martedì 12 gennaio 2016

... D'INTENDERE & VOLARE 1 (VOYAGES AUX PAIS DE NULLE PART)





Globes de Vincenzo Maria Coronelli, Musée Chapelle Notre Dame des anges Coulommiers, Photo Ph.de Murel.

“Im Abgrund wohnt die Wahrheit”
Nell’Abisso abita la verità.
(Johann Christoph Friedrich von Schiller, 1759 – 1805, Sprüche des Konfuzius, 1799).

Vincenzo Maria Coronelli, dettaglio di mappamondo.

Immagine di Settimio Benedusi.


Vincenzo Maria Coronelli



“E tacciono, perché sono abbattute
nelle loro menti le barriere,
e le ore in cui si potrebbe comprenderli
vengono e vanno.

Spesso a notte, affacciati alla finestra,
tutto ritrova a un tratto il giusto senso.
La loro mano poggia sul concreto
E il cuore è alto e vorrebbe pregare,
e gli occhi in pace guardano

nel recinto ormai calmo l’insperato
giardino tante volte sfigurato
che nel riverbero di mondi ignoti
continua a crescere e mai non si perde”.
(Rainer Maria Rilke, Nuove poesie, I folli, 129).

Vincenzo Maria Coronelli.




Vincenzo Maria Coronelli.


Da bambino ero sempre irrequieto, smanioso, tutto mi stava stretto, il mio lettino, la mia cameretta, la mia casa, il mio quartiere, il mio paese, la Sicilia intera e non sono mai riuscito a sopportare un maglione col collo alto, nonostante qualcuno abbia provato a regalarmene di molto belli.
Ricordo una volta, avrò avuto quattro anni e non di più, eravamo passati con mia madre da un negozio di giocattoli, guardando la vetrina mi ero innamorato di un oggettino, ma mia mamma non aveva i soldi per regalarmelo; più tardi, messa insieme la cifra che mi occorreva, ho ripercorso la strada a ritroso, ho ritrovato il negozio, ho acquistato il mio regalo (non so se i soldi fossero sufficienti, ma il negoziante me l’ha venduto lo stesso) e ho creato una certa inquietudine a casa mia, perché per più di un’ora non mi trovavano più da nessuna parte, poi mi sono ripresentato col giocattolo in mano e mia mamma ha capito che ero andato da solo in Piazza Teatro, a più di un chilometro da casa mia, ed ero tornato con l’oggetto che desideravo, tanto che ha pensato: “Questo figlio non lo devo sottovalutare!”.
Non mi spaventava esplorare mondi per me sconosciuti (e Piazza Teatro lo era, pensate a quanto il mondo di un bambino sia infinitamente più grande di quello di un adulto, quanto più ampia sia la sua casa, quanto più esteso il quartiere dove abita, quanti passi deve fare in più un bambino rispetto un adulto per coprire quel chilometro abbondante che era la distanza fra quella che allora era la mia casa e la piazza), anzi mi attraeva oltre ogni limite, non stavo mai fermo, anche per mangiare non riuscivo a stare seduto a tavola, tutto ciò che non conoscevo o che conoscevo poco mi attraeva, e costringevo mia mamma a girare per tutto il quartiere col piatto in mano, cosa che non aveva fatto con nessuno dei miei due fratelli maggiori.
Per ciò che riguarda l’educazione all’igiene, invece, mia mamma era molto più rigida, molto precocemente mi aveva abituato a usare il wc, e la questione non si discuteva, per fortuna che mie zie, le sorelle di mio padre, che abitavano nelle vicinanze, erano molto più tolleranti in proposito, perché è importante per un bambino poter decidere il momento e opportuno e il luogo che più gli aggrada, per liberarsi delle sue scorie, che ancora concepisce come dono, insomma, è importante per un bambino poterla fare dove e quando più gli aggrada, o quasi, è importante che possa negoziare le sue esigenze con quelle della madre e con le regole dell’esistenza civile.
Qualche decennio fa i pediatri consigliavano alle neo-mamme di fornire pasti ai propri bambini ad orari regolari, per abituare i suoi bioritmi quanto più velocemente possibile a quelli degli adulti; oggi quasi più nessun pediatra vi darà un consiglio simile.
L’Infant Research, costituita da gruppi di psicologi che osservano il bambino in interazione col suo mondo, hanno osservato che il bambino accorda più facilmente i suoi bioritmi a quelli degli adulti (i suoi caregivers) molto più in fretta e molto più saldamente se è nutrito non secondo orari predeterminati, ma a richiesta, cioè ogni volta che piange perché ha fame.

I due globi, terra e cielo, di Vincenzo Maria Coronelli, creati per Luigi XIV

Nansen, l'esploratore che attraversò la Groenlandia con gli sci ai piedi.


Vincenzo Maria Coronelli.


Henry Morton Stanley

Se tu nutri tuo figlio ogni quattro ore è possibile che il bambino non incontri mai la sua fame, non si riconosca mai affamato, non sappia mai che la nutrizione fa parte integrante del suo essere al mondo ed essere vivo; se, invece, lo nutri quando te lo chiede, gli dai il tempo di sentire la fame e lo riconosci come bambino affamato, gli riconosci il bisogno di essere nutrito, solo a partire da questo riconoscimento il bambino può accordare i suoi bioritmi ai tuoi, e lo fa spontaneamente.
Bisognerebbe applicare questa semplice constatazione a tutti gli ambiti dell’educazione di un bambino ed anche al rapporto fra adulti, solo lasciando essere un altro ciò che è possiamo pensare di creare un rapporto profondo fra lui e noi.
Dovevo essere anche l’unico bambino che costringeva gli adulti a variare di volta in volta il testo delle favole che mi leggevano prima che mi addormentassi, non mi piaceva sentire sempre le stesse cose, volevo che cambiassero i particolari, che modificassero il finale, volevo che inventassero invece di leggere semplicemente.
Invece agli altri bambini sembra non piaccia affatto che si cambi una sola virgola del ”sacro” testo scritto dai fratelli Grimm, la favola va letta così come è stata scritta, senza divagazioni e senza modifiche, e va letta fino alla nausea e allo sfinimento dell’adulto che legge e del bambino che ascolta.
C’è in tutto questo, forse, un tentativo di imparare a padroneggiare l’angoscia che alcune favole suscitano nel bambino, Pollicino ad esempio evoca il timore dell’abbandono, Biancaneve quella della cattiva madre, la Bella Addormentata quella della morte, Cenerentola e il Brutto Anatroccolo quella del figlio indesiderato, umiliato, sminuito, sfruttato, ….
È importante per un bambino sentire che Pollicino ritroverà la strada e i suoi genitori che, non più in condizioni di indigenza, possono ora amarlo, Biancaneve e Cenerentola si salveranno dalle nere trame della strega cattiva e della matrigna e sposeranno un principe bellissimo e ricchissimo, la Bella Addormentata si risveglierà in seguito al bacio di un altro principe (che nelle favole abbondano, quando pensi di aver trovato il migliore, che so il Principe Azzurro, ecco che ne spunta un altro ancora più bello, ancora più nobile e ancora più ricco in un’altra fiaba), il Brutto Anatroccolo diventerà un bel cigno.





klementinum V. Coronelli, K. Pflieger, S. Faber


Quando ho iniziato a leggere da solo, prima dell’età scolare, perché non potevo più aspettare, volevo bere dai miei occhi alla fonte più seducente che accendeva la mia fantasia, ho divorato tutto ciò che trovavo in casa, tutto ciò che trovavo a casa dei miei zii, i fumetti che compravamo miei fratelli e i miei cugini, le riviste di moda delle mie cugine.
Poi, in età scolare, leggevo il giorno stesso dell’acquisto o nei due immediatamente successivi il libro di lettura e il sussidiario, per il resto dell’anno scolastico li degnavo appena di uno sguardo, e quasi solo esclusivamente quando avevo delle poesie da mandare a memoria, operazione che odiavo e che per un certo periodo di tempo mi ha fatto odiare la poesia, poi passavo subito a leggere cose più interessanti.
Libri, fondamentalmente di avventure, Gengis Kahn, Ventimila leghe sotto i mari, Viaggio al centro della terra, le Avventure di Aladino, il Giro del mondo in 80 giorni, il Richiamo della foresta, la Capanna dello zio Tom, il Piccolo principe, i Ragazzi della via Paal, Senza famiglia, l’Isola del tesoro, le Avventure di Tom Sawyer, le Avventure di Huckleberry Finn, le Tigri di Mompracen, il Libro della jungla, il Conte di Montecristo, i Tre moschettieri, Pinocchio, i Pirati della Malesia, i Viaggi di Sindbad, i Viaggi di Gulliver, Zanna bianca, ….
Libri gialli, che però non mi entusiasmavano molto e che leggevo solo in mancanza d’altro e in estate quando il tempo a disposizione era maggiore, l’enciclopedia Conoscere, illustrata, che ho dragato in lungo e in largo, assorbendovi la storia, le scoperte scientifiche, esistenza usi e costumi di popoli lontani, e molte altre cose, fumetti di ogni genere, anche per adulti, catturati ai miei fratelli che erano più grandi di me, Topolino, Tex Willer, Il comandante Mark, Zagor, Blek Macigno, Moby Dick, Capitan Miki, L’Intrepido, Il Monello, ho provato persino a leggere la Divina Commedia, l’Iliade e l’Odissea.
Altri libri nella biblioteca di casa mi sembravano molto ostici, prematuri e vagamente noiosi, tutti i libri di poesia che trovavo soporiferi e che avevo il terrore di dover mandare a memoria, perché credevo che la poesia fosse solo da memorizzare, come il proprio nome e cognome, indirizzo, numero di telefono, saggi di ogni genere, libri politici (non riuscivo nemmeno a spostare il Capitale di Marx in edizione integrale), romanzi che allora mi apparivano sdolcinati come Anna Karenina, Guerra e pace, Padri e figli, il Placido Don, Eugenio Onegin, la Figlia del capitano, i Fratelli Karamazov, l’Ultimo dei Mohicani, i Demoni, Delitto e castigo, i Miserabili, Notre Dame de Paris, l’Età della ragione, la Nausea, alla Ricerca del tempo perduto, l’Ulisse, Tenera è la notte, il Grande Gatsby, i libri d’arte e i quotidiani, mentre mi perdevo letteralmente nei libri del Touring, leggendo nomi di luoghi che avrei visitato solo molti anni dopo e che all’epoca erano altrettanto fiabesche per me di Atlantide, di Agarthi, di Camelot, di Iperborea, di Xanadu, di Sangri-La, del Tartesso e delle sette città di Cibola, mentre altri non li ho mai visti da vicino.
La televisione mi attirava poco, c’era una specie di scatoletta alla base in cui accendevi un pulsante e bisognava aspettare quasi un quarto d’ora prima di iniziare a vedere delle immagini, mi annoiavano i notiziari, i tv, gli approfondimenti, le tribune elettorali, i programmi musicali e di intrattenimento, ricordo con piacere solo l’Odissea di Franco Rosi con Bekim Fehmiu nel ruolo di Ulisse (si trattava di una replica), di cui non mi perdevo una puntata, ricordo Zorro, Tarzan, Pippi Calzelunghe, Michele Stroghoff, Furia il cavallo del west, Orzowei, Sandokan,  la Famiglia Bradford, Pinocchio, e Goldrake, il primo cartone animato giapponese.

Kon Tiki, film.

Lezionario di Spira.


Dr. Livingstone, I presume!

Coronelli Globe.


Poi mi piaceva moltissimo stare ad ascoltare le storie antiche della mia terra, la mia fonte principale era mia nonna materna, che negli ultimi anni di vita abitava in casa con noi, anche i miei zii contribuivano molto a raccontarmi le storie del passato, più raramente i miei genitori da bambino, mentre molto più tardi, prima che morissero, sono stato ad ascoltare la storia di famiglia e antichi avvenimenti di persone che non ho neanche mai conosciuto, oppure qualche anziano vicino di casa o, ancora, nelle botteghe artigiane che ancora esistevano quando io ero piccolo, come il falegname, il vetraio, il calzolaio, la sarta, il vinaio, il “salaro”, il pizzicagnolo, il gelataio d’estate e “cassatinaio” d’inverno, il venditore d’olio, il cartolaio, il meccanico, il biciclettaio …
Mio padre era un proprietario terriero, ha prodotto per anni mandorle e limoni delle migliori qualità, poi negli anni 80 ha messo su uno stabilimento dove veniva estratta l’essenza di limoni, arance, mandarini, bergamotti, dei fiori di zagara, da utilizzare in profumeria, il succo degli agrumi andava alle aziende che producono bevande e la polpa una parte andava alle aziende che producono confetture di agrumi e il rimanente andava ad integrare la dieta degli animali da allevamento, fondamentalmente mucche e maiali.
Durante tutto l’arco dell’anno mio padre rispettava gli impegni scolastici e lavorativi di noi tre figli (i miei fratelli, entrambi più grandi di me, hanno iniziato a lavorare quando io ancora andavo a scuola), raramente nei mesi da settembre a luglio richiedeva il nostro aiuto, ero soprattutto io a dargli una mano quando c’erano i periodi critici del raccolto dei limoni e serviva qualcuno di fiducia che controllasse le pesate e sovrintendesse ad alcuni lavori, e quando avevo bisogno di qualche soldo extra.
Però in agosto non intendeva sentire ragioni, per tutto il mese (e anche oltre talvolta) si raccoglievano le mandorle, sotto il sole a picco, con temperature da deserto africano, con la polvere del mandorlo che ti cadeva addosso per ogni colpo di canna o di forcone che davi per bacchiare i rami, col sudore profuso e i pidocchietti della pianta che ti torturavano la pelle, con la corteccia di mandorli secolari che sembrava carta vetrata quando ti avvicinavi, ed eri costretto non solo a farlo, ma anche a salirvi sopra se volevi raccogliere anche le mandorle dei rami alti interni, in agosto tutta la famiglia al completo doveva essere in campagna a raccogliere le mandorle.
Ed era una festa perché c’era la famiglia allargata, zii, zie e cugini, oltre ai braccianti che erano necessari per un raccolto che interessava parecchi ettari di mandorleto, da effettuare prima delle piogge di settembre, perché la mandorla quando si spacca il mallo verde con i caldi di giugno e di luglio, non deve prendere acqua se no si formano delle muffe che ne alterano il sapore, ed è per questo che dopo il raccolto e dopo la sbucciatura dal mallo verde, le mandorle si stendono ad asciugare al sole del giorno e alla brezza marina secca della notte.
La mattinata di lavoro iniziava alle cinque del mattino, al primo albeggiare, una jattura per me che volevo godermi le vacanze estive e fare tardi con gli amici o con qualche ragazza, sarà per questo che da ragazzo per far quadrare il cerchio della mia esistenza prendevo molti caffè ogni giorno, soprattutto la sera e che poi finita la stagione dormivo anche 12 ore per notte, e si protraeva fin quasi a mezzogiorno, quando la vampa di agosto diventava insopportabile e non era più consigliato proseguire all’aperto.

Nationalbibliothe, An den Ecken des Ovals stehen vier Globen von Vincenzo Coronelli




Roald Amundsen



A quel punto i braccianti venivano congedati e rimanevano solo i familiari, si apparecchiava un tavolato sotto le fronde dell’ulivo più antico, studiandola in modo da avere sempre l’ombra nonostante lo spostamento della terra rispetto al sole, si pranzava e nel pomeriggio si iniziava a sgusciare le mandorle privandole del mallo verde e selezionandole per categorie.
Mio padre produceva fondamentalmente tre qualità di mandorle: la pizzuta, la più grande e la più pregiata, di forma lanceolata, da cui il nome, che dava frutti di forma perfetta in un solo spicchio adatti soprattutto per fare i confetti; la fascionello, più piccola e tozza, spesso con spicchio doppio, adatta per ogni uso, dai piatti tipici della cucina iblea alla pasticceria e alle bevande come il latte di mandorla, alla romana, più grande della precedente e più rotonda, destinata soprattutto alla pasticceria per la qualità e il sapore dei suoi oli essenziali che rendono ogni dolce a base di mandorla unico nel panorama mondiale.
Si iniziava la mattina ad intonare canti, stornelli e motteggi divertenti, si cantava e si rideva per non sentire il caldo, la fatica, il dolore di qualche mandorla che ti cadeva addosso nonostante i bacchiatori stessero molto attenti ad evitare traiettorie dove potevano trovarsi altri bacchiatori o raccoglitori, si andava a tempo col frinire delle cicale, si narravano vicende antiche ed altre più recenti, tragiche o divertenti, auliche o popolari, costumate o licenziose … era la cosa che mi rendeva tollerabile e persino interessante e divertente il dover sacrificare ogni agosto della mia vita per 22 anni dalla mia nascita alla raccolta delle mandorle.
Poi, nel pomeriggio, quando ci si trovava fra di noi al fresco dei rami d’ulivo, il discorso diventava più intimo, e meno popolare, sboccato e licenzioso, allora si iniziavano le storie di famiglia e le varie vicende di ogni genere accorse a questo o a quell’esponente della mia stirpe, si raccontavano cose che era bene fossimo solo noi esponenti a sapere e alcuni segreti venivano svelati anche ai piccoli che stavano crescendo, avevi l’impressione che ciò che è accaduto ad uno fosse accaduto a tutti, ciò che riguardava uno riguardasse tutti, esattamente come eravamo tutti a raccogliere e a sgusciare le mandorle che erano della mia famiglia, ed eravamo ancora tutti a dare una mano quando i miei zii raccoglievano gli ortaggi o la frutta dalle loro terre.
Il mio eroe preferito era, senza dubbio alcuno, Ulisse, la mitologia greca antica proponeva tre tipi di eroi principali, oltre a tutta una serie di eroi secondari, il primo era Achille, forte e invincibile, l’eroe che predominava sempre, che superava tutti quanti in forza, abilità e coraggio, l’atleta perfetto, veloce nella corsa, letteralmente micidiale, ma è estremamente altero e permaloso, oltre persino a come dovrebbe essere un vero mito greco, e muore molto giovane dopo aver ottenuto gloria imperitura e aver provato l’amore profondo.
Poi c’è Ettore, l’eroe dal volto umano, quello per cui il coraggio non è soltanto valutazione della sua forza, ma vittoria sulla sua paura e accettazione del suo destino, guardate Ettore mentre rimprovera il fratello Patroclo di viltà, guardatelo sulle mura mentre si congeda dalla moglie e dal figlio, quando si toglie il cimiero che spaventa il bambino e lo prende in braccio per l’ultima volta, guardatelo alle porte Scee mentre aspetta Achille, in quel susseguirsi di ondate di fermo coraggio e di umana paura.


Mr. Livingstone I presume







Infine, c’è Ulisse, è forte, è bravo, è abile, anch’egli ha superato prove che l’hanno reso famoso fra i suoi simili, ma non è il più forte, non è il più abile, non è il più coraggioso, Ulisse però possiede il suo grandioso ingegno, in quello non lo batte nessuno, dove non arriva con le sue forze, con le sue abilità, col suo coraggio, ci arriva con la sua mente, con la sua abilità ad architettare stratagemmi e a tessere inganni.
Non si conquista Troia con la forza, dieci anni di assedio e i migliori eroi dell’Ellade non sono bastati, se non fosse stato per quel suo cavallo … pensateci, sono gli stessi troiani a perdersi, loro stessi che introducono la rovina dentro le loro mura, quando un’intera armata achea e l’aiuto degli dei maggiori non fu sufficiente.
Nessun mortale poteva mai vincere l’ira di Poseidone, il dio del mare, dei fulmini, delle tempeste, quello che scuoteva la terra in spaventosi terremoti, ma non si poteva vincere nemmeno il ciclope Polifemo, enorme ed orribile gigante con un occhio solo, che nulla pareva avesse di umano e che iniziò a decimare i compagni di Ulisse nel più orribile dei modi, mangiandoseli; eppure Ulisse ha il sangue freddo e la sagacia di ingannare anche questa forza della natura e di uscire così incolume lui e i suoi compagni superstiti.
Non si può uscire indenni dalle spire di due figure femminili potenti e dotate come la maga Circe e la ninfa Calipso, le donne, si sa, ne sanno una più del diavolo, ed anche i greci antichi sembravano crederlo e per sincerarsene dovremmo leggere le pagine dell’Odissea (Libro V) quando Elena cerca di svelare l’inganno di Ulisse imitando le voci delle spose degli achei, che questi non vedono da un decennio e che lei conosce alla perfezione… c’è mancato poco che quegli uomini si tradissero e che lo stratagemma si ritorcesse contro chi l’aveva ideato.
Non si può non rimanere estasiati dal canto delle sirene fino a perdersi e a naufragare, né avere il coraggio di andar via dalla terra dei lotofagi, estasiati dalle loro sostanze stupefacenti che facevano dimenticare la terra, gli affetti, i doveri e gli affanni e non si possono mangiare i buoi bianchi sacri ad Iperione, il dio del sole, e uscirne indenni, né si esce indenni dai gorghi di Scilla e Cariddi o dalla discesa nell’Ade dopo aver interrogato i morti.
Non si possono vincere i proci, che erano 108, ed erano tutti più giovani e vigorosi di lui, e che in quel ventennio che lui era mancato si erano creati una rete di alleanze ad Itaca, mentre Ulisse aveva perso tutti i suoi compagni in guerra e nella sua isola poteva contare solo su pochi e fidati alleati; non si può vincere la diffidenza riguardo alla fedeltà della sua sposa, del proprio figlio e su quanti un tempo considerava amici e fratelli, se non con la trappola, con l’inganno, col costringere l’altro a svelarsi, a offrirsi in condizioni di inferiorità o a mostrarsi disarmato.







Ma la cosa che mi attraeva di più in Ulisse era la sua immensa curiosità, che sfidava tutti i pericoli e sfidava persino gli dei, qualche anno dopo, ormai ragazzo e liceale, ho letto e riletto estasiato i versi che Dante gli dedica nell’Inferno ( XXVI°, vv. 112-120):

« "O frati," dissi, "che per cento milia
perigli siete giunti a l'occidente,
a questa tanto picciola vigilia

d'i nostri sensi ch'è del rimanente
non vogliate negar l'esperïenza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.

Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza". »

Dante comprende che Ulisse non è uno che possa starsene in un’isola con la moglie e col figlio ormai adulto, a rammendare reti da pesca o a coltivare la vite per bere del buon vino greco; Ulisse non si nutre solo di pesce e di vino, ma di salsedine e di tempesta, e vuole solo il mare e l’orizzonte davanti a sé … e quale orizzonte migliore che quello che gli si spiana davanti al di la delle Colonne d’Ercole, al di la del mondo allora conosciuto, al di la del confine fra civiltà e l’incognito?



9 commenti:

  1. Libero,

    perchè consapevole della realtà,

    l'animale terreno consapevole

    osserva le azioni folli

    degli esemplari della specie Homo Sapiens Sapiens

    resi ottusi dai loro tre deliri:

    dio, vita eterna, amore per il prossimo.


    Dalla consapevolezza della realtà naturale

    della vita, della morte e degli altri

    nasce nei poveracci,

    gli esemplari più deboli della specie Homo Sapiens Sapiens,

    l'angoscia.


    Dall' angoscia

    nasce nei poveracci,

    gli esemplari più deboli della specie Homo Sapiens Sapiens,

    la necessità dell'illusione, della mistificazione, del delirio

    che serve a cancellarla.



    Da ogni consapevolezza della realtà naturale

    della vita, della morte e degli altri

    nasce nei poveracci,

    gli esemplari più deboli della specie Homo Sapiens Sapiens,

    un'angoscia.


    Da ogni angoscia

    nasce nei poveracci,

    gli esemplari più deboli della specie Homo Sapiens Sapiens,

    la necessità di un' illusione, di una mistificazione, di un delirio

    che serve a cancellarla.



    Dalla consapevolezza della realtà naturale

    della precarietà dell' esistenza

    nasce la prima angoscia,

    e, per cercare di cancellarla,

    la prima illusione, la prima mistificazione, il primo delirio:

    un essere soprannaturale

    onnuipotente, onnisciente e onnitutto

    che opportunamente sollecitato con rituali e preghiere

    aiuta e provvede.


    Dalla consapevolezza della realtà naturale

    della morte

    nasce la seconda angoscia,

    e, per cercare di cancellarla,

    la seconda illusione, la seconda mistificazione, il secondo delirio:

    l' anima eterna e la vita eterna.


    Dalla consapevolezza della realtà naturale

    della totale estraneità dell' altro

    e della sua potenziale pericolosità

    nasce la terza angoscia

    e, per cercare di cancellarla,

    la terza illusione, la terza mistificazione, il terzo delirio:

    l'amore per il prossimo,

    la convinzione delirante

    che ogni esemplare della specie Homo Sapiens Sapiens

    sia interessato

    ad ogni altro esemplare della specie Homo Sapiens Sapiens

    e sia portato ad occuparsi

    di ogni altro esemplare della specie Homo Sapiens Sapiens.


    Obnubilati e resi ottusi da questi tre deliri,

    che non possono scacciare dal loro cervello,

    che non sanno scacciare dal loro cervello,

    perchè scacciarli

    porterebbe la consapevolezza della realtà naturale

    della vita, della morte e degli altri

    e l'angoscia che ne consegue,

    milioni di disgraziati si aggirano per la Terra

    compiendo azioni folli e deliranti,

    ispirate da una visione folle e delirante

    della vita, della morte e degli altri,

    che non ha nulla a che fare

    con la realtà naturale

    della vita, della morte e degli altri.


    Libero,

    perchè consapevole della realtà,

    l'animale terreno consapevole

    osserva le azioni folli

    degli esemplari della specie Homo Sapiens Sapiens

    resi ottusi dai loro tre deliri:

    dio, vita eterna, amore per il prossimo.



    Libero,

    in quanto consapevole delle realtà

    dei loro deliri,

    l' animale terreno consapevole

    evita di seguirli nei loro deliri

    e sa come fare

    per non essere coinvolto

    nelle conseguenze drammatiche

    dei loro deliri.


    Libero,

    in quanto consapevole delle realtà

    dei loro deliri,

    l'animale terreno consapevole

    cerca di portarli

    alla consapevolezza della realtà,

    ispirato da ottimismo della volontà,

    per sottrarli ai loro deliri,

    ma comunque certo,

    per pessimismo della ragione,

    che essi non riusciranno mai

    a sottrarsi a quei deliri,

    che sono per loro,

    insieme ad alcool, droga et similia,

    uno strumento per cancellare

    la consapevolezza

    della realtà naturale della vita, della morte e egli altri,

    e l'angoscia che ne consegue.

    RispondiElimina
  2. Lo psichiatra.

    Ah si quello

    che crea un modello ideale di uomo,

    quello voluto da ricchi e potenti

    che tengono in mano la società,

    che lo pagano,

    e poi pretende che tutti si adeguino.

    Che te devo di' Bazar ?

    Servono de più i chioschi delle limonate..


    Il mio post è una risposta a questo

    http://bazardelleparole.ilcannocchiale.it/2016/01/18/bevo_jagermeister_perche_consu.html

    in cui il blogger Bazardelleparole,

    citando un' arguta vignetta di Schulz,

    segnala la scomparsa

    dei chioschi che vendevano limonate

    e la loro sostituzione

    con chioschi gestiti da psichiatri.


    Che te devo di' Bazar ?


    Considerando che gli psichiatri

    sono individui pericolosissimi,

    come li preti,

    che creano modelli ideali di uomo,

    di solito quelli voluti dal ricco e dal potente

    che tiene in mano la società in cui vivono,

    'nzomma quello che li paga,

    e poi pretendono che tutti si adeguino,

    per omologarli al gregge

    e portarli a tosare tutti insieme

    per far lana per il padrone,

    erano più utili,

    molto più utili.

    i chioschi che vendevano limonate.

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  3. Sta attento Uli',,,

    Continui a fa lo svelto

    ma Polifemo ha capito tutto.

    Quello prima tre se incula

    e poi quando gli domandano:

    "Chi ti sei inculato ?"

    risponde:

    "Nessuno".

    p.s.

    Non dubito che Ella capirà la metafora..

    RispondiElimina
  4. Un postone come al solito tuo, lussureggiante di immagini e di ricordi e poi il grande Rilke. Nessuno ti sta al passo per la ricchezza di informazioni che ci metti a disposizione... con gartitudine
    http://specchio.ilcannocchiale.it

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  5. Mi hai fatto ricordare le lezioni di storia delle esplorazioni geografiche, le mie preferite e un bellissimo film: "le montagne della luna"...

    Quoto il commento di specchio
    Ciao
    Julia

    RispondiElimina
  6. @ Carla P. e Julia,
    in realtà questi sono frammenti di storia e di memoria, musiche del tempo, odori sedimentati, colori più vivi e sapori più intensi di quelli reali, che avevano voglia di emergere ed andarsene a spasso, per perdersi nel nulla o per trovare qualcuno che sappia farli risuonare con quelli suoi.
    Un grazie di cuore ad entrambe per la vostra squisita gentilezza e per il tempo che mi dedicate.
    Ciao

    RispondiElimina
  7. Sai, mi piace rileggere questo post. Mi ci sono ritrovata. Magari... non erano gli stessi odori, la stessa musica, etc etc ... ma ... siamo stati due bambini molto simili, davvero.
    Poterti leggere, è una delle più belle "cose" che mi è capitata in questo mondo virtuale. Davvero.
    Ciao. Buona domenica.

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  8. Forse il fatto che potremmo essere più o meno coetanei può spiegare il tuo senso di affinità e di identificazione, in alcune epoche determinate si allevano i figli in un certo modo, accadono delle cose che lasciano il segno per tutti, ci sono ambizioni, aspirazioni, sogni comuni a quasi tutti i bambini che crescono in quell’epoca.
    Oppure è con la curiosità, la smania di conoscere, che è l’argomento principale di questo post, che ti sei identificata; si, forse gli odori non erano proprio gli stessi, né i colori del cielo o del mare, né i sapori, né i suoni dell’articolazione delle prime parole che abbiamo ascoltato era lo stesso, forse proveniamo anche da ambienti sociali diversi: contadino o borghese, cittadino o paesano, del nord o del sud, …, ma i nostri sogni dovevano essere molto simili, se non proprio identici.
    Sai, credo che potrei dire anch’io che l’averti incontrata sia “ una delle più belle "cose" che mi è capitata in questo mondo virtuale” … davvero :-).
    Un buon inizio di settimana.
    P.S. Mi ha colpito il tuo “davvero” ripetuto due volte, in un contesto in cui appare la perifrasi “mondo virtuale”; sembra quasi che quel davvero voglia uscire dal virtuale e dare realtà al tuo pensiero.

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  9. Questo "momento"... lo prendo e lo porto con me. E' un angolo di gioia.
    p.s. Si. Il mio "davvero" si dimentica il muro del virtuale. Si intrufola tra le parole per tentare di trasmettere il "suono" reale della mia voce.
    Buona Notte, Garbo.

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