Maoi - Isola di Pasqua |
By Alan Schaeffer |
Alina Noir - All the love we need |
Questo post è il seguito naturale di quest’altro ( ... E MI SOVVIEN L'ETERNO 1), pubblicato qualche mese fa, e sarà
seguito da un terzo ed ultimo post già quasi terminato nella sua architettura
basilare; ci tengo a precisare che gran parte di questo post è stata scritta
allora, quando Andrea Camilleri era ancora in vita e stava bene: ho lasciato
tutti i verbi al presente, come se fosse ancora qui con noi, perché per me è
come se ci fosse ancora, quelli come lui non muoiono mai finché c’è qualcosa
che tiene vivo il ricordo e finché c’è qualcuno che ricorda.
Cortina d'Ampezzo |
Andrea Camilleri - Conversazione su Tiresia - Teatro Greco di Siracusa - 2018 |
Teatro Greco di Siracusa - Edipo Re |
Teatro Greco di Siracusa |
Baia di Giardini Naxos (da Taormina) |
“αἰὼν παῖς ἐστι παίζων πεσσεύων παιδὸς ἡ βασιληίη”. (Eraclito
, DK 22 B 52).
“L’eternità (aión) è un fanciullo che si trastulla (paȋzon) lanciando i dadi (tessere, pedine, pietruzze o giocando col tavoliere): il potere sovrano è (nelle
mani di) di un fanciullo”. (Eraclito , DK 22 B 52).
Tony Goble, Goble Birdface |
Matariki |
“Un nascere e un perire, un costruire e un distruggere, che
siano privi di ogni imputabilità morale e si svolgano in un’innocenza
eternamente uguale – si ritrovano in questo mondo solo attraverso il giuoco
dell’artista e del fanciullo. Come giuocano il fanciullo e l’artista, così il
fuoco eternamente vivo giuoca, costruisce e distrugge in piena innocenza.
Questo è il giuoco che l’Eone giuoca con se stesso. Trasformandosi in acqua e
terra, egli costruisce come un fanciullo torri di sabbia vicino al mare,
costruisce e distrugge; di tanto in tanto egli ricomincia daccapo il giuoco”.
(Friedrich Nietzsche, La filosofia nell’epoca tragica dei greci e scritti
1870-1873, pp. 172-173).
Taormina |
Andrea Camilleri - Conversazione su Tiresia - Teatro Greco di Siracusa - 2018 |
Teatro Greco di Siracusa - Euripide, Le Baccanti - 2012 |
Van Gogh - Notte Stellata |
Maoi . Isola di Pasqua |
“Quale un fanciullo, con assidua cura,
di fogliolini e di fuscelli, in forma
o di tempio o di torre o di palazzo,
un edificio innalza; e come prima
fornito il mira, ad atterrarlo è vòlto,
perché gli stessi a lui fuscelli e fogli
per novo lavorio son di mestieri;
così natura ogni opra sua, quantunque
d’alto artificio a contemplar, non prima
vede perfetta, ch’a disfarla imprende,
le parti sciolte dispensando altrove.
E indarno a preservar se stesso ed altro
dal gioco reo, la cui ragion gli è chiusa
eternamente, il mortal seme accorre
mille virtudi oprando in mille guise
con dotta man: che, d’ogni sforzo in onta.
la natura crudel, fanciullo invitto,
il suo capriccio adempie, e senza posa
distruggendo e formando si trastulla”.
(Giacomo Leopardi, Palinodia, 154-172, 1835).
Testa di Ulisse - Gruppo di Polifemo - Sperlonga |
Van Gogh - Notte Stellata - Venere (dettaglio) |
Persephone |
Recanati - Piazza Leopardi |
“Diventato cieco mi è venuta una curiosità immensa, di capire
… no, capire no, è un verbo sbagliato, non si può capire. Ma di intuire cosa
sia l’eternità, quell’eternità che ormai sento così vicina a me. E allora ho
pensato che venendo qui, in questo teatro, fra queste pietre veramente eterne,
sarei riuscito ad averne almeno un’intuizione”… non possiamo fare ad Andrea
Camilleri l’affronto di credere che questo suo anelito di eternità sia dovuto
al fatto che col crescere dei suoi anni stia cercando di mettere ordine alle
sue cose terrene, di far pace con il suo “fattore” per poter affrontare
serenamente quella “eternità” che ormai sente così vicina a sé.
Camilleri ha più volte dichiarato il suo “agnosticismo”, che
potrebbe con più precisione definirsi ateismo, perché egli non dice: “Non so e
non sono in grado di sapere se un dio esiste”, dice piuttosto: “…questo
atteggiamento agnostico, [non nasce] da letture, da romanzi, da filosofie varie
ma è un atteggiamento naturale, spontaneo” e ancora, nella stessa intervista:
“… Dio non sta nella mia vita. Ci stanno molte cose nella mia vita, ci sta
l'idea di spirito sicuramente, non ci sta materialismo banale o altro. Ci sta
‘Perché non possiamo dirci cristiani di Benedetto Croce’. Ma la fede, quella non ce l'ho”.
Altrove riconosce di essere non un ateo militante ma un “non
credente possibilista”, e questo perché la dichiarazione di non credere in Dio
dell’ateo paradossalmente afferma l’esistenza del Dio di cui dice di non
credere, perché scomodarsi a negare qualcosa che non esiste, perché definirti
come uomo per ciò che non sei e per ciò in cui non credi, invece di declinare ciò
che sei e ciò in cui credi?
Il possibilismo di Camilleri non è dirsi: “C’è una luce in
fondo al tunnel” o “Spero che l’universo abbia un senso e che qualcuno di
infinitamente superiore a noi ci abbia creati per qualche scopo”, ma è
piuttosto non accettare limiti preconcetti sul suo cammino, rendere la sua
ricerca esistenziale potenzialmente infinita, non limitata da assunzioni a
priori, da assolutismi che tracciano prima della partenza i confini del
percorso o addirittura bloccano il cammino illudendoti di essere giunto alla
meta.
Camilleri ritiene che: “… qualsiasi atto che sia assoluto è
sempre un atto di una presunzione mostruosa e, siccome ritengo di non avere una
tale presunzione, dico: ma vabbé, per me le cose stanno così, poi… si vedrà”; è
“presunzione mostruosa” porre Dio come fine e scopo dell’esistenza dell’uomo, e
imporlo non solo a sé stessi, ma a tutti, come se incontrare anche un solo
individuo che non crede sia un insulto e un nocumento per la propria credenza.
Naturalmente sono presunzioni mostruose anche altre creazioni
filosofiche, ideologiche, politiche e culturali che hanno cercato o cercano di
diffondersi, di far proselitismo, di espandersi, di
colonizzare/convincere/catechizzare/sottomettere chiunque incontreranno, perché
vogliono l’obbedienza cieca e assoluta, la fede sconfinata, l’assoggettamento
totale (o anche solo formale).
Non importa poi che si chiamino cristianesimo, islam,
ebraismo, illuminismo, positivismo,
comunismo, capitalismo, liberalismo e i più recenti presenzialismo e virtualismo,
per i quali è più importante apparire che essere e in cui siamo ciò che appare,
ed è meglio essere virtuali che reali, creando un mondo in cui la finzione
diventa realtà e della realtà se ne perdono le tracce.
Maoi - Isola di Pasqua |
Stella cadente |
Salvador Dalì - L'Aurora, 1948 |
Teatro Greco di Siracusa - Euripide, Le Baccanti - 2012 |
Teatro Greco di Segesta |
Teatro Greco di Siracusa |
Dio non è presente non soltanto nella vita quotidiana di
Andrea Camilleri, ma non lo troverete nemmeno nei suoi romanzi, tutti i suoi
personaggi si comportano e ruotano come se questo dio non esistesse, non ne
avvertono l’esigenza nel loro agire, al massimo diventa un alibi o strumento
per giustificare un potere e rendere lecito il sopruso e il proprio dominio
sull’altro.
L’idea di Dio è un grande equivoco per il viaggiatore esistenziale,
ti illude di aver trovato l’assoluto, già pronto e confezionato, senza essere partito e senza alcuna fatica,
in realtà è una battuta d’arresto, un appendere al chiodo le scarpe da trekking
e infilare le pantofole, un abbandonare la curiosità che è la fiamma stessa
dell’intelligenza: per questo Dio, qualsiasi Dio, è più un deterrente che un
catalizzatore per la crescita dell’umanità, solo quando la morsa di Dio si
allenta nascono opere d’ingegno e artistiche geniali.
L’idea di Dio spegne ogni curiosità, annulla ogni cammino,
rende vana ogni ipotesi di progresso perché solo in Dio vi è la perfezione, e
puoi giungere a Dio solo per grazia divina, la grazia delle fede, o in virtù
delle opere, che sono opere di coscienza e non di conoscenza, Dio ti chiede di
operare senza capire (per questo è così difficile meritarsi il paradiso, ed è
difficile se non impossibile percorrere le strade dell’ascesi), mentre tutto il
tuo essere anela al cambiamento attraverso la conoscenza.
E non solo l’idea di Dio, ma nemmeno la morte ci ferma da
questo anelito verso l’infinito, e non parlo soltanto della concezione scettico
pietistica che ne ha Epicuro quando dice: “Il più terribile dunque dei mali, la
morte, non è nulla per noi, perché quando ci siamo noi non c’è la morte, quando
c’è la morte noi non siamo più. Non è
nulla dunque, né per i vivi né per i morti, perché per quelli non c’è, questi
non sono più”. (Lettera a Meneceo).
Faccio riferimento alle più recenti cognizioni
psicoanalitiche circa l’impossibilità per l’essere umano di pensare alla
propria morte, espresse con le stesse parole di Freud: “In verità è impossibile
per noi raffigurarci la nostra stessa morte, e ogni volta che cerchiamo di
farlo possiamo constatare che in effetti continuiamo ad essere ancora presenti
come spettatori. Perciò la scuola psicoanalitica ha potuto anche affermare che
non c’è nessuno che in fondo creda alla propria morte, o, detto in altre
parole, che nel suo inconscio ognuno di noi è convinto della propria
immortalità”. (Sigmund Freud, Considerazioni attuali sulla guerra e sulla
morte, OSF, Vol. VIII°, Boringhieri, Torino, p. 137, 1915).
E ancora, nello stesso testo: “Il nostro inconscio non crede
dunque alla propria morte, si comporta come se fosse immortale”. (Ibid., p.
144).
Per Sigmund Freud l’inconscio, così come possiamo
ricostruirlo attraverso i sogni, i lapsus, gli atti mancarti, i sintomi
psicopatologici, ecc., è sprovvisto di razionalità, di logica, del senso dello
spazio e del tempo, ogni cosa può esistere anche se in palese contraddizione
con un’altra ugualmente e contemporaneamente presente, non esiste il senso del
lontano o del vicino, né esiste il senso del tempo: passato presente e futuro,
tutto ciò che pensiamo o sogniamo esiste per noi qui e adesso, non importa se è
lontano nello spazio o nel tempo e non importa se non esiste più (se è, cioè,
morto) o se non esiste ancora (se è, cioè, una nostra aspettativa o una nostra
creazione).
Qualcuno un giorno chiese a Freud quando era già famoso, non
ricordo chi e nemmeno se ciò avvenne nel corso di un’intervista o in qualche
altra occasione, perché nei suoi scritti avesse trattato di qualsiasi tipo di
angoscia (di castrazione, di frammentazione, di spaesamento,…, si era occupato
persino dell’angoscia della nascita, la paura di venire al mondo), e non avesse
mai preso in considerazione l’angoscia di morire, che pure è evidente ed è
molto diffusa.
Freud gli rispose che a suo parere non esisteva, né avrebbe
potuto esistere, un’angoscia di morte in quanto tale, perché finché siamo in vita
la morte non possiamo neppure immaginarla, ciò che comunemente viene rubricata
con questi termini è in realtà l’angoscia di non aver vissuto bene, di non aver
realizzato i nostri sogni e i nostri desideri, di dover rinunciare per sempre a
ciò che costituisce l’anima stessa della nostra essenza, ciò a cui abbiamo
anelato per tutta la vita.
Se la riflessione freudiana è prettamente psicologica,
Emanuele Severino (morto appena qualche giorno fa: il 17-01-2020) affronta il
problema della morte e dunque dell’eternità da un punto di vista
fenomenologico-esistenziale; egli scrive: “L’essere è eterno. E appare
eternamente in questo attuale apparire – che non è “mio”, ma sono io stesso. Da
sempre e per sempre l’uomo è la rivelazione dell’essere, satellite che accompagna
in eterno la costellazione dell’essere. […] L’essere eternamente appare legato
al suo “è” dalla necessità dominatrice; pertanto eternamente appare il senso
verace e concreto della dominazione della necessità, in cui consiste la
struttura della verità dell’essere. Eterna rivelazione della verità
dell’essere, l’uomo vive, in questo senso, «la vita degli dèi» (Fedro). Ma la
«pianura della verità» (Ibidem) gli sta davanti tutta raccolta e ferma e in
questo fermo spettacolo abita l’uomo in eterno. […] La sua casa è la verità che
gli sta eternamente davanti. Eppure la sua originaria abitazione è
un’irrequietezza infinita. L’essenza dell’uomo, dunque, è quella di vivere in
una irrequietezza costante, perché vittima di un’alienazione: egli fa
esperienza della contraddizione della verità, ovvero il suo apparire finito in
modo contestuale alla sua essenza ultima che è l’eternità del tutto e quindi di
sé. Questa contraddizione è l’alienazione costitutiva dell’essenza dell’uomo.
Il toglimento di questa alienazione è l’assurdo: l’apparire finito che diventa
l’indiventabile apparire infinito dell’essere. In prima istanza, l’essenza
dell’uomo è costituita pertanto da un’alienazione figlia della coesistenza
dell’apparire finito delle cose, ma anche dell’apparire finito trascendentale,
e il suo essere dimorato presso l’essere eterno – di cui egli ne è custode e
testimone”. (Emanuele Severino, La terra e l’essenza dell’uomo, p. 215).
Le prime rudimentali intuizione dell’eternità, antecedenti ad
ogni interesse per la psicoanalisi e per la filosofia esistenzialista, le ho
avute in certi pomeriggi a casa mia, quando mi chiudevo in camera mia sbarrando
la porta e la pesante persiana in legno della finestra, facevo il buio più
totale e in quell’atmosfera surreale mi distendevo sul mio letto e ascoltavo
con le cuffie The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd.
Era un momento eccezionale per me, perché purtroppo mia madre
non capiva nulla di privacy, chiunque venisse a cercarmi di persona o per
telefono lo faceva entrare o me lo passava, senza alcun filtro e senza
chiedermi se volevo riceverlo o volevo rispondergli, era strano che unico
momento che rispettasse della mia intimità fosse questo raccogliermi in ascolto
e in meditazione in camera mia, in questo caso non solo diceva a chiunque che
ero occupato e non potevo ricevere visite o telefonate, ma lei stessa evitava
di fare il minimo rumore ed esortava a far piano a chiunque in casa.
La musica del Pink Floyd, dal vivo stavolta, è stata la
colonna sonora di una serata indimenticabile con Sabrina, la mia ragazza di
allora, nella sua casa di Venezia, durante l’unico concerto in questa città
della leggendaria band nel 1989, mentre orde di barbari erano calati in città,
emettendo grugniti e suoni gutturali, saltando e ballando per calli e campielli
e trasformando la più bella città del mondo in un rivoltante immondezzaio, in
un porcile disgustoso, l’odore di piscio e di sudore è andato via solo dopo una
settimana, ma durante quella sera e quella notte lei ed io siamo stati in
paradiso.
Da un lato la strada del divino che guarda indietro o in
avanti, all’origine e alla fine dei tempi, dall’altro una strada che costruisce
da sé man mano un percorso di conoscenza che parte da sé e ad esso si
ricongiunge.
Magic of the Mountains - Ivaylo Petrov |
Christian Schloe |
Potremmo dire che con l’avanzare dei suoi anni Andrea
Camilleri sente l’urgenza non di capire, in questo caso l’apparato razionale
non solo non serve a comprendere qualcosa che sfugge all’intelletto umano, ma è
addirittura dannoso, perché ti porta fuori strada, non puoi applicare la logica,
l’intelligenza, il raziocinio, la geometria euclidea o quella analitica
cartesiana, il principio di non contraddizione o quello delle scienze empiriche
e naturali nella ricerca dell’eternità, perché essa non ha corpo, non ha peso,
non ha sostanza, non è misurabile, non è percepibile ai sensi, non si può
dividere o sommare, sottrarre o moltiplicare, non si può elevare a potenza e
non se ne può estrarre la radice.
Si può però intuire, cioè cogliere all’improvviso nella sua
immediatezza e nella sua essenza, o si può sentire come se fosse un brivido, un
vortice, un’illuminazione, una vertigine, come esserne attraversati da parte a
parte, solo in particolari condizioni, a me ad esempio è capitato di sfiorarla
quando da bambino ascoltavo rapito i racconti favolosi degli anziani, tutto ciò
che dicevano, i fatti e le persone che invocavano, erano per me simili ad
esseri mitologici, che ti trasportavano nell’incanto, dove ogni cosa era
possibile.
Da bambini questo senso di infinito, di assoluto è presente
in tutto ciò che facciamo, solo a quell’età è possibile provare un senso di
amore sconfinato per tutto ciò che ci piace e un odio altrettanto intenso per
tutto ciò che non ci piace, quante cose abbiamo amato da piccoli molto più di
quanto amiamo le persone da adulti.
Forse questo amore infinito per la natura che ci circonda è
presente anche nelle civiltà primitive e agli albori della storia, anche se non
dovessimo simpatizzare con la teoria ottocentesca dell’ontogenesi che
ricapitola e ripercorre i passi della filogenesi; poi crescendo e credendo di
essere evoluti ci siamo relativizzati, non riusciamo più a tuffarci
nell’assoluto, dovunque costruiamo solidi confini entro cui vivere ogni nostra
esperienza, ci ridimensioniamo, scambiamo (come scrisse Freud) il nostro piacere
assoluto per un po’ di sicurezza e di tranquillità.
Da adulti facciamo rumore, da bambini eravamo rumore; da
adulti possiamo anche amare qualcuno, da bambini eravamo amore, oggi possiamo
anche fare le proteste per salvare il clima e la natura, il selvaggio era la
natura, ad essa apparteneva completamente (pulvis eris, et in pulverem
reverteris).
O la scorgevo nel bisbiglio delle donne che parlano fra di
loro sottovoce e si tramandano chissà quali segreti, nella zona più recondita
della loro casa, al sicuro da orecchie estranee e dove anche i maschi erano
esclusi, eccetto i bambini, orecchie innocenti; o nell’assistere ad un’agonia
lenta e dolorosa, nel mistero della morte in cui cala all’improvviso una sorta
di smarrimento, terrore e di rispetto.
Prima ancora che da Frinico, Eschilo, Sofocle ed Euripide,
prima che Tespi, l’antico attore greco, si contrapponesse al coro del ditirambo
ingaggiandolo in un dialogo, in una dialettica, in una drammatizzazione, prima
dei riti in onore di Dionisio, la tragedia greca nasce dalle chiacchiere che le
donne si scambiavano privatamente nel gineceo, la parte più intima della loro
casa, il coro di una tragedia ricalca la voce delle donne, il loro punto di
vista sulla realtà e sulla quotidianità.
Dolomiti - Tre Cime di Lavaredo |
Dolomiti - Tre Cime di Lavaredo |
Le donne si contrapponevano fra di loro incalzandosi con
domande e risposte, come gli exarcontes (i capi corifei) del ditirambo intonato
durante il culto di Dioniso, nei loro discorsi, proprio come nell’antico
rituale prima e poi nella tragedia, le donne sfioravano il sacro e il profano,
le passioni umane, l’intelligenza, la gioia, il terrore, la ragione,
l’identità, il vivere civile (la vita sociale), l’educazione dei fanciulli, il
sesso, la fertilità, la bellezza, la giovinezza, il coraggio, la virilità, le
imprese eroiche e la morte.
L’intera cultura, l’arte, il pensiero, in Grecia antica
furono assorbiti dall’immane compito di negare la morte sul piano estetico ed
esistenziale, creando opere eterne ed immortali, compiendo gesta eroiche per le
quali si sarebbe stati ricordati per l’eternità, credendo fermamente che la
vera morte non fosse quella decretata dal cuore che smette di battere e dal
cervello che smette di pensare, ma dall’oblio, dal silenzio e dallo smettere di
ricordare, dalla cancellazione della memoria collettiva.
Tespi è l’elemento maschile che irrompe come attore e
antagonista nella costruzione sociale della realtà che facevano le donne
all’interno della casa e che trasmettevano ai propri figli, rendendo così
questa loro costruzione la realtà dominante: fu la prima persona a recitare
indossando una maschera (che significava la completa fusione fra l’interprete e
ciò che interpretava) a non rivestire un ruolo sacro, pur impersonando il ruolo
di un Dio o di un eroe.
È l’unico anche a mantenere sulla scena il suo Io individuale
che si contrappone al coro, che rappresenta la collettività del rito sacro. E’
l’unico a mantenere la sua attività, contro la passività del coro e degli
spettatori, che non partecipano più attivamente al rito, ma vi assistono
inerti, solo così si genera la catarsi, che non è alienazione ed annullamento
dell’identità fino all’estasi (uscire fuori di sé) e all’orgiasmo dionisiaco,
come nel rito, ma liberazione da tutto ciò che ostacola una più completa
conoscenza di sé, inizia a vedere ciò che ha sempre saputo, ciò che i non
iniziati non vedono.
Scrive Nietzsche a questo proposito: “L’incantesimo è il
presupposto di ogni arte drammatica. In questo incantesimo chi è esaltato da
Dioniso vede se stesso come Satiro, e come Satiro guarda a sua volta il dio,
cioè nella sua trasformazione egli vede fuori di sé una nuova visione, come
compimento apollineo del proprio stato. Con questa nuova visione il dramma è
completo”. (Friedrich Nietzsche, La nascita della tragedia, Adelphi, p. 60).
L’eternità la cogli nella voce ambrata, latte e miele, di una
donna innamorata nell’atto di godere di te, una voce che ti da i brividi perché
sembra emergere dalla notte dei tempi, quando sorse primigenia la luce, la vita
e l’unione fra i sessi, la cogli nel momento sacrale in cui violi, gradito e
invitato, una intimità, in cui cioè i confini dell’Io, di sé e dell’altro, si
dissolvono e tu ti lasci scivolare in un’ebbrezza infinita, in uno stupore
attonito depersonalizzante e derealizzante che crea angoscia e piacere, ansia e
godimento, perché ti perdi sapendo di ritrovarti.
La cogli sulla vetta di una montagna, in fondo al mare, sul
ciglio di un abisso, nel placido mormorio di un ruscello di montagna, nell’aria
frizzante del mattino, nell’odore di bosco e di legna, cullato dalle onde
oceaniche mentre riposi nell’amaca della cabina di un veliero di lungo corso,
nel sapore del pane e del salame com’erano un tempo, in una intuizione
improvvisa, in un guizzo, in un lampo della mente tua o altrui, in un sorriso,
in un ammiccare di ciglia, in una moina o in una camminata …
Teatro Greco di Siracusa |
Maoi che guardano la Via Lattea - Isola di Pasqua |
Camilleri l’eternità vorrebbe coglierla in quelle antiche
pietre del teatro greco di Siracusa, eterne non perché esistono da sempre, ma
perché hanno catturato le parole dette e quelle recitate, hanno ascoltato
Edipo, Oreste, Eracle, Medea, Ippolito, Andromaca, Elettra, Ifigenia,
Agamennone, Ulisse, …, che dipanavano gli eterni temi del tragico, che affonda
le mani nelle origini stesse dell’esistenza dell’uomo e libra le sue ali fino
ad oggi.
Le voci degli eroi vengono dalla terra, di Ettore, Achille,
Agamennone, Menelao, Aiace, Diomede parla la terra, parlano le pietre, parlano
gli zoccoli dei loro cavalli che scalpitano sul selciato, di Ulisse no, invece,
di lui parla la voce del mare, le onde di bonaccia o quelle di burrasca, ne
parlano le Sirene, ne parlano Scilla e Cariddi dal più profondo del mare, ne
parla Nausicaa che raccolse l’eroe dal mare e al mare lo restituì, perché al
mare apparteneva.
Noi uomini moderni siamo più inclini ad essere più degli
uomini drammatici che tragici, mentre la tragedia è già nota ed è eterna perché
appartiene al destino stesso dell’uomo, del dramma non si conosce il finale,
non sappiamo come andrà a finire, è aperto a molteplici sviluppi e ad
un’infinità di conclusioni.
Sai, leggendo il tuo post mi è tornato in mente il periodo degli anni '70 perché in quegli anni quando pensavo al 2000 quella data mi sembrava così distante da me e da quello che ero...e quando il 2000 arrivò fu una vera emozione. Altre volte nelle riflessioni che faccio ancora oggi mi ritrovo in alcune parti del post che hai scritto, e cioé il concetto di sentirsi un po' eterni. Ma è solo (come dire) un barlume, un pensiero che poi sparisce in poco tempo ma permane dentro di me al di là del periodo problematico (e a volte drammatico) che stiamo vivendo.
RispondiEliminaL'idea dell'eternità è molto antica, proviene da lontano come hai ben spiegato nel tuo post e lo hai fatto in modo perfetto con riferimenti di vari autori che rispecchiano anche un loro modo di vivere. Ma il concetto di eternità lo vivo in modo più cosciente quando vado (ad esempio) a Roma, oppure nei templi antichi dei greci, quando entro in una cattedrale, in una chiesa o una costruzione del medioevo. Una volta avevo letto, ma non ricordo bene dove, un motto collegato a San Bendetto riguardo le prime costruzioni del romanico. Egli diceva ai suoi abati e ai suoi monaci qualcosa di importante: COSTRUIRE PER DURARE NEI SECOLI...e ci sono riusciti, e quel costruire non era solo legato alle chiese e altro ma anche, e soprattutto, alla conoscenza dei libri e delle traduzioni che hanno fatto (senza il lavoro dei benedettini oggi non avremmo mai conosciuto gli antichi filosofi greci ad esempio).
Negli anni passati, fra le varie cose che ho fatto, ho amministrato una biblioteca in un centro di filosofia orientale e quindi ho letto e in molto casi riletto libri sulla filosofia buddista che conoscevo. Noi in occidente la chiamiamo religione, ma in realtà lo stesso Buddha la definisce "Una filosofia di vita" nel senso che egli (diciamo così) offre dei consigli alle persone senza aspetti troppo dogmatici, in base all'esperienza della sua vita e ti lascia libero di scegliere. Diciamo che esiste "Fare" o "Non Fare", sono due scelte egualmente libere, non esiste dire "Ci Proverò" perché non significa nulla ed è ingannevole. Ma fare o non fare in tutti i casi implica che devi assumerti la responsabilità di una o dell'altra scelta. Ma l'ultimo concetto è molto semplice e lineare: tutto ha un inizio e tutto ha una fine...a volte non ci pensiamo e crediamo che tutto duri chissà quanto.
Beh, stavolta ti ho lasciato un commento lungo e articolato ma con i tuoi post spesso è così. Tutto bello ciò che hai postato, molte foto le conoscevo altre invece sono una bella scoperta. Simpatica la foto con il cartellino: "Non distrubare, sto ascoltando i Pink Floyd".
Bello che hai dato spazio a Camilleri considerandolo sempre vivo...
Un salutone e alla prossima
Anch’io da ragazzino pensavo al 2000 come un data lontanissima, mi chiedevo come sarei stato e consideravo una persona con l’età che avrei avuto come un vecchio, quasi. Non avevo fretta di arrivarci, ma avevo la smania di fare tante cose che a quell’età non potevo ancora realizzare.
EliminaLa sensazione di eternità è molto importante, altrimenti ci sarebbero solo macerie e la più nera depressione nella nostra vita; immagina di dover vivere una vita sapendo che fra trenta-quaranta-vent’anni o molto meno, in un lampo o in un soffio guardati retrospettivamente, sapendo che tutto finirà con la tua morte, ogni progetto, ogni affetto, ogni amore, ogni legame, ogni ricordo di te, ogni traccia sparirà come se tu non ci fossi mai stato, come se il tuo passaggio sulla terra fosse stato ininfluente. come se non fosse cambiata una virgola.
Persino la tua traccia genetica, il tuo DNA, sparirà del tutto nel giro di poche generazioni, perché ad un figlio ne trasmetti il 50%, ad un nipote il 25%, ad un bisnipote il 12,5%, …, nel giro di qualche centinaio di anni del progetto genetico che ti ha costituito non rimane più nulla; l’eternità è l’illusione che tutto questo non sia vero, che non ti appartenga, che tu appartieni all’umanità (o alla natura) e in quanto tale sei immortale, eterno.
I Pink Floyd sono stati la mia colonna sonora di gioventù e anch’io mi sentivo another brick in the wall!
Camilleri mi ha dato tanto, continua a darmi tanto con i suoi libri e persino con quei divertenti film sul Commissario Montalbano che ogni tanto propone (o più spesso ripropone) la Rai.
Ciao e grazie
Camilleri, un grande Saggio; l'ho sempre ammirato.
RispondiEliminaMi dichiaro agnostico tendente all'ateismo e nel DNA, per carattere acquisito, c'è la Ragione sovrana.
Nonno paterno, Luigi, lasciò scritto molto del suo Libero Pensiero ed anche che:
" Se preghiera è piegarsi,
chi prega non sta' dritto.
Perde perciò il diritto
di essere Uomo quale è!"
Da ragazzo ammiravo gli eroi greci, la cultura greca in generale, perché avevano divinità molto simili a loro, che spesso partecipavano nel bene e nel male agli eventi umani, e che, pur essendo attenti a portare loro rispetto e a non travalicare mai i confini, non si inginocchiavano davanti a loro, non si umiliavano, mantenevano il rispetto di se stessi, anzi spesso li sfidavano e talvolta persino vincevano la sfida.
EliminaPuoi immaginare, dunque, come considero l'atto di piegarsi in due, di prosternarsi, di mettersi a colombrina davanti a qualunque divinità: evenienza che è tipica delle religioni monoteiste.
Ciao Luigi e grazie per i tuoi commenti