Questo post nasce come commento
al post di Antonio Una famiglia sacrale! (http://cosechedimentico.blogspot.it/2013/09/una-famiglia-sacrale.html)
poi, visto che ero ispirato e viste le dimensioni, ho preferito trasformarlo in
un post a mia volta, senza per questo perdere il carattere di replica:
La battuta sulle coppie
eterologhe, tipo un uomo e una gallina è bellissima e fulminante. Anch'io ho
avuto la sensazione che Banderas stesse cercando di sedurre la gallina e tutti
insieme (Banderas, gallina e Barilla) stessero cercando, con quella pubblicità,
di sedurre altre "galline" a casa che si illudono che a cucinare i
biscotti sia davvero Antonio Banderas e che li cucini al naturale ... con il
fiato.
Si possono fare diverse
considerazioni su quanto dichiarato da Guido Barilla, la prima è: chi glielo ha
fatto fare? Un imprenditore dovrebbe ampliare il mercato, non restringerlo; uno
che ti viene a dire: «Non metterei in una nostra pubblicità una famiglia gay
perché noi siamo per la famiglia tradizionale. Se i gay non sono d’accordo,
possono sempre mangiare la pasta di un’altra marca. Tutti sono liberi di fare
ciò che vogliono purché non infastidiscano gli altri».
Aggiungendo poi: "Va bene se
a loro piace la nostra pasta e la nostra comunicazione la mangiano, altrimenti
mangeranno un’altra pasta. Uno non può piacere sempre a tutti. Io rispetto
tutti facciano quello che vogliono senza disturbare gli altri. Sono anche
favorevole al matrimonio omosessuale, ma no all’adozione per una famiglia gay.
Da padre di più figli credo sia molto complesso tirare su dei bambini in una
coppia dello stesso sesso".
Ora, tutto ciò a livello di
marketing è estremamente lesivo per l’immagine e per quello che viene chiamato
il brand dell’azienda, una dichiarazione autolesionistica; ma come, anni a
costruire un’immagine dell’azienda e dei suoi prodotti, a sciorinare
ossessivamente slogan come: ”Dove c’è Barilla c’è casa” o “Dove c’è pasta c’è
amore”, a mostrare famiglie felici e sorridenti, che abitano mulini bianchi,
dove abitano tutti i buoni sentimenti e la felicità intorno ad un piatto di
pasta, ad un sugo a dei biscotti o a delle merendine, dove ti ospitano
convivialmente anche la bambina cinese, anche lei contagiata da questa felicità
e con l’espressione di chi è appena entrato nel giardino dell’eden (e
perdonatemi se non faccio altri esempi, ma non vedo molto né la pubblicità né
la tv) … e guido Barilla manda tutto a puttane in pochi minuti in una
trasmissione radiofonica?
Frequentazione di licei classici
(a Parma e per due anni a Boston, ci tiene a precisare), “poi ha seguito i corsi della facoltà di
Economia all'Università di Parma e all'Università Bocconi. A Milano ha poi
cambiato facoltà con quella di Filosofia” scrive wikipedia e non si capisce se
Guido è un economista o un filosofo, o un filosofo economista e nessuno dei due
visto che non è specificato che abbia mai conseguito una laurea, solo che “ha
seguito i corsi” … anch’io ho abitato per mesi vicino al conservatorio di
Padova, dovrò scriverlo sul mio curriculum… per poi buttare li
irriflessivamente una cavolata di queste dimensioni?
Non vorrei essere ingeneroso
perché non lo conosco e non posso e non
voglio giudicare un uomo per una dichiarazione che ha fatto, ma ogni
tanto mi sorge il sospetto che questi figli di papà che ereditano aziende
colossali e fortune immense siano un tantino sopravvalutati. Prendete Marina
Berlusconi, anche lei liceo classico (che è la scuola scelta da chi ha molte
pretese, dai figli di papà e non solo da chi è attratto dalle lettere e dalla
cultura classica), anche lei frequenta i corsi prima della facoltà di
Giurisprudenza poi di Scienze Politiche abbandonando entrambe al primo anno,
fortunatamente per lei non mette piede alla Bocconi, non credo conosca il vero
significato della parola “gavetta” e non credo che abbia occupato i ruoli
di vicepresidente di Fininvest (all’età
di 30 anni), di presidente della holding e di guida della casa editrice Arnoldo
Mondadori nelle aziende di papy per meriti speciali o perché abbia dimostrato spiccate
doti di imprenditrice.
Eppure viene considerata da molti
una “tosta”, una che sa il fatto suo, una in gamba, tanto che Forbes nel 2008
la colloca al nono posto nella lista delle ereditiere più ricche del mondo e
nel 2010 è al 48° posto fra le donne più potenti del mondo (unica italiana
presente) e che ha pure vinto l’Ambrogino d’oro; esiste anche una lista di
donne capaci? In tal caso vorrei segnalare una mia conoscente e vicina di casa
che lavora come impiegata, tira su da sola due figli uno di sette e l’altro di
nove anni, aiuta il marito negli aspetti economici e amministrativi
dell’azienda di questi e se invitano degli amici a cena è lei che cucina,
apparecchia, serve in tavola, sparecchia, riassetta e fa i piatti…e i suoi
discorsi in tavola o nel salotto dopo cena sono più interessanti di quelli del
marito.
Come possiamo conciliare
quest’immagine positiva di Marina Berlusconi, di imprenditrice in gamba, con la
perdita di uno degli scrittori di successo della Mondadori come Roberto
Saviano? Ricordo brevemente ciò che accadde (in rete troverete ancora le
lettere aperte che i due si sono scambiati): Silvio Berlusconi (altro “grande”
comunicatore) dichiara che serial tv come la Piovra o libri come Gomorra dello
stesso Saviano (pubblicato dalla sua casa editrice, la Mondadori e che gli ha
fatto guadagnare parecchio e che ha venduto quasi 13 milioni di copie in tutto
il mondo) danno un’immagine negativa del nostro Paese, perché gli stranieri
possono pensare che gli italiani siano tutti mafiosi.
L’argomento berlusconiano è
ridicolo, mi pare simile alla vicenda del sindaco del mio paese d’origine che,
attaccato da un giornalista che lo accusava di essere il responsabile
dell’invasione di insetti e di scarafaggi in tutto il suolo comunale per non
aver eseguito la consueta disinfestazione, si arrabbia e controbatte dicendo
che queste notizie sono lesive per l’immagine del paese e per il turismo.
Ma non sarebbe stato più semplice
tenere il paese pulito e disinfestato se vuoi attrarre il turismo e non ledere
l’immagine del paese? E non sarebbe più semplice non tenere in villa stallieri
mafiosi, non dire che sono degli eroi, non frequentare persone condannate a
sette anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, non
mettere nelle liste elettorali persone indagate per collusioni con la camorra?
In qualsiasi altra azienda un
manager che perde così stupidamente un “affare” come Saviano viene licenziato
in tronco, ma Marina Berlusconi è la figlia del capo … forse l’erede, chi
potrebbe osare contrastarla, chi potrebbe offuscarne i meriti? Continuerà ad
essere quella donna in gamba che tutti ritengono che sia, continueranno ad
infiorettarle (le riviste di papà) una carriera invidiabile, una vita felice,
dei figli stupendi … da Mulino Bianco insomma!
E gli Elkann (Lapo e John),
virgulti ed eredi di Casa Agnelli, che si fanno amministrare l’azienda di
famiglia da tale Guido Marchionne, che concentra su di sé poteri e cariche
illimitati e che sta agendo come una guida indigena della foresta pluviale,
tagliando col machete tutto ciò che lo ostacola (Termini Imerese, Pomigliano,
la Fiom, …), sta facendo semplici operazioni di borsa per far salire i titoli e
moltiplicare i dividendi per i grandi azionisti, acquista a costo zero gioielli
in crisi dell’automobilismo a stelle e strisce, che però non sono fra le auto
più vendute, semmai appannaggio di una piccola nicchia di aficionados.
Ciò che non fa è rilanciare
l’azienda, la ricerca, (giapponesi e tedeschi sono al motore ibrido, a cambi
che sono una favola, ad accessori e modelli futuristici, ad un’attenzione maniacale
verso i consumi e l’impatto ambientale, perché sanno che è su questi punti che
si decide l’acquisto), a produrre e vendere nuove autovetture, che siano
competitive sul mercato … al salone dell’auto di Francoforte la Fiat non solo
non presenta nessuna vera novità solo versioni speciali, aggiornamenti e
qualche derivazione di modelli già esistenti, ma è desolante anche la totale assenza
di vetture a basso impatto ambientale (auto a propulsione ibrida ed elettrica).
E la Barilla? Nonostante la crisi
regge il mercato, emerge con nuovi prodotti, che pubblicizza bene, riesce ad
inserirsi come testimonial di grandi eventi sportivi … ed è tutto, persiste la
miopia occidentale (tranne forse per qualche grande azienda tedesca) di voler
competere con i Paesi in via di sviluppo producendo prodotti industriali a
basso costo.
È un’assurdità, noi non potremo
mai competere su questo piano con l’India e con la Cina ad esempio, che hanno
una popolazione sterminata e possono disporre di mano d’opera a costo
irraggiungibile per i canoni occidentali, loro possono anche (per sostenere lo
sviluppo) non essere così sensibili ai problemi ambientali, dimezzando i costi
di smaltimento dei rifiuti tossici, se a questo aggiungiamo che stanno
investendo in ricerca cifre per noi ormai impensabili e stanno acquisendo
esperienza e maestranze di alto livello in molti campi (dalla moda
all’agricoltura, dal turismo all’automobile), in pochi anni ci avranno
raggiunti e superati … e non varrà a niente il prestigio di un marchio.
Qualche anno fa la Comunità
Europea liberalizzò in una votazione l’uso di altri grassi vegetali nella
produzioni del cioccolato e dei dolci, si tratta di burro di karitè, di palma,
di cocco, ecc. che in precedenza in Europa venivano usati solo nella
saponificazione, visto che sono talmente grassi da essere nocivi per la salute.
Si è trattato di un’operazione da
un lato geniale, perché adesso una tavoletta di cioccolato possiamo mangiarla,
usarla per fare la doccia o per lavare i panni, dall’altro è un’operazione
suicida perché le “gocciole” assomigliano sempre di più alle “sdrucciole”, il
cioccolato svizzero al sapone di Marsiglia … e non si capisce perché dovremmo
pagare di più per questi prodotti, visto che la loro qualità è identica e il
loro sapore indistinguibile.
Tutte le aziende europee, dalle
multinazionali (come la Nestlé) che hanno fatto pressioni per questa
liberalizzazione, fino alle aziende artigianali medio-piccole (comprese le
gelaterie sotto casa) si sono adeguate, e al burro di cacao (un tempo unico
grasso vegetale permesso nell’industria dolciaria) hanno aggiunto grassi
vegetali di altra derivazione: Alcuni scrivono: “Cacao al 70°”, bene, bravi, e
il resto? Sapone di Marsiglia!
Niente però vieta ad un
imprenditore di continuare a fare i suoi dolci come si facevano una volta,
usando il 100° di burro di cacao (e scrivendolo sull’etichetta), eppure non ce
n’è uno che lo faccia. Perché, mi chiedete? Perché è più remunerativo
pubblicizzare un prodotto con Antonio Banderas che circuisce una gallina che
non scrivendoci sopra “burro di cacao al 100°”.
Tanto ormai la differenza fra
cacao e sapone di Marsiglia non la capisce più nessuno, ci siamo imbarbariti a
tal punto che somministriamo merendine e hamburger di McDonald ai nostri figli
e tacitiamo la nostra coscienza dicendoci che sono “naturali” (cotti a vapore, col
fiato, garantisce Banderas) e che lo fanno tutti ormai.
Negli USA, dove il cibo
spazzatura è stato introdotto molto prima, il tasso di obesità è elevatissimo e
l’età di esordio delle malattie cardiocircolatorie è sceso vertiginosamente,
tanto che hanno dovuto correggere l’età media in cui si può presentare il primo
infarto a 40 anni circa … ancora qualche anno di merendine e di fast food e
anche noi raggiungeremo le medie americane.
Le madri, le donne che sono
quelle che ancora oggi fanno la spesa per i loro figli e filtrano per loro i
prodotti buoni, naturali e sani, non sono più in grado di fare la differenza,
di distinguere un prodotto artigianale da uno industriale, una buona bistecca
da un hamburger e un pasticciere da un attore che tenta i sedurti per farti
credere che non solo fa buoni dolci (mentre è probabile che non abbia la minima
idea di come si facciano), ma che l’amore che mette nei suoi biscotti potrebbe
travalicare l’arte pasticciera e giungere fino a te (tanti e tali sono le
allusioni e gli ammiccamenti in tal senso).
Più è squallida la realtà (stiamo
parlando di biscotti industriali, che utilizzano ingredienti e modalità di
fabbricazione e di confezionamento del prodotto che non hanno più niente di
artigianale) e più la pubblicità tenta di nasconderlo mistificandoci; più la
famiglia nucleare cade a pezzi ed è in crisi, più la idealizziamo e desideriamo
vivere come quella del mulino bianco. C’è forse un’assonanza fra le due cose,
una qualche eco? Secondo me si, la famiglia idilliaca del Mulino Bianco
certamente non esiste, non è mai esistita, così come non esiste la famiglia
“sacrale” (sono le parole di Guido Barilla, di quale sacralità stia parlando lo
sa solo lui visto che di famiglie ne ha due; qual è quella sacrale: la prima o
la seconda? E se fosse la prima, perché l'ha dissacrata risposandosi? E se invece
fosse la seconda, la sacralità si trova per prove ed errori? E quand’è che sono
sicuro che quella che ho sia davvero quella sacrale? Troppe domande per uno che
si occupa di pasta).
Più questo modello di famiglia
imposto, sognato, vagheggiato, che struttura inconsapevolmente anche i nostri
più reconditi desideri, si fa etereo, evanescente, irraggiungibile, utopico e
più diventa necessaria la sua esistenza, più ci aggrappiamo ad idee deliranti
come il trovare la pace, la serenità, l’amore, l’affetto, la realizzazione, il
riconoscimento, …, all’interno della famiglia, più rendiamo rigidi i contorni
di questo modello di famiglia, più diventa necessaria e “naturale”, più si
sente la necessità di difenderla.
Ma difenderla da chi? Non da
tutte le assurdità che ci abbiamo messo dentro, da tutte le cose assurde che
non stanno né in cielo né in terra, dai nostri stessi limiti, dal fatto che
l’amore che dovrebbe legare i componenti della famiglia fra di loro non è un
Dio buono come crediamo, se dessimo ascolto al Socrate di Platone sapremmo che
esso è in realtà un demone e che un rapporto d’amore fra due persone è in
realtà una lotta continua, un tormento e un’estasi.
Che la coppia nucleare che noi a
torto riteniamo il modello naturale di coppia sia in realtà una creazione
culturale di questi ultimi anni lo dicono tutti coloro che si sono occupati di
coppia e di famiglia (ad esempio lo dice con molta autorevolezza Chiara
Saraceno nel suo Coppie e famiglie. Non è questione di natura, Feltrinelli,
Milano, 2012, 15 € e lo dicono altrettanto autorevolmente Michele Minolli e Romina Coin nel loro Amarsi, amando. Per una psicoanalisi della relazione di coppia, Borla, Roma, 2007, 25 €), basterebbe ampliare un po’ i propri orizzonti in fatto di
coppie e di famiglie, anche semplicemente osservare le assonanze e le
differenze fra le famiglie attuali e quelle dei nostri padri e dei nostri
nonni.
Se poi desiderassimo
approfondire, troveremmo solo l’imbarazzo della scelta fra sociologi,
antropologi e psicologi di coppia o familiari che si sono occupati di questi
argomenti acquisendo nel corso dei decenni un’esperienza e tutta una serie di
informazioni preziosissime che permettono di capire e di operare in situazioni
anche molto critiche, pima che possano precipitare nel controllo dell’altro,
nella violenza e nell’omicidio.
Credete che nelle trasmissioni
televisive o radiofoniche in cui si parla di coppia o di famiglia invitino
Chiara Saraceno o Michele Minolli (che sono due autorità in Italia su queste
questioni)? No, invitano piuttosto Carlo Giovanardi o Paolo Crepet.
Questa idea di famiglia
“naturale” che legioni di inadeguati paladini si affrettano a difendere a spada
tratta da nemici e detrattori (ma se è "naturale" che bisogno ha di
essere difesa?) è talmente fragile che basta una donna emancipata, un gay o
anche soltanto qualche persona di buon senso per metterla profondamente in
crisi.
In quanto ai suoi paladini, a chi
si erge come difensore, li chiamo inadeguati perché si tratta di uomini di
chiesa che hanno preferito per vocazione non avere una famiglia propria, di
politici, personaggi dello spettacolo e imprenditori che straparlano di
famiglie naturali, sacrali e quant’altro e molti di loro sono separati anche
più volte, fidanzati (alla tenera età di 78 anni), interessati a non
contrariare i dettami di Santa Romana Chiesa che pretende di esercitare un
potere sui corpi e sulle menti degli individui dalla nascita alla morte e persino
sotto le lenzuola matrimoniali.
E, infine, c’è il povero diavolo,
quello che entra in casa e la moglie e i figli lo salutano appena, quello che
si è convinto di essere diventato ormai il bancomat della famiglia, quello che
più è deluso dalla sua vita familiare più ne rilancia l’idea e la purezza, più
ne avverte la necessità, più ci va a sbattere contro come il calabrone continua
a tirare testate sul vetro perché lui vede la luce, non l’ostacolo.
O la povera diavola che, come
Marge Simpson, cucina tutto il giorno e poi il marito e i figli ingurgiteranno
tutto ciò che ha fatto senza nemmeno rendersi conto di che sapore avessero,
senza distinguere fra i suoi manicaretti e qualsiasi schifezza potesse comprare
per nutrire la famiglia, quella che è ormai diventata la serva che lavora,
cucina, stira, fa il bucato e si occupa di tutte le questioni amministrative
spicciole dell’intera famiglia.
Questi poveracci invece di
mandare tutto al diavolo, invece di sentirsi in colpa e inadeguati perché le
cose non vanno come dovrebbero e come avevano sperato, come era stato loro
fatto credere e tacitamente promesso dalle telenovelas, dalle fiction o dai romanzi della Collana Harmony,
difendono quest’idea come se fosse un delirio e riversano tutta la loro
insoddisfazione su chi a loro parere mette in crisi la “famiglia”.
Le donne emancipate, ad esempio,
i gay, chi convive, chi sceglie di non avere figli o le persone di buon senso
che coltivano qualche dubbio e relativizzano l’intera questione o anche solo
cercano di capire. Come può chi fa una scelta diversa dalla mia danneggiarmi?
Al massimo se presumo che la mia scelta sia quella giusta e la sua quella
sbagliata, questa persona danneggia se stessa. Come può uno che non si sposa
mettere in crisi il matrimonio? Se tanta gente non si sposa è perché il
matrimonio in sé non ha molto di allettante, se poi ci aggiungiamo che anche
chi si sposa si separa, forse l’errore non è nel non sposarsi, ma nel farlo.
Infine, una persona soddisfatta non ha necessità di trovare conferma delle sue
scelte di vita nelle altre persone, chi è soddisfatto è tollerante, è chi è
insoddisfatto che cerca compensazione nel sentirsi migliore di altri.
In genere queste persone non
cercano di essere migliori degli altri in attività in cui possono eccellere,
cercano semplici e banali scorciatoie, di essere migliori “a buon mercato”; pretendono
di essere migliori di chi è nato da un’altra parte, di chi appartiene ad un
altro popolo, di chi ha il colore della pelle diverso dal loro, di chi parla
un’altra lingua, di chi fa scelte sessuali diverse dalle loro, o semplicemente
perché loro si sono sposati in chiesa o si sono sposati (come se la formalità
di un rito o di una cerimonia desse automaticamente un valore superiore alla
scelta stessa e a chi opera quel tipo di scelta, come se una casualità o una
scelta formale potesse farmi essere migliore di ciò che sono o migliore di
chiunque altro, solo per averla fatta).
Voglio ricordare che tutta la
questione con Guido Barilla è nata in seguito alle dichiarazione della
Presidente alla Camera Laura Boldrini che ha inveito contro gli spot che
mostrano la donna ancora in ruoli subordinati, come servire a tavola, come se
fosse suo compito esclusivo, e che Barilla, chiamato in causa dalla
stucchevolezza degli spot da Mulino Bianco dove il ruolo della donna è proprio
questo, abbia risposto nel modo che sappiamo, riuscendo ad inimicarsi
contemporaneamente e le donne e i gay.
Ci riflettiamo poco in genere, ma
la Boldrini ha ragione su certi automatismi che diamo per scontati, quando una
coppia viaggia insieme nella stessa macchina, chi è che guida in genere? E chi
cucina? Chi sparecchia? Chi porta i bambini a scuola? Chi si occupa delle
faccende domestiche? L’altro aiuta, ma a spot, all’occorrenza, o è un aiuto
continuo su cui potete contare? Chi parla con i figli in difficoltà? Quali
differenze notate nel rispettivo ruolo educativo? Come ti guardi le unghie
delle mani (ora chiedilo ad un uomo se sei una donna o ad una donna se sei un
uomo e noterai la differenza)? Come ti guardi la suola dei piedi o delle scarpe
e come lo fa il tuo partner? Esistono ancora molti automatismi che sono
differenti nell’uomo e nella donna, molte cose che diamo per scontato che siano
così, che ci sembrano quasi naturali, mentre in realtà sono frutto di
educazione, modellamento e di identificazione di genere che scambiamo per legge
universale, che sanciscono nell’ambito sociale, nella famiglia allargata e nel
gruppo familiare ristretto compiti, ruoli e soprattutto una stima di sé come
individuo e il corrispettivo benessere ad essa associato.
Il fatto che esistano questi
automatismi, che implicano rapporti di coordinazione o di subordinazione, di
superiorità o di inferiorità, e di valore fra gli individui, non è dovuto
all’automatismo in sé, ma al senso che noi gli diamo.
In altre parole, se tendiamo a lasciare
o a dare per scontato che sia la donna a cucinare in una famiglia, ciò non
significa che il problema sia cucinare, ma il senso che noi diamo a
quell’evento e le implicazioni che ne derivano; se il senso è che cucina la
donna perché cucinare è noioso e meno nobile e chi lo fa si pone
automaticamente in un rapporto di subordinazione rispetto a chi non lo fa,
cucinare diventa meno appetibile e si trasforma in una imposizione o in
qualcosa di mal tollerato (quando non subentra addirittura un’adesione a questo
giudizio: siccome sono donna e valgo meno di un uomo, è compito mio occuparmi
delle faccende più noiose e meno nobili).
L’errore storico delle donne
emancipate è stato quello di abbandonare la cucina (dando così per scontato che
cucinare fosse noioso e meno nobile) per competere con l’uomo su territori che
si supponevano più nobili e più appetibili, dimenticando che qualsiasi cosa una
persona (non importa se uomo o donna) sappia fare è un bene per lei e per gli
altri ed è anche un valido strumento di prestigio e di potere sugli altri, a
maggior ragione da potere e prestigio l’attività tesa a nutrire tutta la
famiglia.
Ci sono state donne molto in
gamba che hanno dominato uomini indomiti e riottosi, figli ribelli e poco
malleabili curando la semplice arte di selezionare i prodotti che arrivano in
tavola e di trasformare le materie prime in cibo prelibato…in fondo si tratta
della vetusta dialettica fra il servo e il padrone che si ripropone in quasi
tutti i rapporti umani e il cui esito (la sintesi) non è scontato, tutt’altro …
ma evidentemente Guido Barilla non ha letto mai la Fenomenologia dello spirito
di Hegel, nonostante abbia frequentato corsi di filosofia.
A suo merito c’è da dire che,
finalmente, Guido Barilla si è scusato senza se e senza ma, e senza aggiungere:
“sono stato frainteso” ( http://www.barillagroup.it/), ma io sono
diffidente verso i cambiamenti repentini, che possono essere adottati più per
convenienza che per mutata convinzione. Dov’è un Don Chisciotte che combatta di
nuovo contra todos los molinos blanco?
beh, visto che è una replica me la godo senza aggiungere troppo ;-) bello il commento grafico al post (sicuro sia farina? e soprattutto la teoria dei Don Chischiotte che allude alla dedizione con cui si difendono i "principi sacrali", più declamati che altro). Ti chiedi perché ci si ostina a difendere quegli automatismi, tempo fa scrissi questo, ci si potrebbe ragionare. A proposito a casa mia cucina chi crea poesia con i suoi piatti e tutto il mio ragionare non vale il profumo e il sapore di uno di quei piatti ;-) Buona domenica.
RispondiEliminaPremetto di non comperare la pasta Barilla perchè non voglio caricarmi il costo della pubblicità oltre quello, oggettivo, del prodotto.
RispondiEliminaLo faccio in genere con tutto ciò che è s-bandierato ai quattro venti con clamore che mi disturba e tenta di rendermi consumatore e non cittadino.
Per l'affermazione del Barilla filosofo non mi addentro su questioni che sono di lana caprina, ma osservo che i cuccioli di uomo hanno il diritto di nascere e vivere come Natura comanda; senza deviazioni che, se non malattie ed in ciò posso concordare pur nella mia ignoranza specifica della materia, possono creare difficoltà nella crescita.
Non tutti i concetti di normalità possono essere sottoposti alla relatività.
Ve ne qualcuno che è assoluto; ma nella Materia de quo sei Tu il Maestro.
Ti leggerò volentieri e, semmai, trarrò insegnamento.
Ciao
luigi
Lui e lei al ristorante. Ordini una birra piccola e una media? La piccola è sicuramente per lei. Ordini un caffè e un caffè d'orzo? Il caffè è sicuramente per lui, quello d'orzo per lei. Si sa, le femminucce sono piccoline, deboline, fragiline e tenerelle. Che nervi.
RispondiEliminaSiamo in gran forma, signor Garbo. Pregevole, il suo post.
Luigi, considerando che la sua preoccupazione nasce dal desiderio di assicurare ai bambini uno sviluppo salutare direi che merita attenzione. Ed è proprio per questo che suggerirei di partire dai fatti per farsi un'idea e per una discussione serena. I fatti riportati in una letteratura scientifica ormai ventennale dicono che i figli nati e cresciuti in coppie omosessuali non mostrano alcuna differenza nel loro sviluppo rispetto a quelli delle coppie "normali". A mia conoscenza non ci sono prove del contrario, ma anch'io come lei mi rimetto al parere di chi in materia è più esperto di me.
RispondiEliminaDobbiamo - allora - documentarci, sig. Antonio.
RispondiEliminaNon sono riuscito a leggere il Suo riferimanto quale indicato nel Suo scritto ed ho spaziato altrove.
Saluti da luigi anche al padrone di casa.
"Nuovo studio: disagio per i figli cresciuti in coppie gay.
25/07/2012 - 09.57
La rivista scientifica “Social Science Research” ha pubblicato di recente due studi sulle problematiche dei bambini cresciuti all’interno di una relazione omosessuale. Cadrebbero sonoramente, così, la tanto osannata validità di argomentazioni a vantaggio della genitorialità nelle coppie gay e lesbiche. Come è immaginabile, vigorose sono state le polemiche che hanno accompagnato la pubblicazione dei risultati scientifici.
Il primo studio "sotto accusa" è quello del sociologo dell’Università del Texas, Mark Regnerus, basato sul più grande campione rappresentativo casuale a livello nazionale, il quale ha intervistato direttamente i “figli” (ormai cresciuti) di genitori omosessuali, documentando un aumento sensibile del tasso di suicidio, di tradimento, di disoccupazione, di ricorso alla psicoterapia, di patologie sessualmente trasmissibili e di inclinazione al fumo e alla criminalità. Un gruppo di 18 scienziati e docenti universitari ha pubblicato un comunicato sul sito della Baylor University sostenendone l’attendibilità statistica e metodologica.
Il secondo studio è stato realizzato da Loren Marks della Louisiana State University, nel quale si critica fortemente la posizione (politica) dell’American Psychological Association (APA), secondo la quale i figli di genitori gay o lesbiche non sarebbero svantaggiati rispetto a quelli di coppie eteorsessuali. La studiosa ha analizzato i 59 studi citati dall’APA per sostenere la propria tesi, dimostrando la criticità di molktissimi dei suoi fondamenti.
Entrambi gli studi sono stati accolti in modo positivo dalla comunità scientifica dal punto di vista della correttezza procedurale, ma sono arrivate accese critiche sulla metodologia, nonostante le risposte fornite dai due ricercatori siano state esaustive. Al contrario, le cronache ci raccontano come la prevedibile reazione della lobby gay è stata animalesca.
omissis
Inoltre, chi ha criticato lo studio affermando che i problemi dei “figli” dei gay sono dovuti alla stigmatizzazione della società (incolpare gli altri è la classica via di fuga), non ha riconosciuto che «le scoperte di Regnerus relative all’instabilità dei rapporti sono coerenti con recenti studi su coppie gay e lesbiche in paesi come l’Olanda e la Svezia, i quali trovano modelli altrettanto elevati di instabilità tra le coppie dello stesso sesso». Cioè, i disturbi persistono anche in società fortemente gay-friendly
...
Fonte: Redazione
"
N.B.:
Ricavato da Internet da un ignorante della Materia quale mi dichiaro, pur con qualche piccola convinzione che non deriva, però, da "razzismo".
Caro Luigi,
RispondiEliminasgombriamo il campo da un equivoco iniziale, io non mi sento esperto in niente e non ho nessuna intenzione di salire in cattedra convinto che ciò che scrivo o dico debba essere in qualche modo più “vero” o più “scientifico” di ciò che scrivono e dicono gli altri. Io interpreto il mio ruolo di cultore di una disciplina e talvolta anche divulgatore e di docente di questa disciplina come se fossi un ricercatore e non uno che ha già trovato; ma non un ricercatore della Verità, perché ho abbandonato anche questa velleità molto precocemente nel corso della mia vita, ma di una qualche “verità” individuale, o duale, o condivisibile dal piccolo al grande gruppo, che sia confortevole ed abitabile da tutti e non che sia necessariamente un assoluto o che corrisponda a qualcosa di realmente esistente, fosse anche nel mondo iperuranio, sull’olimpo o nel regno dei cieli.
Anche come psicoanalista il ruolo che mi ritaglio, talvolta con qualche protesta iniziale da parte dei miei pazienti che pretendono che io sappia ciò che è meglio e che dica loro cosa fare, è quello di compagno di viaggio, co-ricercatore, facilitatore, non certo detentore di una qualche verità, sia essa scientifica o esistenziale.
In breve condivido perfettamente il fatto che: “L’analista partecipa sempre e inevitabilmente co-crea esattamente quello che, insieme con il paziente, sta tentando di comprendere” (Stephen A. Mitchell, Influenza e autonomia in psicoanalisi, Boringhieri, Torino, 1999, p. 194).
Quindi, se intervengo è solo per esprimere il mio personale parere al riguardo e per portare in questo dibattito la mia personale esperienza, e per nient’altro; ti dico subito che pur avendo una certa facilità nel sapere come e dove cercare e dei criteri per poter valutare i lavori seri dalla spazzatura, non ho intenzione di mettere in campo tutta una serie di studi, più o meno prestigiosi, che confermino il mio pensiero.
Sono perfettamente consapevole, infatti, che convinzioni che riguardano gli argomenti che stiamo trattando (come tutte le convinzioni del resto) non sono frutto di convincimenti razionali, come vogliamo credere, o della presunta cristallina evidenza con cui ci appaiono, tanto da sembrarci degli assoluti o che appartengano alla “natura” stessa delle cose e pensare diversamente sarebbe andare contro natura, ma sono intrise di emotività perché appartengono ai mattoni primigeni con cui costruiamo la nostra stessa identità di persone e quella di genere.
E mettere mano a tutto ciò significherebbe mettere mano a ciò che siamo e a ciò che crediamo di essere; ed è per questo che è facile e anche comprensibile (succede anche a me) che cerchiamo piuttosto di confermare ciò di cui siamo già convinti quando andiamo a reperire del materiale (scientifico o no, non importa) informativo e lo portiamo a sostegno di ciò che stiamo asserendo.
Accade anche ai ricercatori, la tendenza a confermare le proprie ipotesi iniziali, falsificando impercettibilmente e forse anche inconsapevolmente dati e procedure, è molto presente nell’ambito della ricerca, per questo necessitano sempre ulteriori verifiche e, più che conferme altrui sarebbe necessario sottoporre le ipotesi al vaglio di lavori strutturati per falsificarle (come ci ricorda Popper).
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Per il livello del dibattito su questo blog e per avere un’idea generale di ciò di cui stiamo parlando, invece di citare studi specialistici spesso tradotti male e divulgati peggio, di cui è impossibile valutare i risultati se non posso valutare anche l’impianto scientifico che vi è sotteso e che è stato seguito, sarebbe bastato cercare su Wikipedia.
RispondiEliminaDove avremmo letto ad esempio questo: “Gli studi sui quali si basano le posizioni ufficiali dell'American Psychological Association, American Psychiatric Association, American Academy of Pediatrics, Australian Psychological Society e Australian Medical Association e altre associazioni di professionisti che operano nel campo della salute mentale hanno evidenziato che non sussistono differenze negli effetti della omogenitorialità rispetto alla genitorialità eterosessuale sul benessere mentale del bambino”; se le maggiori associazioni mondiali di psichiatria, psicologia, pediatria e medicina, si sono espresse in tal modo, che senso ha ancora andare a scomodare i ricercatori e le università del Texas e della Virginia.
Altre informazioni, sempre reperibili su wiki sono altresì interessanti, le adozioni per le coppie gay sono legali in: Spagna, Regno Unito, Svezia, Norvegia, Danimarca, Belgio, Paesi Bassi, Islanda, Israele e Francia (e con tutta una serie di distinguo e di differenze anche in: Irlanda, Canada, Stati Uniti, Argentina e Australia).
Tenendo presente che in molti di questi Paesi non accade di solito che al corrispettivo del ministero delle Pari opportunità mettano gente come la Carfagna e la Prestigiacomo, ma persone serie e competenti che si circondano di consiglieri capaci e molto preparati e che valutano attentamente tutte le possibilità e i rischi quando propongono una legge e sono soliti corredarla di un vasto e solido materiale scientifico a supporto, forse dovremmo riflettere prima di formulare giudizi che sconfessano la legislazione di molte Nazioni più all’avanguardia di noi in fatto di rispetto dell’individuo e di diritti civili.
Che idea bislacca, poi, quella di valutare se un’ipotetica coppia omosessuale è adeguata o meno ad allevare bambini, perché non lo facciamo anche con quelle eterosessuali visto che i risultati dell’educazione delle attuali coppie sono sotto gli occhi di tutti? Perché non è sufficiente valutare, in caso di adozione, se una coppia (non importa se omo o etero) ha i requisiti per crescere questo bambino? In fondo ad un bambino non interessa davvero niente se i genitori adottivi sono dello stesso sesso o di sesso diverso, è per lui più importante che riescano a trasmettergli affetto, che lo nutrano adeguatamente, che siano almeno mediamente intelligenti, che riescano a stimolarlo, che lo capiscano, che si prendano cura di lui.
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Sarebbe bastato osservare il comportamento dei cani, per i quali l’omosessualità è molto diffusa, o guardare qualche documentario naturalistico sulla vita sessuale degli animali, dove l’omosessualità è presente dagli insetti fino agli uccelli, dai pesci fino ai mammiferi, qualche libro di storia, di letteratura antica o di antropologia culturale avrebbe fugato gli ultimi dubbi: l’omosessualità è presente in tutte le culture, del passato e del presente, e a tutte le latitudini del globo.
RispondiEliminaEd è stata un fenomeno talmente presente e spontaneo che ne troviamo traccia senza imbarazzo alcuno nelle civiltà che ci hanno preceduto e nei reperti che ci hanno lasciato; è solo con l’avvento del patriarcato e soprattutto delle tre grandi religioni monoteistiche che l’omosessualità è stata combattuta come se fosse la peste.
Eppure i più grandi capolavori artistici dell’antichità sono frutto di una cultura prevalentemente bisessuale (anche l’omosessualità come scelta univoca è piuttosto recente, gli antichi erano bisessuali) e il risveglio in Italia di un fermento artistico e culturale paragonabile a quello della Grecia classica, come l’umanesimo e il rinascimento, lo si deve al ripresentarsi di alcune caratteristiche simili a quelle dell’antichità: la polis (che si presenta sotto forma di comune o di signoria) e, ancora una volta, la bisessualità.
Insieme, cultura classica e rinascimento hanno fatto del nostro Paese quello più ricco di opere d’arte al mondo, seguito subito dopo dalla Grecia, che possiede solo reperti antichi; mentre le grandi religioni monoteistiche hanno avuto un atteggiamento ambivalente verso l’arte e possiamo dire che questo atteggiamento (fra iconosclastia, persecuzione degli artisti e distruzione delle opere d’arte che non celebravano direttamente i loro valori) è stato prevalentemente negativo.
Basta questo per evitare affermazioni come attribuire la “naturalità” alla coppia eterosessuale e la “devianza” a quella omosessuale: se una cosa esiste in natura ed è diffusa è naturale, io non riesco ad immaginare che qualcosa contraria alla natura possa esistere in natura.
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Qualcuno, a questo punto, visto che l’argomento natura/contro-natura non ha molti sbocchi, vira la critica sull’utile o addirittura sul dannoso, chiedendo: “L’omosessualità è utile? O è addirittura dannosa?” e a supporto dell’inutilità porta la sterilità della coppia omosessuale e della dannosità la stima che se fossimo tutti omosessuali la specie umana si estinguerebbe.
RispondiEliminaIl discorso sembrerebbe inattaccabile, ma non lo è, per il semplice fatto che nessun omosessuale pretende che diventiamo tutti omosessuali, al contrario di molti eterosessuali che si sentono piuttosto minacciati dalla sola esistenza dell’omosessualità e la discriminano o la perseguitano; esistono omosessuali, poi, che hanno dei figli naturali avuti da un matrimonio etero e, infine, non è più strettamente necessario avere un rapporto sessuale per generare figli, negli USA e in molti altri Paesi è possibile ricorrere a donatori eterologhi, all’inseminazione, all’affitto dell’utero e alla fecondazione in vitro (come accade a molte coppie etero sterili).
Le parole che usiamo sono molto importanti, perché hanno delle conseguenze che talvolta ci possono anche sfuggire, ma che esistono; dire che la coppia etero è quella come “Natura comanda”, significa dire che quella omo è “contro-natura”, dire che la prima è “normale”, significa dire che la seconda è “anormale” o “deviante” o chissà che altro.
Non sarà razzismo questo, e ci mancherebbe, fin’ora a nessuno (neanche a Casa Pound) è venuto in mente di creare la “razza gay”, ma è certamente discriminazione; una discriminazione che non si basa né può basarsi su niente di serio (né di scientifico né pertinente al buon senso), ma su idiosicrasie personali.
In altre parole, l’intolleranza, il fastidio, la discriminazione o le critiche contro i gay non sono un problema dei gay se non incidentale, perché dovranno fare i conti comunque col montare di questa intolleranza che non trova paragoni se non nell’Europa fascista, nazista, franchista e squadrista che va dagli anni 20 alla metà degli anni 40 del secolo scorso, ma di chi prova questi sentimenti e formula queste critiche.
Ciao
Garbo,
Eliminaquando ho sollecitato la Tua preparazione specifica ero sgombro da ogni tentazione di "molestia" nei Tuoi riguardi.
Davo a Cesare quel che è di Cesare ed al sottoscritto il distintivo dell'ignoranza nella specifica materia in discussione.
E' certo che i pareri pro-veritate e gli studi scientifici, talvolta, sono orientati - ab origine - verso una soluzione piuttosto che verso un'altra; anche a dispetto della Verità. Di ciò sono consapevole e convinto.
Che ci vorrebbe l'esame di genitorialità per le coppie etero l'ho sempre auspicato e sostenuto.
Se e quando utilizzo il termine Natura mi riferisco espressamente alla prosecuzione della specie ed agli atti a ciò idonei.
Il concetto di normale è insito nella curva di Gauss al cui apice si concentra la maggioranza; è concetto relativo se vuoi, ma esiste ed è anormale chi è fuori dalla norma. Non è una offesa, ma una presa d'atto.
Sull'omosessualità antica, presente e futura degli animali in genere non mi esprimo perchè è argomento che mi vede spettatore ed, anche, per fortuna, non non esperto.
Talvolta, scherzando, però, mi chiedo cone si possa guardare con certa attenzione il proprio sesso con tanto ben - etereo - di Dio in giro.
Mi sembra una bestemmia ed un sacrilegio; questo sì. Ma è argomentazione spicciola senza basi scientifiche a supporto.
L'omosessualità è naturale, ma non è Natura; questa precisazione me la passi?
Infine, non pretendo tutti etero, anzi; meno siamo e più c'è da spartire; anche s ea me tocca sempre una piccola razione.
Ma la speranza è l'ultima ...
Non sono intollerante, ma mi piace osservare padre e madre che allevano, bene, i loro pargoli.
Ciao (per il 9 c.m. avevo già postato sul matrimonio, ma piccola precisazione che non sposta la mia convinzione per la parità di diritti; non di definizione perchè se le parole hanno un senso, allora...).
Grazie molte Signora,
RispondiEliminacome la capisco, la birretta piccola e il caffé d'orzo sono fra i problemi più spinosi per la donna del terzo millennio, si figuri che io esco solo con donne che amano il vino e con quelle che prediligono il caffé nero bollente. Anche per le donne ci vorrebbe uno Sciascia a fare un'elenco-categorizzazione (ricorda il Don Mariano che ne Il giorno della civetta discettava di: uomini, mezzi uomini, omminicchi, pigliainculo e quacquaraqua? Lei cosa proporrebbe riguardo alle donne?). :-)
Caro signor Garbo, lo chiede a me? Se io facessi la cameriera porterei il caffè d'orzo e la birretta piccola agli uomini per principio! Oppure chiederei per chi sono, senza dare le cose per scontate. Purtroppo, gli automatismi cerebrali portano a comportarsi come scimmie in base al calcolo delle probabilità e alle esperienze precedenti. Alla fine della giornata si saranno guadagnati minuti inutilmente persi in domande e gesti: il brutto è che quel modo di procedere lo si adotterà in un sacco di altre cose e situazioni. Incluso votare o prendere decisioni su se stessi e sugli altri, immagino. E qui torniamo in attinenza col suo post. Il problema è lo stesso, temo. Sono convinta anche io che ai bambini non interessi granché il sesso di chi li accudisce. Almeno finché non vanno a scuola e cominciano a confrontare le loro vite, i loro giochi, e i loro genitori con gli altri bambini. Insomma, quando si ritrovano nel recinto istituzionale "formativo" per antonomasia e prevalente, dunque, sulle caratteristiche dei singoli individui. Che poi ci siano insegnanti idioti che dicono cazzate è ininfluente. La scuola è maestra di vita, meglio abituarsi fin da piccoli a chi dice cazzate.
EliminaLa saluto cautamente, signor Garbo.
@ Antonio,
RispondiEliminaè bello stare rilassati a godersi un post altrui di tanto senza dover faticare :-)
Ciao
hai ragione, è bello, per questo in principio avevo portato la replica nel mio post ma poi ho pensato che sarebbe stato scortese non dare un contributo :-) quanto al ricorso a wikipedia, hai ragione anche per questo, sarebbe bastato.
EliminaCiao
Dimenticavo. Ho avuto un sussulto quando ho letto della necessità di vedere confermato il suo pensiero, sentendo la necessità di enumerare studi di varia natura. Il motivo? Semplice. Qui parla a titolo personale o in funzione di quel che rappresenta? Nel primo caso non avrebbe bisogno di "prove", nel secondo sì.
RispondiEliminaCaro Luigi,
RispondiEliminaè proprio il concetto di “Natura” che io non condivido, sia come appello all’evidenza e al buon senso, sia come concetto scientifico. Quel concetto di natura che anche tu sembri veicolare e che viene spacciato per assoluto, per verità incontrovertibile è in realtà una costruzione degli scienziati dell’800 che esprimevano ed esaltavano così i valori della borghesia a cui tutti quanti loro appartenevano.
In quel periodo, la borghesia che aveva soppiantano nel secolo precedente la nobiltà come classe dominante in occidente, pragmatica e materialista, aveva semplicemente sostituito il vecchio Dio ormai decrepito, con alcuni surrogati come la “Natura”, il “Caso”, il denaro, il profitto, la materia, la fisica e la chimica.
Ma quella stessa borghesia, atea o agnostica che fosse, era rimasta profondamente imbevuta di cristianesimo molto più di quanto non ritenesse e in realtà non è che si fosse liberata di Dio per essere finalmente libera dalle pastoie religiose, se ne era liberata per sostituirlo con scienza e tecnologia; in un certo senso è ciò che viene preconizzato da Friedrich Nietzsche nello Zarathustra (Il risveglio) quando tutti gli “uomini superiori” che Zarathustra aveva raccolto intorno alla sua caverna, gli uccisori del vecchio Dio, improvvisamente diventano devoti, intonano preghiere e litanie e adorano l’asino.
Nietzsche dice inoltre che la scienza è una virtù che nasce dalla paura (Della scienza), dalla ricerca di sicurezza e dallo spirito di avventura, che è rinuncia alla sicurezza trovata per cercarne un’altra più solida.
Ora, quel concetto di “Natura” che ci giunge direttamente dalla biologia del XIX° secolo, dal darwinismo sociale e dall’eugenetica, salda l’immenso agglomerato della sessualità umana (di cui non ne sono mai venuti a capo scienziati di ogni tipo, filosofi, poeti e letterati) alla procreazione, appiattendola e impoverendola.
Più che saldare l’una all’altra, questi scienziati subordinano la sessualità alla procreazione, asserendo che quest’ultima è la finalità e lo scopo principale della sessualità; non siamo molto distanti dall’insegnamento di Paolo di Tarso e di tutta la Chiesa Cattolica successiva che “permetteva” il sesso purché fosse finalizzato alla procreazione.
La biologia di quell’epoca e una buona parte di quella attuale si crearono due grandi griglie interpretative di tutti i sistemi viventi, scolpirono a lettere di fuoco i principi imprescindibili, le spiegazioni e le finalità ultime a cui obbediva la vita, credettero che il fine e lo scopo ultima della vita è la vita stessa; quindi, ogni essere vivente obbediva a due principi fondamentali che spiegavano ogni suo comportamento: la sopravvivenza individuale (che si esplicava principalmente nel procacciarsi il cibo) e la sopravvivenza della specie (che si esplicava fondamentalmente nella sessualità, nella competizione per la femmina).
Mi viene in mente il finale del film di Lina Wertmuller Pasqualino settebellezze, quando Giancarlo Giannini tornato da un campo di concentramento nazista alla fine della guerra in una Napoli devastata dalle bombe, dilaniata dalla fame e umiliata dalla prostituzione ai nuovi padroni “alleati” per sopravvivere, si sente dire da sua madre: “Chello che è stato è stato … Tu sei vivo!”. Oppure, subito dopo, quando dice convinto alla ragazza che l’ha sempre amato, che “devono difendersi”, “loro” sono tanti, bisogna fare molti figli, tantissimi figli.
(segue)
Qui, in questi due spezzoni di film ritrovi la mentalità imperante della borghesia di ieri e di oggi, che si è conquistata il suo orticello e vuole solo conservarlo, teme di perderlo (in una vera e propria ideazione paranoidea, che purtroppo ha causato molti conflitti e le due grandi guerre mondiali), ed espanderlo; ma per questo occorrono braccia, e più ce ne sono più siamo sicuri, più siamo potenti … ecco l’importanza dei figli e della procreazione (la stessa importanza che aveva presso il popolo di Israele che voleva conquistare e conservare la terra di Canaan, quella che stilla latte e miele, la terra promessa, ma per far questo doveva farsi largo fra edomiti, moabiti, ammoniti, filistei, nabatei, aramei, egizi, fenici, …).
RispondiEliminaIn biologia questa mentalità borghese si è tradotta in istinto di auto-conservazione e di conservazione della specie e se guardi anche adesso un qualsiasi documentario naturalistico non farai fatica a renderti conto che sono le uniche e monotone trame in base alle quali viene spiegato tutto ciò che stai vedendo.
Questo schema creato dalla biologia ottocentesca passò quasi inalterato a Sigmund Freud, che imbrigliò la psicoanalisi delle origini con questi concetti che tutti nel suo tempo ritenevano solidi e condivisibili; i vari rimaneggiamenti della teoria delle pulsioni fino ad arrivare all’esito ultimo dell’istinto di vita e dell’istinto di morte Eros e Thanatos), teorizzati in Al di là del principio di piacere, lo testimoniano.
E lo testimonia anche la sua clinica, per Freud l’uomo equilibrato, quello che ha attraversato la nevrosi e ne è uscito indenne è l’uomo che ha conservato le capacità di amare e di lavorare (lieben und arbeiten, così si espresse lui); non è difficile ricongiungere l’amore alla sessualità e alla procreazione e il lavoro all’autoconservazione e alla lotta per la sopravvivenza.
Ora, se io nella mia clinica guardassi i miei pazienti con lo stesso prisma ottico, avrei lo studio vuoto, molti dei miei pazienti hanno dei figli, un’attività sessuale non necessariamente compromessa nella sua esecuzione e un’attività lavorativa adeguata se non proprio eccellente (talvolta sono persone che hanno successo nella loro attività); ciò non toglie che queste persone siano insoddisfatte di se stesse e della loro vita, infelici, con seri problemi relazionali e lucidamente disperate.
È possibile, allora, che queste griglie lascino fuori molte cose anzi, che impoveriscano la realtà non solo psichica, ma anche quella biologica, che siano semplicemente dei punti di vista molto parziali, che devono lasciar spazio e convivere con altri punti di vista per poter cogliere le cose in tutta la loro ricchezza e complessità.
Prendiamo in esame, ad esempio, il concetto di istinto, molto usato dalla biologia e dal senso comune per spiegare e per giustificare le cose più disparate e spesso le più inconcepibili, in biologia l’istinto è un comportamento automatico e involontario, che non è stato appreso dall’individuo; per intenderci, quello che chiamiamo imprinting è frutto di un istinto, l’anatroccolo appena uscito dall’uovo segue la prima cosa che si muove e la imita, in natura la prima cosa che si muove è la madre, l’anatra, ma può capitare che sia invece Konrad Lorenz.
(segue)
Lo spinarello è un pesce in cui il maschio si prende cura delle uova che la femmina depone nel nido sul fondale che lui stesso ha preparato, le feconda e monta la guardia per evitare che altri maschi della specie si avvicinino a fecondarle o a nutrirsene; dal momento che il maschio durante la stagione degli amori indossa una livrea rossa sgargiante, è facile per lo spinarello maschio individuare quali sono i suoi nemici e chi deve attaccare, l’istinto per semplificare lo spinge ad attaccare tutto ciò che di colore rosso attraversa il suo territorio, e infatti egli attacca qualsiasi cosa su muova e sia di colore rosso, anche un pezzo di legno.
RispondiEliminaOra, nell’uomo non esiste quasi un comportamento che sia affidato all’istinto, tracce istintuali permangono per quello che viene chiamato il “riflesso pupillare” (la pupilla dell’occhio che si restringe automaticamente per proteggersi da una luce intensa) e il “riflesso di prensione” nel neonato (il bambino stringe qualsiasi cosa venga a contatto col palmo della sua manina, strappando gemiti di tenerezza a genitori e nonni che scambiano quel gesto per affetto, in realtà stringerebbe anche qualsiasi oggetto), che si perde però (e per fortuna) nel corso dei primi mesi di vita.
Per il resto in nostro comportamento è veicolato dall’educazione, dalla cultura, dall’identificazione, dal modellamento, dall’apprendimento, …, e i nostri automatismi non sono tali perché sono codificati nel nostro genoma ed esulano da ogni nostra volontà (un istinto viene elicitato da uno stimolo specifico e una volta iniziato non si può più fermare: lo spinarello assume atteggiamenti ostili se vede il colore rosso all’interno del suo campo visivo), sono tali perché la loro “volontà” è inconscia.
La sessualità è l’esempio più lampante nell’uomo di comportamento tanto poco legato alla natura da esistere in infinite modalità declinate secondo la cultura o sottocultura di appartenenza, dalla storia e dalla sensibilità individuale.
Esistono popolazioni che non mettono neanche in relazione l’atto sessuale con i concepimento, per loro sono due cose separate e distinte e l’umanità si è prodigata a trovare sistemi per non mettere al mondo figli almeno quanto si è prodigata per metterli al mondo. Se lo scopo fosse la procreazione, allora la “Natura” )o chi per Lei) avrebbe scelto una strada estremamente dispendiosa se per avere uno, due, al massimo tre figli gli esseri umani si accoppiano così spesso.
Ora, Luigi, se fosse davvero la Natura a regolamentare la nostra sessualità, e se la sessualità fosse finalizzata alla procreazione, noi due non staremmo neanche qui a discutere, gli omosessuali non esisterebbero neanche, i gay non esisterebbero, sarebbe tre volte Natale e festa tutto il giorno, ogni Cristo scenderebbe dalla croce e anche gli uccelli farebbero ritorno, ci sarebbe da mangiare e luce tutto l’anno, anche i muti potrebbero parlare mentre i sordi già lo fanno, e si farebbe l’amore ognuno come gli va, anche i preti potrebbero sposarsi ma soltanto a una certa età
Non credo che con questo mio scritto tu metterai in discussione le tue idee, e continuerai (giustamente e coerentemente col tuo punto di vista) a ritenerti “normale” e “secondo Natura” e quando guarderai una bella donna ti sembrerà di star guardando l’unica cosa davvero desiderabile nell’universo, non era mia intenzione convincerti.
Volevo semplicemente uno scambio un confronto fra pareri differenti e la possibilità di poter esprimere meglio ciò che penso, e di questo ti ringrazio.
Con affetto, ciao.
Cara Signora,
RispondiEliminaLei scrive cose che deliziano i miei occhi, se io fossi cameriere semplicemente chiederei di chi è la birra piccola e di chi il caffè d’orzo, cerco (per quanto mi è possibile) di non dare nulla per scontato, di pormi di fronte alle cose e alle persone senza memoria e senza desiderio, che è come dire senza aspettative, senza pregiudizi, come se ogni volta fosse la prima volta e io non desiderassi altro se non che l’altra persona fosse ciò che è e nient’altro.
Sulla genitorialità, se Lei me lo permette, Le consiglierei di leggere questo libro, che ho trovato molto interessante (Chiara Lalli, Buoni genitori. Storie di mamme e di papà gay, Il Saggiatore, 2009, 14 €); il fatto che i problemi emergano in età scolare è sacrosanto, e questo significa che è questa società ad evere dei problemi, non certo i bambini.
Viviamo in una società molto conformista, dove si struttura la propria identità per somiglianza e per appartenenza e dove tutto ciò che è diverso è considerato anormale e innaturale anzi, proprio pericoloso, che minaccia la coesione stessa dell’intera società e il mio sentirmi perfettamente normale e appartenente al gruppo.
Per questo chi avesse genitori dello stesso sesso, ma anche chi avesse la pelle di colore diverso, parlasse un’altra lingua, appartenesse ad un’altra cultura, fosse disabile o non perfettamente allineato o anche di intelligenza (o di bellezza) straordinaria, sarebbe discriminato, gli verrebbe trasmesso fin da subito che è lui l’anormale, quello sbagliato, ma anche che non c’è posto per i “diversi”.
La cultura occidentale ha combattuto la diversità in ogni sua forma, dagli eretici di ogni tempo, alle streghe, agli ebrei, agli zingari, agli omosessuali, ai dissidenti politici, e a chiunque fosse fisicamente o psichicamente differente dall’immagine di individuo ritenuta normale (quella che Luigi illustra come curva gaussiana, chi è fuori dalla volta della campana è anche fuori dalla società e al massimo viene usato a scopo dimostrativo perché sia d’esempio su come non bisogna essere, su quali siano i confini, quando non viene espulso o eliminato).
Ma il peggio non è tanto questo forte richiamo all’uniformità, al conformismo, quanto il fatto che paradossalmente crediamo di essere la società più anticonformista di sempre, quella dove la trasgressione e l’originalità sono valori assoluti, mentre siamo la società meno libera di tutti i tempi (dove non c’è soltanto uniformità estetica, adesione formale a valori esterni, partecipazione coatta ad un rituale, ma la condivisione dei desideri, desideriamo tutti squallidamente e piattamente le stesse cose, sogniamo addirittura le stesse cose).
Il problema non è tanto l’accettazione dell’omosessualità o del diritto della genitorialità delle coppie omosessuali, ma il diritto del “diverso” di esistere con pari dignità, senza sentirsi discriminato, sbagliato, anormale, non conforme; il problema sono le colonne portanti di questa società che crea lager, campi di concentramento, centri di accoglienza, manicomi, comunità terapeutiche dove gli individui disagiati dovrebbero curarsi fra di loro con l’aiuto di qualche esperto, riserve indiane, classi speciali e quant’altro.
Dimenticavo, io qui rappresento solo me stesso e talvolta nemmeno quello ;-), e questo è ciò che intendevo dire nel discorso che Lei cita.
Ha ragione a salutarmi “cautamente”, io sono come certi farmaci da cui bisogna guardarsi prima di farne uso o di cui bisogna leggere attentamente le avvertenze :-).
La saluto altrettanto cautamente.
Ihihih, io avevo scritto "caramente", a dire il vero! Ma il corruttore ortografico ha boicottato quanto stavo scrivendo (probabilmente premendo la t al posto della r),mi ha corretta e me ne sono accorta soltanto ora. Come la mettiamo adesso?
EliminaCaro e cauto signor Garbo, è una vita che mi sento dare dell'anormale, so bene di cosa parla. E credo sia vero che i problemi dei bambini nascono con la scolarizzazione promiscua (ah, la promiscuità del pollaio, che jattura). Non so dire se sia stato un bene o un male, ma mi sono trovata tra due fuochi fin da subito: padre conformista e ipocrita all'ennesima potenza e madre assolutamente fuori dagli schemi. Il risultato? Due figli disadattati!
Concordo pienamente sul fatto che quest'epoca sia molto conformista, a dispetto di un anticonformismo che, non a caso, investe aspetti abbastanza singolari, come il sesso e il look. Guarda caso, due elementi che la chiesa considerava tabù e strettamente collegati fino a poco più di mezzo secolo fa, quindi lo sgarro è quasi tollerabile; sul resto, invece, non si discute. Sa che tingersi i capelli era considerato da poco di buono? Perché attirava l'attenzione, immagino, come scollature, tacchi e trucco che le ragazze di buona famiglia evitavano come la peste ancora negli anni Settanta, cioè quando andavo a scuola io. Insomma, è come se ci si fosse rifatti di secoli di criminalizzazione, passando da un eccesso all'altro e confondendolo con la libertà d'esprimere se stessi. Visto il risultato, non so quanto sia stato utile ma, soprattutto, costruttivo. Per quanto riguarda i gay, a me non verrebbe mai in mente di dichiarare la mia eterosessualità: quindi non capisco che senso abbia proclamarsi gay e sbandierarlo ai quattro venti. Questo ingenera solo confusione nelle menti semplici che, nel momento in cui sono costrette a distribuire definizioni, sono obbligate a diversificarle con precisione. Ad esempio, poste di fronte al semplice interrogativo se hanno molti amici uomini o molte amiche donne, si sentiranno in dovere di tener presente la terza categoria, quella che rappresenta gli uomini e le donne anomali. Quindi si sentiranno obbligati a dire che hanno anche molti amici gay! Non è razzismo, non lo è affatto. È avere una mente semplice! A proposito, non ho amici gay, che io sappia. Ma è perché non sono avvezza a chiedere alla gente come tromba, di solito, anche perché non me ne potrebbe fregare di meno. Quindi è possibile che abbia amici o amiche gay senza saperlo, in teoria. Ma essendo asociale ed avendo pochissimi amici, questo mi porta ad escluderlo, quanto meno perché da come si comportano e da quello che dicono sembrerebbero etero.
La saluto notturnamente, signor Garbo.
Mi hai "distrutto", ovvero ci hai provato; mi arrendo ma ... "eppur si muove".
RispondiEliminaErgo, se non ci fosse stata l'obbedienza alla Natura per la riproduzione, noi non saremmo qui a discutere.
Adamo rincorrerebbe altro Adamo, invece, per fortuna, si è concentrato su Eva.
Questa è la Natura alla quale mi rivolgo ed invoco.
Sai che non sono "cristiano" e quindi non subordino il sesso alla procreazione; del resto alcun cristiano è dello stesso avviso salvo a parole.
Il Tuo "studio" si concentra sulle menti, a quanto mi è stato dato di capire; "... con seri problemi relazionali e lucidamente disperate.
..." ed è vero che l'istinto è oggetto di correzioni per educazione, religione, menzogne sociali, ecc..., ma pur per un "relativo" come me, guardare una bella figliola ha un solo senso, assoluto!
Chiudo dicendo che non mi sento affatto "normale", ma per ciò che mi frulla nella testa e non al di sotto della cinta; ma "secondo Natura" per ciò che riguarda il sesso.
Con simpatia.
Ora, con il Tuo permesso, mi alzo dal lettino dopo la seduta e spero in una diagnosi non poi così negativa.
luigi
A occhio e croce dovremmo avere occhi a mandorla, carnagione giallastra e parlare cinese. Se non abbiamo queste caratteristiche allora siamo anormali, qualche ingenuo direbbe italiani ma pur sempre anormali. Sia detto di sfuggita, ci sono molte curve per descrivere le distribuzioni in "Natura" e non in tutte la media coincide con la moda, Gauss lo sapeva benissimo, meglio di chiunque altro. Un saluto.
RispondiEliminaIngenuo forse; ma non tanto da abboccare alla sua provocazione, egr. sig. Antonio.
RispondiEliminaRammento a me stesso, però, con l'occasione che, prima di dedicarmi a pochi studi di Statistica, ho appreso la Matematica e non mischio mai mele con pere prima di procedere a valutazioni medie, per esempio, della produzione annuale delle prime, per qualità.
Distinguo le Golden dalla Renetta e così via, poi procedo e valuto i valori medi che si concentrano all'apice della "curva" de quo.
La curva di Gauss o della Distribuzione Normale -, "... usata in statistica e nelle scienze naturali e sociali come un semplice modello per fenomeni complessi. ..." deve studiare fenomeni comparabili per trovarne la media, non la moda; ergo non è utilizzabile a pene di segugio per dimostrare (?) teorie alquanto strampalate che vogliono affermare il proprio modo di pensare su un determinato argomento.
Ora, non avendo altro di utile da aggiungere, La saluto, di sfuggita; mentre all'ospite che ci ospita dedico un ciao.
luigi