Punta in alto, stavolta, Paolo Sorrentino con questo suo Youth (la giovinezza), ambientato quasi
del tutto in un Hotel de Charme Relais
jugendstil incastonato nelle Alpi
svizzere, ai confini del cielo, quasi allo stesso livello delle nuvole; uno di
quei posti dove si inseguono bellezza, salute e la perduta giovinezza, le
funzioni di quel corpo che con l’età sembrano rallentate o le modifiche ad un corpo
che si vuole far rientrare più possibile in canoni di bellezza quanto mai
standardizzati, imperanti fino alla ferocia, rigidi fino alla follia.
Non si tratta più qui, come ne La grande bellezza, di inseguire le
vicende di un oscuro (per il resto del mondo) arbiter elegantiarum in un mondo senza eleganza, maître à penser in un mondo sans pensée, vestito pacchianamente con banali colori pastello e corredato persino di
un’orrenda panciera che da quel tocco di mondana vanità che condisce il
personaggio come un pinzimonio, con i capelli tinti e l’espressione perenne sul viso da magnaccione romanesco.
Né di inseguire impietosamente la
cafonaggine romana di un mondo, come quello romano/italiano, che sa
perfettamente di essere periferia, parassitismo, nullità, inutilità, senza
alcuna affettazione e senza scopo alcuno; o i tanti vizi e le poche virtù di
potenti prelati in odore di sacro soglio, di giornalisti di partito famosi e
celebrati che ormai non legge più nessuno, di imprenditori spiantati, di
editori nani, di sante terese di Calcutta, di matti che vogliono raggiungere il
“successo” dando craniate sui piloni dell’acquedotto romano, di aironi che
volano sopra i tetti di Roma, di donne formose che fanno le spogliarelliste per
pagarsi le cure di una grave malattia, di turisti cinesi, di nobili in affitto,
di scrittori in cerca di successo che se ne tornano a casa, di feste pacchiane
e di visite ai palazzi romani di notte.
Qui siamo pur sempre in area vip,
ma non locale, non romanesca, non cafona, c’è la mitteleuropa bene in questo
hotel, donne con occhi azzurri e verdi … da gatta, da vetro di Murano o da
murrina veneziana, che emanano un benessere che si deposita pur nelle pieghe
della loro pelle da vecchi o nelle loro fattezze di giovani, sembrano tutti
cesellati e rifiniti da artisti valenti, da maestri di roba fina, non "merce" che puoi trovare al mercatino che proviene da Hong Kong.
Trovi registi che non si
arrendono al declino, direttori d’orchestra che non dirigono più … nemmeno
quando è la stessa regina d’Inghilterra a chiederglielo, attori famosi che
stanno “preparando un personaggio”, bambini prodigio col violino, belle signore
di tutte le età, miss universo che tolgono il fiato e che ti ridanno fiducia
sull’esistenza di Dio, Diego Armando
Maradona obeso, in disarmo e senza fiato che però palleggia ancora bene con
una palla da tennis, medici di un cinismo incredibile che viene scambiato per
ironia e ragazze massaggiatrici che leggono il mondo con i propri polpastrelli e che
inventano passi di danza al computer e monaci buddisti (che non si sa bene che
ci facciano in un hotel sulle Alpi svizzere) che alla fine lievitano ... quando
ormai non ci crede più nessuno … quando non li vede nessuno.
Vagheggia nell’ovatta di musiche
celestiali ed elettroniche di buon gusto (com’era nell’altro film), fra un
tizio che disdegna di dirigere la London Philarmonic Orchestra e in alta
montagna dirige un orchestra di mucche al pascolo con tanto di picchio, di
urogallo e di scroscio dell’acqua di ruscello che intervengono a scandire il
tempo.
Per capire che ci troviamo nella
soffice impalpabilità vaporosa delle nuvole basta soltanto meditare sulla
scelta dell’attore protagonista: Michel
Caine, con la sua bianca e ondulata chioma e gli occhi da pesce lesso, a
cui segue il brizzolato tendente al bianco di Harvey Keitel, con i suoi occhi di lince, o le linee dolci e
flessuose di Rachel Weisz, mollata
dal marito perché: “Non è brava a letto” (ma che basta guardarla per capire che
non è vero, che invece ti farebbe impazzire se capitassi sotto le sue lenzuola)
e corteggiata in maniera incredibilmente stravagante da uno scalatore, una
specie di Ronald Meissner svizzero,
uno che la porterà ad altezze celestiali, in tutti i sensi.
Ce lo dicono le continue
incursioni nell’onirico, che non sempre ho apprezzato, perché avevano un che’
di hollywoodiano (tipico di chi vince un Oscar ... si, l'Oscar Rafone ... e poi si monta la testa), o il
fastoso concerto finale per la regina e il principe consorte, molto affettato e
raffinato, ce lo dice l’atmosfera stessa dell’hotel, talmente lussuoso da sembrare
un sogno e abbastanza decadente e datato da trasportarti quasi in un altro
tempo, nell’epoca d’oro delle vacanze termali, da farti quasi stupire, trasecolare, incantare perché sembri uscire dal mondo tecnologico e hard che conosci.
Tutte quelle fräulein in divisa, i camerieri e il personale tutto in livrea, i medici gli infermieri e gli estetisti in camice, gli assistenti con uniformi riconoscibili, persino i pazienti e gli ospiti dell'hotel hanno l'accappatoio e gli asciugamani tutti uguali, tutti uniformemente ripiegati a forma di testa di cigno, tutti in coda, o allineati per le terapie, per la piscina, ridicoli omuncoli deformati dalla rifrazione dell'acqua e del vapore che li ricopre e li circonda, sottoposti a qualsiasi tortura e alla noia più mortale pur di star bene, essere in forma o esteticamente belli.
E solo in Svizzera questo può accadere, un popolo che si dedica maniacalmente a costruire orologi fra i più precisi al mondo, che infonde un'infinita pazienza ad intagliare scatole di legno, a scolpirvi figure, ad inserirvi meccanismi di precisione per farne orologi a cucù che si muovono con una precisione e con una sincronia che sbalordisce, e che realizza coltellini, utensili di complicata fattura e produce formaggi unici al mondo.
Tutte quelle fräulein in divisa, i camerieri e il personale tutto in livrea, i medici gli infermieri e gli estetisti in camice, gli assistenti con uniformi riconoscibili, persino i pazienti e gli ospiti dell'hotel hanno l'accappatoio e gli asciugamani tutti uguali, tutti uniformemente ripiegati a forma di testa di cigno, tutti in coda, o allineati per le terapie, per la piscina, ridicoli omuncoli deformati dalla rifrazione dell'acqua e del vapore che li ricopre e li circonda, sottoposti a qualsiasi tortura e alla noia più mortale pur di star bene, essere in forma o esteticamente belli.
E solo in Svizzera questo può accadere, un popolo che si dedica maniacalmente a costruire orologi fra i più precisi al mondo, che infonde un'infinita pazienza ad intagliare scatole di legno, a scolpirvi figure, ad inserirvi meccanismi di precisione per farne orologi a cucù che si muovono con una precisione e con una sincronia che sbalordisce, e che realizza coltellini, utensili di complicata fattura e produce formaggi unici al mondo.
È praticamente un incubo
quell’ossessione di tutte le età alla salute e alla bellezza, l’attenzione
maniacale all’attività che svolgi, agli esercizi che fai, ad esami, terapie,
saune, massaggi, alla dieta su cui si depositano tutte le tue nevrosi e tutte
le tue difficoltà di vivere sotto la patina di attenzione alla linea e alla
salute, alle gocce di pipì che emetti in un giorno.
Fred Ballinger è il protagonista del film, anziano e disincantato,
sostiene che alla sua età è inutile volersi rimettere in forma e forse, ma questo lo aggiungo io, è
inutile a qualsiasi età perché la forma che hai è semplicemente ciò che sei, e vorrebbe sapere dal suo più caro amico, il regista Mick Boyle, com’era a letto quella ragazza (Gilda, mi pare) di cui
erano innamorati entrambi, mentre quest’ultimo fa di tutto per non fargli capire se lui lo sa, pur
negando di essere mai sto con lei.
Ma non crediate che il film sia
del tutto etereo ed iperboreo, ogni tanto (molto più spesso di quanto crediate)
verrete colpiti da vere e proprie staffilate in faccia di carne rossa
sanguinolenta, proprio quando credevate di essere diventati vegani, di nutrirvi
soltanto di nettare e di ambrosia e di odiare persino i derivati animali come
latte, formaggi e uova.
Vi arriverà un sonoro schiaffo di
quelli che fanno più eco di uno jodel che risuona sulle vallate alpine,
solo perché avrete guardato una signorina che ancheggiando attraversa la sala
da pranzo, uno sguardo impercettibile per tutti, ma che vostra moglie ha
avvertito di sicuro o, il che è lo stesso, che ha creduto di avvertire; non si
tratta di semplice gelosia, è un gioco molto più complesso e molto più perverso
.
Sentirete i bramiti e gli ululati
di una signora in calore che scopa selvaggiamente (non scandalizzatevi, non
dobbiamo aver paura dei termini, anche dei più volgari, quando non ne esistono
altri che non siano eufemistici per definire certe cose … si sarebbe anche
potuto dire: “Se la sbatteva nel bosco contro un albero” se preferite ma di certo non: "Facevano l'amore") col
marito nel bosco (lo schiaffeggiato, e non crediate che sia un caso, schiaffo e
sesso sono legati fra loro … prima dello schiaffo non avreste mai immaginato
tutta questa passionalità in questa coppia), potrete osservare il fisico alto,
slanciato tetragono e segaligno dello scalatore che corteggia, con successo, la
figlia di Fred e i suoi modi rustici che vi riporteranno con i piedi ben
piantati per terra … e persino la follia della moglie di Fred che fissa nel
vuoto i canali di Venezia, vi riportano su un piano di realtà.
Di cosa parla Sorrentino in
Youth? Mentre nella Grande bellezza parlava dell’amore, del successo, della
noia, della grande deriva che il mondo occidentale ha imboccato, e solo alla
fine, attraverso una sottile malinconia che conduce ad una bellezza indicibile,
si giunge a mettere a fuoco lo “scopo della vita” (ricordate la “fessa” o
“l’odore delle case dei vecchi”?), qui parla della fine, della vecchiaia, della
solitudine, della morte.
Cosa resterà di noi quando non ci
saremo più, cosa resta di noi quando siamo vecchi e il mondo è in mano ai
giovani? I ricordi che avremo lasciato nelle persone care, in coloro che ci
hanno amato? E perché allora abbiamo l’impressione che lo sforzo per farci
ricordare sia stato enorme, titanico, e i risultati molto miseri? Perché le
persone sembrano ricordare le cose in maniera completamente diversa da come le
ricordiamo noi, non tanto negli avvenimenti reali e realmente accaduti, ma
anche nella valenza affettiva che noi diamo loro?
Quali ricordi poi se Igor' Stravinskij è sepolto quasi
dimenticato sotto una lastra di pietra disadorna e senza fiori nel cimitero
dell’isola di san Michele a Venezia, mentre la tomba di Lady D. è continuamente sommersa di fiori, di bigliettini, di
lettere, bagnata dalle lacrime della gente e per lei persino Elton John si è scomodato a dedicarle
una canzone?
I due amici, Fred il direttore
d’orchestra e Mick il regista non potrebbero essere più diversi in quanto ad
affrontare il problema del loro declino e della loro prossima scomparsa (vista
l’età avanzata), quest’ultimo insegue il film dei film, l’ultimo film che sia il
suo testamento artistico e spirituale, quello in cui sogna di raggiungere vette
insperate … ma a giudicare dalle proposte sembra a corto di ispirazione, di
idee e circondato da simpatici sfigati.
Alla fine sarà il suicidio il suo
capolavoro, si butterà dalla finestra dell’hotel sotto gli occhi attoniti
dell’amico che non prova nemmeno a fermarlo (ho pensato a Mario Monicelli quando l'ho visto), e dopo aver ricevuto il rifiuto
dall’attrice che sente più vicina l’unica che potrebbe interpretare la parte
della protagonista femminile che ha in mente, che si defila perché pensa di
interpretare un serial televisivo che le risolverà gli innumerevoli problemi economici,
ma non quelli psicologici … perché la si vede litigare di brutto con le hostess
dell’aereo in preda ad un attacco di panico piuttosto violento.
Fred è apatico, vuole fermare il
tempo, non vuole aggiungere più nulla al suo successo, vuole che lo ricordino
per le buone cose che ha fatto, tergiversa sulla sua biografia che gli viene
sollecitata da una casa editrice francese e alla fine manda tutto al diavolo,
rifiuta di accettare di dirigere ancora una volta in una kermesse per i reali inglesi, nel corso del quale gli sarà
conferito il titolo di lord.
Il motivo? Quando non ne può più
glielo urla un faccia all’emissario della regina, le sue Opere Semplici non possono essere interpretate perché l’ultima
donna a cantarle è stata sua moglie e questa non può più farlo … finché lui
sarà in vita non accetterà di dirigere qualche altro soprano su quelle note.
Forse alla fine capisce che ciò
che vorrebbe fermare non esiste più comunque, che gli si è sgretolato tutto col
tempo e che l’unico modo di fermare il tempo è quello di seguirne il fluire,
quello di continuare a fare cose nuove finché siamo in vita … per questo
accetterà, alla fine, di dirigere l’orchestra ancora una volta.
Non avrebbero potuto essere più
diversi Mick e Fred, per quest’ultimo le emozioni sono sopravvalutate, per il
primo le emozioni sono tutto; sbagliano entrambi se cristallizzano tutta la questione in maniera polare e diametralmente opposta: o è vera l’una cosa, o è vera l’altra, e hanno entrambi ragione perché ciascuno coglie un aspetto delle emozioni.
Le emozioni sono molto
importanti, ma sono sensazioni di breve durata, caleidoscopiche, fluttuanti,
non fai in tempo a fissarne una che ne stai già provando un’altra, non fai in
tempo a capirla, a viverla, che già si è trasformata in qualcos’altro, ciò che
è importante è ciò che ci fai con le emozioni: puoi comporre, se sei un
artista, opere indimenticabili, per esempio, o puoi usarle come mattoni per
costruire qualcosa dentro di te, per edificare ciò che sei e vuoi essere,
oppure ancora puoi riversarle all’esterno, donandole a chi ti sta vicino … in
fondo è il legame emotivo fra le persone tutto ciò che rimane anche quando
siamo lontani, anche quando qualcuno non c’è più, sepolto sotto una lastra di
pietra.
“Che cosa resterà di
me? Del transito terrestre?
Di tutte le
impressioni che ho avuto in questa vita?”
(Franco Battiato, Mesopotamia,
in Giubbe rosse, 1989).
Del film La grande bellezza ne avevo parlato, in un certo senso, QUI.