«Di rietro a loro era la selva piena
di cagne, bramose e correnti
come veltri ch'uscisser di catena».
(Inferno,
Canto XIII, 124-126).
Nastagio degli Onesti, amando una de’ Traversari, spende le sue
ricchezze senza essere amato. Vassene, pregato da’ suoi, a Chiassi; quivi vede
cacciare ad un cavaliere una giovane e ucciderla e divorarla da due cani.
Invita i parenti suoi e quella donna amata da lui ad un desinare, la quale vede
questa medesima giovane sbranare; e temendo di simile avvenimento prende per
marito Nastagio.
Come Lauretta si tacque, così,
per comandamento della reina, cominciò Filomena:
Amabili donne, come in noi è la
pietà commendata [1], così ancora in noi è dalla divina giustizia rigidamente
la crudeltà vendicata; il che acciò che io vi dimostri e materia vi dea di
cacciarla del tutto da voi, mi piace di dirvi una novella non men di compassion
piena che dilettevole.
In Ravenna, antichissima città di
Romagna, furon già assai nobili e ricchi uomini, tra’ quali un giovane chiamato
Nastagio degli Onesti, per la morte del padre di lui e d’un suo zio, senza
stima [2] rimaso ricchissimo. Il quale, sì come de’ giovani avviene, essendo
senza moglie, s’innamorò d’una figliuola di messer Paolo Traversaro, giovane
troppo più nobile che esso non era, prendendo speranza con le sue opere di
doverla trarre ad amar lui; le quali, quantunque grandissime, belle e laudevoli
fossero, non solamente non gli giovavano, anzi pareva che gli nocessero, tanto
cruda e dura e salvatica gli si mostrava la giovinetta amata, forse per la sua
singular bellezza o per la sua nobiltà sì altiera e disdegnosa divenuta, che né
egli né cosa che gli piacesse le piaceva.
La qual cosa era tanto a Nastagio
gravosa a comportare, che per dolore più volte, dopo molto essersi doluto, gli
venne in disidero d’uccidersi. Poi, pur tenendosene, molte volte si mise in
cuore di doverla del tutto lasciare stare, o, se potesse, d’averla in odio come
ella aveva lui. Ma invano tal proponimento prendeva, per ciò che pareva che
quanto più la speranza mancava, tanto più moltiplicasse il suo amore.
Perseverando adunque il giovane e nello amare e nello spendere smisuratamente,
parve a certi suoi amici e parenti che egli sé e ‘l suo avere parimente fosse
per consumare [3]; per la qual cosa più volte il pregarono e consigliarono che
si dovesse di Ravenna partire e in alcuno altro luogo per alquanto tempo andare
a dimorare; per ciò che, così faccendo, scemerebbe l’amore e le spese. Di
questo consiglio più volte fece beffe Nastagio; ma pure, essendo da loro
sollicitato, non potendo tanto dir di no, disse di farlo; e fatto fare un
grande apparecchiamento, come se in Francia o in Ispagna o in alcuno altro
luogo lontano andar volesse, montato a cavallo e da suoi molti amici
accompagnato di Ravenna uscì e andossene ad un luogo forse tre miglia fuor di
Ravenna, che si chiama Chiassi [4]; e quivi, fatti venir padiglioni e trabacche
[5] disse a coloro che accompagnato l’aveano che star si volea e che essi a
Ravenna se ne tornassono. Attendatosi adunque quivi Nastagio, cominciò a fare
la più bella vita e la più magnifica che mai si facesse, or questi e or quegli
altri invitando a cena e a desinare, come usato s’era.
Ora avvenne che uno venerdì quasi
all’entrata [6] di maggio essendo un bellissimo tempo, ed egli entrato in
pensier della sua crudel donna, comandato a tutta la sua famiglia [7] che solo
il lasciassero, per più potere pensare a suo piacere, piede innanzi piè sé
medesimo trasportò, pensando, infino nella pigneta. Ed essendo già passata
presso che la quinta ora del giorno [8], ed esso bene un mezzo miglio per la
pigneta entrato, non ricordandosi di mangiare né d’altra cosa, subitamente gli
parve udire un grandissimo pianto e guai [9] altissimi messi da una donna; per
che, rotto il suo dolce pensiero, alzò il capo per veder che fosse, e
maravigliossi nella pigneta veggendosi; e oltre a ciò, davanti guardandosi vide
venire per un boschetto assai folto d’albuscelli e di pruni, correndo verso il
luogo dove egli era, una bellissima giovane ignuda, scapigliata e tutta
graffiata dalle frasche e da’ pruni, piagnendo e gridando forte mercè [10]; e
oltre a questo le vide a’ fianchi due grandi e fieri mastini, li quali
duramente appresso correndole, spesse volte crudelmente dove la giugnevano la
mordevano, e dietro a lei vide venire sopra un corsiere [11] nero un cavalier
bruno, forte nel viso crucciato, con uno stocco [12] in mano, lei di morte con
parole spaventevoli e villane minacciando. Questa cosa ad una ora maraviglia e
spavento gli mise nell’animo, e ultimamente compassione della sventurata donna,
dalla qual nacque disidero di liberarla da sì fatta angoscia e morte, se el
potesse. Ma, senza arme trovandosi, ricorse a prendere un ramo d’albero in
luogo di bastone, e cominciò a farsi incontro a’ cani e contro al cavaliere.
Ma il cavalier che questo vide,
gli gridò di lontano: - Nastagio, non t’impacciare, lascia fare a’ cani e a me
quello che questa malvagia femina ha meritato. -
E così dicendo, i cani, presa
forte la giovane ne’ fianchi, la fermarono, e il cavaliere sopraggiunto smontò
da cavallo.
Al quale Nastagio avvicinatosi
disse: - Io non so chi tu ti sé, che me così cognosci; ma tanto ti dico che
gran viltà è d’un cavaliere armato volere uccidere una femina ignuda, e averle
i cani alle coste messi come se ella fosse una fiera salvatica; io per certo la
difenderò quant’io potrò.
Il cavaliere allora disse: -
Nastagio, io fui d’una medesima terra teco, ed eri tu ancora piccol fanciullo
quando io, il quale fui chiamato messer Guido degli Anastagi, era troppo più
innamorato di costei, che tu ora non se’ di quella de’ Traversari, e per la sua
fierezza e crudeltà andò sì la mia sciagura, che io un dì con questo stocco, il
quale tu mi vedi in mano, come disperato m’uccisi, e sono alle pene etternali
dannato. Né stette poi guari [13] tempo che costei, la qual della mia morte fu
lieta oltre misura, morì, e per lo peccato della sua crudeltà e della letizia
avuta de’ miei tormenti, non pentendosene, come colei che non credeva in ciò
aver peccato ma meritato, similmente fu ed è dannata alle pene del ninferno.
Nel quale come ella discese, così ne fu e a lei e a me per pena dato, a lei di
fuggirmi davanti e a me, che già cotanto l’amai, di seguitarla come mortal nimica,
non come amata donna; e quante volte io la giungo, tante con questo stocco, col
quale io uccisi me, uccido lei e aprola per ischiena, e quel cuor duro e
freddo, nel qual mai né amor né pietà poterono entrare, con l’altre interiora
insieme, sì come tu vedrai incontanente, le caccio di corpo, e dolle mangiare a
questi cani. Né sta poi grande spazio che ella, sì come la giustizia e la
potenzia d’Iddio vuole, come se morta non fosse stata, risurge e da capo
incomincia la dolorosa fugga [14], e i cani e io a seguitarla; e avviene che
ogni venerdì in su questa ora io la giungo qui, e qui ne fo lo strazio che
vedrai; e gli altri dì non creder che noi riposiamo, ma giungola in altri
luoghi né quali ella crudelmente contro a me pensò o operò; ed essendole
d’amante divenuto nimico, come tu vedi, me la conviene in questa guisa tanti
anni seguitare quanti mesi ella fu contro a me crudele. Adunque lasciami la
divina giustizia mandare ad esecuzione, né ti volere opporre a quello che tu
non potresti contrastare. -
Nastagio, udendo queste parole,
tutto timido divenuto e quasi non avendo pelo addosso che arricciato non fosse,
tirandosi addietro e riguardando alla misera giovane, cominciò pauroso ad
aspettare quello che facesse il cavaliere. Il quale, finito il suo ragionare, a
guisa d’un cane rabbioso, con lo stocco in mano corse addosso alla giovane, la
quale inginocchiata e da’ due mastini tenuta forte gli gridava mercè; e a
quella con tutta sua forza diede per mezzo il petto e passolla dall’altra
parte. Il qual colpo come la giovane ebbe ricevuto, così cadde boccone, sempre
piagnendo e gridando; e il cavaliere, messo mano ad un coltello, quella aprì
nelle reni, e fuori trattone il cuore e ogni altra cosa d’attorno, a’ due
mastini il gittò, li quali affamatissimi incontanente il mangiarono. Né stette
guari che la giovane, quasi niuna di queste cose stata fosse, subitamente si
levò in piè e cominciò a fuggire verso il mare, e i cani appresso di lei sempre
lacerandola; e il cavaliere, rimontato a cavallo e ripreso il suo stocco, la
cominciò a seguitare, e in picciola ora si dileguarono in maniera che più
Nastagio non gli poté vedere.
Il quale, avendo queste cose
vedute, gran pezza stette tra pietoso e pauroso, e dopo alquanto gli venne
nella mente questa cosa dovergli molto poter valere, poi che ogni venerdì
avvenia; per che, segnato il luogo, a’ suoi famigli se ne tornò, e appresso,
quando gli parve, mandato per più suoi parenti e amici, disse loro: - Voi
m’avete lungo tempo stimolato che io d’amare questa mia nemica mi rimanga e
ponga fine al mio spendere, e io son presto di farlo dove voi una grazia
m’impetriate [15], la quale è questa: che venerdì che viene voi facciate sì che
messer Paolo Traversaro e la moglie e la figliuola e tutte le donne lor
parenti, e altre chi vi piacerà, qui sieno a desinar meco. Quello per che io
questo voglia, voi il vedrete allora. -
A costor parve questa assai
piccola cosa a dover fare e promissongliele; e a Ravenna tornati, quando tempo
fu, coloro invitarono li quali Nastagio voleva, e come che dura cosa fosse il
potervi menare la giovane da Nastagio amata, pur v’andò con gli altri insieme.
Nastagio fece magnificamente apprestare da mangiare, e fece le tavole mettere
sotto i pini d’intorno a quel luogo dove veduto aveva lo strazio della crudel
donna; e fatti mettere gli uomini e le donne a tavola, sì ordinò, che appunto
la giovane amata da lui fu posta a sedere dirimpetto al luogo dove doveva il
fatto intervenire.
Essendo adunque già venuta
l’ultima vivanda, e il romore disperato della cacciata giovane da tutti fu
cominciato ad udire. Di che maravigliandosi forte ciascuno e domandando che ciò
fosse, e niun sappiendol dire, levatisi tutti diritti e riguardando che ciò
potesse essere, videro la dolente giovane e ‘l cavaliere e’ cani; né guari
stette che essi tutti furon quivi tra loro.
Il romore fu fatto grande e a’
cani e al cavaliere, e molti per aiutare la giovane si fecero innanzi; ma il
cavaliere, parlando loro come a Nastagio aveva parlato, non solamente gli fece
indietro tirare, ma tutti gli spaventò e riempié di maraviglia; e faccendo
quello che altra volta aveva fatto, quante donne v’avea (ché ve ne avea assai
che parenti erano state e della dolente giovane e del cavaliere e che si
ricordavano e dell’amore e della morte di lui) tutte così miseramente
piagnevano come se a sé medesime quello avesser veduto fare.
La qual cosa al suo termine
fornita, e andata via la donna e ‘l cavaliere, mise costoro che ciò veduto
aveano in molti e vari ragionamenti; ma tra gli altri che più di spavento
ebbero, fu la crudel giovane da Nastagio amata, la quale ogni cosa
distintamente veduta avea e udita, e conosciuto che a sé più che ad altra
persona che vi fosse queste cose toccavano, ricordandosi della crudeltà sempre
da lei usata verso Nastagio; per che già le parea fuggir dinanzi da lui adirato
e avere i mastini a’ fianchi. E tanta fu la paura che di questo le nacque, che,
acciò che questo a lei non avvenisse, prima tempo non si vide [16] (il quale
quella medesima sera prestato le fu) che ella, avendo l’odio in amore
tramutato, una sua fida cameriera segretamente a Nastagio mandò, la quale da
parte di lei il pregò che gli dovesse piacer d’andare a lei, per ciò ch’ella
era presta di far tutto ciò che fosse piacer di lui. Alla qual Nastagio fece
rispondere che questo gli era a grado molto [17], ma che, dove piacesse, con
onor di lei voleva il suo piacere, e questo era sposandola per moglie.
La giovane, la qual sapeva che da
altrui che da lei rimaso non era [18] che moglie di Nastagio stata non fosse,
gli fece risponder che le piacea. Per che, essendo ella medesima la messaggera,
al padre e alla madre disse che era contenta d’esser sposa di Nastagio, di che
essi furon contenti molto; e la domenica seguente Nastagio sposatala e fatte le
sue nozze, con lei più tempo lietamente visse. E non fu questa paura cagione
solamente di questo bene, anzi sì tutte le ravignane [19] donne paurose ne
divennero, che sempre poi troppo più arrendevoli a’ piaceri degli uomini
furono, che prima state non erano.
(Novella di Nastagio degli Onesti, Decameron, V, 8).
Note
1) commendata: lodata, elogiata.
2) senza stima: in misura
inestimabile.
3) che egli sé e ‘l suo avere
parimente fosse per consumare: che fosse destinato a consumare se stesso e il
suo patrimonio.
4) Chiassi: Classe, vicino a Ravenna.
5) padiglioni e trabacche: tende
di varia dimensione.
6) all’entrata: all'inizio.
7) famiglia: servitù.
8) la quinta ora del giorno: le
undici del mattino.
9) guai: lamenti.
10) gridando... mercè: implorando
pietà.
11) corsiere: cavallo da combattimento.
12) stocco: spada.
13) guari: molto.
14) fugga: fuga.
15) una grazia m’impetriate:
otteniate per me un favore.
16) prima tempo non si vide: non
appena le si presentò l'occasione.
17) a grado molto: molto gradito.
18) da altrui che da lei rimaso
non era: solo a causa non era ancora successo.
19) ravignane: ravennati.