan già molto usato, usurato e abusato, le immagini ne danno una breve rassegna ed esprimono anche l’estrema mancanza di originalità dei tranfsfughi 5 Stelle, così come poco originale è lo “stare dalle parte giusta della storia”, mi sa che la storia si volterà dall’altra parte.








In fatto di originalità ci si mette anche papa Francesco, per io mi sforzi di essere di ampie vedute, per quanto aborrisca l’idea di rinchiudere una persona in categorie, stereotipi e pregiudizi, ho notevoli difficoltà a capire quest’uomo, talvolta sembra aver portato una ventata di novità in una chiesa asfittica e decrepita, che sta in piedi solo per il rispetto per la tradizione e perché molte persone sembrano aver bisogno di un Dio onnipotente a dispetto dei suoi impotenti  e spesso deleteri rappresentanti sulla terra.

Quando credo che Francesco abbia almeno un po’ cercato di rendere più lieve il calcagno posto ferocemente sulla testa dell’omosessualità, magari confortato da dichiarazioni tipo: “Chi sono io …”, ecco che subito dopo la chiesa con Francesco si incrudelisce di nuovo con dichiarazioni che annullano qualsiasi speranza.

In una società come la nostra riproporre il vecchio cavallo di battaglia della castità prematrimoniale per i fidanzati credo che significhi per queste persone intonacate essere fuori dal mondo; bene che ti vada ti prendono in giro, dicendoti che sei un ottimista se pensi che esista il sesso dopo il matrimonio, è più facile trovare l’acqua su Marte.










Penoso il soliloquio del ministro della Pubblica Amministrazione Renato Brunetta, che ai mormorii di un lavoratore lo sfida domandandogli perché non si mette in proprio e quando quell’altro accenna a rispondergli, gli replica che parla lui perché il microfono ce l’ha lui in pugno; sembrano cose da bambini capricciosi, di quelli che vogliono vincere perché si trovano in una posizione di vantaggio o di superiorità … Brunetta è sprecato a fare il ministro, finora ha amministrato bene (per lui) solo il microfono che aveva in mano, non certo l’arte di evitare brutte figure.








Quando credi di averle sentite tutte, quando ritieni che un personaggio che in passato ti ha dato molta soddisfazione e altrettanto divertimento, non possa più superarsi nemmeno se spremuto come un limone, ecco che devi ricrederti.

Di recente Flavio Briatore ha esploso una doppietta di cazzate che mi ha tramortito perché mi ha colto impreparato; nella prima dice in sostanza: “Se voglio la cultura vado a Parigi, in Sicilia ci si va solo per il mare e il cibo” e, senza darmi tempo di riprendere fiato dopo questa batosta, incalza a chi lo criticava per il costo delle sue pizze al Crazy Pizza (altro nome molto originale, la prossima volta chiama Di Maio) con: “Come fanno a vendere una pizza a 4 e 5 euro? Cosa mettono dentro queste pizze? Se devi pagare stipendi, tasse, bollette e affitti i casi sono dure: o vendi 50mila pizze al giorno o è impossibile. C’è qualcosa che mi sfugge”.

E, vistosi attaccato da quasi tutti i pizzaioli, soprattutto napoletani, che si sono sentiti tirati in causa in prima persona, tanto che a Napoli si è organizzata una protesta contro le sue parole, ha replicato ancora (peggiorando una situazione personale già molto compromessa): “La pizza non è napoletana - attacca -, è un prodotto mondiale e gli altri la fanno meglio”.

Non saprei a chi dare la palma dell’infantilismo, se a Brunetta o a Briatore in questo caso, mi chiedo anche come fa un imprenditore ad avere successo visto il suo livello comunicativo, ma credo in questo caso di essere io in difetto, tutti i miei studi non mi avevano preparato a comprendere questo tipo di fenomeni.

E me ne sono accorto anni fa, quando Silvio Berlusconi “scese in campo”, tutti quanti, sia turiferai, sostenitori, simpatizzanti, ma anche avversari a dire che gran comunicatore fosse Berlusconi, a me sembrava uno sprovveduto o, peggio, un impresentabile, uno di cui vergognarsi a fargli rappresentare il paese, uno che passava da una gaffes all’altra, così come Tarzan passava da liana a liana, uno a cui chiedere le dimissioni.

A quel tempo lessi pure alcuni saggi scritti da sociologi, analisti politici, da psicologi sociali, che trattavano dello stile comunicativo berlusconiano; qualunque fosse il loro orientamento di fondo, qualunque fossero le loro conclusioni, davano per scontato che Silvio Berlusconi avesse uno stile comunicativo, e che il suo dire alludesse a qualcos’altro, non sempre comprensibile immediatamente, in ogni caso si trattava di uno stile di successo, che gli portava molti consensi.

Io avevo l’impressione che Silvio parlasse a braccio, senza alcun canone dialettico, senza strategie comunicative, apriva la bocca e gli dava aria, così, semplicemente, esprimendo altrettanto semplicemente il vero se stesso, spesso in netta contraddizione con quello che in concomitanza cercavano di cucirgli addosso gli uomini che si occupavano della sua immagine.

Quando cercava di aderire all’immagine costruitagli dell’imprenditore di successo, di quello capace di creare ricchezza per sé e per gli altri, del buon marito e del buon padre di famiglia, Silvio sembrava ed era artificiale, falso, quando usciva fuori invece come gran puttaniere, evasore fiscale, pedofilo, ossessionato dal sesso, senza scrupoli, …, ecco che era vero e la gente ci si rispecchiava.

Sembrava che sdoganasse le peggiori brame di ciascuno, le più oscure, le più inconfessabili, è stato capace di rendere legittimi gli impulsi fascistoidi che non hanno mai abbandonato il suolo italico, ma si erano annidate in ciascuno di noi (nessuno escluso) paludandosi in un doppio petto Caraceni, in una cravatta Marinella, in un paio di scarpe Tod’s, nelle concezioni liberali, nel dirsi “moderato” e “di centro”, ha liberalizzato il peggiore egoismo, la grettezza umana, l’insensibilità, l’incapacità di mettersi nei panni altrui, ha strizzato l’occhio ai furbi, agli arrivisti, ai gregari, ai leccaculi e a chi vuole sempre un padrone sopra di sé che gli dia un’identità, l’osso quotidiano e gli dica cosa fare per ingraziarselo.

Dopo di lui la politica è diventata una lotta senza esclusione di colpi,  l’avversario un nemico da abbattere senza fare prigionieri, il potere un gioco esclusivo, la Giustizia un intralcio, la democrazia un orpello e la Costituzione carta straccia, le regole inutili.

Berlusconi (e con lui i suoi tardi epigoni: Brunetta, Briatore, Salvini, Meloni, Renzi e via cantando) ha avuto successo solo perché rappresenta l’Italia attuale, non come crediamo di essere, ma come siamo veramente e, parafrasando Oscar Wilde (Il ritratto di Dorian Gray), l’avversione di molti di noi per il berlusconismo è la rabbia di Calibano che vede il suo volto in uno specchio, e l’avversione di molti di noi verso la deludente sinistra italiana, è la rabbia di Calibano che non vede il suo volto nello specchio.




Xi Cin-cin