giovedì 27 agosto 2015
lunedì 24 agosto 2015
GASSA D'AMANTE 1
"Voglio un carico di vino di rubino,
e un libro di versi.
M’occorre appena lo stretto necessario,
e un pezzo di pane.
Poi io e te seduti in un luogo deserto
Questa è una vita superiore al potere d’ogni sultano".
(Gialal al-Din Rumi).
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"Cedo alla tentazione di toccare i petali
e le mie dita scoprono
il contatto della seta,
il contatto delle tue labbra
quando baci le mie spalle".
(Amalia Bautista, Falso pepe).
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Se mi chiedessero di nominare ciò
che mi piace mangiare di più in assoluto, quello che salverei se dovessi
scegliere un alimento fra tutti, l’unico da salvare rinunciando a tutti gli
altri, certo mi troverei in grave difficoltà perché: "Ogni scelta ha un rovescio
cioè una rinuncia, e così non c’è differenza tra l’atto di scegliere e l’atto
di rinunciare". ( Italo Calvino - Il castello dei destini incrociati).
Con l’aggravante che con questa
scelta unica dovrei rinunciare a tutto il resto, se non ci fossi costretto,
sarebbe una scelta masochistica, per quanto stupido possa essere l’uomo, non ci
sono esempi di un comportamento così svantaggioso, in cui per avere una cosa si
perde tutto il resto … o forse si, il matrimonio.
Vediamo, cosa mi viene in mente
per primo? Un bel piatto di spaghetti col pomodoro e basilico, o le trenette al
pesto, o le tagliatelle col ragù, o i bigoli in salsa, un’amatriciana o una
buona norma o pasta con le sarde? E perché no, invece, una parmigiana di
melanzane o la migliore caponata? E perché dovrei rinunciare a quel gusto
irrinunciabile e inesprimibile di una buona fiorentina, croccante e ben cotta
all’esterno, quasi bruciata, e tenera come il burro e rossa all’interno? O al
profumo e al sapore del pesce appena grigliato condito semplicemente con olio
d’oliva, aglio, sale e menta tritata? Al tonno grigliato servito con delle
strisce di peperoni arrostiti alla griglia pelati e conditi con olio, sale e
limone?
O a tutti quegli antipastini
ideati in molte parti del mondo costituiti da verdure, affettati, formaggi,
pesce, frutta, variamente amalgamati, crudi o cotti, freddi o caldi, che sono
il trionfo di una buona produzione alimentare, dei sapori e della fantasia?
E il pane, come si fa a
rinunciare al pane che da solo fa un pasto, che è il simbolo stesso della
tavola imbandita, che basta davvero pochissimo per apprezzarlo: ad esempio
condirlo, fumante appena uscito dal forno, con olio d’oliva, sale e origano; e
il vino, che magari non fa “sangue”, come si credeva una volta, ma di sicuro
mette allegria, scioglie le lingue che faticano a parlare e trova la strada per
esprimersi alle idee più recondite e ai sentimenti più intimi e rende ardita
anche la mano più timida.
Dei dolci non ho niente da dire,
non mi piacciono molto e se dovessi rinunciarci del tutto non mi mancherebbero
molto, così come non mi mancherebbero le frattaglie di animale, i tagli
particolari, le anguille, le murene, le lumache di ogni genere, per cui alcuni
vanno matti ma che per me proprio non esistono come alimenti.
Tolte, dunque, le cose che non mi
piacciono, devo ammettere che anche fra quelle che mi piacciono e molto,
giungerei ben presto alla saturazione e persino alla nausea se dovessi nutrirmi
sempre e solo di quelle; una cosa però c’è che mi piace sempre allo stesso
modo, oggi come ieri e come domani. la pizza.
Purtroppo vivo in una zona
barbara del mondo, in una regione in cui il capoluogo, Venezia, è governato da
un tizio che ha impegnato l’intera la
giunta comunale, con tutti i problemi serissimi che questa città ha, non ultimo
la sua stessa esistenza, perché potrebbe sprofondare nelle acque come
Atlantide, mentre i suoi amministratori organizzano il Mose solo per spartirsi
le tangenti invece di risolvere davvero il problema, e ancora discutono se fare
passare o non fare passare le navi da crociera sul Canal Grande, che portano
tanti schei, ma producono più danni alla Laguna delle dieci piaghe d’Egitto, a
passare a setaccio i libri per bambini alla ricerca di eventuali tracce di
“apologia gender” per poterli mettere al bando in una riedizione assurda
dell’Index Librorum Proibitorum creato dal sant’Uffizio sotto Paolo IV.
Con la differenza che allora,
siamo nel periodo cosiddetto della “controriforma”, o della “riforma
cattolica”, tempi in cui Giordano Bruno veniva arso vivo a Campo de’ Fiori in
Roma, Tommaso Campanella viene torturato, dovette subire ben cinque processi e
fu imprigionato per 27 anni della sua vita, Galileo Galilei viene incarcerato,
costretto a dare chiarimenti sul suo pensiero scientifico, minacciato di
tortura e costretto ad abiurare, alle figure michelangiolesche della Cappella
Sistina papa Pio IV impone che vengano ricopertele nudità con dei mutandoni
deturpando così un capolavoro artistico assoluto, Venezia era un’isola felice e
relativamente libera e autonoma dal fanatismo cattolico e dal puritanesimo
protestante, uno dei pochi fai illuminati nell’Occidente che sprofondava in
tenebre di follia.
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E adesso la città più bella del
mondo passa in poco tempo da un sindaco come Orsoni, impelagato nella violazione
della normativa in materia di finanziamento ai partiti, in pratica avrebbe
ricevuto dei soldi che sono serviti a pagare le campagne elettorali del suo
gruppo, in cambio dell'interessamento politico ai maxi-appalti del MOSE, ciò
vuol dire autorizzazioni facili e nessun controllo: Venezia nelle mani di un
gruppo per cui il loro potere personale valeva di più del bene della città
intera, erano disposti putre a passar sopra alla massiccia cementificazione
della laguna e all’inutilità complessiva dell’opera (perché il livello delle
maree è oggi ben al di sopra l’alzata massima delle paratie del MOSE, l’acqua
passerà comunque, al sindaco attuale Luigi Brugnaro.
Un imprenditore, dicono, e cosa
“imprendeva”? Cosa produce/produceva Brugnaro? Nel 1997 Luigi Brugnano fonda
un’agenzia, la Umana (che diventerà in seguito una Holding), che in meno di
dieci anni giunge ad un fatturato di circa 300 milioni di euro, in questa
agenzia egli raggruppa 20 aziende operative nei servizi, nella manifattura,
nell’edilizia e nell’agricoltura.
Cosa vuol dire? Che Brugnaro si
occupa di fornitura a tempo di manodopera in tutti quei settori indicati
(servizi, manifattura, edilizia e agricoltura), in “somministrazione”, cioè in
dosi interinali (cioè quando gli servi ti chiamano, quando non gli servi non ti
chiamano, se rompi le palle o accampi diritti sei tagliato fuori … faceva parte
del “pacchetto Treu” … proprio un bel pacchetto, che ha consentito a gente come
Brugnano, con metodi di caporalato legale, di guadagnare 300 milioni di euro).
Tralascio qui i suoi trascorsi in
Confindustria e a sua ascesa politica, ma non posso tralasciare il fatto che
Brugnaro possiede, avendo fatto un’offerta di 513.000 euro nel maggio 2014, che
è stata accolta, un’isola della laguna di Venezia: Poveglia; l’idea di base era
di farne dei resort meta esclusiva di persone piene di schei (perché quelli
contano, nella testa di Brugnaro, dei suoi elettori e, ormai di quasi tutti i
veneti dal Presidente di Regione fino al più scalcagnato mozzo di sentina o
contadin della bassa polesana, ci sono solo schei, venderebbero Venezia, la
laguna intera come brodo Star, le Dolomiti, la cappella degli Scrovegni e la
Basilica del Santo in cambio di schei sonanti e tintinnanti).
Ma, dal momento che Brugnaro è
sindaco e proprietario (pro tempore) di un’isola nella città che amministra,
gli sembrava brutto speculare così apertamente, per cui ha di recente
dichiarato di non voler realizzare un hotel per turismo, ma un centro
internazionale di ricerca e cura dei disturbi alimentari con approccio
multidisciplinare, che avrebbe creato 200 nuovi posti di lavoro… vedremo
danarosi turisti travestiti da ricercatori dei disturbi alimentari, gente che
gira per i resort col camice bianco da ricercatore griffato, intenti ad
assaggiare i piatti più prelibati della cucina italiana allo scopo di prevenire
i disturbi alimentari propri e quelli di Brugnaro.
Sul sindaco di Padova, Massimo
Bitonci, stendo un velo pietoso, amo troppo questa città per infierire, dico
solo che l’ultima volta che l’ho vista in municipio pendeva un cartello:
“Riportiamo a casa i marò!”, e già mi vedo Bitonci come John Miller di “Salvate
il soldato Ryan”, armato fino ai denti, seguito dai suoi consiglieri comunali,
mettere a ferro e fuoco l’India intera e riportare a casa la pellaccia dei due
marò.
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Oppure, si è distinto per aver
dato del “Terùn” ad Antonio Foresta, consigliere comunale nato in provincia di
Cosenza, scatenando la satira di alcuni padovani originai del sud e di padovani
autoctoni che all’Arcella hanno organizzato un party di solidarietà tutti
rigorosamente con la scritta: “Je suis terùn”…sembra che Bitonci a tutt’oggi
non abbia ancora chiesto scusa … di esistere.
E che posso dirvi di Treviso,
città in cui vivo, passata dal sindaco sceriffo Gentilini, che era più una
macchietta da avanspettacolo, a Manildo, il primo sindaco di centro-sinistra in
questa città, praticamente un connubio innaturale in una città in cui gli
abitanti sono affetti da destrocardia e spesso il cuore coincide con la tasca
destra dei pantaloni … dove si trova il portafogli.
Qualche mese fa ci fu la bagarre fra
la giunta e Goldin, per cui la collaborazione fra il curatore di mostre d’arte
e il Comune andò in frantumi e la mostra prevista a Ca’ dei carraresi non si
fece più; poi, all’insegna del: “Non c’è solo Goldin”, si ventilarono altri
nomi, fra cui quelli di Daverio e di Sgarbi (e già quest’ultimo nome da solo vi
dice qual è la serietà di questa giunta), infine si è deciso di fare una mostra
esponendo alcune opere di El Greco a Ca’ dei Carraresi e di affidarne la
realizzazione e la cura a quelli che il consigliere regionale Diego Bottaccin
definisce: “personaggi di dubbia reputazione per le vicende giudiziarie in cui
sono stati coinvolti".
Il riferimento, nemmeno troppo
velato, è ad Andrea Brunello, imprenditore della cultura trevigiano, che a
Brescia aveva organizzato una mostra finita sotto inchiesta della Procura per
truffa, in base a un presunto numero di "ingressi gonfiati".
In questi tempi di crisi
economica in cui per prima la Grecia fa fatica a stare a galla e a onorare i
suoi debiti, evocare “El Greco” dopo i fasti degli impressionisti da tutta la
misura della crisi anche artistica, un El Greco poi non internazionale, ma,
come recita il titolo della mostra, un El Greco in Italia, con l’esposizione di
25 delle 35 opere che questo pittore realizzò durante il soggiorno nella nostra
penisola.
Non che Goldin mi piaccia in
maniera particolare, ha l’abitudine di mettere insieme cose incredibili con un
filo logico e artistico che spesso vede solo lui, da alle sue mostre titoli
werthmulleriani, che devi stare mezzora solo a leggere quello, però ha
successo, ha portato parecchia gente a Treviso (e altrove) quando esponeva gli
impressionisti, in questo caso specifico, cioè in merito alla sua
collaborazione con la giunta di Manildo, aveva pensato di esporre nel complesso
di Santa Caterina, più spazioso e luminoso, mentre a Ca’ dei Carraresi le opere
degli impressionisti, soprattutto le più grandi, sono state sacrificate agli
spazi limitati e alla scarsa luminosità delle sale, a quest’ultima si era
cercato di rimediare malamente con fari direzionabili che creavano un
fastidioso riflesso sulla superficie delle opere.
Inoltre, aveva in mente il
progetto di celebrare finalmente alcune figure che appartengono alla storia
artistica e culturale del capoluogo della Marca, basti citare per tutti Arturo
Martini, Gino Rossi, Alberto Gianquinto e Carlo de Roberto, tutti artisti
sottostimati dai critici e poco considerati persino nella loro stessa città di
origine.
Se queste sono le beghe, questo
il livello culturale imperante, questi i valori dominanti, non deve stupire che
in tutto il Veneto (e nel nord-est in generale) sia molto difficile trovare una
buona pizza; la pizza è compatibile con la mafia, con qualsiasi criminalità
organizzata, con tutti i difetti politici e culturali che può avere il sud, ma
non è compatibile con l’aridità del nord.
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Mancano proprio le basi, le
fondamenta, l’ABC per fare una buona pizza, l’impasto ad esempio, che
assomiglia di più al pane carasau, che si sbriciola ai bordi quando tenti di
tagliarli, manca una salsa di pomodoro decente, manca la mozzarella, è proprio
inutile provare a tirala su con la forchetta, non fila, non è fiordilatte, è
formaggio fuso e, infine, manca il forno a legna nella stragrande maggioranza
dei casi … come si fa a fare una pizza senza forno a legna … sono sconfortato.
Questo non vuol dire che setacciando
tutto il Veneto in lungo e in largo non si trovi una piazza decente, vuol dire
che ciò è estremamente difficile, nemmeno in alcune pizzerie dal titolo
evocativo “Bella Napoli”, “O Vesuvio”, “Mergellina”, “Santa Lucia”; ma non
impossibile, inspiegabilmente, dopo anni di croste spacciate per pizza, quando
ormai ci avevo perso le speranze, avevo trovato proprio nel posto che meno mi
aspettavo di trovarla, un’ottima pizza.
Era una pizzeria di Falcade,
dolomiti bellunesi, comprensorio dell’agordino, quasi non ci credevo, un buon
impasto, un pomodoro denso e gustoso, una mozzarella autentica, che si univa ai
buoni sapori della montagna, i funghi, lo speck, la salsiccia, il radicchio
selvatico … poi ho scoperto che il pizzaiolo era napoletano finito chissà come in
quella landa di terra ad oltre 1100 m. sul livello del mare a far pizze per
turisti e montanari.
Quando il pizzaiolo andò via, per
motivi che non ho mai saputo, né ho mai saputo se si fosse trasferito a
lavorare presso un’altra pizzeria o ne avesse aperta una tutta sua, passarono
soltanto pochi mesi e la pizza ritornò sconsolatamente ad essere una semplice e
banale pizza veneta, cotta in forno a legna, e mi faceva la stessa tristezza e
l’impressione di quelle città e quei monumenti bellissimi ricoperti di vegetazione
dell’India del nord, ormai dominati da clan di scimmie che ti impediscono di
avvicinarti … mestamente e velocemente passai dalla pizza al tagliere di
polenta funghi e speck di montagna.
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Da qualche anno, poi, ho
scoperto, molto vicino a casa mia, una pizzeria in cui la pizza è decente e ciò
mi ha riconciliato almeno un po’ con l’universo
pizza del Veneto; ora, è pur vero che i titolari sono di origini napoletane
(dove per napoletane in genere si intende talvolta tutta la Campania … ho
conosciuto alcune persone che mi hanno detto di essere di Napoli, ho scoperto
solo dopo che erano della provincia di Avellino, ma potrebbero essere anche
delle regioni limitrofe … Renzo Arbore, che pure è di Foggia, asseriva di
essere napoletano … sembra quasi che esista a Napoli un’unica differenziazione:
o sei del “Vomero” o sei di Napoli (un comprensorio indefinito che comprende
tutta la Campania, il basso Lazio, la Ciociaria, il basso Molise, la Puglia del
Nord, la Basilicata tutta impacchettata e col fiocco regalo, la Calabria del
nord almeno fino a Cosenza, perché la Calabria del sud è già Sicilia, una Sicilia
col peperoncino, e pure qualche cantone svizzero).
Ed è anche pur vero che vantano
un’attività a Treviso fin dal 1957, ed è pur vero che la pizza che esce dal
loro forno a legna, così com’è è già di buona qualità, tuttavia, quando siamo
entrati in un minimo di confidenza col proprietario, “napoletano” di seconda
generazione, nato e cresciuto in Veneto, mi sono sentito di dargli qualche
suggerimento che ha migliorato un prodotto che già di base era buono di suo:
qualche alleggerimento qui e la in alcune pizze, qualche aggiunta in altre per
dare un po’ più di sapore, qualche mestolo in più di salsa di pomodoro in pizze
che sostanzialmente mi sembravano anemiche, il bordo un po’ più sottile, in
modo che si cucinasse meglio e diventasse più croccante all’esterno pur
mantenendo la morbidezza interna.
Mi sono sempre chiesto perché il
Venero e il nord-est in generale, siano così penalizzati per ciò che riguarda
la pizza, a Milano ad esempio non è difficile trovare una buona pizza, non lo è
neppure a Torino, nonostante io fossi partito con molti pregiudizi, a Genova,
invece, è un disastro, ti presentano in genere delle croste enormi, quasi delle
ruote di carro, e le definiscono pizza, per fortuna ho li dei parenti che
lavorano da anni nel campo della ristorazione che, pur non facendo
personalmente pizze, sapevano indicarmi dove potevo trovarne di molto buone.
A Roma è un terno al lotto, nella
stragrande maggioranza dei casi c’è il pollice verso, se i pizzaioli romani dovessero
essere soggetti al giudizio dei clienti come i gladiatori nell’arena, molti di
loro sarebbero in pasto ai leoni, se fossero vissuti ai tempi di Diocleziano,
invece della persecuzione e del martirio dei cristiani si sarebbe parlato della
persecuzione e del martirio dei pizzaioli romani; poi, conosci un amico (chi
non ha almeno un amico a Roma), che lavora al ministero, che da anni abita a
Roma e che ti porta finalmente in una buona pizzerie dove c’è l’unico pizzaiolo
scampato alle fauci dei leoni che ti fa una pizza come si deve.
E’ stato triste constatare che a
Roma era più buona la pizza da Spizzico che quella delle pizzerie artigianali, a
Lecce dopo qualche tentativo ci ho rinunciato, a salvarmi è stata la “puccia”,
un panetto di pasta da pizza scaldato in forno, aperto come un kebab e riempito
di qualsiasi cosa; e non va meglio altrove, forse sono io che sono difficile,
incontentabile, ma trovo che la qualità della pizza in tutto il territorio
nazionale sia appena mediocre o di scarsa qualità, e che poche isole, nel senso
di pochi locali e ancor meno zone territoriali, fanno eccezione a tutta questa
mediocrità.
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Mentre la differenza al nord fra
l’est e l’ovest e fra le grandi città e le piccole me la sono spiegata con le
ondate migratorie dal sud in tempi diversi, con città come Milano e Torino
invase da operai e contadini meridionali, alcuni dei quali, particolarmente
dotati, rilevavano qualche locale nei quartieri dove alloggiavano tutti quelli
che provenivano dal meridione, e facevano la cucina delle loro zone d’origine,
perché tutti quanti sentissero un po’ meno la nostalgia di casa, e che poi si
facevano arrivare i prodotti tipici dalla loro terra e che si perfezionavano fino
all’eccellenza, in alcuni casi.
Al nord est e nelle piccole città
sono arrivati successivamente quei meridionali che come me o hanno studiato in
qualche città del nord e ci sono rimasti oppure hanno fatto qualche concorso e,
aiutati certamente dai voti di laurea elevatissimi e regalati al sud, hanno
prevalso sui loro competitor del nord e si sono aggiudicati chi una cattedra,
chi un posto al ministero, chi un posto nella pubblica amministrazione.
Si tratta di tutta gente come me
che non sa fare niente, nessun lavoro manuale, non sa sistemare il tubo del
lavabo, un guasto nell’automobile, montare una appliques o un lampadario, fare
una derivazione elettrica senza rischiare che qualcuno rimanga fulminato, sa
solo leggere i decreti e le circolari del ministero e protocollare un documento,
ma soprattutto oltre a non saper cucinare, non fa fare una pizza.
Questo forse spiega, almeno in
parte, la situazione al nord, non certo il perché anche al sud o al centro non
sia così facile trovare una buona pizza, spero che qualche storico del gusto ci
illumini su questa questione, perché in fondo io faccio lo psicoanalista, e
dovrei occuparmi di dinamiche mentali e relazionali, non dell’elasticità o
della croccantezza dell’impasto di una pizza.
GASSA D'AMANTE 2
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"Da tutte le cose
siamo sempre fuggiti
irrequieti e insaziati
sempre portando nel cuore
l’amore disperato
verso tutte le cose".
(Cesare Pavese, Il mestiere di vivere).
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"Ed io non voglio più essere io!
Non più l’esteta gelido, il sofista,
ma vivere alla piccola conquista mercanteggiando placido,
in oblio come tuo padre, come il farmacista…
Non posso
vedere le lacrime delle ragazze! Sì,
perché far piangere una ragazza
è più irreparabile che
sposarla!
Perché le
lacrime son tutta infanzia.
Perché le lacrime versate manifestano
semplicemente una pena così
profonda,
che tutti
gli anni d’incallimento sociale
e ragionevolezza scoppiano e
affogano
in quella
fonte riaperta dell’infanzia
della creatura primitiva, incapace di male.
Si fa tardi.
A domani i baci e le teorie".
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Comunque io, nonostante faccia lo
psicoanalista e non il piazzaiolo, dovendo comunque difendermi e sopravvivere,
e dopo anni di tentativi disastrosi, la pizza la faccio così (per quattro
persone):
- 500 gr. di farina di semola di
grano duro rimacinata, si, lo so che in molte ricette indicano l’uso della
farina di grano tenero di tipo 00, persino nella ricetta della pizza napoletana DOC la farina consigliata è questa, ma la pizza (specie se la fate nel forno
elettrico di casa, viene o troppo croccante e biscottata oppure troppo molle e
si fa fatica a digerirla); alcuni fanno degli strani impasti con altri tipi di
farine, come la 0, o la farina integrale di tipo 1 o di tipo 2, o quella di
soia, o di farro, c’è chi aggiunge un po’ di fecola di patate (soprattutto
nella pizza alta al taglio, per renderla più soffice), io le ho provate tutte,
da sole o in vari amalgama e alla fine sono sempre tornato alla farina di semola
di grano duro rimacinata semplice, ma ho ottenuto degli ottimi risultati anche
con la farina di kamut o con una miscela saggiamente dosata fra le due.
- acqua minerale, quanto basta
perché venga assorbita dall’impasto, non importa che sia gassata o naturale, l’importante
che sia acqua povera di elementi, molte delle acque che escono dal nostro
rubinetto sono troppo dure per l’impasto della pizza, e non è nemmeno
necessario intiepidirla, come consiglia qualcuno, basta che sia a temperatura
ambiente.
- Quattro cucchiai di olio
extravergine d’oliva.
-Dieci grammi di sale.
- Dodici o quindici grammi di
lievito madre in polvere, lo trovate in molti supermercati ormai, è diventato
di moda, ma è una moda che ha migliorato sensibilmente il modo di fare la pizza
in casa o in pizzeria. Prima si usava il lievito di birra, che oltre a dare un
odore quasi sgradevole durante la cottura in forno della pizza, è più difficile da digerire e mette anche molta sete. Col lievito madre
si ritorna alle origini, alle tradizioni, quando si panificava col “crescente”,
in sostanza erano tocchetti di pasta lievitata e conservata da aggiungere all’impasto
successivo … un po’ come i lactobacilli che vengono ripescati dallo yogurt già
prodotto e immersi in altro latte perché producano altro yogurt. In questo
caso, se ho capito bene, il lievito madre sarebbe il vecchio “crescente”
seccato e ridotto in polvere.
Fate in modo che il sale e il lievito
madre non si incontrino mai direttamente nell’impasto, ma si incontrino già
sciolti nell’acqua oppure aggiungeteli all’impasto in momenti diversi, ad
esempio mettete il sale (o il lievito) quando l’impasto è già a buon punto. Il
contatto diretto fra il sale e il lievito provoca dei danni alla lievitazione,
dandovi o un impasto pieno di bolle d’aria o uno estremamente duro e difficile
da stendere.
Impastate il tutto rigorosamente
con le mani, l’impasto di una piazza è qualcosa di vivo e vitale (ve ne
accorgerete mentre lo impastate), è come una bella donna che esige le sue
giuste carezze, affidarlo alle pale di un’impastatrice meccanica o al bimby è
un delitto che priverà la vostra pizza di ogni poesia, anche quando stenderete
la pizza sarà opportuno usare le mani, palmo e dita, ma ne riparleremo fra
poco. Impastate per alcuni minuti, con entrambe le mani (usando le dita, i palmi le nocche), finché non otterrete
un impasto morbido, elastico, un blocco unico che si ripiega su se stesso prendendo
senza difficoltà di volta in volta la forma che vorrete dargli.
Formate una palla unica ben
levigata, ponetela su un asse di legno, o di marmo, o in un recipiente
abbastanza ampio, tracciate una leggera linea orizzontale con un coltello
(alcune donne particolarmente religiose tracciano una croce) e lasciatelo riposare
per circa tre ore con un telo di cotone sopra per evitare che entri in contatto
con polvere o insetti.
Passato questo tempo riprendetelo
di nuovo in mano e manipolatelo ancora un po’. fategli un po’ di solletico,
valutatene ancora una volta l’elasticità e l’amalgamabilità, se dovesse essere un
po’ asciutto (dipende dalla stagione e dall’umidità dell’aria) bagnatevi appena
i palmi delle mani con un po’ della stessa acqua che avete aggiunto all’impasto
in origine. Poi, suddividete l’impasto iniziale in panetti di 125/130 gr. ciascuno
(dividetelo cioè in quattro parti uguali), se volete fare quattro pizze
normali, altrimenti potete dividerlo a metà o lasciarlo intero e fare un’unica
grande pizza, avvolgete ciascun panetto nella pellicola del domopack, tenendo
presente che lieviterà, quindi non avvolgetelo stretto, lasciategli lo spazio
per espandersi, e rimettetelo nell’asse o nel contenitore di prima, facendo
attenzione che i panetti abbiano spazio sufficiente l’uno dall’altro.
Lasciatelo lievitare per altre 8 o 9 ore.
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A questo punto, su un’ampia
superficie, mettete un bel po’ di farina, e cominciate a stendere ciascun
panetto con il palmo delle mani e con le dita, dall’interno verso l’esterno,
cercando di allargare l’impasto, fino ad assumere una ragionevole forma
circolare, in considerazione del fatto che voi non siete né Giotto né
Raffaello, sarà sufficiente che dia l’idea di una ruota dal diametro di circa
30/35 cm. misurati ad occhio, non serve che contattiate un geometra.
Fate riposare ancora le “pizze”
per altri 10 minuti circa, e solo a questo punto aggiungete il condimento; ora,
qui bisogna intendersi, perché per condimento sembra che in una pizza si possa
mettere o togliere quasi qualsiasi cosa, e in linea teorica potrebbe davvero
essere così, potrete anche fare una pizza con cavallette e zucchine grigliate,
o con formiche rosse e funghi di bosco, o l’orrore estremo di una pizza con la
nutella, siete liberi di fare qualsiasi cosa.
Ma esistono certi limiti quando
fate una pizza, ad esempio andrebbero evitati i sottaceti, o la maionese,
almeno, o il ragù (anche se qualcuno ha provato dicono con buoni risultati),
dalle mie parti usano aggiungere anche i piselli (cotti o anche surgelati che
si cucinino in forno), provateli prima di dire: “Che schifo!”. Anche l’uovo
sodo una volta era molto presente (seppure a me non piacesse affatto), ora in
Sicilia lo trovate solo nella capricciosa (per distinguerla dalla quattro stagioni, altrimenti sarebbero uguali), mentre l’uovo semplicemente spaccato
sopra la pizza e cotto soltanto in forno era nell’occhio di bue, mentre al nord
ho visto una variante dell’occhio di bue con le punte di asparagi cotte.
Potrete mettere di volta in volta
tutto ciò che avete in casa o che la vostra fantasia vi suggerisce,
naturalmente, realizzare la pizza che vi piace di più, variare in base alla
stagione, all’estro, agli allineamenti astrali, all’oroscopo cinese o ai ching,
ma non usate cose troppo liquide (la salsa di pomodoro dev’essere
sufficientemente densa, seppure spalmabile e non ancora affettabile, la
mozzarella senza gocce di latte o tagliata in precedenza e scolata), questo per
evitare che si formi in mezzo alla pizza l’effetto laguna, che non permetterà
alla base di cucinarsi alla perfezione.
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Parlando di ingredienti, di cose
strane che pure hanno avuto successo, mi viene in mente una pizza che dalle mie
parti era diventata un must, la chiamavano paper moon, ed era il cavallo di
battaglia dell’omonimo locale, la pizza più richiesta in inverno, la base era
una margherita a cui veniva aggiunto sopra degli spinaci cotti tritati in
maniera molto sottile e passati in padella con della panna e, infine, veniva aggiunta la salsiccia,
quella tipica, buonissima, delle mie parti, che quando arrivava in casa
iniziavamo a mangiarla già da cruda, da tanto che era buona, una salsiccia
rossa non molto grassa, di carne di maiale al 100%, condita con vino rosso di
buona qualità, peperoncino rosso, semi di finocchio selvatico, sale e non so
dirvi quale altro aroma perché poi ciascun macellaio aveva i suoi segreti.
Sulla passata di pomodoro, ci
vorrebbe un post a parte solo per descrivere come si fa una buona passata, sempre ammesso che la facciate voi e non la compriate già fatta, nel
primo caso il tipo di pomodoro che userete darà risultati diversi, i pizzaioli
napoletani usano il pomodoro san marzano, e questo è indicato nella pizza
napoletana DOC, io non trovo un pomodoro san marzano saporito né in Veneto né
in Sicilia, o non è san marzano o è particolarmente acquoso e non sa da niente.
Sappiate che se usate pomodori
come il ciliegino, il merinda, il marmande, la salsa vi verrà leggermente dolciastra,
e se usate, invece, pomodori come il piccadilly, il datterino, il costoluto o
quello a grappolo, vi verrà più o meno acidula … è buona norma, prima di fare
una salsa, assaggiare il pomodoro e la salsa stessa una volta realizzata ... in ogni caso non fatevi tentare dalle aggiunte per aggiustare il sapore, del tipo un pizzico di zucchero o qualcuno anche un pizzico di bicarbonato: meglio una salsa con poco sapore, che una "dopata".
Qualcuno si chiede alche se
mettere o meno la salsa di pomodoro in una pizza, io dico di
si, non solo perché per me le pizze bianche sono un errore e un orrore
genetico, qualcosa contro natura, sono come un matrimonio non consumato, ma anche per la cottura, la pizza bianca,
anche quella ricoperta di mozzarella (che se in parte attenua i disastri della
mancanza di pomodoro, appesantisce in modo incredibile tutta la pizza) o anche
quelle spalmate d’olio d’oliva, si cucinano in modo
irregolare e si creano nell'impasto all'interno delle enormi bolle e crateri … c’è poco da fare, è
una legge di natura, la salsa di pomodoro va usata in ogni caso, altrimenti
fatevi la focaccia ligure.
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30 |
La mozzarella deve essere appunto
mozzarella, cioè fiordilatte e non formaggio fuso, la dovete vedere filare
quando la tirate su con la forchetta, ma non è necessario che sia mozzarella di
bufala anzi, io credo che la mozzarella di bufala, se davvero buona, sia
sprecata per una pizza, andrebbe mangiata cruda con del pomodoro crudo, nella
classica caprese.
E poi, la mozzarella di bufala in
genere è più acquosa di quella normale, e in quanto tale non sarebbe indicata
per una pizza, ma … de gustibus … in ogni caso se la volete usare non mettetela
ad inizio cottura, ma alla fine o addirittura quando tirate fuori la
pizza dal forno … la stessa regola vale per gli affettati e per tutto ciò che
non tiene la cottura o che non ha bisogno di cottura … zero cottura ad esempio
necessitano il prosciutto crudo, la rucola, la mortadella o il salame e la
soppressa.
Un’ultima cosa: basilico o
origano? I napoletani direbbero basilico senza battere ciglio, e così sta
scritto nella ricetta DOC depositata, un pizzaiolo napoletano una volta mi
disse che le foglie di basilico servivano ad avvisarlo della cottura della
pizza, quando il basilico è annerito la pizza è cotta … resta però il problema
estetico di questo ciuffo di basilico annerito … “allaccaratu” (flaccido, avvizzito,
appassito) aggiunse un pizzaiolo siciliano che era presente e che sosteneva
invece l’uso dell’origano sia su un piano estetico sia su un piano più
puramente gustativo.
Ora, se volete usare a tutti i
costi il basilico e non vi piace che sia “allaccaratu”, vi consiglio di
tritarlo in precedenza sottilmente nella salsa di pomodoro.
31 |
31 bis |
La cottura dovrebbe essere effettuata rigorosamente in un forno a legna, dove ardono ceppi di cirmolo e di larice, o di sandalo e di palissandro, o di abete rosso e di frassino ... scherzo ... e dove li trovate? E anche se li trovaste, quanto vi costerebbe la pizza? Dalle mie parti un tempo si usavano ceppi di limone e di arancio amaro e tronchi di olivo o di mandorlo, frutti della potatura o di alberi vecchi estirpati perché malati o per far spazio a piante più giovani ... non avete idea dell'odore indescrivibile che si sprigionava dalla cottura delle pizze, un odore che per me rimane per sempre associato alla pizza e che non sento più da nessuna parte (ma che riconoscerei ovunque), perché usano ormai tutti legname proveniente dall'Europa dell'est, magari dalla bielorussia dopo il disastro di Cernobyl, legname radioattivo che produce una pizza psichedelica.
Se non avete il forno a legna,
mandate a manetta il vostro forno elettrico o a gas, non raggiungerete comunque
gli oltre 400 gradi di un forno a legna o gli oltre 300 gradi di un forno
elettrico industriale che servirebbero per avere una buona pizza, ma ne sono la
migliore approssimazione che ne otterrete; la pizza ha bisogno di solidificare
dalla base, quindi scegliete un programma di cottura in cui il calore giunga da
sotto e ponete il piano di cottura più basso possibile; mettete la pizza a
forno molto caldo, non prima, su una teglia di alluminio sottile sopra uno
strato di carta forno perché non si attacchi.
Non credo di avervi detto tutto,
anzi non vi ho detto niente, spero solo di avervi messo addosso, a fine
lettura, la voglia di una buona pizza e l’idea che non è poi così complicato
farvela con le vostre mani, solo se decidete di farlo evitate di inseguire l’idea
della pizza perfetta, finché anelate alla perfezione non vi verrà mai nulla di
buono, cercate di realizzare piuttosto ciò che piace a voi e alle persone che
inviterete all’assaggio.
Inizialmente perderete qualche
amico, qualcuno che non vi frequenterà più per timore che lo invitiate di nuovo
a mangiare la vostra pizza e qualcun altro perché ricoverato in ospedale con disturbi
intestinali, ma alla fine anche se forse non sarete felici, potreste essere
almeno soddisfatti.
La pizza che mi piace di più è
costituita da una base di margherita semplice, poi preparo in parte del
pomodoro concassè (scegliete i pomodori che più vi piacciono, o li tritate semplicemente togliendo i semi e l'acqua di vegetazione oppure, se siete dei perfezionisti, immergete i pomodori in acqua bollente per qualche minuto e subito dopo in un recipiente di acqua con ghiaccio, lo shock termico faciliterà l'operazione di sbucciatura, quando si saranno raffreddati spellateli e tritateli a dadini piccoli e fateli insaporire per almeno mezzora con scocche di cipolla di Tropea, che poi toglierete quando aggiungerete il pomodoro nella pizza) e del pesce spada affumicato.
Il pesce spada lo affumico io
personalmente, facendomi provenire della legna pregiata dall’oriente … scherzo,
come tutti cerco la busta di affumicato commerciale “meno peggio”, quella di
migliore qualità, con un buon filetto di spada possibilmente non affumicato
artificialmente con sostanze chimiche o con un fuoco di copertoni usati.
L’ho chiamata “gassa d’amante”,
come il nodo marinaro, noto anche come nodo di bolina o cappio bombardiere, un
nodo ad occhiello semplice da eseguire da chiunque con qualsiasi cima,
esattamente come l’amore è accessibile a chiunque, qualunque mezzi possiedano; pur
essendo un nodo solido e sicuro (potreste trascinarci un capodoglio o una
balena bianca a poppa con un’unica gassa d’amante e una buona cima) non è un
nodo che “slitta”, un nodo scorsoio per intenderci, non vi stringerà mai
troppo, e questo vi garantisce che non vi sentirete soffocati, proprio come
dovrebbe essere l’amore. Infine, è molto utile e molto usato proprio perché pur
essendo un nodo sicuro, può essere sciolto facilmente anche con una mano sola e
con la corda bagnata, proprio come l’amore quando viene bagnato dalle lacrime e
basta un solo individuo della coppia per sciogliere il legame.
lunedì 10 agosto 2015
FIGLI DELLE STELLE - TRILOGY - 3
“ Come le stelle in cielo,
intorno alla luna lucente,
brillano ardendo, se l’aria è priva
di venti;
si scoprono tutte le cime e gli alti
promontori
e le valli; nel cielo s’è rotto
l’etere immenso,
si vedono tutte le stelle; gioisce in
cuore il pastore;
tanti così, fra le navi e lo Xanto
scorrente,
lucevano i fuochi accesi dai Teucri
davanti a Ilio;
mille fuochi ardevano nella pianura,
e intorno a ciascuno
cinquanta erano seduti, alla vampa
del fuoco fiammante;
i cavalli, mangiando l’orzo bianco e
la spelta,
ritti accanto ai carri, l’Aurora bel
trono aspettavano”.
(Omero,Iliade, Libro VIII, 555-565).
Il cielo di Giotto agli Scrovegni |
Il cielo di Giotto agli Scrovegni |
Namibia, parco naturale di Etosha |
In queste notti, osate alzare la testa e gli occhi al cielo, all'inizio sentirete un cigolio, qualche dolorino qui e li, infatti non siamo più abituati a guardare lontano e in alto, qualcosa più grande di noi, qualcosa di elevato, siamo miopi, abituati a non oltrepassare la punta del nostro naso, a non riuscire ad andare oltre a noi stessi, le nostre esigenze, le nostre voglie, i nostri capricci.
E non guardate il cielo per scorgere la stella cadente ed esprimere così un desiderio, ne ho ascoltati a centinaia di desideri, persino i più intimi e inconfessabili, e vi assicuro che ancora scuoto la testa nel constatare quanto siano gretti, meschini e patetici i nostri desideri; in ogni caso, ho visto molta più gente piangere, disperarsi, andare in rovina perché un loro desiderio si era avverato e non quando non si avverava.
Guardate nel cielo semplicemente la bellezza di uno spettacolo stupendo, provate stupore per quei fuochi lontani, molti dei quali non esistono più se non come luce, mentre stelle più giovani non ci sono visibili perché la loro luce non è ancora arrivata fino a noi.
Avrete cantilenato non so quante volte la frase: "Così in cielo, come in terra ...", ebbene, provate a scorgere il riflesso degli astri non soltanto sulle superfici riflettenti (il mare ad esempio), ma anche dentro di voi, provate ad abbandonarvi al gioco di luci, al respiro del mondo, al ritmo dell' universo (che io immagino debba essere per forza un reggae o la musica celestiale di un'orchestra sinfonica o il ritmo martellante di un tamburo in sintonia col battito del nostro cuore), provate a scatenare il caos dentro di voi, perché è solo dal caos che può sorgere una stella danzante.
"Stars, hide your fires! Let not light see my black and deep
desires". [Stelle ,nascondete i vostri fuochi! non permettete alla luce
di illuminare i miei oscuri e profondi desideri].
(William Shakespeare, Macbeth, atto I, scena V).
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