“La parola non ha
né sapore né idea
ma due occhi invadenti
petali d’orchidea”.
(Matia Bazar, Ti sento, Melanchólia, 1985).
“Le parole sono creature viventi, e di questo non siamo sempre consapevoli nelle nostre giornate, che sono divorate dalla fretta e dalla distrazione, dall’indifferenza e dalla noncuranza, che ci portano a considerarle solo come modi aridi e freddi di comunicare gli uni con gli altri. Le parole non sono mai inerti e mute, dicono sempre qualcosa, sono impegnative per chi le dice e per chi le ascolta, e ovviamente una volta dette non ci appartengono più. Non c’è conoscenza dell’anima umana se non seguendo il sentiero talora luminoso talora oscuro delle parole”.
(Eugenio Borgna, Sofocle. Antigone e la sua follia, il Mulino, Bologna, 2021, pp. 25 - 26).
Nel 1883 Sigmund Freud era un giovane medico ventisettenne ancora indeciso se percorrere la strada della ricerca, che gli avrebbe dato il successo con una mirabile scoperta in campo neurologico oppure, come suggeritogli da Brücke e Meynert (i due capi dipartimento dove era ricercatore), nonché dal suo cuore e dalla sua amata Martha, di aprire un ambulatorio medico, iniziare a guadagnare e sposarsi.
Più propenso alla seconda ipotesi, Freud frequentava alcuni reparti dell’ospedale viennese per acquisire la necessaria esperienza per poter esercitare la sua professione.
L’estate di quell’anno fu particolarmente afosa a Vienna per un giovane costretto a fare i suoi turni in reparto, l’unico refrigerio era per lui quello di andare a trovare quando poteva il suo amico Josef Breuer, medico ed ebreo come lui, di quattordici anni più grande di lui, che aveva conosciuto nei laboratori di ricerca dell’istituto di fisiologia diretto da Ernst Wilhelm von Brücke.
Josef era un medico di famiglia già affermato a Vienna e curava molti pazienti benestanti in città, oltre ad essere il medico di fiducia di molti luminari della medicina che insegnavano in quella stessa città.
Breuer aveva sviluppato una certa simpatia per il giovane Freud e l’aveva preso sotto la sua ala protettiva, incoraggiandolo verso la libera professione, sovvenzionandolo economicamente al bisogno, passandogli qualche paziente facoltoso che fosse facile fonte di guadagno e non disdegnando di invitarlo a pranzo e a cena per godere della sua compagnia, ma anche preoccupato che non si nutrisse adeguatamente.
Mentre Freud dormiva in ospedale negli scomodi e angusti alloggi per i medici, il suo amico Josef possedeva un’abitazione signorile dotata di tutti i comfort allora disponibili, così durante quell’estate rovente capitava spesso che Sigmund si recasse dall’amico per godere di un po’ di refrigerio nella sua vasca da bagno.
Dopo un buon bagno rigenerante i due amici e la moglie di Josef, Mathilde, cenavano con del pollo arrosto, un’insalata di patate e un vino bianco ben fresco e poi, fumando qualche buon sigaro, rimanevano a chiacchierare in maniche di camicia.
Parlavano un po’ di tutto, ma inevitabilmente il discorso fra i due amici medici andava a finire sui loro rispettivi casi clinici, sulle malattie nervose e la moral insanity, che era la moda del momento e affascinava ogni giovane che si affacciasse sul versante della cura e si interessasse di psichiatria.
Fu così che Breuer in una di quelle sere raccontò a Freud di un suo recente intervento (durato fra il 1880 e il 1882) con una ragazza dell’età di poco più che vent’anni, che presentava una molteplicità di sintomi isterici.
La ragazza si chiamava Bertha Pappenheim (fu chiamata Anna O. quando Breuer e Freud pubblicarono il loro libro congiunto Studi sull’isteria (1895), apparteneva ad una ricca famiglia ebrea, era giovane, graziosa, intelligente e presentava allucinazioni, strabismo convergente, ambioplia, dolori alla regione occipitale destra, paresi gravi dei muscoli del collo, contratture ed anestesie del braccio e della gamba destra o in seguito della gamba sinistra.
E ancora, degli stati di “assenza” che il medico e la ragazza denominarono come l’ “home teatre”, il teatro interiore di quest’ultima, notevoli sbalzi di umore, mutismo totale o selettivo, incapacità ad esprimersi in lingua tedesca, ma soltanto in inglese (che la ragazza conosceva molto bene).
Bertha aveva di recente assistito suo padre infermo per una grave malattia che lo condusse alla morte, padre e figlia erano molto legati e il dolore per quella morte era stato grande, i sintomi si erano presentati dopo un periodo di incubazione, in seguito a quella morte.
Non fu dunque difficile per Breuer legare lo stato patologico della ragazza alla morte del padre, così quando andava nel pomeriggio a visitarla, durante i momenti in cui ella sonnecchiava, ma che Breuer riteneva una sorta di ipnosi serale (chiamata poi clouds da Bertha), la incitò a parlare del padre, argomento che era bandito da mesi dal campo dei suoi discorsi.
Ma non si trattava di un discorso libero secondo la concezione di Breuer, anche perché Bertha non ne sarebbe stata capace, il medico piuttosto inseriva delle parole che aveva ascoltato dalla ragazza in stato di veglia e gliele riproponeva in quello stato ipnotico spontaneo o che egli le induceva, queste parole si insinuavano nella mente della ragazza come un granello di sabbia nell’ostrica.
E come un’ostrica la ragazza le elaborava, dapprima in un gergo afasico, alla maniera dell’Album senza figure di Andersen, per poi costruirci sopra un racconto, una storia per lei significativa che la riportava ad un episodio avvenuto in precedenza e che era all’origine di un particolare sintomo.
Riguardo alla paralisi al braccio e alla gamba destra, ricordò che una notte in cui vegliava il padre si addormentò in una posizione in cui comprimeva sia il braccio che la gamba destra, sognò un enorme serpente nero che avanzava verso il letto paterno, terrorizzata tentò di impedire l’attacco dell’ofide, ma il suo braccio rimase immobile, riuscì soltanto a pregare in inglese.
In un’altra occasione provava un profondo ribrezzo a bere dell’acqua, in piena estate questo sintomo stava diventando estremamente pericoloso, ormai cercava di idratarsi mangiando frutta, finché del tutto casualmente ricordò inorridita che un giorno entrata nella stanza della sua dama di compagnia inglese, vide il cagnolino di costei, da lei ritenuto una bestia ripugnante, che beveva da un bicchiere del servizio.
Per educazione non disse nulla in quell’occasione, ora che aveva riesumato il ricordo e abreagito l’emozione di ripugnanza fortemente negativa che aveva represso allora, il sintomo svanì con la stessa semplicità con cui si era insediato.
Con questo sistema, che la ragazza definì “talking cure” o “chimney sweeping”, in base al quale il medico aiutava la paziente a formulare in parole il suo disagio e ad abreagire l’affetto negativo ad esso associato (come in una catarsi), tutti i sintomi di Bertha sparirono uno dopo l’altro, dando la sensazione a Breuer allora e a Freud che volle adottarlo subito dopo, che tutti i problemi delle loro pazienti isteriche crollavano all’improvviso come le mura di Gerico al suono delle trombe di Giosuè “Le trombe squillarono e il popolo, all’udire le trombe, levò un alto grido e il muro della città crollò dalle fondamenta” (Giosuè, 6, 20).
Entrambi, Joseph e Sigmund, dovettero sentirsi come Edipo dopo che aveva dato la risposta esatta all’enigma della Sfinge, ma l’euforia che provarono, il senso di potere assoluto sul dolore e sulla sofferenza psichica, l’orgasmo mentale che li assalì convinti di aver finalmente trovato la chiave per comprendere la mente umana, durarono un tempo piuttosto breve.
Il primo a comprenderlo fu Breuer, proprio quando la terapia sembrava perfettamente riuscita e la sua giovane paziente Bertha sembrava aver riacquistato la sua lucidità e i suoi sintomi sembravano spariti del tutto, una sera si recò da lei in visita e la ragazza annunciò ai suoi familiari in sua presenza che era incinta e mostrò a tutti orgogliosamente la sua pancia gonfia, e ancora più orgogliosamente annunciò che era il figlio del dr. Breuer.
Il medico rimase sbigottito e venne assalito da una vaga paura, nonostante l’agio che aveva avuto nel frequentarla e nel visitarla, si era sempre comportato correttamente, comprese che si trattava di una gravidanza isterica, una gravidanza fantasma, e comprese altresì che i sintomi di Bertha erano spariti non perché era guarita, ma perché la ragazza aveva barattato tutte le espressioni del suo malessere con il nuovo sentimento d’amore che provava per il suo dottore.
In sostanza, il dolore per la malattia e la morte del padre, da lei molto amato, che non era riuscita ad esprimere adeguatamente se non attraverso i suoi sintomi isterici, veniva ora lenito dalla presenza nella sua vita di un altro uomo, l’amore per il proprio padre era stato sostituito dall’amore per il proprio medico, ad un uomo morto sostituiva un uomo vivente, e il figlio a cui anelava in maniera delirante, era il trionfo della vita sulla morte che l’aveva lacerata (straziata ) di dolore.
Breuer consigliò allora ai familiari il ricovero della ragazza in una casa di cura, per quanto lo riguardava disse che non poteva più esserle d’aiuto e, a sentir Freud, letteralmente scappò non solo dalla ragazza ma dalla terapia psicologica in generale.
Freud, che era più giovane ed intraprendente dell’amico, dovette credersi più accorto di lui e maggiormente predisposto ad accettare questo pseudo amore che provano i pazienti per il proprio analista senza soccombervi, senza crederlo amore vero e senza essere tentato di ricambiarlo o di approfittarne.
Un sintomo è la cosa più stupida che possa esistere, è al contempo un grido di dolore e un tentativo di trovare sollievo, espressione di un disagio e un auto-terapia, se ascoltato con attenzione e premura, un sintomo si attenua d’intensità, scompare o si trasforma in qualcos’altro.
Si riversa in stima, affetto, tenerezza, amore, passione o quant’altro, perché ciascun paziente lo declina in base al proprio modo di essere, per il proprio terapeuta o per un benefattore e questo sentimento, che viene chiamato transfert, opportunamente monitorato, è il miglior alleato per qualsiasi terapia.
È ciò che fa si che una terapia venga intrapresa, che continui nel tempo fin quando è necessario, che raccontiamo i fatti nostri più intimi ad un estraneo (che estraneo rimarrà comunque, perché gli analisti non frequentano i pazienti al di fuori delle sedute), che affrontiamo insieme a lui gli aspetti più dolorosi della nostra esistenza, che ascoltiamo le poche ed avare parole che ci dirà come se fossero più preziose dell’oracolo delfico di Apollo.
Anche Freud fu inizialmente sopraffatto dal brivido di gioia per la facilità con cui sintomi così gravi ed invalidanti svanivano come la brina al primo sole di primavera, poi si accorse che i successi ottenuti con l’ipnosi tendevano a non perdurare, oppure il sintomo svaniva per trasformarsi in un altro sintomo, e diede la colpa a se stesso dicendosi un pessimo ipnotizzatore (anche se era stato allievo di Charcot a Parigi e di Liébeauly e Bernheim a Nancy, che utilizzavano questa tecnica).
Abbandonò l’ipnosi per adottare un metodo altrettanto suggestivo, come far distendere il paziente sul lettino e imporgli una mano sulla fronte, ma dovette ben presto abbandonare anche questo sistema; le donne sono esseri straordinari, più degli uomini se vedono qualcuno in difficoltà, tendono ad aiutarlo, le pazienti isteriche di Freud che vedevano il loro giovane medico che non sapeva più che pesci pigliare, cominciarono a dargli qualche prezioso suggerimento.
La signora Emmy von N., miss Lucy R., la signora Elisabeth von R., Katharina, con dolcezza o più aspramente, in ogni caso cercando di guidarlo e nel senso giusto, con una pazienza infinita, attesero che Freud trovasse la sua strada verso l’inconscio, per scoprire insieme a loro ciò che le tormentava, perché fosse loro di sollievo più efficacemente e con molta dolcezza lo indirizzarono nel mondo tipicamente femminile della parola, proprio loro che erano donne incompiute perché avevano perso l’accesso alla parola e avevano riversato tutto il loro essere sul loro corpo.
L’isterica parla attraverso il corpo, ma non capisce cosa dice; Breuer pensava che abreagendo la tensione che si era tenuta dentro, avrebbe smesso di avere i sintomi, Freud invece credeva che dovesse passare dal linguaggio corporeo al linguaggio fatto di parole e di concetti, l’unico in grado di farle capire perché soffriva.
Cäcilie, la paziente di Freud dopo un litigio col marito si porta le mani sulla guancia perché sente le parole di lui come uno schiaffo, cioè traduce dentro di sé le parole in espressione somatica e reagisce con espressioni somatiche sue. Freud collega questo alla spiegazione di Darwin dei movimenti espressivi, al suo principio del “traboccare dell’eccitamento” e pensa che i sintomi fisici delle pazienti isteriche siano delle “metafore filogenetiche”.
Josef Breuer come precursore e Sigmund Freud come esploratore inventarono la psicoanalisi, cioè un tipo di terapia psichica che spiegava cioè la sofferenza mentale solo esclusivamente in base a processi psichici e usava una terapia psichica fatta solo di parole, parole che si intrecciano, si interconnettono, si tessono fra di loro.
D’altronde il padre di Freud, Jacob, suo nonno Schlomo e il bisnonno Susskind Hoffmann (che di Schlomo fu il suocero) erano commercianti di tessuti (lana, canapa, miele e sego), percorrevano centinaia di chilometri sui loro carri trainati da asini lungo le vie della Galizia e della Moravia, affrontando notevoli fatiche e ogni variazione atmosferica.
Gli affari cominciarono ad andar male con il padre di Freud Jacob, a causa forse della sua incompetenza nel commercio, ma non solo, le limitazioni poste alle vaste zone adibite a pascolo che restrinsero il pastoralismo nomade (la lotta impari del pastore contro il trattore) e l’invenzione del telaio Jacquard, che accelerava notevolmente i tempi di produzione e abbassava altrettanto notevolmente il prezzo della merce, furono letali per la famiglia Freud, che dovette emigrare a Vienna, costretti ad adattarsi a questi cambiamenti come poterono, fino a cambiare mestiere.
Tutti quanti loro conoscevano bene i tessuti che vendevano, di certo meglio dei loro clienti, ma meno bene di chi i tessuti li tesseva e meglio di chiunque altro ne conosceva la trama e anche i difetti.
Non essendo anche tessitori, essi furono il tramite fra coloro che stavano al telaio a intrecciare i fili e gli acquirenti di questi prodotti; essi intrecciavano parole per decantare la qualità, la finezza e la bellezza di questi tessuti alle; Sigmund Freud fece un passo ulteriore intrecciando parole su una merce invisibile agli occhi, che un tempo si sarebbe chiamata anima, ma che adesso si chiamava mente e che qualcuno avrebbe voluto chiamare cervello, ma non disponeva delle adeguate basi anatomiche.
E non è forse vero che Sigmund Freud, figlio di Jacob Kallamon Freud, ha saputo tessere meglio del padre, mercante di lana, un tessuto di parole la cui eco è giunta fino a noi e ha sconvolto per sempre il nostro modo di pensare? Non è forse vero che ancora oggi sospettiamo che dietro una dimenticanza, un lapsus, un sogno, un atto mancato, ci sia inequivocabilmente un’ambivalenza, un desiderio sessuale rimosso?
Sentite come il grande psicoanalista riesce a mettere insieme in questo brano le donne, la civiltà, i peli pubici e la tessitura:
"Si dice che le donne abbiano fornito pochi contributi alle scoperte e alle invenzioni della storia della civiltà, eppure vi è forse una tecnica che esse hanno in effetti inventato: quella dell'intrecciare e del tessere. Se così fosse, viene spontaneo tentar di indovinare il motivo inconscio di questa riuscita. La stessa natura sembra aver offerto il modello da imitare, facendo si che, con la maturità sessuale, il pelo pubico cresca fino a coprire il genitale. il passo successivo consistette nel far aderire l'un l'altra le fibre che sul corpo erano conficcate nella pelle ed erano soltanto ingarbugliate fra loro".
(Sigmund Freud, 1932, introduzione alla psicoanalisi (nuova serie di lezioni), in OSF Vol. XI, Lezione 33 Femminilità, bollati Boringhieri, Torino, 1989, p. 238).
Sigmund Freud era convinto che l’inconscio fosse popolato da rappresentazioni rimosse perché incompatibili con la nostra vita cosciente, la rimozione si abbatteva come una mannaia sulla rappresentazione non gradita gettandola in un luogo da cui era impossibile riemergere alla coscienza, mentre la carica energetica ad esso associata si rende nuovamente disponibile legandosi ad una nuova rappresentazione più accettabile per il soggetto.
L’inconscio dunque si forma a partire dalle rimozioni ed è costituito da tutto il materiale inaccettabile per un soggetto o meglio, dalle sue rappresentazioni.
Freud precisa ancora che la memoria inconscia è formata esclusivamente da rappresentazioni di cose (Sachvorstellung) a cui viene rifiutato il legame con le corrispettive rappresentazioni di parole (Wortvorstellung), senza le quali non possono diventare coscienti.
Cosicché le immagini delle cose di per se stesse non appartengono al nostro mondo cosciente senza trasformarsi in parole.
“Come punto nodale di molteplici rappresentazioni, la parola è, per così dire, un polisenso predestinato e le nevrosi (rappresentazioni ossessive, fobie) si servono, non meno arditamente del sogno, dei vantaggi che la parola offre in questo modo per la condensazione e il travestimento”.
(Sigmund Freud, L’interpretazione dei sogni, OSF Vol. 3, p. 313).
“Un tale mezzo è soprattutto la parola, e le parole sono anche lo strumento essenziale del trattamento psichico. Il profano troverà certo difficile comprendere come disturbi patologici del corpo e della psiche possano venir eliminati attraverso le ‘sole’ parole del medico. Egli penserà che si pretenda da lui la fede nella magia. Non ha tutti i torti; le parole dei nostri discorsi quotidiani non sono altro che magia sbiadita”.
(Sigmund Freud, 1890, Trattamento psichico (trattamento dell’anima), in OSF Vol. 1, Bollati Boringhieri, Torino, 1989, p. 93).
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