"Voglio un carico di vino di rubino,
e un libro di versi.
M’occorre appena lo stretto necessario,
e un pezzo di pane.
Poi io e te seduti in un luogo deserto
Questa è una vita superiore al potere d’ogni sultano".
(Gialal al-Din Rumi).
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"Cedo alla tentazione di toccare i petali
e le mie dita scoprono
il contatto della seta,
il contatto delle tue labbra
quando baci le mie spalle".
(Amalia Bautista, Falso pepe).
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Se mi chiedessero di nominare ciò
che mi piace mangiare di più in assoluto, quello che salverei se dovessi
scegliere un alimento fra tutti, l’unico da salvare rinunciando a tutti gli
altri, certo mi troverei in grave difficoltà perché: "Ogni scelta ha un rovescio
cioè una rinuncia, e così non c’è differenza tra l’atto di scegliere e l’atto
di rinunciare". ( Italo Calvino - Il castello dei destini incrociati).
Con l’aggravante che con questa
scelta unica dovrei rinunciare a tutto il resto, se non ci fossi costretto,
sarebbe una scelta masochistica, per quanto stupido possa essere l’uomo, non ci
sono esempi di un comportamento così svantaggioso, in cui per avere una cosa si
perde tutto il resto … o forse si, il matrimonio.
Vediamo, cosa mi viene in mente
per primo? Un bel piatto di spaghetti col pomodoro e basilico, o le trenette al
pesto, o le tagliatelle col ragù, o i bigoli in salsa, un’amatriciana o una
buona norma o pasta con le sarde? E perché no, invece, una parmigiana di
melanzane o la migliore caponata? E perché dovrei rinunciare a quel gusto
irrinunciabile e inesprimibile di una buona fiorentina, croccante e ben cotta
all’esterno, quasi bruciata, e tenera come il burro e rossa all’interno? O al
profumo e al sapore del pesce appena grigliato condito semplicemente con olio
d’oliva, aglio, sale e menta tritata? Al tonno grigliato servito con delle
strisce di peperoni arrostiti alla griglia pelati e conditi con olio, sale e
limone?
O a tutti quegli antipastini
ideati in molte parti del mondo costituiti da verdure, affettati, formaggi,
pesce, frutta, variamente amalgamati, crudi o cotti, freddi o caldi, che sono
il trionfo di una buona produzione alimentare, dei sapori e della fantasia?
E il pane, come si fa a
rinunciare al pane che da solo fa un pasto, che è il simbolo stesso della
tavola imbandita, che basta davvero pochissimo per apprezzarlo: ad esempio
condirlo, fumante appena uscito dal forno, con olio d’oliva, sale e origano; e
il vino, che magari non fa “sangue”, come si credeva una volta, ma di sicuro
mette allegria, scioglie le lingue che faticano a parlare e trova la strada per
esprimersi alle idee più recondite e ai sentimenti più intimi e rende ardita
anche la mano più timida.
Dei dolci non ho niente da dire,
non mi piacciono molto e se dovessi rinunciarci del tutto non mi mancherebbero
molto, così come non mi mancherebbero le frattaglie di animale, i tagli
particolari, le anguille, le murene, le lumache di ogni genere, per cui alcuni
vanno matti ma che per me proprio non esistono come alimenti.
Tolte, dunque, le cose che non mi
piacciono, devo ammettere che anche fra quelle che mi piacciono e molto,
giungerei ben presto alla saturazione e persino alla nausea se dovessi nutrirmi
sempre e solo di quelle; una cosa però c’è che mi piace sempre allo stesso
modo, oggi come ieri e come domani. la pizza.
Purtroppo vivo in una zona
barbara del mondo, in una regione in cui il capoluogo, Venezia, è governato da
un tizio che ha impegnato l’intera la
giunta comunale, con tutti i problemi serissimi che questa città ha, non ultimo
la sua stessa esistenza, perché potrebbe sprofondare nelle acque come
Atlantide, mentre i suoi amministratori organizzano il Mose solo per spartirsi
le tangenti invece di risolvere davvero il problema, e ancora discutono se fare
passare o non fare passare le navi da crociera sul Canal Grande, che portano
tanti schei, ma producono più danni alla Laguna delle dieci piaghe d’Egitto, a
passare a setaccio i libri per bambini alla ricerca di eventuali tracce di
“apologia gender” per poterli mettere al bando in una riedizione assurda
dell’Index Librorum Proibitorum creato dal sant’Uffizio sotto Paolo IV.
Con la differenza che allora,
siamo nel periodo cosiddetto della “controriforma”, o della “riforma
cattolica”, tempi in cui Giordano Bruno veniva arso vivo a Campo de’ Fiori in
Roma, Tommaso Campanella viene torturato, dovette subire ben cinque processi e
fu imprigionato per 27 anni della sua vita, Galileo Galilei viene incarcerato,
costretto a dare chiarimenti sul suo pensiero scientifico, minacciato di
tortura e costretto ad abiurare, alle figure michelangiolesche della Cappella
Sistina papa Pio IV impone che vengano ricopertele nudità con dei mutandoni
deturpando così un capolavoro artistico assoluto, Venezia era un’isola felice e
relativamente libera e autonoma dal fanatismo cattolico e dal puritanesimo
protestante, uno dei pochi fai illuminati nell’Occidente che sprofondava in
tenebre di follia.
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E adesso la città più bella del
mondo passa in poco tempo da un sindaco come Orsoni, impelagato nella violazione
della normativa in materia di finanziamento ai partiti, in pratica avrebbe
ricevuto dei soldi che sono serviti a pagare le campagne elettorali del suo
gruppo, in cambio dell'interessamento politico ai maxi-appalti del MOSE, ciò
vuol dire autorizzazioni facili e nessun controllo: Venezia nelle mani di un
gruppo per cui il loro potere personale valeva di più del bene della città
intera, erano disposti putre a passar sopra alla massiccia cementificazione
della laguna e all’inutilità complessiva dell’opera (perché il livello delle
maree è oggi ben al di sopra l’alzata massima delle paratie del MOSE, l’acqua
passerà comunque, al sindaco attuale Luigi Brugnaro.
Un imprenditore, dicono, e cosa
“imprendeva”? Cosa produce/produceva Brugnaro? Nel 1997 Luigi Brugnano fonda
un’agenzia, la Umana (che diventerà in seguito una Holding), che in meno di
dieci anni giunge ad un fatturato di circa 300 milioni di euro, in questa
agenzia egli raggruppa 20 aziende operative nei servizi, nella manifattura,
nell’edilizia e nell’agricoltura.
Cosa vuol dire? Che Brugnaro si
occupa di fornitura a tempo di manodopera in tutti quei settori indicati
(servizi, manifattura, edilizia e agricoltura), in “somministrazione”, cioè in
dosi interinali (cioè quando gli servi ti chiamano, quando non gli servi non ti
chiamano, se rompi le palle o accampi diritti sei tagliato fuori … faceva parte
del “pacchetto Treu” … proprio un bel pacchetto, che ha consentito a gente come
Brugnano, con metodi di caporalato legale, di guadagnare 300 milioni di euro).
Tralascio qui i suoi trascorsi in
Confindustria e a sua ascesa politica, ma non posso tralasciare il fatto che
Brugnaro possiede, avendo fatto un’offerta di 513.000 euro nel maggio 2014, che
è stata accolta, un’isola della laguna di Venezia: Poveglia; l’idea di base era
di farne dei resort meta esclusiva di persone piene di schei (perché quelli
contano, nella testa di Brugnaro, dei suoi elettori e, ormai di quasi tutti i
veneti dal Presidente di Regione fino al più scalcagnato mozzo di sentina o
contadin della bassa polesana, ci sono solo schei, venderebbero Venezia, la
laguna intera come brodo Star, le Dolomiti, la cappella degli Scrovegni e la
Basilica del Santo in cambio di schei sonanti e tintinnanti).
Ma, dal momento che Brugnaro è
sindaco e proprietario (pro tempore) di un’isola nella città che amministra,
gli sembrava brutto speculare così apertamente, per cui ha di recente
dichiarato di non voler realizzare un hotel per turismo, ma un centro
internazionale di ricerca e cura dei disturbi alimentari con approccio
multidisciplinare, che avrebbe creato 200 nuovi posti di lavoro… vedremo
danarosi turisti travestiti da ricercatori dei disturbi alimentari, gente che
gira per i resort col camice bianco da ricercatore griffato, intenti ad
assaggiare i piatti più prelibati della cucina italiana allo scopo di prevenire
i disturbi alimentari propri e quelli di Brugnaro.
Sul sindaco di Padova, Massimo
Bitonci, stendo un velo pietoso, amo troppo questa città per infierire, dico
solo che l’ultima volta che l’ho vista in municipio pendeva un cartello:
“Riportiamo a casa i marò!”, e già mi vedo Bitonci come John Miller di “Salvate
il soldato Ryan”, armato fino ai denti, seguito dai suoi consiglieri comunali,
mettere a ferro e fuoco l’India intera e riportare a casa la pellaccia dei due
marò.
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Oppure, si è distinto per aver
dato del “Terùn” ad Antonio Foresta, consigliere comunale nato in provincia di
Cosenza, scatenando la satira di alcuni padovani originai del sud e di padovani
autoctoni che all’Arcella hanno organizzato un party di solidarietà tutti
rigorosamente con la scritta: “Je suis terùn”…sembra che Bitonci a tutt’oggi
non abbia ancora chiesto scusa … di esistere.
E che posso dirvi di Treviso,
città in cui vivo, passata dal sindaco sceriffo Gentilini, che era più una
macchietta da avanspettacolo, a Manildo, il primo sindaco di centro-sinistra in
questa città, praticamente un connubio innaturale in una città in cui gli
abitanti sono affetti da destrocardia e spesso il cuore coincide con la tasca
destra dei pantaloni … dove si trova il portafogli.
Qualche mese fa ci fu la bagarre fra
la giunta e Goldin, per cui la collaborazione fra il curatore di mostre d’arte
e il Comune andò in frantumi e la mostra prevista a Ca’ dei carraresi non si
fece più; poi, all’insegna del: “Non c’è solo Goldin”, si ventilarono altri
nomi, fra cui quelli di Daverio e di Sgarbi (e già quest’ultimo nome da solo vi
dice qual è la serietà di questa giunta), infine si è deciso di fare una mostra
esponendo alcune opere di El Greco a Ca’ dei Carraresi e di affidarne la
realizzazione e la cura a quelli che il consigliere regionale Diego Bottaccin
definisce: “personaggi di dubbia reputazione per le vicende giudiziarie in cui
sono stati coinvolti".
Il riferimento, nemmeno troppo
velato, è ad Andrea Brunello, imprenditore della cultura trevigiano, che a
Brescia aveva organizzato una mostra finita sotto inchiesta della Procura per
truffa, in base a un presunto numero di "ingressi gonfiati".
In questi tempi di crisi
economica in cui per prima la Grecia fa fatica a stare a galla e a onorare i
suoi debiti, evocare “El Greco” dopo i fasti degli impressionisti da tutta la
misura della crisi anche artistica, un El Greco poi non internazionale, ma,
come recita il titolo della mostra, un El Greco in Italia, con l’esposizione di
25 delle 35 opere che questo pittore realizzò durante il soggiorno nella nostra
penisola.
Non che Goldin mi piaccia in
maniera particolare, ha l’abitudine di mettere insieme cose incredibili con un
filo logico e artistico che spesso vede solo lui, da alle sue mostre titoli
werthmulleriani, che devi stare mezzora solo a leggere quello, però ha
successo, ha portato parecchia gente a Treviso (e altrove) quando esponeva gli
impressionisti, in questo caso specifico, cioè in merito alla sua
collaborazione con la giunta di Manildo, aveva pensato di esporre nel complesso
di Santa Caterina, più spazioso e luminoso, mentre a Ca’ dei Carraresi le opere
degli impressionisti, soprattutto le più grandi, sono state sacrificate agli
spazi limitati e alla scarsa luminosità delle sale, a quest’ultima si era
cercato di rimediare malamente con fari direzionabili che creavano un
fastidioso riflesso sulla superficie delle opere.
Inoltre, aveva in mente il
progetto di celebrare finalmente alcune figure che appartengono alla storia
artistica e culturale del capoluogo della Marca, basti citare per tutti Arturo
Martini, Gino Rossi, Alberto Gianquinto e Carlo de Roberto, tutti artisti
sottostimati dai critici e poco considerati persino nella loro stessa città di
origine.
Se queste sono le beghe, questo
il livello culturale imperante, questi i valori dominanti, non deve stupire che
in tutto il Veneto (e nel nord-est in generale) sia molto difficile trovare una
buona pizza; la pizza è compatibile con la mafia, con qualsiasi criminalità
organizzata, con tutti i difetti politici e culturali che può avere il sud, ma
non è compatibile con l’aridità del nord.
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Mancano proprio le basi, le
fondamenta, l’ABC per fare una buona pizza, l’impasto ad esempio, che
assomiglia di più al pane carasau, che si sbriciola ai bordi quando tenti di
tagliarli, manca una salsa di pomodoro decente, manca la mozzarella, è proprio
inutile provare a tirala su con la forchetta, non fila, non è fiordilatte, è
formaggio fuso e, infine, manca il forno a legna nella stragrande maggioranza
dei casi … come si fa a fare una pizza senza forno a legna … sono sconfortato.
Questo non vuol dire che setacciando
tutto il Veneto in lungo e in largo non si trovi una piazza decente, vuol dire
che ciò è estremamente difficile, nemmeno in alcune pizzerie dal titolo
evocativo “Bella Napoli”, “O Vesuvio”, “Mergellina”, “Santa Lucia”; ma non
impossibile, inspiegabilmente, dopo anni di croste spacciate per pizza, quando
ormai ci avevo perso le speranze, avevo trovato proprio nel posto che meno mi
aspettavo di trovarla, un’ottima pizza.
Era una pizzeria di Falcade,
dolomiti bellunesi, comprensorio dell’agordino, quasi non ci credevo, un buon
impasto, un pomodoro denso e gustoso, una mozzarella autentica, che si univa ai
buoni sapori della montagna, i funghi, lo speck, la salsiccia, il radicchio
selvatico … poi ho scoperto che il pizzaiolo era napoletano finito chissà come in
quella landa di terra ad oltre 1100 m. sul livello del mare a far pizze per
turisti e montanari.
Quando il pizzaiolo andò via, per
motivi che non ho mai saputo, né ho mai saputo se si fosse trasferito a
lavorare presso un’altra pizzeria o ne avesse aperta una tutta sua, passarono
soltanto pochi mesi e la pizza ritornò sconsolatamente ad essere una semplice e
banale pizza veneta, cotta in forno a legna, e mi faceva la stessa tristezza e
l’impressione di quelle città e quei monumenti bellissimi ricoperti di vegetazione
dell’India del nord, ormai dominati da clan di scimmie che ti impediscono di
avvicinarti … mestamente e velocemente passai dalla pizza al tagliere di
polenta funghi e speck di montagna.
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Da qualche anno, poi, ho
scoperto, molto vicino a casa mia, una pizzeria in cui la pizza è decente e ciò
mi ha riconciliato almeno un po’ con l’universo
pizza del Veneto; ora, è pur vero che i titolari sono di origini napoletane
(dove per napoletane in genere si intende talvolta tutta la Campania … ho
conosciuto alcune persone che mi hanno detto di essere di Napoli, ho scoperto
solo dopo che erano della provincia di Avellino, ma potrebbero essere anche
delle regioni limitrofe … Renzo Arbore, che pure è di Foggia, asseriva di
essere napoletano … sembra quasi che esista a Napoli un’unica differenziazione:
o sei del “Vomero” o sei di Napoli (un comprensorio indefinito che comprende
tutta la Campania, il basso Lazio, la Ciociaria, il basso Molise, la Puglia del
Nord, la Basilicata tutta impacchettata e col fiocco regalo, la Calabria del
nord almeno fino a Cosenza, perché la Calabria del sud è già Sicilia, una Sicilia
col peperoncino, e pure qualche cantone svizzero).
Ed è anche pur vero che vantano
un’attività a Treviso fin dal 1957, ed è pur vero che la pizza che esce dal
loro forno a legna, così com’è è già di buona qualità, tuttavia, quando siamo
entrati in un minimo di confidenza col proprietario, “napoletano” di seconda
generazione, nato e cresciuto in Veneto, mi sono sentito di dargli qualche
suggerimento che ha migliorato un prodotto che già di base era buono di suo:
qualche alleggerimento qui e la in alcune pizze, qualche aggiunta in altre per
dare un po’ più di sapore, qualche mestolo in più di salsa di pomodoro in pizze
che sostanzialmente mi sembravano anemiche, il bordo un po’ più sottile, in
modo che si cucinasse meglio e diventasse più croccante all’esterno pur
mantenendo la morbidezza interna.
Mi sono sempre chiesto perché il
Venero e il nord-est in generale, siano così penalizzati per ciò che riguarda
la pizza, a Milano ad esempio non è difficile trovare una buona pizza, non lo è
neppure a Torino, nonostante io fossi partito con molti pregiudizi, a Genova,
invece, è un disastro, ti presentano in genere delle croste enormi, quasi delle
ruote di carro, e le definiscono pizza, per fortuna ho li dei parenti che
lavorano da anni nel campo della ristorazione che, pur non facendo
personalmente pizze, sapevano indicarmi dove potevo trovarne di molto buone.
A Roma è un terno al lotto, nella
stragrande maggioranza dei casi c’è il pollice verso, se i pizzaioli romani dovessero
essere soggetti al giudizio dei clienti come i gladiatori nell’arena, molti di
loro sarebbero in pasto ai leoni, se fossero vissuti ai tempi di Diocleziano,
invece della persecuzione e del martirio dei cristiani si sarebbe parlato della
persecuzione e del martirio dei pizzaioli romani; poi, conosci un amico (chi
non ha almeno un amico a Roma), che lavora al ministero, che da anni abita a
Roma e che ti porta finalmente in una buona pizzerie dove c’è l’unico pizzaiolo
scampato alle fauci dei leoni che ti fa una pizza come si deve.
E’ stato triste constatare che a
Roma era più buona la pizza da Spizzico che quella delle pizzerie artigianali, a
Lecce dopo qualche tentativo ci ho rinunciato, a salvarmi è stata la “puccia”,
un panetto di pasta da pizza scaldato in forno, aperto come un kebab e riempito
di qualsiasi cosa; e non va meglio altrove, forse sono io che sono difficile,
incontentabile, ma trovo che la qualità della pizza in tutto il territorio
nazionale sia appena mediocre o di scarsa qualità, e che poche isole, nel senso
di pochi locali e ancor meno zone territoriali, fanno eccezione a tutta questa
mediocrità.
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Mentre la differenza al nord fra
l’est e l’ovest e fra le grandi città e le piccole me la sono spiegata con le
ondate migratorie dal sud in tempi diversi, con città come Milano e Torino
invase da operai e contadini meridionali, alcuni dei quali, particolarmente
dotati, rilevavano qualche locale nei quartieri dove alloggiavano tutti quelli
che provenivano dal meridione, e facevano la cucina delle loro zone d’origine,
perché tutti quanti sentissero un po’ meno la nostalgia di casa, e che poi si
facevano arrivare i prodotti tipici dalla loro terra e che si perfezionavano fino
all’eccellenza, in alcuni casi.
Al nord est e nelle piccole città
sono arrivati successivamente quei meridionali che come me o hanno studiato in
qualche città del nord e ci sono rimasti oppure hanno fatto qualche concorso e,
aiutati certamente dai voti di laurea elevatissimi e regalati al sud, hanno
prevalso sui loro competitor del nord e si sono aggiudicati chi una cattedra,
chi un posto al ministero, chi un posto nella pubblica amministrazione.
Si tratta di tutta gente come me
che non sa fare niente, nessun lavoro manuale, non sa sistemare il tubo del
lavabo, un guasto nell’automobile, montare una appliques o un lampadario, fare
una derivazione elettrica senza rischiare che qualcuno rimanga fulminato, sa
solo leggere i decreti e le circolari del ministero e protocollare un documento,
ma soprattutto oltre a non saper cucinare, non fa fare una pizza.
Questo forse spiega, almeno in
parte, la situazione al nord, non certo il perché anche al sud o al centro non
sia così facile trovare una buona pizza, spero che qualche storico del gusto ci
illumini su questa questione, perché in fondo io faccio lo psicoanalista, e
dovrei occuparmi di dinamiche mentali e relazionali, non dell’elasticità o
della croccantezza dell’impasto di una pizza.
E' uno dei tanti nodi che ho imparato a fare durante la frequenza del primo anno dell'Istituto Nautico Andrea Doria a Genova; lezioni di Marinaresche con anche uscita in lancia a remi nel porto. Avventura che poi ha lasciato il posto ad altro indirizzo scolastico e percorso di vita.
RispondiEliminaCiao da luigi