LA SOLIDARIETÀ SPIEGATA AI NON UDENTI (CHI HA ORECCHIE INTENDA …) 2
Scala dei Turchi
James M. Gavin
Se volete comprendere quanto è
radicata la solidarietà nella nostra cultura bisogna rileggere gli antichi
testi, l’Iliade e soprattutto l’Odissea che parla di un uomo, Ulisse, che ha peregrinato per molti anni, che si è
trovato fra genti molto diverse e sconosciute, di cui non sapeva mai cosa
attendersi, e che si è trovato al cospetto di essere mitologici, divini e
semi-divini che di volta in volta gli erano benevoli od ostili.
Gli antichi greci la chiamavano xenìa, ed era l’ospitalità dovuta allo
straniero; chi era stato straniero in mezzo a gente sconosciuta capiva
immediatamente il valore di questo concetto, chi non si era trovato in
condizione di bisogno non lo sapeva ancora, per questo era un obbligo essere
ospitali e solidali in attesa di comprenderne il significato sulla propria
pelle, perché non stiamo sempre nello stesso luogo e il mondo è una ruota che
gira e chi adesso è in difficoltà domani potrebbe essere chi ti trovi davanti
quando sei tu ad essere in difficoltà.
Sul concetto di solidarietà non
soltanto si fonda la convivenza, ma i greci saggiamente dividevano il mondo in
civile o in barbaro proprio sull’applicazione di questo concetto.
Robert Capa 1943
Scala dei Turchi
Polifemo che mangia i compagni di Ulisse
invece di ospitarli come insegnano le leggi divine, non può nemmeno essere
considerato un essere umano, viene rappresentato con tratti belluini, una
bestia selvatica e inospitale, che non trova alcuna solidarietà nemmeno fra gli
altri ciclopi, che pure accorrono a vedere cosa sta succedendogli, ma vanno via
troppo presto quasi sollevati dal non dover prestargli alcun soccorso dicendogli
che se “nessuno” lo molestava, allora si trattava di un male mandatogli dagli
dei: non gli restava che accettarlo e non rompere ulteriormente le scatole.
Oppure, potremmo attingere alla
parabola del buon samaritano, che ci definiamo cattolici o credenti non
importa, anche il nostro ateismo, il nostro agnosticismo, e il nostro
scetticismo religioso derivano da radici giudaico-cristiane e dal pensiero
greco, nel bene e nel male e non ne sono ancora uscite, così come anche le
inserzioni di pensiero orientale nella nostra cultura avvengono in questi ceppi
antichi.
È importante cercare di capire
cosa abbia voluto dire il Cristo con questa parabola, cosa voglia dire “ama il
prossimo tuo”, di quale “prossimo” sta parlando? E cosa abbia voluto
significare il suo gesto di andare a morire in croce?
Gela, 12-07-1043, l'ultima battaglia del Regio Esercito
Monty Willys
Mussolini a Siracusa, 10 luglio 1943
Pantalica
Nicosia, 1943
Da ciò derivano molte cose che
magari hanno perso ogni connessione con i motivi originari, ma che continuano
ad esistere con dando loro un altro senso, più comprensibile ai nostri giorni;
da questo deriva la nostra apertura, la nostra curiosità, la nostra solidarietà
verso l’altro e sempre da questo, dai limiti di questo concetto, deriva anche
la nostra chiusura.
Se ci chiudessimo solamente,
senza alcun contatto con l’esterno, moriremmo entro breve, se ci aprissimo senza
alcuna cautela, perderemmo ben presto ogni identità e ci dissolveremmo in nulla,
bisogna imparare dalle favolette antiche o dalle cose semplici, come ad esempio
la respirazione.
Inspirare è introdurre in noi
qualcosa di esterno, aria, virus, batteri, smog, odori, in tutto ciò c’è
qualcosa che ci è essenziale per vivere, qualcosa di superfluo e qualcosa di
dannoso; il nostro organismo è capace di utilizzare ciò che ci serve, di
neutralizzare ciò che è dannoso e di espellere con l’espirazione ciò che è
superfluo e i prodotti della nostra respirazione, la trasformazione dell’ossigeno
in anidride carbonica.
Pantalica
Pantalica
Patton
Phil Stern, Sicilia
Un organismo sano, un popolo sano,
sanno senza averlo mai studiato che non puoi lasciar entrare tutto e non puoi
impedire a qualsiasi cosa di entrare, non puoi costruire muri e non puoi
presentarti completamente indifeso e disarmato, perché la vita è scambio e
cambiamento … continuo, oltre c’è solo la morte, la rigidità cadaverica, il nulla.
Chiunque mi venga a dire prima
gli italiani, sbaglia, perché dobbiamo guardare al tutto, e prima gli italiani
si tradurrebbe nell’occuparsi prima del solletico che ho sul collo, perché è
più vicino alla testa, e non della gamba che si è incastrata in una tagliola.
Ho conosciuto molti che seguono
la filosofia del: “Prima gli italiani”, questi stessi che solo qualche tempo fa
dicevano “Prima i padani”, e fra i padani, che non sono tutti uguali: “Prima i
lumbard” se eri lumbard o “Prima i veneti” se eri veneto, e ancora lumbard è
una parola grossa, fra lumbard si sono scannati fino a ieri, Lodi contro
Milano, Ivrea contro Piacenza, Bergamo contro Brescia, ma anche fra milanesi se
mi son del Giambellino perché non posso discriminare chi viene dalla Ghisolfa o
dalla Bovisa … son minga esseri umani, e perché chi abita al piano di sotto non
posso chiamalo terun, se Dio avesse voluto che fosse pari a me l’avrebbe fatto
abitare nel mio stesso pianerottolo, no?
Phil Stern, Sicilia
Phil stern, Sicilia
Phil Stern, Licata 1943
Phil stern, Licata 1943
E poi, si fa presto a dire prima questi
o prima quelli, e chi tiene famiglia che fa? Se c’è qualcosa da spartire, prima
i miei figli ed io stesso, poi se ne rimane gli amici e poi tutti gli altri:
questa è l’equazione della mafia, questa è ciò che bisognerebbe estirpare in
Italia se volessimo eliminare la mafia, l’unica differenza fra il padre di
famiglia a Totò Riina è che quest’ultimo
la difende con le armi quest’idea.
Corleonese, abitante di una zona
montuosa sopra Palermo, un paesello isolato di agricoltori e di pastori, ignorante
come una capra e con modi rudi e violenti che ripugnavano persino al mafioso
palermitano, Totò Riina si è preso con pistola, mitra ed esplosivo tutto ciò
che gli sarebbe stato negato per nascita ed estrazione sociale, ma questo è
costato alla Sicilia e all’Italia intera molti morti ed anni di terrore e la
dissoluzione di ogni forma di Stato.
Dall’altra parte non c’era lo Stato,
se no avrebbe vinto quest’ultimo, c’era un’altra mafia con modi meno grezzi e meno ripugnanti, ma per questo
non meno feroci, e che disintegravano lo Stato ancora di più dei modi di Totò
Riina, che in qualche modo è stato eccessivo fino a costringere qualcosa ad
organizzarsi e a combatterlo … e in sostituzione si è strutturata un’altra
forma di mafia sommersa, meno eclatante e roboante, che tesse le sue fila nell’ombra
e crea un clima in cui pochi decidono il posto in cui devono stare tutti,
nessuno escluso e a chi non sta bene non resta che andarsene … in un modo o
nell’altro.
Soldati inglesi in Piazza Teatro, Avola
Prigionieri italiani, Ragusa.
Private Roy W. Humphrey of Toledo, Ohio is being given blood plasma after he was wounded by shrapnel in Sicily on 8-9-43-NARA-197268
Robert Capa
Certo, potrei fregarmene di tutte
queste persone che sbarcano nel suolo italico, in fondo non le ha invitate
nessuno, è un atto di arroganza presentarsi senza invito e senza l’abito di
cerimonia, affamati e maleodoranti; ma secondo lo stesso principio dovrei anche
fregarmene dei terremotati del centro Italia, chi li conosce? E poi, è evidente
che è colpa loro se gli è crollato tutto addosso, guarda un po’ come hanno
costruito. E che dire del crollo del cavalcavia sulla Milano-Lecco, che
imbecilli, nessuno a Milano o a Lecco era andato a controllare che stavano
costruendo un cavalcavia con la segatura. E i palermitani a cui è crollato il pilone
del viadotto dell’autostrada? Si vede che gli individui che interrano dentro i
piloni non sono più quelli di una volta, prima mettevano dentro i piloni
persone più solide del cemento armato, adesso sono tutti di fragile
costituzione, per forza i piloni crollano.
Un aiuto a ricostruire? Si, sono
siciliano, ma Palermo è già un’altra Sicilia per me, diversa faccia diversa
razza. E perché dovrei accettare di pagare con le mie tasse di finanziare le
scuole, io che non ho figli, gli ospedali, io che sto benissimo, gli stipendi
degli statali, che mi stanno pure antipatici, la Tav quando non me ne frega
niente che una carota da Torino a Lione impiegherà mezzora di viaggio in meno,
il ponte sullo stretto quando ho intenzione di fare le mie vacanze nei Caraibi,
a Cuba o alle Bahamas?
Sbarco ad Anzio
Sbarco A Gela
L'affondamento della nave tipo Liberty Robert Rowan, colpita l'11 luglio da un bombardiere tedesco dinanzi Gela
Perché dovrei accettare che parte di ciò che ho
guadagnato serva come cassa integrazione, mobilitazione, per chi ha perso il
lavoro, perché dovrei privarmi di ciò che è mio in funzione di un ipotetico
sussidio di disoccupazione, se sei stato così incauto da impiegarti in una
azienda in crisi, senza sbocchi futuri, o che si è trasferita altrove per
pagare meno tasse e con costi del lavoro inferiori è mica colpa mia? E poi,
ogni assegno è assistenzialismo, rischiamo di creare nuclei di parassitismo.
Perché dovrei abbandonare il mio
letto caldo, la mia abitazione confortevole per recarmi nei posti dove è
successa una tragedia per prestare soccorso, perché donare il proprio sangue
per gli altri, se è mio vuol dire che ne ho bisogno, e se nel sangue ci fosse l’anima
come dicono i testimoni di Geova? Meglio andarci cauti. Perché costringermi a
mangiare nella mensa comune quando mangio molto meglio a casa mia, perché
frequentare bagli pubblici istituiti per parecchie persone con tutte queste
brutte malattie infettive, perché chiudere bottega senza guadagnare, quando
altri alzano muri e barricate, perché dormire in tenda con coperte che non scaldano
ora che ho un’età e dovrei avere più riguardo per i miei reumatismi?
Scala dei Turchi
Scala dei Turchi
Sicily Husky WWII Dead Pilot 1943 Soldati americani dinanzi al corpo di un pilota tedesco nei pressi di Gela, 12 luglio 1943
Se tutti quanti la pensassimo in
questo modo non ci sarebbe più l’Italia, non ci sarebbe l’Europa, non ci
sarebbe il mondo e nemmeno più l’uomo, noi esseri umani nasciamo e moriamo nel
bisogno, ed abbiamo un periodo della nostra vita piuttosto breve in cui siamo
capaci di produrre più risorse di quelle che ci servono per sopravvivere, risorse
che servono nell’immediato per aiutare a sopravvivere i nostri neonati che sono
il nostro futuro e i nostri vecchi che sono il nostro passato.
Ma questo schema è valido anche
per agglomerati umani più ampi della famiglia, per i gruppi, i clan, i
villaggi, i paesi, gli stati, il mondo intero, perché tutto è interdipendente;
noi non saremmo niente senza gli altri e gli altri sarebbero diversi senza di
noi, perché la nostra presenza cambia il tutto, come onda che si propaga sempre
più impercettibilmente.
Finora ho affrontato la questione
prevalentemente in termini utilitaristici: sii solidale perché potresti aver
bisogno della solidarietà altrui, o se non tu qualcuno dei tuoi, perché
riproducendoci creiamo altri destini che non dipendono esclusivamente da noi,
ma che possono dipendere da fattori e da persone anche molto lontane e
imprevedibili.
Caciocavallo ragusano
Soldati tedeschi in Sicilia
Troina, Enna
Ora la affronterò, sfiorandolo appena,
il resto dell’approfondimento lo affido a voi se vorrete, l’elemento più
tipicamente umano della solidarietà, a noi uomini capita che se qualcuno sta
cadendo sotto i nostri occhi, istintivamente ci proiettiamo verso di lui con le
mani per sostenerlo, tutto avviene senza avere il tempo per pensare, senza che
ci rendiamo conto di chi è quella persona, senza che possiamo far calcoli su
quanto ci possa essere utile sorreggerlo.
Succede semplicemente che l’essere
umano ha la facoltà di mettersi rapidamente nei panni altrui, di vedersi
contemporaneamente come chi sorregge e chi sta per cadere e, istintivamente agiamo;
ho usato il termine istintivo, ma non è propriamente un istinto, è la capacità
contemporanea di essere noi e di essere altro da noi, che possediamo in potenza
fin dalla nascita, ma che va sviluppata a partire dai giochi di ruolo fra madre
e bambino.
Col tempo cerchiamo di capire
cosa sta pensando il nostro interlocutore al di la di ciò che ci dice e ciò che
sta provando, quali sentimenti lo agitano, per far questo dovremmo avere la
capacità di essere lui e nel frattempo di rimanere noi stessi, questa capacità
si affina col tempo, ma può anche rimanere ad un livello molto rudimentale:
esistono persone che non riescono a capire cosa l’altro provi, che non riescono
a mettersi in contatto emotivo con un altro essere umano, a stabilire una vera
relazione fatta della possibilità di comprendersi al di la della
complementarietà reciproca e dell’istinto animale.
Catania
Chi non ne è capace non dovrebbe
sbandierare questo suo limite come un merito, ma vederlo come una mutilazione,
una difficoltà, invece si inventa pseudo-leggi razionali o naturali per
giustificare il suo utilitarismo (che è l’unica cosa che gli rimane se non sa
andare oltre allo sfruttamento reciproco fra persone: tu mi dai sesso e figli e
io ti mantengo, come concezione del matrimonio e del rapporto uomo donna), che
sarebbero l’unica modalità giusta, corretta, sensata per approcciarsi ad un’altra
persona.
Crea barriere, muri, chiude saracinesche per non prendere assolutamente atto di
essere un menomato emotivo, cerca la compagnia, l’assenso, di altri menomati
come lui per rassicurarsi di essere nel giusto, crea movimenti politici, d’opinione,
per promuovere la sua menomazione, auspicando che tutti siano menomati al pari
di lui, e squalifica, discrimina ed elimina, se è necessario, chi si ostina a
non essere menomato.
Il filosofo spagnolo Miguel de Unamuno, nel 1936 poco prima
della guerra Civile spagnola, in occasione di un discorso del Generale Millán Astray presso l’università di Salamanca
in cui egli era rettore, replicò in questo modo agli innumerevoli: “Viva la
muerte!” dei suoi sostenitori che punteggiavano le pause del militare:
“ ... Ho sentito or ora un
necrofilo insensato gridare: ‘Viva la morte!’. Ed io che ho passato la vita
forgiando paradossi che hanno suscitato l’ira e l’incomprensione degli altri,
debbo dirvi, da esperto autorevole, che questo paradosso di un altro mondo mi è
repellente. Il generale Millán Astray è
un menomato. Sia detto senza alcuna intonazione irriverente. E’ un invalido di
guerra. Come lo era Cervantes. Sfortunatamente ci sono troppi invalidi in
Spagna in questo momento. Anzi ce ne sarebbero perfino di più se Dio non ci
venisse in aiuto. Mi duole pensare che il generale Millán Astray possa dettare
il modello della psicologia di massa. Un mutilato che manchi della grandezza
spirituale di Cervantes è solito cercare infausta assistenza provocando la
mutilazione attorno a sé".
Caro Garbo, prima di scrivere qualunque cosa sento il bisogno di ringraziarti per quello che hai scritto. Anche se temo sia vero quanto dici all'inizio, che è sempre più forte la sensazione che quanto diciamo serva poco a chi non ha... orecchie per intendere, è altrettanto vero che un'idea può trovare strade impreviste per crescere e forse è questa consapevolezza che spinge a scrivere. Il tuo post suona molte corde, quelle della storia di questo paese, della storia della tua famiglia che è storia di molte famiglie simili e suona le corde di una storia millenaria e presente che si fa sempre più lontana come i valori dell'ospitalità e della solidarietà. Quali sono le cause della mutilazione emotiva che non è solo del nostro paese e non è solo di questi tempi? Tu citi la latitanza del padre eppure la figura del padre che evochi nel tuo racconto opera in un contesto familiare in cui la figura materna è fondamentale. Questa lettura non mi convince pienamente poiché comporta una contrapposizione tra figura materna/paterna che in qualche modo risuona con egoismo/altruismo. In altre parole mi chiedo se questa non sia l'ennesima lettura al maschile della nostra psiche ma non so darmi una risposta. Così come non so darmi una risposta sulle cause sociali di questa mutilazione perché ce ne sono eccome. Una mutilazione emotiva che per certi versi è richiesta, sebbene ipocritamente celata. E' richiesta dall'efficienza dell'apparato tecnico, è richiesta dal richiamo alla competitività, al merito e al successo, è richiesta dalla crescita continua. E' richiesta dalla metafora della rete che ha soppiantato quella della catena. Un tempo si poteva dire che una catena è forte quanto il suo anello più debole, e oggi? Oggi abbiamo la rete, se un nodo cede niente paura, la rete tiene. Hai perfettamente ragione a dire che l'empatia è inscritta nella nostra storia evolutiva ma questo non la fa essere qualcosa di scolpito per sempre. Se è stata inscritta è perché è stata coltivata nelle nostre strutture sociali, come tu stesso dici. Temo che per molti versi stiamo smettendo di coltivarla, fatti salvi i casi estremi che ci richiamano a quell'empatia per istinto, appunto. Il tema della distanza è centrale per l'empatia, tu stesso lo hai considerato in un precedente articolo. Quanto è lontano l'evangelico "prossimo"? Oggi parliamo di società globale ma il concetto di prossimo si è sviluppato in comunità di piccole dimensioni. Oggi il prossimo dista da noi migliaia di km, lo vediamo attraverso tv e satelliti ma non ne sentiamo l'odore, non sentiamo l'orrore da cui fugge, non sentiamo esplodere neanche le bombe che gli piovono addosso, è come nei videogame. Le nostre "conquiste" tecniche sono al passo con quelle emotive? Siamo al passo con la nostra storia? Come possiamo dire che la cosiddetta società globale stia coltivando l'empatia per chi sta dall'altra parte del pianeta quando ti insegna ad avere successo per non essere un fallito e tutto quello che riesce a realizzare è una moltitudine di falliti di successo? Ecco, tu hai affidato ai commenti un eventuale approfondimento del tuo bell'articolo e io faccio solo domande! Non ho altro amico mio, ho solo domande. Buon fine settimana.
L’assenza di una figura paterna forte, valorosa, potente, autorevole, capace di staccarti dalle gonne materne e inserirti nel mondo sociale, è invocata da sociologi, psicologi e psicoanalisti all’origine di ogni regime autoritario: sospeso fra l’intimità della casa e la paura e attrazione del mondo esterno, in assenza di un Virgilio che ti faccia da guida, ti affidi alla prima figura autoritaria che ti fa apparire facile questo passaggio. Da un padre potente ma assente passiamo ad una figura paterna onnipotente, ne diventiamo seguaci e succubi, siamo anche disposti a perdere la nostra libertà e la nostra dignità pur di sentirci adeguati. Perdere valori come l’umanità e la solidarietà, per sostituirli col cameratismo e il senso di appartenenza esclusivo, appartengono come sai ad ogni regime autoritario e si raggiungono solo in seconda battuta: solo una persona forte, autorevole, produttiva, capace di creare cose e ragionevolmente sicura delle proprie capacità, può permettersi si essere solidale. Altrimenti ti trovi di fronte all’annullamento di sé al servizio dell’altro (come madre Teresa), un sistema in cui in realtà annulli anche l’individualità dell’altro, che diventa solo bisogno e sofferenza, che ti sono necessari per dare un senso alla tua vita e che inconsapevolmente perpetui perché se sparisse la sofferenza tu non sapresti più chi sei e cosa puoi fare. Oppure ti trovi di fronte all’egoismo, alla grettezza, all’insensibilità, più o meno sbandierate in base a quanto la società ritiene sensato o meschino questo atteggiamento (e questa è una società che trova giusto pensare solo a sé … non c’è né prima né dopo degli slogan ipocriti “prima gli italiani”, c’è solo il proprio io e nient’altro). Non si tratta di valori legati all’essere uomo o all’essere donna, non è che la donna sia più egoista dell’uomo, è solo che nella nostra società patriarcale la donna, la mamma, significa casa, intimità, esclusività, mentre in genere è il padre che ti introduce in società, è nel nome del padre che noi siamo conosciuti fuori dalla nostra casa, mentre dentro casa non hai bisogno di appellarti al tuo cognome per far sapere chi sei. Tutto ciò che circola in casa è nostro, di tutti, e quasi non esiste la proprietà privata, fuori casa è essenziale distinguere di chi è qualsiasi cosa, è essenziale imparare lo scambio e confrontarti col dono; fuori casa esistono degli estranei che non hanno alcun legame precostituito con me, il cui legame è tutto da costruire o da non costruire affatto, e bisogna stabilire di volta in volta le regole per questo legame, regole che possono essere sociali oppure personali se si creano altri rapporti intimi. In qualche modo, solo con l’ingresso nel sociale si pone davvero il problema della solidarietà, ma le basi dell’empatia, dell’essere contemporaneamente te stesso e l’altro, le apprendi nei giochi di ruolo e nei contatti visivi e non con la madre, senza questa capacità fondamentale la solidarietà sarebbe solo generosità ed ostentazione di potenza. Alcune domande e alcune considerazioni sono più interessanti di mille risposte :-). Ciao
Caro Garbo, prima di scrivere qualunque cosa sento il bisogno di ringraziarti per quello che hai scritto. Anche se temo sia vero quanto dici all'inizio, che è sempre più forte la sensazione che quanto diciamo serva poco a chi non ha... orecchie per intendere, è altrettanto vero che un'idea può trovare strade impreviste per crescere e forse è questa consapevolezza che spinge a scrivere. Il tuo post suona molte corde, quelle della storia di questo paese, della storia della tua famiglia che è storia di molte famiglie simili e suona le corde di una storia millenaria e presente che si fa sempre più lontana come i valori dell'ospitalità e della solidarietà. Quali sono le cause della mutilazione emotiva che non è solo del nostro paese e non è solo di questi tempi? Tu citi la latitanza del padre eppure la figura del padre che evochi nel tuo racconto opera in un contesto familiare in cui la figura materna è fondamentale. Questa lettura non mi convince pienamente poiché comporta una contrapposizione tra figura materna/paterna che in qualche modo risuona con egoismo/altruismo. In altre parole mi chiedo se questa non sia l'ennesima lettura al maschile della nostra psiche ma non so darmi una risposta. Così come non so darmi una risposta sulle cause sociali di questa mutilazione perché ce ne sono eccome. Una mutilazione emotiva che per certi versi è richiesta, sebbene ipocritamente celata. E' richiesta dall'efficienza dell'apparato tecnico, è richiesta dal richiamo alla competitività, al merito e al successo, è richiesta dalla crescita continua. E' richiesta dalla metafora della rete che ha soppiantato quella della catena. Un tempo si poteva dire che una catena è forte quanto il suo anello più debole, e oggi? Oggi abbiamo la rete, se un nodo cede niente paura, la rete tiene. Hai perfettamente ragione a dire che l'empatia è inscritta nella nostra storia evolutiva ma questo non la fa essere qualcosa di scolpito per sempre. Se è stata inscritta è perché è stata coltivata nelle nostre strutture sociali, come tu stesso dici. Temo che per molti versi stiamo smettendo di coltivarla, fatti salvi i casi estremi che ci richiamano a quell'empatia per istinto, appunto. Il tema della distanza è centrale per l'empatia, tu stesso lo hai considerato in un precedente articolo. Quanto è lontano l'evangelico "prossimo"? Oggi parliamo di società globale ma il concetto di prossimo si è sviluppato in comunità di piccole dimensioni. Oggi il prossimo dista da noi migliaia di km, lo vediamo attraverso tv e satelliti ma non ne sentiamo l'odore, non sentiamo l'orrore da cui fugge, non sentiamo esplodere neanche le bombe che gli piovono addosso, è come nei videogame. Le nostre "conquiste" tecniche sono al passo con quelle emotive? Siamo al passo con la nostra storia? Come possiamo dire che la cosiddetta società globale stia coltivando l'empatia per chi sta dall'altra parte del pianeta quando ti insegna ad avere successo per non essere un fallito e tutto quello che riesce a realizzare è una moltitudine di falliti di successo? Ecco, tu hai affidato ai commenti un eventuale approfondimento del tuo bell'articolo e io faccio solo domande! Non ho altro amico mio, ho solo domande. Buon fine settimana.
RispondiEliminaL’assenza di una figura paterna forte, valorosa, potente, autorevole, capace di staccarti dalle gonne materne e inserirti nel mondo sociale, è invocata da sociologi, psicologi e psicoanalisti all’origine di ogni regime autoritario: sospeso fra l’intimità della casa e la paura e attrazione del mondo esterno, in assenza di un Virgilio che ti faccia da guida, ti affidi alla prima figura autoritaria che ti fa apparire facile questo passaggio. Da un padre potente ma assente passiamo ad una figura paterna onnipotente, ne diventiamo seguaci e succubi, siamo anche disposti a perdere la nostra libertà e la nostra dignità pur di sentirci adeguati.
RispondiEliminaPerdere valori come l’umanità e la solidarietà, per sostituirli col cameratismo e il senso di appartenenza esclusivo, appartengono come sai ad ogni regime autoritario e si raggiungono solo in seconda battuta: solo una persona forte, autorevole, produttiva, capace di creare cose e ragionevolmente sicura delle proprie capacità, può permettersi si essere solidale.
Altrimenti ti trovi di fronte all’annullamento di sé al servizio dell’altro (come madre Teresa), un sistema in cui in realtà annulli anche l’individualità dell’altro, che diventa solo bisogno e sofferenza, che ti sono necessari per dare un senso alla tua vita e che inconsapevolmente perpetui perché se sparisse la sofferenza tu non sapresti più chi sei e cosa puoi fare.
Oppure ti trovi di fronte all’egoismo, alla grettezza, all’insensibilità, più o meno sbandierate in base a quanto la società ritiene sensato o meschino questo atteggiamento (e questa è una società che trova giusto pensare solo a sé … non c’è né prima né dopo degli slogan ipocriti “prima gli italiani”, c’è solo il proprio io e nient’altro).
Non si tratta di valori legati all’essere uomo o all’essere donna, non è che la donna sia più egoista dell’uomo, è solo che nella nostra società patriarcale la donna, la mamma, significa casa, intimità, esclusività, mentre in genere è il padre che ti introduce in società, è nel nome del padre che noi siamo conosciuti fuori dalla nostra casa, mentre dentro casa non hai bisogno di appellarti al tuo cognome per far sapere chi sei.
Tutto ciò che circola in casa è nostro, di tutti, e quasi non esiste la proprietà privata, fuori casa è essenziale distinguere di chi è qualsiasi cosa, è essenziale imparare lo scambio e confrontarti col dono; fuori casa esistono degli estranei che non hanno alcun legame precostituito con me, il cui legame è tutto da costruire o da non costruire affatto, e bisogna stabilire di volta in volta le regole per questo legame, regole che possono essere sociali oppure personali se si creano altri rapporti intimi.
In qualche modo, solo con l’ingresso nel sociale si pone davvero il problema della solidarietà, ma le basi dell’empatia, dell’essere contemporaneamente te stesso e l’altro, le apprendi nei giochi di ruolo e nei contatti visivi e non con la madre, senza questa capacità fondamentale la solidarietà sarebbe solo generosità ed ostentazione di potenza.
Alcune domande e alcune considerazioni sono più interessanti di mille risposte :-).
Ciao