Paolo Caliari detto il "Veronese", La conversione di Maria Maddalena, 1548 circa, National Gallery, Londra. |
Verona, Ristorante Due Torri, interno |
Paolo Caliari detto il "Veronese", Allegoria della Prudenza, 1560-61, Affresco di Villa Barbaro, Maser (TV). |
Torrone di Alicante, Locanda Le Muse di San Bonifacio (Verona) |
"Perduto è tutto
il tempo, che in amar non si spende".
(Torquato Tasso,
Aminta, Atto I, 30-31).
Verona sabato 27 settembre ore
dalle 14.00 alle 14.30 circa, in una via a pochi metri da piazza Bra (quella
dell’Arena), dopo un pranzo eccellente il mio vicino di tavolo, un signore di
una certa età, piuttosto corpulento e dal marcato accento veneziano (dopo quasi
trent’anni che vivo in veneto sono ormai capace di distinguere le diverse
inflessioni locali del dialetto veneto: il vicentino dal padovano, il veronese
dal veneziano, il bellunese dal trevigiano, …),
chiacchiera amabilmente col cameriere.
Sono perfettamente rilassato, in
gradevole compagnia, preferirei godermi quell’istante di beatitudine in cui
posso dedicarmi completamente a ciò che mi piace fare, preferirei mantenere
ancora un po’ nella mia mente i sapori squisiti di quel pranzo, del risotto
all’amarone, dell’anatra farcita con pistacchi, delle verdure saltate in
padella, del generoso valpolicella, della Storica Nera che si apprezza più con
l’odorato, non col gusto, tanto è vero che alcune donne venete la usano come
profumo (due gocce sui polsi da passare sul collo), e del caffè.
Vorrei pregustare il piacere
della mostra che avrei visto da li a poco al Palazzo della Gran Guardia: Paolo Veronese. L'illusione della realtà, giunta ormai ai
suoi ultimi giorni, e di quella si poterne parlare a profusione (dopo però, non
durante, odio il mormorio mentre sto godendomi qualcosa), ma solo con persone
che sanno trasformare l’esperienza estetica della visita ad una mostra nella
comunicazione di ciò che hanno autenticamente provato e immaginato.
Non mi piace molto chi
razionalizza, chi ci costruisce sopra arditi pinnacoli e nuvole di fumo per
eclissarsi dietro le parole, chi produce soltanto bollicine o panna montata
perché non ha nulla da dire, ma vuol dirlo con grazia (Oscar Wilde, Il ritratto
di Dorian Gray), chi intorbida “le proprie acque per farle sembrare profonde”
(Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Dei poeti).
Paolo Veronese l’ho conosciuto
“veramente” visitando a Venezia le Gallerie dell’Accademia, la Chiesa di San
Sebastiano, il Palazzo Ducale, La Chiesa di San Lazzaro dei Mendicanti e Villa
Barbaro a Maser (Treviso); nonostante negli anni di liceo avessi studiato la
storia dell’arte sul manuale di uno dei più grandi critici d’arte italiani,
Carlo Giulio Argan, nemmeno la sua prosa poetica era riuscita ad accendermi la
passione per questo grande pittore.
Verona, Arche scaligere, Arca di Mastino II. |
Verona, Arche scaligere, arca di Cangrande della Scala. |
Paolo Caliari detto il "Veronese", particolare degli affreschi della Sala a crociera di Villa Barbaro a Masier (TV). |
Una buona mostra dovrebbe far
parlare quanto più possibile le opere che espone e non, viceversa, utilizzare
le opere per sostenere le ipotesi e le congetture del (o dei) curatore/i, le
didascalie dovrebbero essere semplici e scarne, e dovrebbero servire
semplicemente a fornire qualche chiarimento storico, artistico e tecnico
sull’autore, sull’opera, sul periodo storico e artistico, senza essere troppo
specialistiche o troppo astruse.
Non sopporto le didascalie troppo
lunghe, troppo complicate o troppo specialistiche, non sopporto quelle orribili
audio-guide che ci fanno sembrare tanti automi telecomandati, con una sorta di
antennine che pretendono di captare l’aura artistica dell’opera, mentre in
realtà ti nutrono di parole preconfezionate che ti danno l’illusione di aver
compreso senza in realtà aver capito nulla.
La fruizione artistica è
un’esperienza fondamentalmente emotiva, un’opera che non ti suscita emozioni
non si può annoverare come arte, le parole sgorgano dopo, nel momento in cui vuoi
comunicare l’emozione provata o vuoi fermarla, delinearla, circoscriverla,
prenderne atto, dartene conto, comprenderla meglio.
Ogni strumento che si sovrappone
al contatto fra il fruitore e l’opera, soprattutto se è sintonizzato su un
registro razionale e non emotivo o è di una emotività dissonante rispetto a
quella dell’opera che hai di fronte, crea soltanto disturbo e spesso impedisce
l’esperienza stessa, magari sostituendola col contenuto razionale stesso, meno impalpabile, conturbante o coinvolgente
di un’emozione, più facile da memorizzare tanto che sono in molti a ricordare
poi quasi esclusivamente le indicazioni delle didascalie o della audio-guida e
non sanno dire molto altro dell’esperienza appena vissuta.
Una mostra non è un’opera d’arte singola,
c’è sempre un’idea di fondo che seleziona a priori le opere da esporre, non
fosse altro che la reperibilità delle stesse e la disponibilità dei musei,
delle collezioni, dei privati che le possiedono, di concederle agli
organizzatori della mostra stessa; io credo sia necessario che l’idea di fondo,
il tema che introduce l’intera mostra sia frutto di una matura riflessione dei
curatori e sia possibile esporlo in maniera molto semplice, con pochi ed
elementari cenni integrativi alle opere stesse.
Paolo Caliari detti il "Veronese", Martirio e Ultima Comunione di S. Lucia, 1582, National Gallery of Art, Washington |
Paolo Caliari detto il "Veronese", Allegoria dell'Amore IV, L'unione felice, 1570 circa, National Gallery, Londra. |
Paolo Caliari detto il "Veronese", Allegoria dell'Amore IV, L'unione felice, (dettaglio), 1570 circa, National Gallery, Londra. |
Mostre troppo pretenziose alla
fine falliscono il loro obiettivo fondamentale (ma non necessariamente il
successo della mostra stessa, che è legato ad altri criteri che non la
semplicità della trasmissione dell’idea che fa da perno all’intera mostra),
perché alla maggior parte delle persone sfugge il legame di fondo fra i vari
artisti e le varie opere rappresentate, ma possono pur sempre apprezzare
singolarmente ogni opera esposta senza necessariamente metterla in relazione
con le altre o col tema proposto.
Quando si espongono opere di
artisti diversi, vissuti in tempi molto diversi fra di loro, con una concezione
artistica e tecnica completamente diversa, il rischio di capire molto poco è
elevatissimo, ed elevata è anche la fatica richiesta nel passare da un artista
all’altro, da uno stile all’altro, da una cultura all’altra.
Il 30-09, martedi, ero invitato
(un invito pubblico giunto per posta al mio domicilio) alla presentazione della
mostra di Marco Goldin che si terrà nella Basilica Palladiana di Vicenza dal titolo: Tutankhamon, Caravaggio, Van Gogh. La sera e i notturni dagli Egizi al Novecento;
non ci sono andato perdendomi così l’anteprima in cui un certo Gilberto Colla
ha letto alcune pagine de Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry e il
racconto della mostra (con la proiezione delle immagine più belle della stessa)
a cura dello stesso Marco Goldin, con l’accompagnamento musicale di un trio che
suonava il flauto, la fisarmonica e il violoncello.
Ho perso anche “un quaderno
promozionale a colori di 120 pagine dedicato alla mostra principale, alle
mostre collaterali, agli itinerari turistici e a tutti gli eventi collegati”
(dalla brochure) in omaggio.
Goldin ha iniziato ad esporre
nella Ca’ dei Carraresi di Treviso tutta una serie di mostre
sull’Impressionismo che hanno avuto molto successo, poi ha esposto a Bologna
un’opera unica, La ragazza con l’orecchino di perla di Veermer, e poi si è
lanciato in mostre complesse dal titolo: Da Rembrandt a Gauguin a Picasso; Mediterraneo.
Da Courbet a Monet a Matisse; Da Hopper a Warhol. Pittura americana del XX
secolo; Da Vermeer a Kandinsky. Capolavori dai musei del mondo; Raffaello verso Picasso. Storie di sguardi,
volti e figure; Da Botticelli a Matisse. Volti e figure; Verso Monet. Storia
del paesaggio dal Seicento al Novecento … bisogna avere una cultura sterminata
per sperare di affrontare tanti secoli di pittura, tanti stili diversi, per
mettere insieme cose così disparate secondo un’idea che li accomuna … Rembrandt
Gauguin e Picasso, Courbet Monet e Matisse, Hopper e Warhol, Veermer e
Kandinsky, Raffaello e Picasso, Botticelli e Matisse, …, Caravaggio e Van Gogh
… e pure Tutankhamon.
O sei un genio e riesci a
cogliere affinità fra artisti, stili e tempi così diversi e a divulgarlo con
efficacia, oppure metti insieme ciò che è reperibile sul mercato e su ciò che
hai a disposizione ci crei sopra la “panna montata” … in ogni caso alcune opere
in sé valgono la visita e altre sono semplicemente di moda, come gli
impressionisti o la ragazza con l’orecchino di perla … quadri che perdono in
questo modo la loro cifra artistica e diventano icone pop.
Nel futuro prossimo cosa ci sarà,
a cosa assisteremo? Da Gaspare a Melchiorre a Baldassarre? Michelangelo verso
Bernini? Van Gogh contro Matisse? Ercole contro Maciste? Sansone e tutti i
filistei?
Ma il pacioso signore veneziano,
accompagnato da una moglie filiforme, molto ben vestita e ben ingioiellata,
truccata come se avesse trent’anni, che contrariamente a lui (e a me) ha
mangiato come un passerotto e che non si intrigava né di politica né di calcio,
non sembrava li per la mostra, né sembrava molto desideroso di visitare la
città, né aspirava ad una poltrona vip o ad un posto sulle “gratinate” (questo
mi ha proposto un insistente bagarino) per il concerto di Elisa all’Arena.
Si era goduto il lauto pranzo, si
era acceso un sigaro (solo dopo che la moglie è andata in qualche posto da
sola) e si è messo a chiacchierare del più e del meno col cameriere; di solito
non partecipo a queste discussioni, o se succede è perché trovo il discorso
interessante, in questo caso era di una banalità unica, parlavano esclusivamente
per frasi fatte, per slogan carpiti chissà dove e giocati come solenni e
ieratiche verità, della serie: “Caro Lei, deve sapere …”.
Ho lasciato passare i loro
discorsi come l’acqua di un ruscello, ma
dal punto in cui ero mi era impossibile non ascoltare e in qualche modo il loro
tono e la loro prosaicità disturbava la mia beatitudine; ma anche così avrei
potuto conviverci senza troppi sussulti, mi ha dato particolarmente fastidio
però quando il veneziano ha detto solennemente al suo interlocutore: “ … il
problema dell’Italia è che il costo del lavoro da noi è troppo elevato …”.
Il problema non è la mafia, la
corruzione diffusa, l’incapacità, l’inciviltà, l’imbarbarimento, il ridicolo in
cui abbiamo ridotto la giustizia, lo stato di umiliazione in cui versa la
meritocrazia, la perdita dell’eccellenza e delle maestranze, la fuga dei
cervelli, lo stato in cui sono ridotte la cultura e la ricerca, l’ignoranza e
l’incultura erette a sistema e pubblicamente lodate, la volgarità imperante a
tutti i livelli, … no, il problema è che paghiamo troppo chi lavora! … ed
eliminare l’articolo 18!
Chissà quanto sarà stato contento
il cameriere che parlava con lui di sapere che era superpagato, chissà se si è
posto il problema che quando si parla di costo del lavoro si sta parlando anche
del nostro lavoro, chissà che gioia suscita il fatto che sarà il leader del
partito sedicente di sinistra più grande d’Europa a cancellare in Italia la
tutela del lavoratore di non poter essere licenziato senza una “giusta causa”.
Ma come fai a far capire ad un
tipo simile che ad esempio la Germania quasi non conosce crisi, eppure li i
lavoratori dipendenti vengono pagati molto di più che in Italia e sono molto
più tutelati sia quando lavorano sia quando dovessero perdere il lavoro; come
glielo spieghi il fatto che se il ceto medio costituito da lavoratori
dipendenti ed operai non ha soldi, molto di ciò che produciamo rimane invenduto
e come fai a fargli entrare in testa che ci sarà sempre una Cina, un Vietnam,
un Laos, un’India, un posto qualsiasi al mondo dall’est Europa all’Africa nera
dove il costo del lavoro sarà inferiore al nostro e che noi non potremo mai
competere con questi paesi sulla base di un costo del lavoro concorrenziale, ma
dovremmo competere sul piano della qualità , bellezza, originalità del
prodotto.
Anzi, non “prodotto”, noi europei
(e soprattutto noi italiani) dovremmo commercializzare non oggetti, ma il
nostro stile di vita, il nostro senso della bellezza, la nostra cultura,
l’eleganza, la classe, il saper vivere un’idea, un sogno.
Analizziamo cosa sta accadendo in
una città come Verona, ad esempio, è certamente una bella città, gli edifici
storici si sono conservati molto bene, è un piccolo gioiello di bellezza ma non
può certo competere con le molte e più prestigiose città italiane i cui tesori
artistici sono molto più copiosi; c’è stato qualche fermento culturale ed
artistico ma niente di paragonabile a ciò che è avvenuto altrove, a Venezia, ad
esempio, o a Firenze, o a Milano, o a Roma, o a Napoli ….
Verona, Presunta tomba di Giulietta. |
Verona si trova esattamente sul
bordo fra una città smaliziata, turistica, che strizza l’occhio a tutte le
esigenze, che offre un’infinità di attrattive culturali, artistiche, di svago e,
nello stesso tempo, una città che conserva in gran parte le sue tradizioni, i
suoi riti, la sua cucina ed è disseminata di tutta una serie di piccole
botteghe artigiane che producono oggetti esteticamente raffinati, di piccole
osterie dove puoi ancora gustare la vera cucina veneta, i prodotti del luogo o
dei dintorni, il vino locale a prezzi tutto sommato contenuti e di baretti dove
si osserva la vita che scorre e si indulge al rito tutto italiano, a fine
lavoro, dell’aperitivo prima di cena.
L’Arena è l’anfiteatro romano più
grande e meglio conservato in Italia, ci si organizzano spettacoli di musica
lirica e contemporanea di notevole rilievo, che potrebbero essere più
agevolmente e comodamente organizzati altrove, ma le persone preferiscono
affrontare la scomodità delle “gratinate” e il rischio della pioggia pur di
assistere ad uno spettacolo nello spettacolo, quello cioè di ritrovarsi immersi
in uno scenario antico incantevole, di far parte di un sogno, e godere così la
loro musica preferita.
Verona è una delle città con più
elevato afflusso turistico, il motivo principale per cui tante coppie di ogni
età giungono li da tutto il mondo è il mito dell’amore romantico,
cristallizzato da William Shakespeare nella sua Giulietta e Romeo e ambientata
in questa città; non sono mai esistiti a Verona i Montecchi e i Capuleti, non
c’è mai stata una casa di Giulietta, né tantomeno il suo balcone, non c’è
neanche la casa di Romeo, né Romeo stesso (qualche buontempone ha individuato
in un certo Cagnolo di Nogarola, detto “Romeo” il Romeo Montecchi
shakespeariano, incurante del fatto che se Romeo si fosse chiamato Cagnolo, la
tragedia perderebbe ogni poesia per farsi farsa … ma ve la immaginate Giulietta
che dice: “Oh Cagnolo, Cagnolo, perché sei tu Cagnolo? Rinnega tuo padre, e
rifiuta il tuo nome! O, se non lo vuoi, tienilo pure e giura di amarmi, ed io
non sarò più una Capuleti”. (Giulietta e Romeo, Atto II, scena II)?
Certo che rifiuterebbe il suo
nome Cagnolo di Ricotta, non è mica scemo, non puoi far palpitare il cuore
delle fanciulle presentandoti con quel nome e Shakespeare avrebbe cambiato
personaggio o non avrebbe mai scritto questa tragedia) e, naturalmente, non c’è
nessuna tomba di Giulietta su cui portare dei fiori … è elementare mi sembra,
se Giulietta non è mai esistita non può essere morta, e se non è morta non può
esserci la sua tomba.
Eppure migliaia di turisti ogni
anno si fanno ore di volo o di treno o di nave per commuoversi, emozionarsi,
sperare, celebrare, fotografarsi dal balcone di Giulietta, accarezzare il seno
destro della statua di Giulietta (che dicono porti fortuna e sia di buon
auspicio in amore), agganciare lucchetti ovunque, imbrattare i muri, gli
stipiti, le pareti della casa di Giulietta, incidere cuori, nomi, date, …, pur
di partecipare al sogno romantico che ha legato i due personaggi di
Shakespeare.
E' stato un piacere leggere questi due pezzi...
RispondiEliminaHo avuto la fortuna di trascorrere tre giorni a Verona in giugno, l'ho vista tutta girando in bicicletta ed è stato fantastico. Il tour delle chiese storiche: San Zeno, Santa Anastasia, San Fermo e il Duomo quello che ho amato di più e magico il concerto serale jazz al teatro romano.
Condivido tutto quello che hai scritto. Delle opere amo molto l'aspetto sensoriale, mi piace toccare la tela per sentirne la grana, il legno e la pietra per la sensazione termica e il rilievo, mi piace seguire i contorni come se gli occhi non fossero sufficienti ... Purtroppo non sempre è possibile...
I tuoi post mi hanno suggerito una piccola recensione.
Grazie dei tuoi graditissimi passaggi
Buon tutto
Julia
Verona è una città che mi piace molto, densa di storia e di arte e, non mi vergogno a dirlo anche se non ho simpatie leghiste, decentemente amministrata, ci sono sempre nuovi e interessanti angoli di bellezza da esplorare se solo uno riesce ad uscire dal flusso turistico Arena-Giulietta e Romeo che rischiano di impoverire la città se si punta solo su questo.
RispondiEliminaPoche altre esperienze mi danno piacere come entrare in contatto con l'arte e col bello in generale: non è solo fruizione la mia, né un'esperienza mistica o simbolica, né ha a che vedere con la Sindrome di Stendhal, è un'esperienza, invece, molto più simile all'amore, ad un rapporto sessuale, concreto e materico dove immagini di entrare in contatto con la tela, il legno, il marmo, la pietra e, soprattutto, con l'impeto di passione che l'artista vi ha impresso.
E' ovvio, dati questi presupposti, che rimango deluso dall'arte "fredda", cerebrale, tutta giocata sulla tecnica e sul preziosismo, quella in cui non suppongo nessuna passione e nessun furor creandi da parte dell'artista ed è ovvio che mi piace scambiare le mie impressioni con chi condivide con me questa concezione dell'esperienza artistica come evento globale (che si inserisce cioè in un viaggio, nella visita ad una città e non semplicemente alla mostra o all'opera in sé, ai colori, allo stile, ai sapori, all'umanità di chi abita quel luogo, e come evento passionale.
Ciao e grazie per i tuoi apprezzamenti, le tue suggestioni e i tuoi interventi.