lunedì 27 maggio 2013

VENI, RISI & BISI



È più probabile che le parole di Gaio Giulio Cesare nella più famosa delle sue esclamazioni siano state queste piuttosto che il: “Vini, vidi, vici!” che i suoi storici: Plutarco ne le Vite parallele e Svetonio nella Vita dei cesari, gli fanno pronunciare con molta più solennità.
E, sempre probabilmente, non furono pronunciate durante l’annuncio della straordinaria vittoria riportata il 2 agosto del 47 a.C. contro l'esercito di Farnace II a Zela nel Ponto, ma dopo essersi alzato da tavola ospite dei veneti dell’Armorica (l’attuale Bretagna) che egli aveva conquistato nel 56 a. C. con la vittoriosa battaglia navale di Morbihan.
Che diavolo ci facessero allora i veneti in Armorica è un mistero, come pure è un mistero come diavolo abbiano fatto dopo a trasferire il campanile, il palazzo del Doge, piazza San Marco, il Ponte dei Sospiri, la riva degli schiavoni, il ponte di Rialto, il Danieli e il Cipriani nella laguna dell’alto adriatico dove risiedono tutt’ora … forse percorrendo con le loro gondole i fiumi delle Gallie remando con la forza delle braccia (la famosa voga veneziana con un solo remo), mattone per mattone su e giù per l’Europa.
L’esclamazione entusiastica di Cesare deve essere seguita non alla vittoria ma ad un buon piatto di “risi e bisi”, che è una tipica specialità veneta: si tratta di riso e piselli, che non è un risotto e non è una minestra, perché è troppo liquido per essere il primo ed è troppo denso per essere il secondo, tanto è vero che esiste un’antica disputa se sia meglio mangiarlo col cucchiaio o con la forchetta (per inciso, è un risotto se alla fine il cucchiaio di legno sta dritto in verticale sulla pentola, è una minestra se si affloscia sul bordo).



Sono diverse le città venete che se ne contendono le origini … “Tutti mi chiedono, tutti mi vogliono, donne, ragazzi, vecchi, fanciulle … Ahimè, ahimè, che furia! Ahimè, che folla! Uno alla volta, per carità, per carità, per carità. Uno alla volta, uno alla volta, uno alla volta, per carità! Figaro Son qua! Figaro Son qua! Figaro qua, Figaro la Figaro qua, Figaro la Figaro su, Figaro giù Figaro su, Figaro giù Pronto prontissimo Son come il fulmine, sono il factotum della città della città della città della città della città! Ah, bravo Figaro bravo, bravissimo Ah, bravo Figaro bravo, bravissimo Fortunatissimo Fortunatissimo Fortunatissimo per veritààààààà!”.



A Borso del Grappa, in provincia di Treviso, in primavera spuntano i piselli più dolci, più teneri e più grossi, ma anche Lumignano e le aree limitrofe al comune di Longare, in provincia di Vicenza, dove le coltivazioni sono riparate dai Colli Berici, sono zone particolarmente adatte alla crescita di queste coltivazioni, i cui prodotti vengono però assorbiti per la maggior parte dai ristoratori locali.
In quanto alla produzione del riso, sul delta del Po è documentata dalla metà del ‘400, vi fu introdotta dagli Estensi, signori di Ferrara, che favorirono la bonifica di grandi estensioni palustri; il secondo polo produttivo è la bassa veronese, in particolare il centro di Isola della Scala, Grumolo delle Abbadesse tra Padova e Vicenza (il nome ricorda le monache benedettine che intorno all’anni Mille, mentre tutto il mondo cristiano soggiaceva a timori apocalittici, bonificarono le terre del fiume Tesina e introdussero la coltivazione di questo cereale).



La varietà più caratteristica che si produce in Veneto è il vialone nano, un riso semifino che in cottura si espande assorbendo il sugo e riempiendosi di gusto e per questo è particolarmente adatto per minestre e per risotti, in special modo per la preparazione del risi e bisi. Anche Venezia scende in campo con i suoi colori, la sua storia e la sua tradizione per rivendicare la paternità di questo piatto, se non è possibile prepararlo senza i piselli di Borso o dei Colli Berici, né senza il riso della bassa veronese, vicentina, padovana e rovigina, la prima documentazione certa di questo piatto si ha nella tradizione secondo la quale veniva preparato ogni 25 aprile per la tavola del Doge per festeggiare nientemeno che San Marco, il patrono della città.
Il riso è molto importante in Veneto tanto che un antico proverbio dice: “Risi crui in cesa, riso coto in tola” (riso crudo in chiesa, riso cotto in tavola), comunque sia il riso con i piselli è un piatto di antica tradizione e chiunque l’abbia inventato meriterebbe la menzione d’onore o in alternativa una statua equestre in riva degli Schiavoni a Venezia al posto di quella orribile dedicata a Vittorio Emanuele II, che fu re d’Italia grazie alla mente e agli intrighi di Cavour e al braccio e al coraggio di Garibaldi, mentre lui si occupava di caccia, di donne e di cavalli.
Il veneto è un vero semplificatore, riduce le lettere doppie in singole, a volte elimina proprio delle lettere all’interno di una parola (come nel caso di “tola” al posto di “tavola” … che volete, in val di Susa ci sono i “no-tav” in veneto abbiamo i “no-av”), se proprio si doveva fare un ministro alla Semplificazione bisognava mettere un veneto non un lombardo.



Il lombardo è “bauscia”, uno che si da arie, lo sbruffone, quello che ingigantisce ogni cosa che gli accade per darsi più importanza. Prendete Silvio Berlusconi che ne è l’esemplare più rappresentativo, lo indagano a Milano e lui straparla di complotto dei giudici, di toghe rosse, di persecuzione giudiziaria, non può accettare alcuni giudici della zona in cui risiede gli contestino dei semplici reati … la questura di Milano arresta Ruby per furto e lui è preoccupato che possa parlare e spiattellare tutto sulle orge, il bunga bunga, e del fatto che è minorenne?
Telefona in questura e dice che Ruby è nipote di Mubarak, che manderà una persona di fiducia a prenderla che la consegnerà ad un’altra persona di fiducia (in realtà manda un’igienista dentale, accusata di organizzargli le orge perché la conduca da una prostituta d’alto bordo), in definitiva fa di un problema di sesso, orge e pedofilia un caso di politica internazionale e paventa l’incidente diplomatico. Ma non finisce qui, non così, va molto oltre, magai fosse finita così … il 27 maggio del 2010 314 deputati del PDL votano in Parlamento che Ruby è davvero nipote di Mubarak … il senso del ridicolo era già stato superato prima, qui ho terrore a pensare a cosa abbiamo attraversato …
Con questa scena Berlusconi consegna l’Italia definitivamente al comico del mondo, nessuno potrà più guardarci senza ridere di noi; nessuno sceneggiatore di film comici oggi saprebbe nemmeno immaginarsi una gag così, va oltre ogni immaginazione, bisogna essere particolarmente dotati per pensarla e per realizzarla ricoprendo il ruolo di Presidente del Consiglio, quando tento di spiegarlo ad alcuni miei amici d’oltreoceano non so mai da che parte iniziare per far comprendere un’enormità di questo genere … ma com’è che noi ci siamo abituati a queste assurdità, come facciamo a conviverci, com’è possibile che un tipo così sia ancora fra le scatole, potente e determinante nel decidere sul destino di noi tutti?



Bisognerebbe andare molto indietro nel tempo per trovare qualcosa di simile, a Totò che vende la fontana di Travi a Decio Cavallo, perché i film comici odierni sono in affanno rispetto alla realtà, uno dei film che mi è piaciuto di più, Qualunquemente di Antonio Albanese, era costantemente sottotono, surclassato dalla realtà, anche scene forti come quando Cetto consegna suo figlio come responsabile unico dei suoi illeciti e dunque lo condanna a scontare il carcere al posto suo sottolineando che il carcere fortifica e migliora, per quanto possa far ridere non ha la verve spontanea di un Berlusconi che inventa all’istante le cose più impensate.
E che dire poi della comicità intrinseca di un Bersani e di tutto il Pd che si porta dietro la simpatia che accompagna gli sfigati cronici, tutti coloro che sono destinati a perdere sempre anche quando sembrano ad un passo dalla vittoria, l’ilarità che suscitano tutti coloro che possiedono un autolesionismo patologico, quelli che prendono le torte in faccia, quelli a cui va tutto storto, da Paolino Paperino ai nostri giorni. Come non provare uno spontaneo moto di simpatia per i faccione di Bersani, col suo perenne sfigato, con l’immagine sbiadita in bianco e nero come quei manifesti che sembravano fatti apposta per perdere qualsiasi elezione in un periodo di un nero funereo come quello della attuale crisi economica e come non simpatizzare per Enrico Letta, consegnatosi mani e piedi a Berlusconi in olocausto come già prima aveva fatto Mario Monti, Presidente di un Consiglio dove che decide la musica e le danze è Silvio Berlusconi, che minaccia di farlo cadere ad ogni istante e ricattando tutto l’esecutivo.
Come non provare un minimo di pena per Ignazio Marino, “sostenuto” dal PD alle elezioni comunali di Roma quando vedi le sezioni del partito deserte e sonnecchianti e realizzi che forse Marino avrebbe potuto avere qualche chance se si presentava con una lista civica.



Il veneto, dicevo, semplifica le doppie, elide lettere che trova superflue, ma in alcuni casi abbonda e non lo fa moltiplicando le lettere di una parola, ma ricorrendo al plurale invece del singolare; non vi sarà sfuggito che mentre in tutto il resto dell’Italia il piatto proposto si sarebbe chiamato riso e … in Veneto si preferisce denominarlo “risi” … e in effetti è come se il veneto volesse sottolineare che non si tratta di un singolo chicco di riso, ma di tanti … è un modo per significare abbondanza.
Un veneto non chiederà: “Mi ha cercato nessuno?”, ma: “Me ga’ cercà nisuni?”, e quel “nisuni” vuol dare a intendere che potrebbero cercarlo legioni di individui, non una singola persone come lascia intendere il termine “nessuno” … il “ga’” è voce del verbo avere: mi go’, ti ga’, i ga’ … semplice no, xe venexian par foresti questo!
Il veneto è particolare, tempo fa già vi misi sull’avviso circa il denominare una figlia col nome di Simona, guai a farlo da queste parti, guai alla Simona che si trasferisse in Veneto; non molto tempo fa un conoscente di nome Goffredo ha dovuto cambiar nome … magari in faccia proprio no, perché le ragazze venete sono educate all’ipocrisia, ma non ci voleva molto ad accorgersi che ogni volta che Go’ fredo si presentava una risatina risuonava nel cervello della ragazza che aveva di fronte, e riecheggiava quando questa raccontava il suo incontro alle amiche.
Alla fine Goffredo non ce l’ha fatta più di sentire tutte quelle risatine delle ragazze a cui si presentava, moltiplicate per le loro amiche; chissà perché Fiammetta va bene e Goffredo no, invece! E che diavolo era saltato in mente ai genitori di Goffredo, entrambi veneti, di consegnare il proprio figlio alla barzelletta comune, al riso delle ragazze.



Verrebbe da far pariglia con i “bisi” (i piselli), se non fosse che anche in italiano si preferisce usare il plurale, perché il singolare darebbe adito a troppi fraintendimenti, come già accade a quella fiaba di Hans Christian Andersen, La principessa sul pisello, la storia, cioè di quella principessa a cui non piaceva molto questo legume … poi chissà, col tempo magari avrà cambiato idea, ma nella fiaba viene descritta una notte d’inferno trascorsa da questa povera ragazza a cui nascondono un pisello sotto una serie di 20 materassi, 20 guanciali e 20 cuscini, al di sopra del quale fu preparato il suo giaciglio per la notte.   
Oggi per fortuna le principesse non soffrono più di questa idiosincrasia anderseniana, che per inciso piacque tanto alla futura suocera della principessa, e possono gustare questo piatto prelibatissimo senza tema di rimanere insonni la notte, sono conquiste della civiltà queste.
E già che non esistono più controindicazioni, riporto un antico proverbio veneto che auspica l’abbondanza, infatti, dice: “Ogni riso un biso”, che è come dire: “A ciascun’alma presa e gentil core …” (Dante Alighieri, Vita Nova, III, 10-12); sull’onda di questa abbondanza vi riporto qui di seguito la ricetta così come mi è stata trasmessa da Nonna Papera, molto fedelmente senza aggiungervi né togliervi un chicco di riso, non senza prima introdurvela col le parole del grande Pellegrino Artusi, che essendo romagnolo d’origine e toscano d’adozione privilegia la cucina di queste due regioni, per cui non riporta nel suo famoso libro La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene (1891) questa ricetta veneta, ma fra Le minestre asciutte e di magro un risotto con i piselli … che non è la stessa cosa:
“Il riso! Ecco giusto un alimento ingrassante che i Turchi somministrano alle loro donne onde facciano, come direbbe un illustre professore a tutti noto, i cuscinetti adiposi”.



INGREDIENTI:
-          Riso vialone nano 320 gr.;
-          Piselli freschi in baccello 1 kg. Oppure 300 gr di piselli freschi già sgranati;
-          Pancetta magra  o prosciutto cotto 50 gr.;
-          Cipolle bianche 2 grandi;
-          Carota 1;
-          Costa di sedano 1;
-          Burro 40 gr.;
-          Olio d’oliva 3 cucchiai;
-          Grana o Parmigiano 50 gr.;
-          Prezzemolo (quanto basta per la guarnizione);
-          Sale;
-          Pepe nero.




ESECUZIONE:

Ripulite i piselli di eventuali impurità, passateli sotto acqua fresca con tutti i baccelli e metteteli a bagno per mezzora con bicarbonato di sodio; dopo risciacquateli bene, sgranateli e mettete parte dei baccelli in una pentola capiente con una cipolla sbucciata e tagliata grossolanamente, una carota sbucciata e tagliata in tronchetti e la costa di sedano lavata e tagliata anch’essa a tronchetti. Ricoprite tutto con molta acqua fredda, mettetelo su un fornello e lasciatelo per circa due ore dopo la bollitura. In questo modo otterrete un brodo vegetale che alla fine scolerete accuratamente, fate attenzione che per la ricetta ve ne occorrerà circa un litro e mezzo o poco più, quindi se dovesse evaporare troppo o se avete messo meno acqua di quella che vi serve aggiungetela e portate a bollore.
In una pentola antiaderente alta adatta per il risotto fate soffriggere in tre cucchiai d’olio e in metà del burro la seconda cipolla tagliata a dadini piccoli tutti uguali fra di loro, quando prende colore dopo qualche minuto aggiungete la pancetta e i piselli sgranati e continuate a rosolare per più di cinque minuti mescolando di continuo con un cucchiaio di legno, quindi versate dentro il riso che rosolerete a fuoco alto per un paio di minuti perché si tosti.
Quando il riso sarà ben tostato versategli sopra qualche mestolo del brodo che avrete preparato e che starà bollendo su un altro fornello in parallelo col riso; il fuoco di cottura del riso dovrà essere vivace per tutto il tempo previsto, scegliete un fornello di grandezza intermedia e mescolate di continuo versando brodo ogni volta che si asciuga troppo il fondo di cottura.
Ultimate la cottura procedendo in questo modo e mescolando spesso con un cucchiaio di legno, due minuti prima del tempo previsto per la cottura del riso aggiungete il formaggio, un pizzico di sale marino e il rimanente burro e mantecate il riso mescolando fino allo scadere del tempo.
C’è un’antica diatriba nella scelta fra grana padano o parmigiano, a partire dalla menzione che ne fa il Boccaccio (Decameron, VIII, 3) fino ai nostri giorni, fortunatamente noi qui non dobbiamo decidere per l’uno o per l’altro, sappiate solo che le ricette più antiche, la tradizione e la zia Giuseppina non hanno alcun dubbio, ci va il grana, anche perché mentre il parmigiano sarebbe esclusivamente emiliano, la zona di produzione del grana padano è più ampia e comprende regioni come il Piemonte, la Lombardia, il Trentino, il Veneto e l’Alto Adige.



E poi, già il nome in tempi recenti il grana è stato privilegiato qui al nord non tanto in quanto grana, ma per il termine “padano”, c’è stato persino chi, come il sindaco di Varallo Gianluca Buonanno, con logica ferrea ha sentenziato che se esiste il grana padano allora esisterà per forza la Padania, ma alcuni avanguardisti dada difendono il parmigiano a spada tratta uber alles e sono pronti a scavare trincee per difenderne la superiorità.
Il problema non è la scelta in sé del tipo di formaggio, ma la sublime consonanza di gusti fra tutti i commensali, così come il formaggio serve ad amalgamare il risotto, serve ad amalgamare anche la compagnia: se decideste per il parmigiano e nella vostra compagnia a tavola ci fosse un amante del grana, allora si creerebbe un dissidio, una frattura, la tavola penderebbe tutta da un lato e saremmo molto lontani dall’equilibrio perfetto della tavola rotonda di Artù e dei suoi cavalieri.
Pensate poi alle coppie di fidanzati che si stanno formando, talvolta il porre la domanda più semplice: “A te piace di più il grana o il parmigiano?”, eviterebbe matrimoni avventati, unioni infelici e preverrebbe molte separazioni, io l’ho introdotto come piccolo test nel mio lavoro, lo chiedo a chi mi consulta prima di iniziare un’analisi, se mi dovesse dare la risposta “sbagliata” (o meglio, non con sona con i miei gusti) non inizio nemmeno l’analisi, nella sintonia del gusto talvolta ci sono segrete assonanze che servono e che sono essenziali quando si intraprende un lungo cammino insieme, per la vita o con uno scopo terapeutico.
Versatelo nei piatti, guarnitelo con un rametto di prezzemolo e una spolverata di pepe nero macinato al momento. 






Gustatevi questo "fuori onda" di Renato Brunetta ... è dalle piccole cose, dalle banalità, che capisci un uomo spesso, perché un politico quando parla di politica sarà controllatissimo su ciò che dice e su ciò che fa, un uomo abituato a microfoni e telecamere cambia completamente quando è "on air" e quando invece questi strumenti non sono accesi. Allora ... godetevi la "mappazza"!





Ora, provate a pensare che Brunetta invece di "risi" e "bisi" stesse parlando di mettere insieme uomini del PD e uomini del PDL, provate a pensare che la "mappazza" sia l'attuale governo Letta .... provate a pensare .... 

5 commenti:

  1. Prima la risposta alla Tua domanda posta nell'altro post con la conferma del fatto che non sono molto esperto con il PC e trovo difficoltà, imparata una strada, a percorrerne un'altra, diversa, (come il somarello!).
    Lo faccio perchè mi piace leggerTi.

    Ora al post di sopra con una celia perchè mi è sembrato un manifesto elogio al pisello!

    Come faccio ora a confessare che mi piace il riso ed anche il suo "condimento" da Te magnificato, senza incorrere in equivoci da parte di chi mi/ci legge?

    Ciao da luigi

    P.S.:
    Mi è capitato, anni addietro, in gioventù, di raccogliere dalle piante direttamente i baccelli per tirarne fuori i piselli di produzione propria per uso casalingo. Il genitore, che curava direttamente una campagna avuta in eredità da uno zio Avvocato, pur egli allevatore di cani da caccia e Giudice Cinofilo di bellezza e di caccia pratica, oltre che pubblicista - Rivista Diana e libri editi sulla Cinotecnia - si distraeva come Cincinnato ed utilizzava sulla terra fertilizzanti naturali (oltre azoto, potassio, ecc...) per rendere ancora più dolci i frutti della stessa.
    Quelli comperati, se non proprio dolci, vanno aggiunti, in fase di cottura con un po' - q.b. - di zucchero.

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  2. "Come faccio ora a confessare che mi piace il riso ed anche il suo "condimento" da Te magnificato, senza incorrere in equivoci da parte di chi mi/ci legge?" Non porti nemmeno il problema ... il problema sarà tutto di chi equivoca! Anche tutto il post per intero era una celia e anch'io ho sfiorato l'equivoco di cui parli, nel senso che ci ho giocato un po' sopra. Sulla coltivazione dei piselli so molto poco, mio padre (che è anche il mio principale riferimento sul sapere sulla terra) non ne ha mai coltivati. Ti ringrazio per i suggerimenti di coltivazione e di cucina, io sono restio ad aggiungere zucchero nelle mie ricette per addolcire, se proprio devo farlo preferisco quello di canna, se i tratta solo di togliere un po' di acidità (come nel caso del sugo di pomodoro) io aggiungo un pizzico di bicarbonato di sodio per uso alimentare.
    Ciao Luigi

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  3. Anche mio padre, cuoco eccelso in casa ed anche per gli amici durante la stagione di caccia quando si isolavano sui monti dell'Aspromonte, usava lo zucchero per il sugo di pomodoro, q.b., quando necessario.


    Ciao da luigi

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  4. Che gradevole post. Leggiadro, interessante, curioso e divertente a leggersi. L'accenno berlusconiano mi ha anche fatto ricordare una cosa ad hoc, che ho scoperto la scorsa domenica consultando i miei libri di giardinaggio sulle piante selvatiche. Sfogliandone uno, all'improvviso, non ti scopro la pianta più odiata da Silvio, che manco sapevo esistesse? Sono scoppiata a ridere, naturalmente! La realtà è sempre molto fantasiosa, bisogna ammetterlo! Vado a prenderla e la faccio ridere, signor Garbo, per ricambiare!

    Eccola qui: che nome profetico per Il povero Silvio!

    http://en.wikipedia.org/wiki/Veronica_beccabunga

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