Immagine di Alberto Ghizzi Panizza |
"I poeti, amore mio, sono
degli uomini orribili,
dei mostri di solitudine, evitali
sempre, a cominciare da me.
I poeti, amore mio, sono
da leggere. Ma non fare caso
a quel che fanno nelle loro vite."
(Raúl Gómez Jattin, I poeti, amore mio).
“…durando in esso dopo la lettura quel vivo contrasto di passioni e di sentimenti, quella mescolanza di dolore e di gioia e d’altri similmente contrarii affetti che dà sommo risalto agli uni e agli altri, e ne moltiplica le forze, e cagiona nell’animo de’ lettori una tempesta, un impeto, un quasi gorgogliamento di passioni che lascia durevoli vestigi di sé, e in cui principalmente consiste il diletto che si riceve dalla poesia, la quale ci dee sommamente muovere e agitare e non già lasciare l’animo nostro in riposo e in calma”.
(Giacomo Leopardi, Zibaldone II, 3139).
“Se Maometto non va alla montagna … andrà al mare”.
(Garbo, Mogli e buoi dei paesi tuoi, Aiutiamoli a casa loro Editore, Ponte di Legno, 2015).
Le parole, il suono delle parole, illude, incanta, irretisce, cattura le donne, ma le parole sono altro dalla realtà, di cui vorrebbero essere rappresentazione, segno, simbolo, ma non sapendo cosa sia la realtà, non potendo conoscerla, le parole rimangono parole, che non hanno alcun rapporto con la realtà, anzi che spesso non ambiscono nemmeno ad essere alcunché di reale, ma che per questo non sono meno reali della realtà stessa.
Perché noi viviamo in un mondo di significanti, cioè di segni e di simboli che crediamo si riferiscano a qualcosa di realmente esistente, mentre in realtà spesso si riferiscono solo ad altri significanti e creano un reticolo artificiale di senso in cui noi siamo immersi e che crediamo reale mentre nel migliore dei casi è un’invenzione collettiva condivisa di cui, quando ci sorge qualche dubbio, chiediamo con angoscia conferma a qualcun altro sulla sua veridicità.
Le parole sono le menzogne necessarie che incartano una verità, perché la verità è scomoda ed è rivoluzionaria (cristianesimo e comunismo hanno creduto e credono fermamente in questo, solo che hanno lottato fino alla morte perché ciascuno possedeva la sua verità e questa verità era assoluta e non ammetteva altre verità altrettanto assolute), oppure sono quelle verità che incartano una menzogna, quelle cose che ti sembra quasi di possedere e di toccare con mano, finché non ti accorgi che sono solo illusioni, paraeidolie, ombre cinesi che sembrano persone vere.
O ancora, sono verità che contengono altre verità, come delle matrioske, delle scatole cinesi (questo accade “nel migliore dei mondi possibili” o nella filosofia hegeliana, dove: “Tutto ciò che è razionale è reale”) , o menzogne che nascondono menzogne (allora se tutto è menzogna, non esiste più la menzogna … né la verità).
Inserito il 15-05-2015, ore 23.45.
Inserito il 15-05-2015, ore 23.45.
Le parole … le parole
bisognerebbe ascoltarle di notte, quando tutto tace, quando il frastuono del
mondo è spento, quando si odono solo i grilli per i campi e i sospiri degli
innamorati, quando bisogna camminare in punta di piedi per non svegliare i
sognatori e stare attenti a come ci muoviamo perché potremmo infrangere un
sogno, ridurlo in frantumi come rocca di
cristallo, un sogno che è il desiderio inconfessabile e inesprimibile di un
essere umano e, forse, la sua unica consolazione al peso della vita.
Nessun dorma, dunque, e tu pure,
o principessa, nella tua fredda stanza guardi le stelle che tremano d’amore e
di speranza …
Le parole non dobbiamo ascoltarle
solo con la testa, sforzandoci di capire dove ci vogliono portare, le parole
capite, rappresentate, razionalizzate possono sembrarci grandiose, ma non hanno
sostanza, non riescono a nutrire la nostra fame che ha bisogno di essenza.
Le parole vanno trasformate in
musica e ascoltate col cuore, bisogna seguirne ogni minimo impulso, bisogna
essere tesi ed elastici come corda di viola che vibra ad ogni passaggio dell’archetto
o di arpa che vibra al minimo tocco delle dita; dobbiamo lasciarvele riposare,
macerare a lungo finché non possiamo dire: “Conosco questa musica e conosco
questa fonte. Suonala ancora!” … perché “ancora” è la parola più specifica che
tradisce l’amore: “Ancora è il nome proprio della faglia da cui nell’Altro
parte la domanda d’amore” (Jacques Lacan,
Il Seminario, Libro XX, Ancora 1972-1973).
Tu che adesso mi stai leggendo, ascolti
il tuo cuore, ti accorgi di averlo?
Perché il cuore non ti dice, come la testa, ciò che sta accadendo fuori di te,
ma ciò che ti suscita quello che accade fuori di te … il cuore parla di te; ma
il cuore è un semplice sismografo, registra le scosse telluriche delle tue
emozioni, puoi fidarti di lui?
Se vuoi sapere ciò che provi
certamente si, non se vuoi sapere dove andare o cosa fare, per questo il cuore
da solo non basta; il cuore è ballerino, oggi ti regala questa emozione, domani
quest’altra, se tu lo seguissi ti porterebbe ovunque e in nessun luogo.
Per molti anni abbiamo pensato
che ciò che sente il cuore fosse più vero e più autentico di ciò che sente la
testa, da molto tempo crediamo che sia meglio andare dove ci porta il cuore;
non facciamo altro che seguire quelle che ci sembrano le sue indicazioni,
persino gli esperti ci consigliano di farci guidare da quest’organo e pensano
che le strade che esso ci suggerisce siano da incoraggiare, la soluzione che
stavamo cercando, la risposta alla sofferenza e all’immobilità.
Possiamo dire che tutta la
letteratura romantica degli ultimi due secoli si basa su questo caposaldo e ci
hanno scritto persino dei libri dal titolo molto esplicito: nel 1972 Jean-Marie
Déchanet scrisse Va où ton cœur te mène e nel 1994 Susanna Tamaro pubblicò Va
dove ti porta il cuore … perché non il fegato che gli antichi consideravano la
sede dell’anima? O la ghiandola pineale che ha creato molte ipotesi e molte
perplessità ai filosofi più recenti e ai primi anatomisti? E perché, ancora,
non il sangue (che i testimoni di Geova ritengono sede dell’anima immortale,
tanto che ogni trasfusione sarebbe un sacrilegio), o le ovaie, o i testicoli? O
il clitoride (come scrisse Daniele Luttazzi)?
Non esiste una sede dove le cose
sono più vere, più reali, dove le parole parlano di me; ogni organo sia un
coro, la musica che ne proviene sia polifonica, il passaggio da ciò che accade
fuori di me, dalle parole che mi portano il mondo esterno ai sentimenti e ai
pensieri che mi recano quello interno, avvenga all’interno di un soggetto e non
nel vuoto, qui noi possiamo decidere e trasformare ogni “Io devo!” in “Io
voglio!” … ancora … encore … en-core, mentre l’amore suonerebbe l’amour … l’amur
… l’a-mur … e spesso questo è … un muro.
Fine dell'inserimento.
Per una donna non esiste l’affetto allo stato puro, esso è frutto di una fusione fredda, della distillazione dei vapori di mercurio con l’apparecchio di Weinhold, che illuminano e non riscaldano, della trasformazioni dei ritmi meccanici e sincopati del cuore, della peristalsi degli organi interni, della contrazione e lubrificazione degli epiteli sessuali, dell’attività elettrica e biochimica dei neuroni cerebrali, in lettere, sillabe, parole o, meglio ancora, in figure retoriche, in trionfi di metafore e metonimie … perché il cuore delle donne è un tropo.
E non va certo meglio per gli
uomini, che puntano sulla concretezza del corpo, cercando di appropriarsene a
partire dallo sguardo, poi con le mani, accarezzandolo, lambendolo, palpandolo,
strizzandolo, brandendolo, artigliandolo,
tastandolo a piene mani, poi possedendolo, come se il dentro fosse più
vero e più reale del fuori.
Ma il corpo è pura superficie, è
sempre superficie, non importa quanto lo conosci, quanto lo spogli, quanto lo
tasti, quanto lo penetri, quanto (se tu fossi un chirurgo, un medico lagale o
serial killer) lo sezioni, il bambino spoglia e persino smembra la bambola
nella speranza di coglierne l’essenza, ma si trova fra le mani solo una bambola
rotta, plastica fuori e plastica dentro, ogni volta hai a che fare in ogni caso
con una superficie, visibile o invisibile, tastabile o immaginabile,
conoscibile o inconoscibile ma rappresentabile a partire dal conosciuto, il
corpo non ha anima, non ha sostanza, non ha profondità, esso è una capsula
bulbosa costituita da strati concentrici, come una cipolla.
Credere che potendo disporre del
corpo disponi della persona è un inganno, una ricompensa che nessuno ti ha
promesso, una risposta a nessuna domanda, una illusione che si perpetua per
tutta una vita, rinnovando gli stessi gesti, o cambiandoli come suggeriscono
molte discipline orientali occidentalizzate apposta per noi, come le posizioni
del kamasutra o le regole del tantrismo o gli esercizi yoga. Oppure,
semplicemente, cambiando corpo, in attesa di quello giusto, quello che
squarcerà il velo di Maya e ti aprirà
le porte della conoscenza, o del piacere o della vera essenza, o della
beatitudine eterna.
Quando ci stancammo di parole e
di corpi, allora noi uomini e donne, insieme, creammo l’anima e dio, da qualche
parte c’è un’essenza impalpabile, eterea, spirituale, che appartiene a dio e che si libererà un giorno
(con la morte) dell’involucro corporeo che la avvolge e delle parole, e che ritornerà, nell'aldilà, alla sostanza divina a cui appartiene, ritornerà a guardare dio in modo diretto, “facie ad faciem”
come scrive Paolo di Tarso nella
lettera ai Corinzi (I, 13, 12).
Ma l’anima è un concetto, una
promessa, una nuvola inspiegabile e inesperibile, così per darle sostanza si ritorna al corpo e per darle immagine e pensiero si ritorna alle parole in un circolo infinito come un nastro
di Moebius, dove tutto si fonde e corpo e parole servono a dare l’idea
dell’anima e l’anima appetibilità e senso al corpo e alle parole, in un giro
virtuoso o vizioso, in cui: “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso
Dio, e il Verbo era Dio” (Giovanni,
1,1), oppure: “Quando la certezza di essere ogni realtà si è elevata a verità,
allora la ragione è spirito, ed è consapevole di se stessa come del proprio
mondo, e del mondo come di se stessa” (Georg
Wilhelm Friedrich Hegel, Fenomenologia
dello spirito. VI Lo spirito,
Bompiani, p. 589).
Pensate a quanto sarebbe tutto
più semplice se azzerassimo tutta la cultura, tutta la civiltà, tutto lo
sviluppo umano, il percorso dall’ominide all’australopithecus, dall’homo
erectus all’homo sapiens, e ci comportassimo come i nostri lontani antenati di
20 milioni di anni fa che tendevano un agguato alla femmina e, mentre questa si
abbeverava in una pozza d’acqua … sbranggg … una clavata in testa, la
tramortivano e poi la trascinavano per i capelli nella loro grotta, nella loro
capanna o nella loro palafitta.
Come dite? È una ricostruzione
troppo maschilista dei rapporti fra uomini e donne della preistoria? Può darsi,
è anzi possibile che, al contrario, erano le donne a tendere agguati agli
uomini (come succede adesso), mentre questi si abbeveravano in una pozza d’acqua ...sbranggg … una
clavata in testa, lo tramortivano e poi lo trascinavano per i … per il …
insomma, lasciamo perdere per cosa … e lo portavano nella loro grotta, capanna
o palafitta … è un vero peccato che dio ci abbia creati a sua immagine e
somiglianza e si sia dimenticato di fornirci del trolley.
"Cantava:
life can be short or
long
sento un rumore di
swing provenire dal Neolitico,
it depends
dall'Olocene.
where you go at night
Sento il suono di un
violino
alone and walking
alone through the grey Sunday streets
e mi circondano
l'alba
looking for someone
e il mattino.
the place was clean
well lit
Chissà com'erano
allora
I went in and I said
(I suppose I said)
il Rio delle Amazzoni
whisky please
ed Alessandria la
grande
the place was clean
well lit
e le preghiere e
l'amore?
two men in a corner
were waiting
chissà com'era il
colore?
I saw it from their
hands
You look at the hands
not at the face
if you want to stay
out of trouble
Mi lambivano suoni
che coprirono rabbie e vendette
di uomini con clave
ma anche battaglie e massacri
di uomini civili.
looking for someone
L'Uomo Neozoico
where you go at night
dell'Era Quaternaria".
(Franco Battiato, Strani
giorni, in L’imboscata, 1996).
Poi, quando diventammo agricoltori
e stanziali, nessuno più si avventurava ad abbeverarsi nelle pozze d’acqua,
rischiando di essere aggrediti dalle belve feroci, dai predatori naturali e
dalle clavate clandestine che potevano giungerti sul cranio se eri appetibile o
anche soltanto passabile; l’agricoltura anche se non portò inizialmente
all’acqua potabile in casa, alla costruzione di acquedotti, al problema della
scelta dei sanitari del bagno, della rubinetteria firmata e alla scelta della
Jacuzzi, avvicinò comunque le persone ai corsi d’acqua, deviò fiumi e ruscelli,
costruì pozzi a cui si poteva attingere senza rischio.
Questo significò la fine dei
rapimenti “per amore”, delle “fuitine”,
tranne che per qualche zona interna della Sicilia e della Calabria, dove pare
che abbiano mantenuto questa pratica solo per tenersi in esercizio e per
permettere a Pietro Germi di girare
il film Sedotta e abbandonata, con Stefania Sandrelli.
Con l’agricoltura si insediò
l’operazione commerciale chiamata “baratto”, io voglio questa cosa che tu hai e
in cambio ti do questa cosa che io ho, dopo la scena biblica in cui Adamo da un nome a tutti gli animali, Eva compresa,(Genesi, 2, 18-25), cosa che pare gli avrebbe conferito il dominio
sulle cose che denominò (moglie compresa); un altro Adamo, molto tempo dopo,
diede un prezzo ad ogni cosa, inclusi, animali, donne e se stesso.
Fu così che chi voleva prendere
moglie si informava sul prezzo, modello base o accessoriata, siamo già in una
società spiccatamente maschilista, perché ogni società di agricoltori lo fu,
solo un maschio poteva lavorare la terra come un bue per raccogliere a malapena
di che sostentarsi, mentre le società di cacciatori & raccoglitori (quelle
delle clavate) erano più paritarie.
Ma qui nacquero i primi problemi,
eri Romeo e volevi sposare Giulietta? Il prezzo del mercato era di due cavalli,
o due cammelli, o due buoi, o due bufali (se ti trovavi in Campania), o due
maiali (in Emilia), o due pterodattili se ti trovavi a Jurassic Park? Ebbene,
Giulietta faceva la ritrosa: “Soltanto due cavalli? E io che pensavo di valere
minimo quanto una porsche! Ma se
Caterina, la figlia della signora Maria, ha ricevuto due buoi e due conigli …
io non mi schiodo da qui se quello non porta almeno due cavalli, due galline e
mezzo litro di vino rosso”.
Poi arrivò il romanticismo a
complicare enormemente tutta la faccenda, non bastava che un povero disgraziato
dovesse procurarsi ed allevare bestiame per comprare una moglie e talvolta
lavorare come schiavo per il suocero per un certo numero di anni, prima di lavorare
come schiavo per la moglie per il resto della sua vita, come accadde a Giacobbe (Genesi, 29) che dovette lavorare per il suocero/zio Labano per 14 anni per poter sposare Rachele, anche se allo scadere del
tagliando dei 7 anni gli danno come premio Lia,
la sorella maggiore, era proprio necessario introdurre l’amore nei rapporti fra
uomo e donna?
Come potrete constatare
guardandovi un po’ intorno, fu una follia dire che da oggi in poi ci si sposa
per amore e non per randellate o per acquisto o per usucapione, già non ci si
raccapezzava in questo modo, fu davvero una debolezza imperdonabile affidare il
rapporto fra due persone, la formazione di una famiglia e l’allevamento dei
figli a cose tanto effimere e supercalifragilistichespiralidosi come i sentimenti
… diciamo la verità, ce la siamo proprio andata a cercare, come quando
mangiammo il frutto della conoscenza del bene e del male e fummo cacciati dal
paradiso terrestre … e nacquero i primi stilisti, per la necessità che si aveva
allora di coprire le nostre pudenda che ci recavano vergogna (Genesi, 3).
Poi giunse il femminismo a dare
il colpo di grazia ad ogni rapporto possibile fra l’uomo e la donna, la donna
emancipata pretese di fare tutti i lavori che prima facevano soltanto gli
uomini: il medico, l’avvocato, il notaio, l’idraulico, il muratore, attaccare
un quadro al muro, un lampadario al soffitto collegando i fili in modo giusto,
riparare il tubo del lavandino, cambiare una gomma, portar fuori la spazzatura
… e questo era giusto, l’uomo lo approvò (pur con qualche perplessità) e
persino Dio dall’alto dei cieli vide che ciò era buono e giusto e diede la sua
benedizione.
Ma la donna emancipata pretese
pure che l’uomo lavasse i piatti, stirasse, passasse il mocio sul pavimento,
stendesse le mollette sulla biancheria, si depilasse le gambe, e facesse la
pipì seduto sul water, e quando l’uomo si acconciò a fare tutte queste cose per
farla contenta, lei si accorse che non provava più per lui nessuna attrazione,
nessun desiderio, tale e quale ciò che provava per la sua amica Genoveffa … e
scappò con un camionista peloso e tatuato di nome Rocco.
Oggi, archiviato l’uomo di Neanderthal e la sua clava, reso demodé il matrimonio d’interesse e la compravendita delle donne (e pure proverbi del tipo donne e buoi dei paesi tuoi, come se le prime e i secondi termini di paragone fossero equivalenti … l’uomo prendeva moglie così come comprava un bue), rottamata la donna emancipata e il femminismo, ci affidiamo sempre di più alla lotteria della rete, a facebook, a twitter, a meetic, ai blog, a tumblr ….
Ma con lo stesso successo potremmo confidare anche sull’estrazione per sorteggio, sull’uso di complicati algoritmi concepiti dalla mente di un folle, sulla Cabala, o sul Pentacolo di Salomone per scegliere l'anima gemella.
Antonio Berté ciclo di dipinti dedicati a Giacomo Leopardi |
Questa è l’evoluzione dell’uomo,
così come è teorizzata da Charles Darwin
e, prima di lui da Giacomo Leopardi,
che scrisse:
“Congetture sopra una futura
civilizzazione dei bruti, e massime di qualche specie, come delle scimmie, da
operarsi dagli uomini a lungo andare, come si vede che gli uomini civili hanno
incivilito molte nazioni o barbare o selvagge, certo non meno feroci, e forse
meno ingegnose delle scimmie, specialmente di alcune specie di esse; e che
insomma la civilizzazione tende naturalmente a propagarsi, e a far sempre nuove
conquiste, e non può stare ferma, né contenersi dentro alcun termine, massime
in quanto all’estensione, e finché vi siano creature civilizzabili, e
associabili al gran corpo della civilizzazione, alla grande alleanza degli esseri
intelligenti contro alla natura, e contro alle cose non intelligenti”. (Zibaldone, II, 4280-4281).
Leopardi credeva che la
civilizzazione, la razionalità e l’intelligenza, come un’onda d’urto, avrebbero
travolto la natura (considerata irrazionale e fonte di sofferenza) e la
barbarie, anzi in gran parte ciò stava già accadendo, dappertutto tranne che in Padania (non trovate che l'esistenza stessa di Matteo Salvini sia la sublime confutazione ad ogni discorso evoluzionista e progressista?) e a
Napoli, l’unica città che odiò e amò con la stessa verve della sua Recanati, e di cui scriveva:
“Non posso sopportare questo
paese semibarbaro e semiaffricano nel quale io vivo in un perfetto isolamento
da tutti. Ogni affare d’una spilla porta un’eternità di tempo; ed è difficile
muoversi di qua come il viverci senza crepare di noia” (Lettera a Monaldo
Leopardi, Napoli27 novembre 1834).
Mentre i napoletani erano tutti
“pulcinelli” e “lazzaroni” in servizio perpetuo ( Lettera a Monaldo Leopardi,
Napoli 3 febbraio, 1835), oppure tutti: “ladri e baroni fottuti, degnissimi di
Spagnoli e di forche” (Lettera a Monaldo leopardi, Napoli 3 febbraio 1835) o non
facevano altro che chiacchierare, come “mezzo principale pe passare il tempo”
(Pensieri VIII), o erano mariuoli: “I padroni di casa hanno il diritto non solo
a ritenere il mobile, ma d’impedire il passaporto, protetti dalle leggi in ogni
maniera e diffidentissimi per la grandezza della città e per la marioleria
universale” ( Lettera a Monaldo Leopardi, Napoli 27 maggio 1837) o, ancora,
verso i quali era molto meglio essere cauti e circospetti riguardo alla propria
ricchezza o povertà: “In alcuni luoghi tra civili e barbari, come è, per
esempio, Napoli, è osservabile più che altrove una cosa che in qualche modo si
verifica in tutti i luoghi: cioè che l’uomo riputato senza denari, non è
stimato appena uomo; creduto danaroso, è sempre in pericolo della vita. Dalla
qual cosa nasce, che in sì luoghi è necessario, come vi si pratica
generalmente, pigliare per partito di rendere lo stato proprio in materia di
danari un mistero” (Pensieri, XXXV).
Eppure è in questa città che,
dopo Recanati, soggiornò per più tempo nel corso della sua breve vita, è in
questa città che volle morire, è a Napoli che trovò finalmente una qualche
forma di calore familiare nelle persone del suo amico Antonio Ranieri e di sua
sorella Paolina, oltre che di tutte le persone di servizio che si occuparono
del suo soggiorno e delle sue incombenze e necessità, del suo stato di salute e
della malattia che lo condusse a morte.
Con una contraddizione che è solo
logica e non psicologica o emotiva di Napoli scriveva anche: “Pure la dolcezza
del clima la bellezza della città e l’indole amabile e benevola degli abitanti
mi riescono assai piacevoli” (Lettera a Monaldo Leopardi, Napoli 5 ottobre, 1833).
(Continua ;-))
(Continua ;-))
Ci sono parole che mi parlano.
RispondiEliminaA volte sussurrano, bisbigliano, accarezzano,
altre volte urlano, dissentono, mi dannano,
ma mi parlano...
E queste parole recano il sapore di una verità che è mia
e che all’unisono urla o sussurra con medesima voce.
Che sia sogno o realtà poco importa.
La menzogna appartiene sommamente alle parole che mi restano mute.
Un saluto. Bellissimo post, come sempre.
Ciao...Sorriso...Flâneuse
Le mille grazie, Madame. (Un garbato inchino a lei, come da commedia dell’arte, so che non può vederlo per questo devo fare affidamento sulla sua immaginazione).
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