giovedì 26 giugno 2014

¡HASTA PRONTO!





Iba tocando mi flauta
a lo largo de la orilla;
y la orilla era un reguero
de amarillas margaritas.

El campo cristaleaba
tras el temblor de la brisa;
para escucharme mejor
el agua se detenía.

Notas van y notas vienen,
la tarde fragante y lírica
iba, a compás de mi música,
dorando sus fantasías,

y a mi alrededor volaba,
en el agua y en la brisa,
un enjambre doble de
mariposas amarillas.

La ladera era de miel,
de oro encendido la viña,
de oro vago el raso leve
del jaral de flores níveas;

allá donde el claro arroyo
da en el río, se entreabría
un ocaso de esplendores
sobre el agua vespertina...

Mi flauta con sol lloraba
a lo largo de la orilla;
atrás quedaba un reguero
de amarillas margaritas...

(Juan Ramón Jiménez, Iba tocando mi flauta)


¡HASTA PRONTO!



mercoledì 18 giugno 2014

UN GRAFFIO IN TESTA 1





GRAFFIO  שריטה
GRAFFIATO עשוי כלאחר יד
UN GRAFFIO IN TESTA  שריטה בראש



«405. Maschere. Ci sono donne che, per quanto la si cerchi in loro, non hanno interiorità, sono pure maschere. È da compiangere l’uomo che ha a che fare con tali esseri quasi spettrali, necessariamente insoddisfacenti; ma proprio esse possono eccitare al massimo il desiderio dell’uomo: egli cerca la loro anima – e continua a cercare».
(Friedrich Nietzsche, Umano, troppo umano I, 405).



Qualche anno fa un mio caro amico mi inviò, ritenendo che io potessi esserle più utile di quanto lo fosse già lui, una sua conoscente che stava attraversando un periodo difficile; i problemi che lei gli confidava, infatti, a suo parere necessitavano dell’ausilio di uno “specialista”.
Non è una prassi inconsueta che qualcuno dei miei amici mi invii un suo amico o un conoscente o persino un parente, capita anche molto spesso; nel mio lavoro mi succede che le persone giungano per le vie più disparate al mio studio.
La stragrande maggioranza mi giunge attraverso altri pazienti, soprattutto quelli che hanno terminato l’analisi con me e ne hanno tratto qualche beneficio, per cui mi consigliano calorosamente alle persone in difficoltà che conoscono; è molto più raro, invece, che i pazienti che sono ancora in analisi mi inviino qualcuno, forse per una sorta di gelosia e di senso di esclusività, non è raro che siano molto curiosi circa gli altri miei pazienti che incrociano prima o dopo la loro seduta e che fantastichino, o esprimano invidia o gelosia verso di loro.
Sempre più numerosi, in questo periodo di crisi, mi arrivano anche attraverso i sevizi psichiatrici, dove qualche professionista che lavora nel pubblico, che mi conosce e apprezza il mio lavoro, mi invia delle persone ritenendo di affidarle in buone mani; lo stesso avviene con i medici di base, mentre le coppie in crisi (perché mi occupo anche di terapia di coppia, oltre a quella individuale) mi giungono quasi esclusivamente dalle parrocchie dove qualche prete illuminato mi gira i “casi” più critici, oppure giungono spontaneamente delle coppie che hanno ascoltato qualche mio intervento quando qualche sacerdote che conosco mi invita a parlare di qualche tema specifico.



Alcuni miei colleghi mi dicono che è molto utile per la loro attività partecipare a qualche forum tematico dove incontrano persone in difficoltà, per poterne valutare i problemi ed eventualmente indirizzarle al proprio studio privato o al collega più vicino che possa aiutarle; c’è chi scrive per qualche rivista, in uno spazio grafico che precede il tuttologo e subito dopo l’astrologo o il nutrizionista, chi si iscrive a pagamento a dei collettori professionali come le varie pagine gialle, blu o multicolori che puoi incontrare, c’è ancora la moda di Linkedln a cui indulgo anch’io, ma non seriamente perché risultavo esperto in “gioco d’azzardo e casinò” (ora ho aggiustato il tiro) … e invero è proprio un azzardo addentrarsi nei meandri dell’inconscio, nelle pieghe della psiche.
C’è, ancora, chi si è attrezzato per fare consulenza o addirittura terapia on-line, utilizzando Skype, la chat, la webcam, la tecnologia che permette una videoconferenza, …, certo la crisi è crisi, e si rastrella di tutto, ovunque lo si trovi, ma in base alla delibera del 23 marzo 2002, n° 19 del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi Italiani: "non è possibile effettuare interventi di psicodiagnosi e psicoterapia via internet".
E la delibera n° 260 del 07 luglio 2002 che vieta espressamente di effettuare “pratiche di consulenza psicodiagnostica e di psicoterapia via internet” perché non conformi ai principi espressi negli artt. 6, 7 e 11 del vigente codice deontologico.
Ma tali delibere, come tutto ciò che è stato negli anni deliberato dall’ “Ordine”, non potevano non essere ambigue e cerchiobottiste, perché vietano si queste pratiche “virtuali” solo:  “In attesa di produrre nel Consiglio regionale uno specifico regolamento e un codice di autoregolamentazione dell’uso dello strumento Internet da parte degli iscritti su proposta di un ristretto gruppo di lavoro da istituire …”.
E il Consiglio Regionale, almeno quello del Lazio, non si è fatto attendere, dal 1 luglio 2004, l’Ordine degli Psicologi del Lazio, ha vietato non solo la psicodiagnosi e la psicoterapia via internet, ma la stessa consulenza on line. L’articolo 3 cita:
"In ogni caso, ed in particolare con l’utilizzo di internet, è vietato:
a)     svolgere attività di diagnosi, per la quale l’incontro di persona con il cliente/paziente è sempre condizione imprescindibile;
b)     fornire indicazioni su trattamenti da effettuare;
c)     esprimere giudizi sull’appropriatezza degli interventi e/o delle diagnosi effettuati da colleghi;
d)     manifestare qualsiasi tipo di commento, suggerimento o valutazione in relazione a casi specifici."
L’articolo 4 del Codice dell'Ordine degli Psicologi del Lazio cita:
" Le attività di abilitazione-riabilitazione e sostegno di cui all'art. 1 L. 18.2.1989 n.56,  le attività a ciò affini indicate dalla L. n. 170 del 2003, riguardante le competenze degli iscritti alla sezione B dell’Albo e le attività di psicoterapia di cui all’art. 3 L. 56/89, non possono essere svolte con la mediazione di tecnologie elettroniche per la comunicazione a distanza, salvo nei casi in cui ciò sia necessario per l’impossibilità di mantenere di persona il contatto con i clienti/pazienti. In tal caso ciò è consentito alle seguenti condizioni:
a)     il rapporto con il cliente/paziente sia già stato stabilito in precedenza di persona e senza l’utilizzo delle tecnologie sopra menzionate;
b)     per fasi chiaramente determinate e circoscritte nel tempo;
c)     senza corresponsione di compenso, poiché il rapporto mediato dalle tecnologie per la comunicazione a distanza, non può configurarsi come una delle attività indicate nella prima parte di questo comma".



Non mi risulta che le cose siano cambiate, da un lato l’Ordine Nazionale e gli Ordini Regionali degli psicologi vietano espressamente di esercitare la professione in modo virtuale, dall’altro molti colleghi usano gli strumenti che mette a disposizione internet senza lasciarsi intimidire dalle varie delibere e senza lasciarsi convincere dal fatto che studi sempre più numerosi che valutano l’efficacia della terapia convergano nell’indicare nel rapporto fra terapeuta e paziente il fondamentale strumento terapeutico e non le varie tecniche più o meno standardizzate in uso.
Per cui è più efficace puntare su un rapporto reale, intenso, autentico, in cui ci sia una fondamentale affinità fra terapeuta e paziente, e non puntare su questa o su quella tecnica, su questa o su quella strategia, su questa o su quella euristica, che prescindano dalla relazione esistente fra la coppia analitica … e quale tipo di rapporto volete che si possa instaurare in una chat, su Skype, attraverso una webcam e un microfono?
Ma non solo le vie del signore sono infinite, anche le vie che conducono al mio studio non scherzano, qualche tempo fa è arrivata nel mio studio una signora che mi ha detto di essere arrivata a me perché ha consultato il mio sito, ha letto la recensione dei miei libri, tutto ciò che ho fatto e ne è rimasta soddisfatta, tanto da chiedere in giro il mio numero e di chiamarmi perché ero certamente la persona giusta per aiutarla a risolvere un suo problema.
Io non ho alcun sito internet, non ho scritto alcun libro (solo degli articoli molto specialistici la maggior parte dei quali pubblicati in riviste internazionali in lingua inglese, in francese o in spagnolo), da alcuni chiarimenti della signora e da alcuni mie ricerche ho scoperto che esiste un mio omonimo che opera in un’altra regione (seppure vicina a quella dove io risiedo) e che si occupa e scrive di argomenti molto prossimi a quelli di cui mi occupo io.



Dico molto prossimi perché in realtà lui non è né psicologo né psicoterapeuta, non usa mai la parola psicoterapia associata al suo lavoro, si dichiara piuttosto “consulente”, “formatore” nell’ambito di una non meglio identificata “ricerca interiore”, ci ha scritto sopra dei libri su questa ricerca che mettono insieme un certo “naturismo” ingenuo e una certa religiosità modaiola (dove evoca immagini di persone e di esempi positivi che dovrebbero sorreggere i suoi convincimenti e poi fonda quelle figure e quegli esempi sui principi di cui è convinto … un po’ come due ubriachi che si sorreggano a vicenda per non cadere).
È stato condannato in primo grado per esercizio abusivo della professione di psicologo e questo data l’omonimia e la vicinanza territoriale avrebbe potuto danneggiarmi professionalmente, anche perché a questa condanna (che credo sia la prima in Italia, dove esistono legioni di “consulenti”, di “formatori”, di “guru” e di “maestri spirituali” che debordano fin troppo spesso in qualche forma di psicoterapia selvaggia) è stato dato un certo rilievo.
Questo tizio non solo ha abusato del mio nome e cognome, ma abusa anche della mia professione.
La grancassa suonata dall’Ordine Nazionale degli Psicologi su questo unico caso di condanna in primo grado per abuso della professione mi è suonata strana, considerando che si tratta di un successo modestissimo e che ciarlatani di ogni risma praticano impunemente ogni sorta di rimedi e di trattamenti (anche i più fantasiosi e i più mirabolanti) per ripristinare l’equilibrio e il benessere psico-fisico.
Poi, finalmente, in un pomeriggio della tarda primavera del 2011 mi si è illuminato l’arcano, quel pomeriggio ero appena giunto a Palermo in macchina e stavo cercando di raggiungere il mio hotel in via Emerico Amari (nelle vicinanze del Teatro Politeama), ma ad un certo punto, pressappoco a metà, la strada si interrompeva e diventava senso unico, per arrivare davanti all’ingresso dell’hotel ho dovuto fare un largo giro attraversando Piazza Ruggero Settimo (quella del Teatro), imboccando così la strada da sopra.
Non solo l’intera piazza, ma anche le grandi e piccole vie di collegamento erano intasate, al punto che dopo un tratto percorso a passo d’uomo, mi sono dovuto proprio fermare, perché non si andava più da nessuna parte, autobus, taxi … persino un’ambulanza erano completamente bloccati.



Sono sceso e in un italiano neutro, senza accenti (il siciliano è in genere più gentile con uno straniero che con un altro siciliano che proviene da una provincia, da una città, da un paese diverso dal suo), ho chiesto ad un passante che diavolo stava succedendo.
Mi ha risposto che il “paliemmo” si era qualificato per la finale di Coppa Italia contro l’Inter, battendo il Milan, l’ho guardato stupito, una baraonda infernale, tutto fermo, il centro storico bloccato, tutto ciò che aveva delle ruote (macchine, moto, scooter, carrozzelle, biciclette … ho visto anche tre tizi in una vespa l’ultimo dei quali teneva la sedia a rotelle piegata dietro le spalle) era su strada e tutto ciò che emetteva un suono o un rumore qualsiasi stava strombazzando, e tutto perché la loro squadra si era qualificata alla finale di Coppa Italia?
Neanche l’avesse già vinta la finale … ho commentato: “Sembra che abbiate vinto i mondiali!”, se glielo avessi detto nel mio dialetto avrebbe pensato che era tutta invidia la mia (quando mai il Siracusa ha vinto qualcosa di prestigioso, quando mai è stato in Serie A visto che ha sempre navigato nel periplo fra gli ultimi gironi delle varie serie C e D e i gironi danteschi) e mi avrebbe replicato piccato, ma credendomi del “Continente” (forse anche del nord, vista la mia targa) ha alzato gli occhi al cielo, ha allargato le braccia, come per dirmi: “Che ci vuoi fare …”.
Il Palermo calcio non ha vinto mai niente, è naturale che la semplice qualifica alla finale di Coppa Italia sia per loro un evento senza precedenti, da festeggiare adeguatamente; allo stesso modo l’Ordine Nazionale degli Psicologi non ha nel suo carnet chissà quali successi da che è stato istituito, e così ha cercato di pubblicizzare oltre ogni decenza l’unico successo conseguito nella lotta contro l’abuso della professione.



Perché un Ordine, come quello degli Psicologi, che a noi iscritti sembra quasi inutile, dal momento che non riesce ad imporre il riconoscimento del danno psicologico alle assicurazioni equiparato al trauma fisico e l’obbligo di risarcire le cure psicologiche come già quelle mediche, mentre in compenso ogni anno mi invia un’agenda parecchio figa, che però nel corso del tempo è declinata dalla copertina in pelle (umana, pelle di paziente) a quella in cartoncino pressato.



E non riesce neppure a definire i limiti, le differenze, le rispettive competenze di psicologi, psicoterapeuti, psicoanalisti, psichiatri, consulenti, formatori e quant’altro, lasciando tutta la questione in un limbo di incertezza in cui il singolo nel proprio studio privato fa ciò che vuole, e dove le scuole di counseling diventano delle scorciatoie per aprire bottega e guadagnare senza avere una solida formazione, senza possedere un metodo valido, senza poter acquisire l’esperienza necessaria seguito nei tuoi primi passi professionali da colleghi più esperti che ti sappiano supportare, consigliare, illuminare e che evitino se necessario alcuni errori, anche catastrofici, che potresti commettere data l’inesperienza e che possono essere tragici per chi lavora con la sofferenza umana.
Tanto per avere un’idea, un consulente non deve essere necessariamente laureato in psicologia e fa solo da qualche mese ad al massimo un paio d’anni di corso formativo, mentre uno psicoterapeuta è una persona laureata in medicina o in psicologia che fa una scuola di specializzazione post-laurea della durata di 4 o 5 anni e un tirocinio di pari durata presso una struttura idonea dove può iniziare, sotto supervisione, a seguire alcuni casi e ad esercitare il metodo terapeutico che sta imparando. 



Per giunta questo mio omonimo è anche un appassionato ciclista, proprio come me, ma chi mi conosce anche solo di vista non potrebbe scambiarlo per me guardando le foto che pubblica sul suo blog, ha un secondo nome che io non ho e qualche anno in più rispetto a me.
Quando mi sono fatto un’idea abbastanza definita e ho chiarito l’equivoco con la mia paziente, la signora non se n’è data per intesa, le dispiaceva che io non avessi scritto tutti quei bei libri e che non fossi quel tizio che fa tutte quelle belle cose che scrive sul suo sito, ma pazienza, avevo comunque passato l’esame di idoneità a cui mi aveva sottoposto fin dal primo istante in cui aveva messo piede nel mio studio e aveva stabilito che le ispiravo sufficiente fiducia per confidarmi le sue ambasce.

(Continua ...)


martedì 3 giugno 2014

FRAU PETRA





Gustav Klimt, Ritratto femminile (volto di fanciulla), 1898 circa, Belvedere Vienna.


[Zeús] comandò all'inclito Hḗphaistos che subito impastasse
terra con acqua e vi infondesse voce umana e vigore,
e il tutto fosse d'aspetto simile alle dee immortali, e di bella,
virginea, amabile presenza. E quindi che Athēnâ
le insegnasse le arti: il saper tessere trame ben conteste.
Di spargerle sul capo grazia, ordinò all'aurea Aphrodítē,
tormentosi desideri e le pene che struggono le membra;
e ad Hermês, messaggero Argeiphôn, di darle
un'indole ingannatrice e l'anima di una cagna.
Così egli parlò; ed essi obbedirono al sovrano, il cronide Zeús.
E senza indugio, l'inclito ambidestro plasmò con la terra
un'immagine simile a una casta fanciulla, per volere del cronide;
Athēnâ occhi azzurri le annodò la cintura e l'adornò;
attorno al collo le Chárites e la veneranda Peithṓ
le misero aurei monili; la incoronarono
le Hôrai, chiome fluenti, con fiori di primavera;
sul corpo le adattò ogni ornamento Pallàs Athēnâ.
Quindi, nel suo petto le infuse, l'araldo Argeiphôn,
le menzogne, gli astuti discorsi e un 'indole ingannatrice,
così come voleva Zeús dal cupo fragore, e voce
infine le diede l'araldo divino. Questa donna fu chiamata
Pandṓra perché tutti gli abitanti dell'Ólympos
le dettero doni, sciagura per gli uomini che si nutrono di pane.
(Hēsíodos, Érga kaì Hēmérai 60-82)

John William Waterhouse Pandora (1896)

John William Waterhouse Pandora (1896) (dettaglio).


Da lei [Pandṓra] infatti discende la stirpe nefasta e la razza delle donne
che, sciagura grande per i mortali, fra gli uomini [ándres] hanno dimora,
compagne non di rovinosa indigenza ma d'abbondanza.
(Hēsíodos, Theogonía 591-593).

Alexandre Cabanel, Pandora, 1873, Baltimora, Walters Art Museum

Artista Sconosciuto, Pandora.


Come quando negli alveari ombrosi le api
nutrono i fuchi, partecipi di opere cattive:
esse per tutto il giorno, fino al tramonto del sole,
ogni giorno s'affrettano sollecite e fanno i bianchi favi,
ma quelli restando dentro gli ombrosi alveari
l'altrui fatica nel loro ventre raccolgono;
così per gli uomini mortali un male, le donne,
Zeús alto tonante fece, partecipi d'opere
moleste, e un altro male diede in cambio d'un bene.
Colui che fuggendo le nozze e le moleste opere delle donne
non vuole sposarsi e giunge alla triste vecchiaia
privo di chi della sua vecchiaia abbia cura, costui non di vitto mancante
vive, ma lui morto, i suoi beni dividono
remoti cognati; per colui invece a cui le nozze diedero il destino
ed ebbe una buona sposa, saggia nel cuore,
per lui per tutta la vita, il male contende col bene,
senza sosta; ma chi s'imbatte in una funesta genìa
vive tenendo dentro al petto incessante dolore,
nel cuore e nell'anima, e il male non ha medicina.
Così non si può ingannare il volere di Zeús, né ad esso sottrarsi...
(Hēsíodos, Theogonía 594-613).




Domenica mattina, mancano pochi minuti alle 8.00, nella sala colazioni dell’hotel non c’è nessuno ancora, Milano dorme dopo la notte allegra del sabato, e dormono anche i turisti; io non sono turista, ho un congresso alle 9.00 in punto, sto facendo colazione, venti minuti di strada a piedi, col mio passo abbastanza veloce, qualche minuto per i saluti, riabbracciare vecchi amici, i convenevoli, in genere si comincia puntuali con questo gruppo di lavoro, odio aspettare gli inizi, preferisco avere delle pause più lunghe in mezzo ai lavori che iniziare in ritardo e poi fare un’unica tirata o una breve pausa.
Bevo un bicchiere colmo d’acqua naturale, come faccio ogni mattina per abitudine, un’abitudine sana, perché dopo molte ore l’organismo necessita come prima cosa di acqua, il secondo elemento essenziale è lo zucchero, il tanto vituperato glucosio in particolare, perché il cervello si nutre di glucosio puro e dopo otto ore di digiuno il livello degli zuccheri è notevolmente basso.
Mi guardo intorno, conosco l’hotel, non è la prima volta che vado, lo frequento da anni e posso dire di conoscere molti se non tutti quelli che ci lavorano, con alcuni sono in rapporti cordiali, come con la signora che in questo momento organizza e dirige il servizio colazione e che si occupa anche a turno con altre persone del bar e del ristorante.
Talvolta mi offre un caffè o un digestivo e si ferma a scambiare due parole se può, ci chiamiamo per nome, so qualcosa della sua vita privata perché lei qualcosa me l’ha confidato e lei conosce i motivi per cui capito spesso in quella città e qualche indiscrezione che coglie qua e la.
Guardo le brioches al buffet, sono ancora le otto del mattino, il fornaio le avrà consegnate solo un’ora avanti, in tempo per la colazione che inizia alle sette, ma sono già di gomma; è strano, in genere a Milano nei bar difficilmente trovi delle brioches pessime come quelle, eppure in quasi tutti gli hotel è così, brioches di gomma … le faranno appositamente per gli hotel.
Le guardo schifato e passo oltre, ci sarebbe poi la torta al cioccolato, fatta dal pasticciere del ristorante (che è molto bravo) la sera prima, e conservata per la colazione, è ancora intera perché io devo essere davvero il primo ospite a scendere in sala e servirmi, sembra quasi un peccato doverla tagliare, è molto invitante, ma non mi faccio tentare.
I grassi, che pure non godono di una buona reputazione, sono anch’essi importanti per l’organismo, ma non bisogna esagerare, e la sera prima ho mangiato molto bene a cena con i miei colleghi, e credo di aver fatto un rifornimento di grassi sufficiente per tutta la settimana; viro la mia attenzione su dei panini molto piccoli, quasi delle palline di farina, sono croccanti fuori e morbidi dentro, ne prendo un paio, un vasetto di marmellata, mi piace spalmarle col coltello a spatola e odio quando mettono la marmellata o il miele in vaschette di plastica o in quei sifoni anch’essi di plastica come se fosse ketchup.
Infine, chiedo cortesemente un espresso, ed è mentre la doppia esse finale della parola espressssso sibila ancora nell’aria che entra lei; la prima cosa che mi colpisce prima ancora del viso, degli occhi, del fisico o delle sue mani è il suo modo di incedere, il suo portamento, da regina, da donna fiera di esserlo e nel pieno rigoglio delle forze, della sua maturità e della sua femminilità.
Su quella fronte nobile e sul viso altero stanno incastonati come gemme due splendidi occhi verdi, da gatta certo, ma non glaciali, piuttosto dolci direi e malinconici, seppure pronti ad accendersi di lampi e scintille se dovessero incontrare qualcosa che incroci il loro interesse.
I capelli sono corti e sarebbe una disdetta per uno come me a cui piacciono le donne capellute, quelle a cui cadono a cascata ciocche copiose di capelli da ogni lato, quelle che ti avvinghiano a sé con tutti quei fili sottili, ma devo ammettere che in quel viso il capello corto sta molto meglio di lunghe onde di capelli, e anche il colore sembra dipinto apposta per esaltarne la bellezza, un biondo cenere naturale, con punte un po’ più chiare e qualche filo argentato ai lati non coperto da nessun colore che le da un fascino tutto particolare di donna sicura della sua bellezza al punto da piacersi così anche se la trama del tempo appare sulla sua chioma.
Deve avere, forse, qualche anno in più di me, me ne accorgo da molte cose, ma ne dimostra dieci in meno; è ben vestita, da turista, ha una bella voce, nonostante il forte accento tedesco e l’italiano incerto che pronuncia.
Si accorge di me, mi guarda e mi sorride, di un sorriso che potrebbe significare: “Sono contenta di fare la colazione in tua compagnia”, fino a “Che splendido esemplare di interessante maschio italico di prima mattina”, rispondo educatamente al sorriso e la saluto, lei contraccambia con un sorriso più aperto … ora è divertita e intrigata da quell’incontro.
Prende posto, sta un attimo seduta a guardarsi intorno come se fosse venuta li solo perché non aveva di meglio da fare, ogni tanto posa il suo sguardo su di me e mi regala qualche timido sorriso, sbatte le sue lunghe ciglia come se volesse mettermi meglio a fuoco, sembra una bambina che abbia trovato un giocattolo interessante.
Poi si alza come se si scuotesse da un sogno ad occhi aperti, come se si fosse appena svegliata, si dirige al buffet ed è costretta a darmi le spalle, non vedo cosa sta facendo, guarda, gira, scruta, seleziona, il succo d’arancia che prende lo vedo benissimo, il resto posso solo congetturarlo, tirare ad indovinare, diventa interessante per me immaginare cosa sta mettendo nel suo piatto, e forse lei non immagina neanche di essere l’oggetto di una simile curiosità … in fondo quella schiena offriva già da sola una materia molto più interessante alla mia curiosità.

(Intarsio del 04-06-2014, ore 10.20)



Molti individui di sesso maschile si sarebbero deliziati soltanto di quella visione, altro che volgere la loro curiosità sulla sua colazione, i più esperti si sarebbero posti il problema del calcolo esatto dell’angolo di curvatura dell’attaccatura delle natiche, della misurazione dell’angolo giro, con l’occhio esperto come se avessero un invisibile goniometro, come se fin da piccoli non avessero giocato altro che al piccolo geometra.
In fondo è fondamentale sapere se la curvatura è dolce, se assomiglia più ad una rotonda o all’imbocco di un’autostrada, i cardini dell’universo riposano su questo mistero, che è più intrigante della scoperta delle sorgenti del Nilo o di sapere se Pauline di Tempesta d’Amore sposerà Daniel o Leonard.
Nei bar fra maschi si accendono interminabili dispute  su quanti gradi, primi e secondi o su quanti radianti misura un sedere, non importa se siano analfabeti o laureati in lettere, in questi casi si improvvisano tutti geometri provetti (c'è chi crede addirittura di poter eguagliare Giotto, Brunelleschi, Michelangelo, Bramante, Leon Battista Alberti o Bernini), come durante i mondiali sono tutti mister, e si accettano scommesse.

Non si è mai sicuri di aver misurato correttamente perché molti sono i fattori che influiscono sull’angolo di curvatura: dalle fasi lunari (condizionano le maree, volete che non influiscano anche sui rilievi e sulle misurazioni?), alla fetta di tiramisù che la signora ha mangiato nel frattempo, alle discrepanze fra una misurazione effettuata a distanza, col goniometro mentale, su superfici coperte da vestiti e che si presuppongono lisce e la superficie reale, che magari potrebbe presentare delle asperità come la superficie lunare, dovute all’increspatura a buccia d’arancia chiamata cellulite che colpisce certe donne o a isole adipose selvagge che creano rigonfiamenti e avvallamenti anomali e, in ultimo, all’abitudine alla sedentarietà, che a lungo andare crea il fenomeno del sedere quadrato anziché tondo, o quello strano fenomeno per cui esso si conforma alla linea ergonomica delle poltrone da ufficio, della sedia della cattedra o alla conformazione del divano, plasmandosi con le spinte e controspinte del cuoio, della stoffa, delle molle interne o del gradiente di resistenza del lattice.

(Fine).


Ecco, le brioches le ha guardate, poi le ha scartate, brava, sarai tedesca ma non sei mica balùba (come si dice da queste parti), le brioches di gomma proprio no, nonostante facciano tanto colazione latina (italiana e francese sostanzialmente) non è il caso di insistere visto l’aspetto con cui si presentano.
Poi però spunta fuori la cultura teutonica, abbandonata l’idea della brioches, artiglia con la forchetta fette di formaggio e di salame ungherese, che pone accanto al vasetto di marmellata … quando lo prende si gira a guardarmi perché ha notato che io l’avevo preso, come a chiedermi come l’avessi trovata, e quando le faccio un cenno di assenso e un sorriso lo mette sul suo piatto con qualche panino.
E fin qui, tenuto conto delle sue origini germaniche, siamo ancora nell’ambito dell’accettabile, ma poi accade qualcosa che fa precipitare tutto, che spegne all’improvviso ogni simpatia, che oscura bellezza e portamento, che mette definitivamente una stele tombale non solo ad ogni possibile rapporto fra me e lei, ma fra Italia e Germania e fa vacillare le fondamenta stesse della Comunità Europea.
Ella si avvicina pericolosamente ad un angolo della sala che per me è tabù, li dove negli hotel che servono una colazione internazionale trovi il pane tostato, il bacon grigliato, le uova sode e quelle strapazzate; quasi volteggiando in un valzer immaginario, con la stessa nonchalance di Pandora quando scoperchiò il vaso donatole da Zeus e che conteneva tutti i mali del mondo, ella aprì il coperchio dello scaldavivande in acciaio e cominciò a servirsi col cucchiaio delle uova strapazzate che li venivano conservate ad una temperatura costante.
Una zaffata nauseabonda di uovo cucinato si spanse in tutta la sala e si portò via all’istante ogni nuanche di romanticismo, ogni nota di tenerezza, ogni corrente affettiva avesse iniziato a tessersi in quei pochi minuti d’incontro, quell’odore orribile saturò l’aria della sala e “in quel giorno tutte le fonti del grande abisso irruppero e le cataratte del cielo si aprirono e la pioggia cadde sulla terra per quaranta giorni e quaranta notti” (Genesi, 7, 11-12).
Giratasi e tornata trionfante al suo tavolo col suo bottino, si è accorta che non la guardavo più, che non solo non c’era più ombra di simpatia per lei sul mio viso, ma nemmeno un’ombra di interesse; mi ha piantato i suoi occhi addosso per un istante come se volesse capire, poi ha scosso un po’ la testa e magari avrà pensato di aver equivocato, questi italiani espansivi, cordiali, ma i cui gesti possono facilmente essere scambiati per interesse, per una forma di discreto corteggiamento, mentre volevano essere soltanto buona educazione. Non avrà pensato nemmeno lontanamente alle uova strapazzate, che in quel preciso istante in cui ha aperto lo sportellino dello scaldavivande per me la bella donna con un corpo che sfidava le leggi della fisica e quelle della gravitazione universale è diventata semplicemente una volgare mangiatrice di uova.
Non ho visto l’ora che arrivasse il mio espresssso, che un po’ mi riconciliasse col mondo, per scappare, uscire all’aria aperta e respirare l’odore di Milano la domenica mattina, un vago odore d’ozono, di caffè appena fatto, di brioches appena sfornate, di tiglio e di gelsomino che al fresco del mattino esprimono tutta la loro fragranza e quel caldo odore di alcova che si sprigiona aprendo le finestre dopo i vapori e gli afrori della notte, per togliermi dalle narici quello che aveva invaso la sala.
Avrei voluto uscire con una smorfia schifata e, come Totò, alzando la polvere sotto i piedi nella sua direzione, ma mi sono limitato ad un saluto freddo e di circostanza, mentre la signora mia conoscente l’ ho salutata in maniera molto più calorosa, con un abbraccio visto che finito il servizio colazioni finiva anche il turno e che non l’avrei rivista alla mia partenza subito dopo pranzo.   


(Aggiunto il 04-06-2014, ore 10.22).


Davvero poche sono le cose che noi maschi non perdoneremmo alle donne, soprattutto quando ci guardano con certi occhioni teneri e maliziosi al tempo stesso, non voglio qui fare un elenco, perché potrebbe essere compromettente esprimere in anticipo ciò che saresti disposto a perdonare ad una donna, è come darle licenza di farlo, e impunemente per giunta, per cui io non ho detto niente e rimango inflessibile (insomma, Dio perdona, io no!), tranne certamente almeno due cose: la volgarità e le uova strapazzate.
Queste ultime poi sono particolarmente odiose, se proprio devono, se non possono farne a meno, che almeno sia di nascosto, quando lui non c’è, circondate da segretezza e da sotterfugi e consumate squallidamente e fugacemente in qualche sala colazioni di un hotel.




Elpís, la speranza, è l'unica buona cosa che sia rimasta tra gli uomini; tutte le altre ci hanno lasciato e sono tornate sull'Ólympos. Pístis, la potente fiducia, è partita; Sōphrosýnē, la moderazione, ha lasciato gli uomini; le Chárites, le grazie, amico mio, hanno abbandonato la terra. Dei giuramenti e dei giudizi degli uomini non c'è più da fidarsi, e nessuno più venera gli dèi immortali. La razza degli uomini pii è perita, e coloro che sono rimasti non conoscono più né regole né pietà.
(Théognis, Phragmenta [I, 1135]).




“Scoppiai inverecondamente in singhiozzi e fuggii nella mia cella, dove per tutta la notte morsi il pagliericcio e mugolai impotente, perché non mi era neppure concesso - come avevo letto nei romanzi cavallereschi coi miei compagni a Melk - di lamentarmi invocando il nome dell'amata. Dell'unico amore terreno della mia vita non sapevo, e non seppi mai, il nome”.
(Umberto Eco, Il nome della rosa, Quinto giorno, Compieta, Bompiani, 1980, p. 409).





"Fa freddo nello scriptorium, il pollice mi duole. Lascio questa scrittura, non so per chi, non so più intorno a che cosa: stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus [la rosa primigenia esiste in quanto nome, possediamo i semplici nomi]”.
(Umberto Eco, Il nome della rosa, Ultimo folio, Bompiani, 19080, p. 503).