Un libro non è altro che un piccolo mucchio di foglie secche, oppure, una grande forma in movimento: la lettura. |
La Coupole |
Ogni parola ha una conseguenza, ogni silenzio pure. |
“Moi je vis seul, entièrement seul. Je
ne parle à personne, jamais; je ne reçois rien, je ne donne rien. L'Autodidacte
ne compte pas. Il y a bien Françoise, la patronne du Rendez-vous des Cheminots.
Mais est-ce que je lui parle? Quelquefois, après dîner, quand elle me sert un
bock, je lui demande: « Vous avez le temps ce soir? ». Elle ne dit jamais non
et je la suis dans une des grandes chambres du premier étage, qu'elle loue à
l'heure ou à la journée. Je ne la paie pas: nous faisons l'amour au pair. Elle
y prend plaisir (il lui faut un homme par jour et elle en a bien d'autres que
moi) et je me purge ainsi de certaines mélancolies dont je connais trop bien la
cause. Mais nous échangeons à peine quelques mots. A quoi bon? Chacun pour soi;
à ses yeux, d'ailleurs, je reste avant tout un client de son café. Elle me dit,
en ôtant sa robe : « Dites, vous connaissez ça, le Bricot, un apéritif? Parce
qu'il y a deux clients qui en ont demandé, cette semaine. La petite ne savait
pas, elle est venue me prévenir. C'étaient des voyageurs, ils ont dû boire ça à
Paris. Mais je n'aime pas acheter sans savoir. Si ça ne vous fait rien, je
garderai mes bas. » Autrefois — longtemps même après qu'elle m'ait quitté —
j'ai pensé pour Anny. Maintenant, je ne pense plus pour personne; je ne me
soucie même pas de chercher des mots. Ça coule en moi, plus ou moins vite, je
ne fixe rien, je laisse aller. La plupart du temps, faute de s'attacher à des
mots, mes pensées restent des brouillards. Elles dessinent des formes vagues et
plaisantes, s'engloutissent : aussitôt, je les oublie”. (Jean-Paul Sartre, La
nausée, Gallimard, Paris, 1938).
Simone de Beauvoir |
Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir, 1948. |
Jean-Paul Sartre bambino |
M. Antonioni, Lo sguardo di Michelangelo, 2004 |
Aperitif amer Picon, Severo Pozzati art deco drinks poster poster 1920s |
“Quanto a me, io vivo solo,
completamente solo. Non parlo con nessuno, mai; non ricevo niente, non do
niente. L’Autodidatta non conta. Ci sarebbe Francesca, la padrona del «Ritrovo
dei ferrovieri». Ma le parlo forse? Qualche volta, dopo mangiato, quando ella
mi serve un gotto, le domando: - Avete tempo stasera? Lei non dice mai di no,
ed io la seguo in una delle grandi camere al primo piano, ch’ella affitta a ore
o alla giornata. Non la pago: facciamo l’amore alla pari. Lei vi prende piacere
(le occorre un uomo al giorno e ne ha molti oltre me) e io mi purgo così di certe malinconie di cui
conosco fin troppo bene la causa. Ma scambiamo appena qualche parola. A che
scopo? Ciascuno per sé; per lei; d’altronde, io resto anzitutto un cliente del
suo caffè. Togliendosi il vestito dice: - Dite, conoscete per caso un aperitivo
che si chiama Bricot? Perché ci son stati due clienti che me l’hanno chiesto,
questa settimana. La piccola non ne sapeva niente ed è venuta a dirmelo. Erano
viaggiatori, l’avranno bevuto a Parigi. Ma non mi piace comprare senza sapere.
Se non vi fa nulla tengo le calze. Una volta, ancora per molto tempo dopo che
m’ebbe lasciato, pensavo ad Anny. Adesso, non penso più a nessuno; non mi curo
nemmeno di cercare parole. Tutto scorre in me più o meno svelto, non fisso
nulla, lascio correre. La maggior parte del tempo, in mancanza di parole cui
attaccarsi, i miei pensieri restano nebulosi. Disegnano forme vaghe e
piacevoli, e poi sprofondano, e subito li dimentico”. (Jean-Paul Sartre, La nausea,
p. 17-18).
Closerie des Lilas - Interni |
Bal Masquè with Vladimir Emeralds |
Comme un galet sur la plage. Creation Laurence Girard, Marseille, 2013 |
L’educazione del piccolo
Jean-Paul è ora di pertinenza del nonno, mentre la madre diventa per lui una
sorta di sorella maggiore, il vecchio Charles
Schweitzer viziò moltissimo il nipote e non appena fu in grado di leggere
lo iniziò alla lettura dei numerosi libri presenti nella sua biblioteca; c’è da
dubitare che il bambino capisse molto di ciò che leggeva, impietosite da questa
situazione la mamma e la nonna gli regalavano libri di avventura come I figli del capitano Grant, L’ultimo dei mohicani, ecc., a lui più
consoni.
Il piccolo Sartre leggeva i libri
del nonno con solennità nella biblioteca, mentre quelli di avventura li legge
in una camera che chiama “bordello”, per non contaminare il sacro col profano;
il momento della lettura era ormai diventato per lui sacro, e più tardi scrisse
ne Le parole: “Avevo trovato la mia
religione; nulla mi parve più importante di un libro. La libreria, vi vedevo un
tempio” (Il Saggiatore, Milano, 1982, p. 40-41), che pare ricalcare le parole
di Simone quando dice: “M’immersi nella lettura come in altri tempi nella
preghiera. La letteratura prese nella mia vita il posto che vi aveva occupato
la religione, la invase interamente e la trasfigurò” (Memorie, p. 192).
Erano diventati i sacerdoti atei
di una nuova religione, la letteratura, in cui i libri erano i nuovi testi
sacri e la parola non era scritta una volta per tutte e proveniva da un essere
trascendente, ma veniva scritta di volta in volta da piccoli esseri immanenti,
paghi della loro libertà di essere, di scrivere e di pensare.
All’età di 10 anni il nonno decide
che è il momento per Jean-Paul di frequentare la scuola pubblica e lo iscrive all’Istituto Montaigne,
non senza prima aver magnificato al direttore la prodigiosa intelligenza
naturale del nipote in tutto; purtroppo la realtà era differente, Sartre non
aveva mai vergato componimenti scritti, aveva solo letto libri senza mai
discuterne con qualcuno se non con il nonno e senza altro scopo che quello di
sentirsi dire che era un genio di straordinaria versatilità.
Vengono alla superficie tutte le
lacune di una siffatta educazione, sia dal punto di vista didattico sia dal
punto di vista formativo, egli commetteva errori ortografici e semantici
inammissibili per un ragazzo della sua età, inoltre non riusciva a mettersi in
contatto con gli insegnanti e con i suoi coetanei, perché ricercava
insistentemente il riconoscimento e il tributo dovuto al suo genio.
Courtesy of Arthur Elgort Photo Arthur Elgort – Christy Turlington at La Coupole, Paris, British Vogue, 1988 |
La Coupole - Interni |
Operà - Paris - Soffitto dipinto da Marc Chagall |
Md Le Ponton, night-club di Montparnasse con Harry Cooper e i Rythm Aces, Parigi |
Risulta essere l’ultimo della sua
classe e il nonno, indignato, lo ritira dall’istituto e lo affida ad un
istitutore privato, Monsieur Liévin,
che Jean-Paul detestava: “perché si dimenticava di vezzeggiarmi” (Le parole, p. 54); nello stesso tempo in
lui si fa strada l’idea di essere un impostore, di non essere poi così
brillante, se non per suo nonno, e il fatto che la compiacenza degli adulti sia
in realtà pura farsa, anche quando ti esaltano o ti tengono in considerazione,
in realtà lo fanno solo per esaltarsi a loro volta o considerarsi tramite te
qualcosa di più elevato.
In realtà la scuola, da sempre,
ha i suoi metodi e i suoi contenuti, agli insegnanti di Jean-Paul non gliene
fregava niente della sua cultura acquisita nella biblioteca del nonno, che era
sicuramente superiore a quella di qualsiasi altro bambino, essa valuta in base
ai suoi programmi didattici e taglia fuori tutto il resto, sic et simpliciter.
Ti impone ciò che devi conoscere,
come lo devi conoscere, più in ombra il perché lo devi conoscere, ma
difficilmente qualche insegnante o qualche educatore va al di la di questo,
difficilmente qualcuno coglie ciò che esula dai “programmi didattici” e dal
modo di valutare la preparazione, l’intelligenza e la creatività non fanno
parte di alcun programma, non possono impartirtele, non possono valutarle,
dunque non esistono, e quando esistono sono un problema … se ne sei dotato si
prega di non insistere, non le vedranno e se le riproponi non vedranno più
nemmeno te.
Ammetto che è necessario
conoscere le corrette regole sintattiche e semantiche, che Jean-Paul avrebbe
dovuto stare a stretto contatto con i suoi coetanei, che sono in genere i suoi
più feroci interlocutori, invece di frequentare solo un nonno dispotico e
narcisista, ma nessuno intercettò allora le potenzialità del bambino e questo
lo riconsegnò al dispoticismo e all’arbitrio del nonno.
Chiunque frequentasse la
famiglia, in rispetto a quel nonno per cui Jean-Paul era “quanto ho di più
caro”, trovava il bambino persino bello e adorabile, e non c’era motivo per non
credere a questa lusinga, la madre Anne-Marie tentava invano di nascondere i
difetti fisici del figlio (una grave forma di exotropia, uno strabismo
divergente molto accentuato che portò ben presto Sartre alla completa cecità
dell’occhio destro, e a dei lineamenti del viso tutt’altro che regolari,
corredati da labbra da cernia, una dentatura orribile e da orecchie a sventola che
sembrava il Dumbo di Walt Disney) facendogli crescere i
capelli in candidi boccoli vagamente angelici e quasi femminei.
Se non ché il nonno Charles,
ribellandosi a questa decisione della figlia, lo portò a tagliarsi i capelli,
gridando: “Non voglio che mio nipote diventi un pappamolle!”; in realtà il
nipote da piccola meraviglia che era considerato, almeno in famiglia, divenne
dopo il taglio dei capelli un rospo, infatti ora che i capelli corti non
coprivano più i suoi difetti, fu più evidente a tutti la sua bruttezza.
Operà - Paris - Jean Baptiste Carpeaux |
Galatea e Aci, Fontana dei Medici nei Giardini del Lussemburgo a Parigi, sculture di Auguste Ottin, 1866 |
Ancora una volta furono i suoi
coetanei i suoi giudici più severi, per il suo aspetto fisico, per la sua
gracilità, gli altri bambini non legavano con lui, non lo invitavano a giocare
con loro, ma fu proprio il confronto con loro a salvarlo, l’iscrizione al liceo
Henri-IV, nel 1915, fu la sua
liberazione dall’impostura, dalla richiesta continua di gratificazione e
riconoscimento, dal dover essere un genio a tutti i costi.
Preso atto del suo gap culturale
e interpersonale verso i suoi coetanei, si lanciò a colmare le sue lacune e si
proiettò verso di loro in uno slancio inequivocabile: “Uomo tra uomini […].
Correvamo gridando sulla piazza del Panthéon, era un momento di grave felicità:
mi purgavo della commedia familiare; lungi dal voler brillare, facevo eco alle
risa, ripetevo le parole d’ordine e i frizzi, tacevo, obbedivo, imitavo i gesti
dei miei vicini, avevo una sola passione: integrarmi” (Le parole, p. 159).
L’idillio con i coetanei dura
appena due anni, perché nel 1917 Anne-Marie ottiene la tutela del figlio e si
risposa con Joseph Mancy, ingegnere
dell’esercito e compagno di coso del precedente marito; i tre si stabiliscono a
La Rochelle e Sartre viene iscritto al liceo locale; la combinazione fra
eleganza, debolezza e superbia non gli attira le simpatie dei compagni, odia
profondamente il patrigno e a lui imputa tutti i suoi disagi, è aggressivo,
collerico, diffidente, attaccabrighe, spiacevole, ha difficoltà a legare con
gli altri e la tendenza a sentirsi superiore, niente di strano allora che
diventi oggetto di attacchi di bullismo da parte dei suoi coetanei.
Sua madre è costretta a ritirarlo
dalla scuola, Sartre ritorna a Parigi e si iscrive di nuovo all’Henri IV, dove
conosce e diventa amico di Paul Nizan,
questo legame gli fornisce protezione, complicità, cameratismo; i due passano
insieme al liceo Louis-le-Grand e da
qui si preparano per l’ammissione alla prestigiosa ed elitaria École Normale Supérieure nel 1924.
È qui che conosce Raymond Aron e Georges Canguilhem, oltre a molti altri, ed è qui che diventa
attivo per molte iniziative, come la protesta di cui si fa capo contro la legge
Paul Boncoeur, che prevedeva che
venissero indirizzate ingenti risorse alla difesa nazionale, pubblica articoli
antimilitaristi e critica alcuni dei suoi professori.
Nel 1927 supera gli esami di
storia della filosofia e di psicologia, ed anche quello di morale, sociologia e
filosofia generale, ma clamorosamente viene bocciato all’esame finale di agrégation, l’abilitazione
all’insegnamento, perché la sua dissertazione in cui confronta Aristotele e Compte non viene valutata positivamente.
La sfera sessuale e sentimentale
di Sartre durante la sua adolescenza fu desolante, provava un intenso desiderio
per le donne e nello stesso tempo le temeva, temeva il loro giudizio; se,
infatti, era riuscito a conquistarsi il rispetto dei compagni maschi col
cameratismo, con l’intelligenza e con la sua generosità che lo accompagnerà
sempre nella vita (quando veniva bullizzato al La Rochelle spiazzò i bulletti
regalando loro un dolce che aveva acquistato con i suoi risparmi … questi,
interdetti dal gesto, smisero di molestarlo), con le ragazze non era
altrettanto semplice.
Intanto, il desiderio sessuale
metteva in gioco il corpo, e Jean-Paul non aveva un buon rapporto col suo
corpo, lo trovava orrendo e credeva di non poter piacere a nessuna donna, e
questo in un certo senso era vero, la ragazza adolescente sognava il principe
azzurro, bello, alto e aitante, tutto ciò che Sartre non era, diciamo che
essere brutto non gli facilitava i rapporti, ma non era la catastrofe che lui
temeva, anche se le ragazze erano più selettive e feroci dei ragazzi in fatto
di scelta.
[02-11-2017 - Questa parte l'ho riscritta, mi sono accorto dopo la pubblicazione che il testo precedente conteneva alcune inesattezze biografiche, e le ho corrette in base alle nuove informazioni acquisite].
[02-11-2017 - Questa parte l'ho riscritta, mi sono accorto dopo la pubblicazione che il testo precedente conteneva alcune inesattezze biografiche, e le ho corrette in base alle nuove informazioni acquisite].
Non parla molto dei suoi amori, con
certezza sappiamo soltanto di una certa signorina Peron, Simone de Beauvoir, che ha avuto modo di vederla, la
descrive con sufficienza e senza tanto entusiasmo, come una ragazza alta alta e
“scannolata”, come dalle mie parti apostroferebbero una ragazzona senza grazia
e di poca avvenenza, però era certamente attratta da Jean-Paul e gli piaceva
molto quell’aria da intellettuale sicuro di sé e che sfidava il mondo che a lui
piaceva ostentare.
Sartre ne era talmente innamorato
che chiese ufficialmente la mano ai suoi genitori, dei droghieri, i quali però
gliela rifiutarono appena seppero che era stato bocciato al concorso per la
libera docenza; al povero Jean-Paul non rimase altro da fare che versare
qualche lacrima per il suo amore infranto, prendersi una bella sbronza e
tentare di consolarsi come poteva.
Più intrigante, sicuramente, fu
la sua liaison con una certa Camille Simone
Jolivet, a cui dedicò il suo primo romanzo completo, Une défaite (una disfatta), che si ispirava al triangolo d’amore
fra Richard Wagner, la moglie Cosima e Friedrich Nietzsche, con Wagner marito
infedele che tende ad infilarsi fra le lenzuola di ogni donna che gli piace o
che lo compiace o che può essergli utile in qualche modo, Cosima nel ruolo di
sacerdotessa della musica, moglie e figlia di due eminenti musicisti (il suo
cognome da nubile era Listz) e moglie comprensiva, Nietzsche nel ruolo di
amante disperato che non trova nemmeno il coraggio per dichiarare il suo amore
all’amata, ma quando la tensione si fa insopportabile, rompe l’amicizia col
grande maestro di Bayreuth.
Si trattava di una ragazza
anticonformista, originale, spregiudicata, stravagante e parecchio disinibita; Jean-Paul era solo uno
dei tanti maschietti che Camille accoglieva nel suo letto, aspettava che sua
madre si accingesse ad andare a dormire, le dava il bacio della buona notte,
faceva passare un quarto d’ora perché prendesse sonno, poi la sorella adottiva
Zina apriva il portone di casa a Sartre (o all’amante di turno) e gli indicava
il via libera.
Simone de Beauvoir, che ebbe modo
di conoscerla, che sentiva il suo Jean-Paul parlarne con molto rispetto ed
ammirazione che era palese avvertire che ci tenesse ancora molto a lei, ne era
molto gelosa, anzi più precisamente invidiosa; tuttavia la descrive con questa
parole: “…ella aveva il fulgore di un’eroina da romanzo. Era bella: un’immensa
capigliatura bionda, occhi azzurri, una pelle finissima, un corpo allettante,
caviglie e polsi perfetti” (L’età forte,
p. 57).
[Fine correzione].
Se tu non l’avevi mai vista,
adesso con le parole di Simone, ti sembra di averla davanti agli occhi, se non
la conoscevi, ora la conosci, e se non la desideravi, ora la desideri; è
strano, molto strano, che una donna parli bene, che addirittura magnifichi
un’altra donna, per di più una rivale, è strano anche considerando il fatto che
lei e Sartre avevano costituito una coppia aperta, in cui teoricamente la
gelosia avrebbe dovuto essere abolita, è strano pure se pensiamo che parte di
questa ammirazione era in realtà desiderio, visto che Simone era bisessuale.
Tuttavia non è consueto che una
donna trovi perfetta un’altra donna, persino nei polsi e nelle caviglie,
pensate un po’, c’è qualche maschio che nota come sono davvero i polsi e le
caviglie di una donna? In tutta Italia saremo al massimo una decina a farlo! Anni
fa mi capitò di essere in spiaggia con una mia nuova conquista, una donna che
io ritenevo di straordinaria bellezza e che era molto corteggiata dai maschi.
Per caso mi notò una mia amica
che passeggiava sul bagnasciuga e si avvicinò, mentre la mia donna era in acqua
a farsi una nuotata, la mia amica commentò che era certamente carina, ma avevo
notato la smagliatura sulla pelle all’interno delle cosce? Mi ero accorto che
l’alluce era più lungo delle altre dita e non era perfettamente allineato? Il
viso non mi sembrava un po’ allungato invece di essere di un ovale perfetto? E
che dire del seno poi, decisamente troppo piccolo … se l’avessi lasciata
continuare invece di cambiare abilmente il discorso prospettandole un argomento
più allettante per lei, l’avrebbe massacrata di critiche.
Noi uomini non notiamo quasi
niente riguardo all’aspetto di altri uomini, anche quando sono nostri rivali,
uno potrebbe avere una proboscide per naso che ci apparirebbe del tutto
normale, notiamo di più se la donna che ci piace sembra apprezzarlo o meno, non
ciò che presumibilmente lei sembra apprezzare o disprezzare in lui.
Una donna noterebbe anche un
singolo pelo sfuggito al rasoio o alla ceretta, a distanza di un chilometro in
un’altra donna, pur senza essere rivali, anche quando non esprime disagio, vede
in un’altra donna sempre una possibile rivale, una con cui confrontarsi, e
questo succede anche con le amiche, alcune delle quali scelte più come alleate
che per un vero senso di amicizia, altre scelte solo perché dal confronto
continuo che fanno risultano vincitrici, un po’ come le damine del 700
sceglievano una scimmietta come animale di compagnia, per far risaltare di più
la loro bellezza, la loro grazia, la loro educazione e i loro modi civili in
paragone alla bestia.
A Camille piaceva recitare e
aveva ambizioni letterarie, aspirava ad avere un destino eccezionale e cercava
di conquistarselo attraverso la sua bellezza e il suo fascino coniugati ad una
indubbia intelligenza, ma soprattutto era determinata, spregiudicata e senza
scrupoli; era stata deflorata da un amico di famiglia che era ancora una
bambina, a diciotto anni lei e la sorellastra, messa a letto la madre, si
prostituivano in case di tolleranza e lavoravano in coppia.
Rive de la seine - Paris |
Paris Photo Peter Lindbergh Mathilde on the Eiffel Tower for Rolling Stone magazine, 1989 |
Operà - Lampadario e soffitto dipinto da Chagall |
Picon affiche |
Non era tanto la sua bellezza o
la sua abilità amatoria a farla amare dai suoi clienti, borghesi facoltosi e
alcune personalità, ma la sua raffinatezza, la sua superbia, il suo senso
scenico e il fatto che univa la cultura al sesso, mentre faceva l’amore, con i
lunghi capelli sciolti che le scendevano su tutto il corpo, leggeva brani di Nietzsche e Michelet.
Come Sartre, anche Camille era
atea, però adorava Lucifero, Barbablu, Pedro de Castiglia (detto El
cruel), Cesare Borgia, Luigi XI°, ma la divinità di gran lunga
più venerata era la sua stessa persona, per la quale pretendeva che chiunque le
si accostasse si inchinasse a riconoscerne la superiorità, persino la
sorellastra Zina si professava una sua schiava.
In età adulta, attrice teatrale
di un certo successo, le piaceva stupire i suoi amici e conoscenti dando delle
fantasiose feste in costume medioevale o rinascimentale o ispirate ad
autentiche orge romane, in cui lei indossava una parrucca e un peplo, stava
adagiata su un triclinio, con patrizia decadenza, mentre Zina era accucciata ai
suoi piedi.
Quando Camille conobbe Sartre lei
aveva 22 anni, lui 19, e fu in occasione del funerale di una cugina comune in
un paese del Périgord; Jean-Paul vestito di nero e con in testa il cappello
appartenente al patrigno che gli era grande e gli scendeva fino agli occhi,
dovette apparirle di “una bruttezza aggressiva” (L’età forte, p. 58) come scrisse la De Beauvoir.
I suoi occhi si posarono su di
lui, sul suo vestito nero, sul suo ampio cappello, sull’aria annoiata e sulla
sua bruttezza aggressiva e se ne innamorò all’istante, si disse: “È Mirabeau”,
cioè Honoré Gabriel Riqueti conte di
Mirabeau, scrittore, diplomatico, rivoluzionario, agente segreto e uomo
politico francese vissuto nel XVIII° secolo, noto per la sua “bruttezza
grandiosa e folgorante” e per la sua vita dissoluta.
Camille attrasse Sartre per la
sua bellezza e per la sua follia, fuggirono all’istante insieme facendo perdere
le loro tracce, rientrarono solo quattro giorni dopo richiamati dalle famiglie
in pena e perché avevano finito i soldi, ma continuarono a vedersi, Sartre
appena poteva e racimolava un po’ di soldi andava a trovarla a Tolosa, in
stretta economia, passando le sue notti nel letto di lei e i suoi giorni ai
giardinetti o in qualche pensione economica.
Byrrh cocktail |
Sono libero ora. E non ho alcuna ragione per vivere |
Simone de Beauvoir and Jean-Paul Sartre crossing Place Saint-Germain-des-Prés, Paris, mid 1950s. Photo René Saint Paul. |
Simone de Beauvoir |
Camille era sempre più esigente a
letto e Jean-Paul era l’uomo meno indicato per soddisfarla, meno male che c’era
Nietzsche, con la lettura di cui lei si consolava nelle notti in cui lui era
esausto; per il resto lui la incoraggiava a puntare sul suo talento e sulla sua
intelligenza, a coltivare ambizioni letterarie, dicendosi disponibile ad
aiutarla e leggendo i testi che lei scriveva e gli sottoponeva nel giudizio dei
quali lui dosava verità ed indulgenza.
Lei era esuberante ed eccessiva
in tutto, Sartre lavorava e faceva debiti enormi per poterla ricevere
degnamente, ma niente era mai abbastanza, nessun essere vivente le sembrava
alla sua altezza, gli unici che lo fossero erano morti: Nietzsche, Dürer ed Emily Brönte; ingaggiavano ardenti e
laceranti litigi seguiti da appassionate e focose riconciliazioni e da
repentini abbandoni da parte di lei, che del resto non nascondeva a Sartre di
essere la mantenuta di un attempato signore che la ricopriva di regali, che lei
chiamava l’ “amante illuminato”, perché sapeva apprezzare le belle arti.
Si era invaghita poi di Charles Dullin, attore e regista
teatrale, e lo aveva corteggiato così insistentemente che lui ne era diventato
l’amante, un amante a cui Camille era infedele, come con tutti gli altri, ma
Dullin non se ne curava perché viveva con la moglie. La relazione con Dullin
però ne aveva affinato il gusto e i modi, tramite lui aveva strusciato il Tout-Paris e aveva avuto modo di
osservare gli uomini più galanti e le signore più raffinate di Francia.
Nonostante questo in lei
prevaleva la sregolatezza, era particolarmente intrattabile a teatro, non
voleva recitare le parti di donne in cui non si riconosceva, solo quelle che le
aggradavano, tanto che stava seriamente pensando di scrivere personalmente i
testi da interpretare, avrebbe preferito storie demoniache, d’altronde era la
più affezionata seguace di Lucifero,
a cui manifestava una particolare devozione, molto più che agli uomini che
gravitavano nella sua vita.
Poteva alternare a teatro delle
interpretazioni passabili, anche se un po’ enfatiche, ad interpretazioni
terribili, in cui creava il caos in scena; una volta che era completamente
ubriaca aveva strappato la parrucca al primo attore, e un’altra volta era
uscita di scena a quattro zampe mostrando le sottane e facendo ridere tutti gli
spettatori.
Anche la vita privata di Camille
era sregolata, una sera ad esempio lei e la sorellastra Zina rimorchiarono due
magnaccia e se li portarono a casa, questi si portarono via la biancheria e l’argenteria,
restituendo dei calci alle due donne quando tentarono di impedirlo o di
protestare; tutto ciò ormai divertiva Sartre, che era intenzionato a rimanere
amico della donna, senza più lasciarsi coinvolgere dalla passione con lei.
Intellettivamente Sartre le era
infinitamente superiore, non poteva essere soddisfatto dal dialogo con una
donna vuota e capricciosa che ostentava improbabili amori, competenze e
ambizioni letterarie, per tutto il resto semplicemente egli non riusciva a
starle dietro né a letto, né emotivamente perché ciò significava lasciarsi
coinvolgere in continui ed estenuanti litigi seguiti da riconciliazioni in cui
lei pretendeva dall’amante passione, fuoco, fiamme e sangue che il povero
Jean-Paul non avrebbe mai saputo darle nemmeno se avesse mangiato gli spinaci
di Braccio di Ferro o le noccioline
di Super Pippo.
Sartre si distaccò da lei per
prima cosa sessualmente, perché stava rischiando un esaurimento fisico, dopo
emotivamente, perché rischiava l’esaurimento mentale, e infine fisicamente
accettando di sostituire per quell’anno e per il successivo alla cattedra il
professore di filosofia dell’università di Le Havre che si era ammalato (guarda
un po’ il caso) proprio di esaurimento nervoso; aveva fatto richiesta come
lettore in Giappone, voleva dare una svolta totale alla sua vita, ma al suo
posto avevano nominato un altro, Le Havre allora andava benissimo, dovendo
rimanere in Francia, preferiva non allontanarsi molto da Parigi.
Certo, rimanere orfano a 15 mesi dalla nascita è dura. Ma è stato un grande pensatore che ha lasciato molto alle generazioni della sua epoca e oltre. Ha vissuto in un epoca molto difficile dando il meglio di sé...che si vuole di più? Poi c'erano Charles Trenet e dopo gli esistenzialisti (altre persone che mi sono sempre piaciute sono Juliette Greco, Jean Cocteau, Gérard Philippe, Yves Montand) oppure Simenon che non mi stanco mai a leggere i suoi libri su Maigret. Forte quando scrivi "Meno male che c'era Nietzsche" e grande scelta Marvin Gaye. Bel post e un salutone, alla prossima
RispondiEliminaMi sto rendendo conto che per diversi decenni a Parigi c'erano tutti i più grandi artisti, i più grandi filosofi, i migliori letterati del mondo; si creava arte, pensiero, cultura, moda, filosofia di vita, si insegnava l'arte del saper vivere e stare al mondo.
EliminaNon si trattava solo di francesi, c'erano persone da ogni parte d'Europa, dalla Russia, dagli Stati Uniti, dal Sudamerica, dall'Africa ... era un po' ciò che è diventata New York, solo infinitamente più bella e più ricca di storia e di cultura. Le due guerre mondiali hanno ferito a morte l'Europa e quasi ucciso Parigi; oggi, come già Roma, Venezia, Madrid, Siviglia, Aquisgrana, ..., Parigi vive del ricordo di ciò che era, e del rammarico di ciò che non sarà. Si, Nietzsche ha salvato molte persone in corner, ma solo se la donna era una estimatrice ed era comprensiva :-)
Ciao, grazie a te.
Ciao Garbo... una miniera di informazioni che non conoscevo.Utilissime per ridimensionare personaggi che ci vengono descritti spesso solo per gli aspetti legati al loro lavoro artistico. A presto :-) SPECCHIO
RispondiEliminaNon è mia intenzione ridimensionarli, solo renderli più umani, e se riesco anche più umanamente accessibili. Al di la del mio intento con questa serie di post, che è quello di parlare della memoria e del desiderio attraverso il loro esempio di vita, ciò che mi piacerebbe molto è che qualcuno che mi legge, fosse stimolato ad andare in libreria a prendersi La nausea di Sarte o Le memorie di una ragazza perbene della de Beauvoir.
EliminaCiao
Ciao Benedetta,
RispondiEliminabenvenuta in questo blog, appena posso faccio un salto da te per conoscerti.
Un saluto
Molti "personaggi" hanno lacune nella vita privata; sregolata è dir poco.
RispondiEliminaGenio e sregolatezza!
Anche il mio idolo, Albert, ne ha fatte di cotte e di crude e non ha certo vissuto una vita tranquilla negli affetti.
Io mi limito ad "osservarli" nella loro specificità di uomini e donne di ingegno.
Ciao Garbo da luigi, uomo comune alias della strada.
Ciascuno di noi è poliedrico a ben guardare, siamo agitati da impulsi che vanno in una certa direzione e anche da quelli che vanno in direzione opposta, la condotta di chiunque non è mai perfettamente lineare e coerente e questo vale a maggior ragione per il genio, ma non perché il genio è più sregolato di ciascuno di noi, ma perché nel genio o ci attendiamo di più una certa “dannazione”, oppure l’immagine che ci facciamo di lui è così candida, che qualsiasi macchia sulla sua reputazione diventa più visibile.
EliminaNon è possibile, a mio parere, comprendere una opera d’arte, una legge fisica, un teorema geometrico, una scoperta scientifica, a fondo, senza indagare sulla vita dell’autore e sulle circostanze della creazione, della formulazione o della scoperta; ogni atto mentale ha le sue motivazioni coscienti e quelle inconsce, e questo vale anche per scienziati, artisti e letterati.
Ciao “uomo della strada” Luigi :-)
Più che d'accordo; senza "fame" e dolore non si scrivono e si producono opere d'arte e dell'ingegno.
EliminaHo avuto sentore di pochi scrittori o pittori felici, per citarne alcuni dei geni, soddisfatti della vita, in linea con la media sociale, ecc..., che hanno raggiunto l'immortalità.
Ciao da luigi
Se mi avessero insegnato così filosofia a scuola.... Partendo dal percorso di vita, dalle esperienze che hanno maturato il pensiero di un filosofo. Entrare nella sua pelle illuminarsi della luce del suo pensiero.. Anche lo studente meno portato non potrebbe fare a meno di interessarsi con un approccio del genere.
RispondiEliminaFlaiano scriveva che ancora negli anni '50 era possibile sedere ad un cafè a scrivere, leggere, pensare, anche per un pomeriggio intero senza che nessuno ti disturbasse; che era molto piacevole e c'era sempre qualcuno con cui discutere di letteratura, arte, politica. A dispetto di tutta la tecnologia sarebbe un sogno poter sedere ad uno di quei tavolini.
Avevo già visto il film di Antonioni, molto suggestivo.
Trovo che la foto degli occhi del ragno abbiano una certa simpatica somiglianza con alcune foto di Sartre.
Mi piacerebbe sapere perchè l'hai scelta.
Ciao e buon novembre
Ho sempre avuto una certa facilità nel trasformare i discorsi teorici più farraginosi in discorsi più comprensibili, più a parole che con lo scritto; Flaiano è il genio italiano dell’aforisma, in una breve frasetta ti condensa in maniera ironica esemplare tutto un mondo, e quando la rileggi ti accorgi che non occorre aggiungere altro e niente è superfluo … in poche parole, ti stupisce e ti fa riflettere sugli eventi come pochi, io non ho il suo dono della sintesi purtroppo.
EliminaI caffè sono nati per questo motivo, ci si incontrava tutti quanti, ci si stazionava per ore e finivi per vedere proprio tutti, per chi voleva emergere, essere notato o confrontarsi con gli altri, era necessario frequentarli; c’erano città che attiravano artisti, scienziati e letterati, e caffè in cui prediligevano ritrovarsi quando non lavoravano.
In genere i caffè erano più riscaldati e meno malsani della propria abitazione, con pochi spiccioli ci passavi l’intera giornata, ci lavoravi, erano il tuo ufficio e la concierge, ci pranzavi, c’era la toilette, alcuni ci si lavavano pure, trovavi informazioni, divertimento, compagnia, occasione di fare conoscenza, sesso e persino amore; ora un bar è fatto in modo tale che ingurgiti in fretta il tuo caffè, la tua brioche, che mangi velocemente il tuo tramezzino, ti siedi il meno possibile su panche scomode, lavorarci non è proprio possibile se no il cameriere ti incalza a consumare.
Le nostre case sono meglio riscaldate e più confortevoli, non abbiamo più bisogno di andare a Parigi o a New York per informarci sugli sviluppi della nostra arte o della nostra disciplina, manteniamo al minimo il contatto reale con l’altro e, ovviamente, l’arte, la letteratura, la scienza sono cambiate e siamo cambiati noi stessi e il nostro modo di stare insieme.
Io quando posso cerco di avere un contatto reale con le persone, mi trovo a disagio nel mondo virtuale e piacerebbe anche a me sedere su uno di quei tavolini a chiacchierare per ore, ma il mondo sta cambiando, nemmeno a Vienna, a Trieste, a Roma o a Parigi trovi più quei caffè con quelle modalità di allora; nemmeno nella mia Sicilia, popolo di filosofi peripatetici, dove tutto diventa discussione filosofica infinita, è più possibile rilassarti in qualche locale e passarvi una serata in buona compagnia, senza che ci sia gente che ti guarda aspettando che tu liberi il tuo tavolo.
Si, il ragno mi ha fatto pensare a Sarte, e non solo per il suo strabismo, non era mio intento irriderlo per questo, anzi, volevo sottolineare la sua visuale più ampia rispetto a quella dell’uomo comune, le immagini sono quasi tutte un susseguirsi di sguardi: lo sguardo assorto, quello di concupiscenza, quello rivolto chissà dove, al mondo che lasci, quello divertito, lo sguardo del Mosè di Michelangelo e quello di Michelangelo Antonioni, lo sguardo innocente di un bambino, lo sguardo mascherato, lo sguardo sul mare quando ti poni al livello della sua stessa superficie, quello in tralice, il vis a vis acrobatico, lo sguardo verso l’alto, verso le cose aeree ed astrali, lo sguardo d’amore e di desiderio, lo sguardo ai tuoi estremi, lo sguardo al bello, quello indeciso, quello dall’alto, quello al futuro e quello al passato, quello in cerca di rassicurazione, a quello che mangi, al gesto, al fondo del bicchiere o a qualcuno oltre il bicchiere, lo sguardo di chi si è accorto che lo guardi, e quello alla rotondità delle sfere, che sono quanto di più bello ci è dato di vedere.
Spero di aver esaudito adeguatamente la tua curiosità, ciao e buon novembre anche a te :-)
Grazie
RispondiElimina:-)