mercoledì 12 giugno 2019

... E MI SOVVIEN L'ETERNO 1









Friedrich Caspar David, Il tramonto, 1830-1835




“Questo mare è pieno di voci e questo cielo è pieno di visioni. Ululano ancora le Nereidi obliate in questo mare, e in questo cielo spesso ondeggiano pensili le città morte”.
(Giovanni Pascoli, dall’introduzione a “Un poeta di lingua morta”, 1914).


Taormina, Teatro greco-romano.

Agrigento, Valle dei Templi

Siracusa, Teatro greco.

Paestum

Agrigento, Valle dei Templi



Prima di morire, devo trovare il modo di esprimere quel che v’è di essenziale in me, qualcosa che non ho mai detto, qualcosa che non è né amore, né odio, né pietà, né disprezzo, ma il respiro intenso della vita, che viene da molto lontano e che conferisce alla vita la sua espressione d’immensità e di potente forza imparziale delle cose che non sono umane”.
(Bertrand Russell, L’autobiografia).



Melaleuca glauca


Già, cose 'e pazzi! Andrea Camilleri, Il metodo Catalanotti, Undici, p. 166.








“TIRESIA … Soltanto il cieco sa la tenebra”. 
(Cesare Pavese, Dialoghi con Leucò, I ciechi, p. 23).








Capri




Cosa ti manca? “ U scrusciu du mari. “
 (Andrea Camilleri).






Agrigento, Valle dei Templi.




“Ho scritto più di cento romanzi, un mio personaggio, Montalbano, percorre felicemente il mondo … poteva bastami, no? No, non mi è bastato! Diventato cieco mi è venuta una curiosità immensa, di capire … no, capire no, è un verbo sbagliato, non si può capire. Ma di intuire cosa sia l’eternità, quell’eternità che ormai sento così vicina a me. E allora ho pensato che venendo qui, in questo teatro, fra queste pietre veramente eterne, sarei riuscito ad averne almeno un’intuizione”.


Utah, Delicate Arch






Agrigento. Valle dei templi.


Taormina, Casa Cuseni.




Con queste parole Andrea Camilleri conclude il suo splendido monologo Conversazioni su Tiresia recitato al teatro greco di Siracusa lo scorso 11 giugno di un anno fa, in uno spettacolo unico, che non prevedeva repliche, trasmesso la sera stessa in diretta da Rai 5 sul canale 23 (sulla cui recezione non ci si può contare sempre né in ogni luogo d’Italia).
Mi sono chiesto perché in Rai non hanno pensato di trasmetterlo su Rai1, il loro canale di punta, quello da sempre più seguito, vista l’eccezionalità dell’evento, visto che persino le repliche di Montalbano, le ennesime, battono sistematicamente il Grande Fratello e alcune partite di champions, e dato che avevano dispiegato talmente tante e tali forze e mezzi in luogo che c'erano quella sera a teatro più operatori Rai che spettatori paganti.
E poi, che strategia mediatica è quella che in diretta lo trasmetti su Rai5, qualche mese dopo lo fai uscire in proiezione nei cinema, come se fosse un’opera teatrale inedita (un passaggio breve e solo nei cinema frequentati dai professoroni di sinistra, come del resto lo è Rai5, quelli dove un leghista o un pentastellato  funzionale non capirebbe nemmeno la sigla di apertura), poi lo riproponi finalmente su Rai1 e solo dopo di ciò la casa editrice Sellerio stampa e fa uscire nelle librerie il testo del monologo (sono state fatte in precedenza un numero ristretto di copie riservate solo a chi ha potuto assistere allo spettacolo quella sera in teatro).
Non è stato facile per me riuscire a liberarmi dai miei numerosi impegni e fare questa fuga in Sicilia per ascoltarlo “a casa mia” in questa sua inedita veste di attore di teatro, e recitante un personaggio e un testo che si incuneava magnificamente fra l’Edipo a Colono di Sofocle, l’Eracle di Euripide e i Cavalieri di Aristofane.
E non solo perché con la primavera e i primi tepori tutti i sintomi dei disturbi dell’umore (distimia, ciclotimia, ipomania, mania franca, depressione, psicosi bipolare) e anche quelli schizofrenici dei miei pazienti si intensificano, raggiungono il loro parossismo, esplodono all’improvviso come le gemme sugli alberi.
Succede anche che tutti gli altri miei impegni non strettamente clinici, non legati cioè all’attività del mio studio e ai miei pazienti, richiedano un’attenzione maggiore, perché non seguono il ciclo dell’anno solare, che inizia in gennaio e si conclude in dicembre, ma quello dell’anno accademico, che inizia in settembre e termina in giugno, per cui mi si presentano scadenze, è tempo di valutazioni, bilanci, resoconti e di ipotizzare nuove prospettive, pianificare l’attività futura.
Nonostante, dunque, il mese di giugno sia per me campale, ho piantato baracca e burattini (J'ai tout laissé tomber - I planted shack and puppets), serrato i battenti di bottega, arrotolato la palla pazza, venduto moglie e figli ai beduini del Maghreb e ho salpato le ancore alla volta di Siracusa.
Chi non ha mai assistito ad una tragedia greca non può capire, né io potrei mai trovare le parole per trasmetterglielo, cosa si prova in eventi come questo.
Le emozioni che vi da una rappresentazione di un dramma antico superano per vastità di gamma ed intensità le emozioni che potreste aver provato in qualsiasi altra forma di spettacolo: la visione di un bel film, un evento teatrale o musicale, persino se gli arcangeli e i cherubini suonassero per voi le arpe eoliche non sfiorereste il livello di beatitudine e di profondo afflato col respiro tragico e gioioso del mondo.
Fu nel giugno del lontano 1984 che assistetti per la prima volta ad una rappresentazione tragica nel Teatro Greco del mio capoluogo d’origine, si trattava del Filottete di Sofocle, ed ero in compagnia della mia insegnante di lettere del liceo e di quasi tutta la quarta B.



iardini Naxos, vista da Taormina.


Otto Greiner, Odisseo e le sirene.


Taormina, Teatro greco-romano.


Siracusa, Teatro greco, Ifigenia in Aulide, 2015.




Risento ancora oggi la voce cavernosa, disperata, rivendicativa, rabbiosa di Giulio Brogi che impersonava Filottete, un eroe greco abbandonato dagli achei in rotta verso Troia sull’isola di Lemnos, a causa del fetore emanato dalla cancrena della sua gamba causata dal morso di una vipera, o quella subdola di Piero Di Iorio, che impersonava Odisseo nel tentativo di sottrarre con l’inganno a Filottete il suo formidabile e infallibile arco, regalatogli da Eracle, e la voce di Giuseppe Pambieri, nelle vesti di Neottolemo, il figlio del glorioso Achille, combattuto fra la complicità nell’inganno ordito da Odisseo e la lealtà verso un vecchio e glorioso guerriero come Filottete.
A quell’epoca le rappresentazioni classiche avevano cadenza biennale (mentre adesso, con l’avvento del nuovo millennio le fanno ogni anno sempre fra la seconda metà di maggio e la prima metà di giugno, sempre con l’intercalare di due tragedie e una commedia che si alternano per tutto il periodo), per cui nel 1985 non ci sono state e già l’anno successivo frequentavo l’università di Padova e proprio in quel periodo cadeva la sessione estiva degli esami.
Sono tornato solo nel 1994, dieci anni dopo e con una maturità mentale e una sensibilità artistica del tutto differenti, ad assistere ad una tragedia greca (prima l’Agamennone e subito dopo il Prometeo, entrambe di Eschilo), e ho subito notato alcune differenze.
La cosa che più mi ha colpito favorevolmente è stata quella di trovare in teatro tanti giovani, spero solo non si tratti solo di gite scolastiche organizzate, dove decine … centinaia … di ragazzi sono “costretti” ad assistere a questi spettacoli, avendo voglia in realtà di essere altrove, perché in questo modo uccidi anche la cosa più interessante, piacevole e coinvolgente.
La scuola è già riuscita ad uccidere tutto ciò su cui ha messo le mani: il greco, il latino, l’Iliade, l’Odissea, I promessi sposi, la poesia in generale, perché è ormai incapace di trasmettere la passione, trasmette soltanto parole vuote e prive di senso, veicolate da insegnanti vuoti, demotivati e che hanno perso il senso del loro lavoro.

(Tutta questa parte è stata modificata e inserita a posteriori, in data: 13-06-2019).

Gente che non si pone neppure più il problema di educare i giovani (che non vuol dire impartire loro una morale o le buone maniere), ma del resto hanno abdicato a qualsiasi forma educativa anche le religioni costituite, lo stato, la società, la cultura e i genitori stessi.
I quali sono slittati nel giro di pochi decenni da un modello normativo di educazione, fatto di regole e sanzioni e tendente a fare cittadini modello e ben adattati nel loro ambiente, ad un modello edonistico, in cui si spera che almeno i nostri figli, se non lo siamo noi o non lo siamo quanto vorremmo, siano felici.
Il Super-Io come interiorizzazione della legge morale e fonte di sensi di colpa e di vergogna, così come lo concepiva Freud, quasi non esiste più, ed ha lasciato spazio ad un tiranno interno che ti impone un solo imperativo: "GODI", e l'unico sentimento è modulato in una gamma che procede dal rammarico, passa per il rimpianto e per l'angoscia e sfocia nella disperazione.
Il godimento, non ci vuole poi molto a capirlo, è irraggiungibile per vari motivi, così assistiamo ad individui che girano come delle trottole alla ricerca spasmodica di tutto ciò che possa dar loro piacere, naturalmente senza mai trovarla, ma continuando a credere fermamente che la prossima sarà quella giusta.
A persone che hanno rinunciato del tutto a godere in questo stato di esistenza, spostando l'occasione nell'aldilà; se esiste un Dio buono non può non avere già approntato una specie di parco divertimenti che si proietta nell'eternità, destinato ai più meritevoli fra no, a quelli che hanno fatto tutti e bene i compiti per casa.
In questa vita al massimo si accontentano di qualche effimero piacere, e se è possibile a qualche stato di gioia, di estasi, di pace, di serenità o persino di felicità, tutti materiali piuttosto effimeri, che hanno in comune la loro fuggevolezza, come fossero sostanze stupefacenti la cui emivita è piuttosto breve.
Un prete, se domandato riguardo al ruolo che crede di dover svolgere, ti risponde che egli è testimone della verità, quella sancita dai santi Evangeli e racchiusa in un duplice comandamento: "ama il prossimo tuo come te stesso" e "non fare agli altri ciò che non vorresti che gli altri facessero a te.
Mentre insegnanti e genitori laici ti citeranno alcune formule vuote: l’onestà, il rispetto, la libertà, la democrazia, la solidarietà ... certo, nessun nozionismo, le informazioni sono bandite o sono comunque secondarie, mai più date, luoghi, poesie mandate a memoria ... tutto questo è reperibile su wikipedia, inutile perderci del tempo.
No, i genitori e gli insegnanti di oggi vogliono insegnarti a pensare, come se il pensiero non fosse la cosa più spontanea e naturale del mondo, come se ci volesse davvero qualcuno per stimolare qualcun altro a pensare, come quando la mamma premurosa da da mangiare al suo bambino la carne di cavallo, perché è più nutriente, contiene più ferro di quella bovina, così crescerà più sano e più forte, oppure l'acqua con, udite udite, gli oligoelementi, la quale se bevuta in quantità adeguata può avere effetti diuretici (e grazie al ...), o ancora quando si preoccupa del buon funzionamento del suo pancino e gli da la Dolce Euchessina, per un dolce aiutino, senza rendersi conto che ne sta facendo un nevrotico cronico che conflittualizzerà per tutto il resto della sua vita la sua funzione evacuativa, andrà in panico se incontra dei problemi, tenderà ad un ordine e ad una pulizia meticolosi ed esagerati, oscillerà fra una taccagneria esasperata e una generosità iperbolica e sterilizzerà ogni sua emozione o sentimento.
Quando si accorgono che anche Salvini pensa e che la semplice funzione di stimolo e di catalizzazione del pensiero non è sufficiente, vi aggiungono l'aggettivo "bene", come se potesse esistere qualcuno che sappia davvero cos’è bene per gli altri; pare così difficile immaginare di forgiare spiriti liberi, che faranno della loro vita ciò che vorranno, indipendentemente da qualunque insegnamento, da qualunque legame e da qualunque senso del dovere.
Ma per pensare a ciò dovremmo fare i conti con la nostra propensione a vivere la nostra vita anche attraverso i nostri figli, a tentare di compensare errori e frustrazioni personali intrigandoci della vita degli altri con l'alibi della maggiore esperienza e delle buone ragioni, dovremmo rivalutare la nostra propensione a dare forma ordine al mondo esterno secondo il nostro piccolo modello personale, che riteniamo però universale, e a pretendere che gli altri si modellino secondo i nostri desideri e cerchino di assomigliare a ciò che noi vorremmo che fossero. 

(fine dell'intarsio).



Taormina, Teatro greco-romano, 05 luglio 2017, Zubin Mehta dirige la Nona di Beethoven.







Vincent van Gogh, Notte stellata sul Rodano, 1888.


Nell’84 invece noi giovani eravamo l’eccezione, c’erano prevalentemente signori di una certa età, provenienti da tutta Italia e da tutta Europa e qualche giapponese, tutte persone dotate di una certa cultura, che attendevano con ansia questo momento, lo pregustavano, sapevano esattamente cosa si sarebbe rappresentato, ci avevano riflettuto sopra parecchio, molti potevano citare interi passi a memoria ed erano capaci di tradurre direttamente dal greco.
Ora ti può capitare non tanto il giovane che non sa chi è Filottete (nemmeno io lo sapevo allora), ma anche quello che non sa chi è Odisseo, o Achille, che non ha mai sentito parlare di Sofocle o di Edipo, cresciuti così, incolti, come le bietole o gli asparagi selvatici, ma che magari sanno tutto sulla nuova app del cellulare che ti permette di ascoltare un brano musicale con una persona con cui vuoi condividerlo.
Se hanno conservato anche un solo germoglio di fantasia, di creatività e sono capaci di lasciarsi coinvolgere, terreni fertili su cui piantare qualcosa che non abbia niente di bietolino o di asparagino, magari è possibile innestare qualche talea latina (non selvatica) che possa dare buoni frutti, altrimenti da adulto potresti voler tagliare l’alberello e dragare il torrentello, anche quando migliaia di alberelli li ha divelti abbondantemente la natura e i torrentelli sono stati dragati anche troppo dalle abbondanti piogge cadute, che hanno modificato, forse anche per qualcentinaio di anni a venire, la morfologia delle Dolomiti.
Non sempre sono riuscito ad andare a Siracusa come spettatore delle tragedie, talvolta impegni improrogabili me l’hanno impedito, altre volte sono state tragedie più grandi di quelle di Medea o di Oreste; ma ogni volta che ci penso trovo intatto tutto l’entusiasmo che mi fa mollare qualunque cosa e mi fa attraversare i 1500 chilometri che mi separano dall’acropoli di quest antica città siciliana.
Era il 734 o il 733 a.C. quando alcuni cittadini greci provenienti da Corinto sbarcarono su un’isola che chiamarono Ortigia, dal greco antico ortyx (ὄρτυξ) perché sembra avesse la forma di quaglia, e da li si sono impadroniti dell’entroterra: Epipoli, Neapolis, Akradina e del colle Temenite, creando così la pentapoli, secondi solo alla colonia di calcidesi che nel 735 a.C. sbarcò sulle foci del fiume Alcantara e fondò Naxos, prima di conquistare ai siculi la rocca adiacente che chiamarono Taormina, dal monte su cui sorge, il Tauro.
Nessuno spettacolo teatrale, nessun concerto, nessuna mostra artistica vi daranno mai le emozioni che potrebbe darvi una tragedia greca, nemmeno se si svolgessero in un parco archeologico, fra templi e rovine antiche, e ciò non solo per l’afflato tragico che essa vi trasmette, ma anche perché quella forma a conchiglia del kòilon (la cavea) vi stringe e vi abbraccia in una polis, in una comunità di uguali con identiche origini e con gli stessi valori etici, cresciuti col medesimo modello educativo, formati uomini liberi e cittadini prima di ogni altra cosa e di ogni altra considerazione.
Lo spettacolo era una manifestazione sacra, infatti il teatro sorgeva sempre presso l’acropoli della città, che era zona sacra, e sacre erano le rappresentazioni che qui si recitavano, persino quelle sguaiate della commedia aristofanea, perché il riso era anch’esso un fenomeno sacro, perché gli dei greci (al contrario dei nostri) erano capaci di ridere.


Pier Paolo Pasolini, Edipo Re, 1967.


Taormina

Taormina






E non avveniva in assoluto silenzio, come accade adesso, la gente commentava, gridava ad alta voce, faceva battute, mangiava, beveva e faceva i fatti suoi se si annoiava o non era interessato (proprio come succedeva nei cinema pre-televisivi di qualche decennio fa): ciascun cittadino incluso in quella conchiglia, abbracciato da quell’emiciclo, da quell’esedra, sentiva di appartenere ad un’unica koinè, faceva parte della sua polis ed era orgoglioso di tutto ciò che di eccellente vi abitava, vi accadeva e vi si produceva.
Un aspetto particolare ci distingue dagli antichi greci, loro inseguivano la bellezza assoluta, contrariamente a noi almeno a giudicare dall’estetica delle nuove chiese e degli edifici di ogni tipo, ed inseguivano anche un’idea di eternità, ogni cosa che edificavano doveva essere eterna, se non alla lettera almeno in linea di principio.
Gli antichi architetti dell’ellade non erano stupidi, avevano sotto i loro occhi lo sgretolarsi delle piramidi e delle ardite ziqqurat asiatiche almeno fin dove erano giunti nei loro viaggi, spinti dalla vela del commercio e dalla loro curiosità, se la mole imponente di tutte queste opere non faceva si che i loro creatori fossero ricordati in eterno, forse questa eternità doveva essere raggiunta con la solidità della techne (e infatti molti loro monumenti sono sopravvissuti almeno in parte al tempo e al maltempo, ai terremoti,  ai saccheggi, al vandalismo e all’incuria dell’uomo).
E dalla loro bellezza eterna, che poteva essere racchiusa in forme più ridotte, anzi doveva esserlo, perché il colossale confina spesso col mostruoso, che ha permesso di essere replicata, imitata e copiata dai posteri fino ai nostri giorni (pensate al Partenone, opera perfetta nelle forme, nelle dimensioni e nella bellezza dell’insieme).
Noi moderni costruiamo opere con l’acciaio, col ferro, col vetro, con metalli vari e col cemento armato, nessuno di questi materiali durerà a lungo, molte opere si sgretoleranno prima, si spera senza nessuno sotto o sopra di esse e non di schianto, come il ponte Morandi, di buono c’è che di tutta questa bruttezza che è il simbolo del nostro tempo non durerà oltre i prossimi due-trecento anni, e forse un giorno qualche storico dirà che vivevamo in capanne eco-compatibili, con nostro sollievo, non trovando traccia dell’orrore di tutto ciò che abbiamo eretto e che inevitabilmente ci intristisce e ci abbrutisce sempre di più.
Molti edifici non si pongono nemmeno più il problema di migliorare le nostre condizioni di vita, sono frutto di bieche e miopi speculazioni, in cui chiunque cerca di realizzare il massimo profitto a costo di rifilarti un tragico inganno, un inganno che potrebbe anche costarti la vita se solo la terra decide di tremare o se solo l’alberello o il torrentello decidono di caderti addosso e non sulla testa degli sciacalli che con la loro pochezza permettono tutto questo e ci guadagnano prima che accada la sciagura e dopo la sciagura perché saranno loro a ricostruire o a gestire la ricostruzione.
Un teatro, un tempio, un’acropoli, o l’intera città, non sorgevano dove capitava, magari inseguendo criteri strettamente economici, come avviene ai nostri giorni, i greci studiavano accuratamente la zona in base all’agibilità, alla possibilità di effettuarvi un arrocco e una migliore difesa (tutte le acropoli sorgevano su colline o alture), all’intrinseca bellezza del luogo e all’orientamento nello spazio.
Anche se non è una costante, è un dato di fatto che molti templi, edifici sacri e teatri sono orientati ad est, come se volessero cogliere per primi il sole che sorge, e poiché nella Sicilia orientale (che comprende Siracusa e Taormina) il sole sorge dal mare, i templi dissetavano la loro arsura direttamente con l’acqua marina e vi si rispecchiavano in tutti i casi in cui il mare era sufficientemente vicino, le antiche pietre bevono l’acqua e la luce del sole in un solo sorso.


Edvard Munch, On the Waves of Love, 1899.


Ramón Casas, poster.








Non è un caso che in Sicilia, ad esempio, 40 su 41 templi erano orientati ad est, solo il 41° (quello di Solunto) era orientato a nord-est, mentre nel resto del mondo greco il 58% aveva questo orientamento; affacciarsi al sol levante significava un’esposizione maggiore ai raggi del sole e minori infiltrazioni di umidità che avrebbero aggredito il tufo con cui erano costruiti, proveniente dalle latomie vicine, ma poteva anche avere motivi astronomici o astrologici, visto che i greci erano molto attenti al responso delle stelle ed erano anche ottimi astronomi.
Ancora, l’orientamento solare permetteva di illuminare meglio le zone più sacre di un tempio e le statue degli dei a cui era dedicato per la maggior parte della giornata, quella dedicata al culto degli dei, mentre nel caso dei teatri, il sole all’alba illuminava la cavea, mentre con l’approssimarsi del tramonto illuminava l’orchestra, il proscenio e la scena, che erano le zone in cui si svolgeva lo spettacolo; i diversi orientamenti da quello solare erano perlopiù spiegabili con fattori scenici ed estetici: a Solunto, che si affaccia sul mar Tirreno, l’orientamento a nord-est permette da un lato di avere una splendida vista sul mare e nello stesso tempo di non perdere del tutto la luce del sole.
A Taormina è stato sufficiente scegliere il monte più elevato, lo scorcio più bello, all’interno della più bella terrazza con vista mare del mondo, per costruirci sopra un teatro, scavando una conchiglia sulla viva roccia da cui gli  spettatori potessero gettare lo sguardo sulla baia di Naxos e l’Etna da un lato e Capo Mazzarò e l’Isola Bella dall’altro, … poi, in un posto con quella vista di una bellezza da mozzare il fiato, puoi anche andare ad ascoltare Gigi D’Alessio ed è comunque un’esperienza indimenticabile.
Perché Camilleri ha scelto il punto di vista di Tiresia fra tutti i possibili eroi e personaggi della mitologia classica? Le caratteristiche fondamentali che tratteggiano il carattere di quest’antica figura sono due fondamentalmente: Tiresia è cieco, proprio come egli lo è diventato negli ultimi anni, e la sua cecità gli ha regalato l’arte della divinazione, di poter vedere meglio degli altri il presente e di predire il futuro.
Mettersi nei panni di Tiresia per lo scrittore di Porto Empedocle e porsi nella posizioni di chi sa, proprio come Tiresia nell’Odissea sapeva quale fosse la rotta migliore e più breve per Itaca e la rivela ad Odisseo stesso che era giunto fino all’ade per invocarlo, o quando rivela ad Edipo, ignaro, tutta la terribilità e la tragicità della sua sorte, dopo averlo avvertito che sapere non gli avrebbe giovato a nulla, ma sarebbe stato soltanto il ciglio del precipizio che da allora in poi sarebbe stata la sua vita terrena.
L’altro aspetto caratteristico di Tiresia è il suo essere stato trasformato in donna ed essere ritornato uomo, che ne fanno un personaggio particolare ed unico nell’antichità occidentale; non si tratta, come si è detto, di un presunto ermafroditismo di Tiresia, perché nell’ermafrodita sono presenti contemporaneamente i caratteri sessuali maschili e femminili, mentre Tiresia è stato uomo fino alla giovane età, poi ha subito una metamorfosi in donna per sette anni, poi è ritornato uomo per il resto della sua vita.
Forse sarebbe opportuno, a questo punto, narrare in maniera un po’ più dettagliata almeno le vicende principali di questa figura che appartiene al mito più antico, non certo con la profusione di parole e di immagini di Camilleri, né con la sua bravura o col suo fascino, ma con una storiella breve tanto per avere almeno una vaga idea di chi stiamo parlando, rivolto a chi non ne abbia mai sentito parlare o lo conosce solo di nome e ne conosce poco altro.
Da giovane Tiresia si recava spesso sul monte Citerone, un monte sacro agli dei e da essi molto frequentato, nella maggior parte dei casi sotto mentite spoglie, in una di queste passeggiate vide due serpenti avvinghiati nell’atto di accoppiarsi, colto da un gesto di rabbia o di ripulsa, egli li colpì con un ramo che aveva raccolto ai suoi piedi finché non uccise la femmina del serpente, ebbene, per una sorta di contrappasso olimpico, Tiresia fu ipso facto trasformato in una donna.












Era donna nell’aspetto, negli organi genitali esterni ed interni, completa, globale, avrebbe anche potuto generare dei figli, ed era donna anche nella forma mentis, ed in quanto donna non gli rimase che essere donna e di prendere il suo piacere in quanto donna: e si dice che in questo non trascurò alcun aspetto e si lanciò in ogni esperienza esperibile.
Dopo che furono trascorsi sette anni Tiresia, stanco della sua condizione femminina, si rivolse all’oracolo di Apollo per trovare rimedio alla sua condizione; su consiglio di questi sacerdoti si recò allora di nuovo sul monte Citerone e stanò ed uccise anche il serpente maschio sopravvissuto sette anni prima, di nuovo, istantaneamente, ritornò uomo e lo rimase per tutto il resto della sua lunga vita.
Quanche tempo dopo sull’Olimpo, nella loro sfarzosa e divina dimora, Zeus e sua moglie era stavano discutendo su chi gode di più durante il rapporto sessuale, l’uomo o la donna, avendo entrambi delle opinioni diverse e inconciliabili; per uscire da questo dilemma decisero allora di rivolgersi a Tiresia, che era stato donna dopo essere stato uomo, ed era stato donna prima di essere ritornato uomo, chi meglio di lui poteva sapere se era più intenso il godimento maschile o quello femminile?
Tiresia, interrogato, domandato e demandato di risolvere quel quesito rispose che se esistono dieci gradi di godimento nel sesso, la donna ne raggiunge nove, mentre l’uomo a stento conquista quell’uno che ne rimane.
Possiamo ipotizzare che Tiresia in quell’occasione abbia semplicemente detto la verità, cioè quello che aveva potuto constatare con la sua esperienza, in un periodo storico in cui la donna era certamente una figura di secondo piano rispetto all’uomo, ma ringraziando gli dei nessun uomo si sognava ancora di farle sentire l’atto sessuale come peccato e il piacere come il demonio che l’avrebbe arsa per l’eternità se vi si abbandonava, era possibile che la donna godesse più di adesso e persino più di un uomo.
Ma la verità, si sa, non è mai stata di buon auspicio per chi la pronuncia e anche per chi la ascolta, come dirà a Edipo qualche anno più tardi: “Ahimè! Com’è terribile sapere, quando il sapere non giova a chi sa! […] Già, perché voi tutti ignorate … non aspettarti che io riveli la mia disgrazia … o per meglio dire la tua!” (Sofocle, Edipo re, 316-330).
Chi si è fatto gonfaloniere di una qualche verità o non è stato creduto o è stato ucciso, pensate a quel povero crocifisso in Palestina circa duemila anni addietro, pensate a quante isteriche arse nel vecchio e nel nuovo mondo solo perché gridavano in faccia la loro verità, una verità che non doveva essere rivelata, perché tutta la società in cui vivevano era fondata sulla menzogna o sul contrario di questa verità.
Oppure, oppure Tiresia si è “quartiato” (cautelato) ed ha pensato bene di valutare meglio la situazione, qualunque fosse la sua risposta, qualunque fosse la sua verità, o avrebbe scontentato Zeus, che tutti conoscono per le sue furibonde ire in cui scatenava tuoni e fulmini, o scontentava Era, divinità estremamente vendicativa e implacabile , che si è scatenata con ferocia su chiunque la contrariasse o le recasse affronto, oppure scontentava entrambi se avesse fatto un discorso diplomatico di sostanziale pareggio, per non inimicarsi nessuno dei due.












Decide così di tentare la sorte, di scegliere il male minore, di compiacere Era (mai inimicarsi una donna e per giunta divina) e di affrontare nel caso le ire del re degli dei, uno che poteva anche essere tremendo, ma la cui rabbia passava con la stessa facilità con cui era sorta, e poi Zeus in quanto padrone di casa e colui che ne aveva chiesto l’arbitrato, non poteva rivalersi sull’ospite, che era sacro, né punire chi emetteva un verdetto che egli stesso aveva richiesto.
Difficile capire perché è invece Era quella che si arrabbia, e lo fa a tal punto da accecare il malcapitato, un altro divino contrappasso, simbolico stavolta, come se gli dicesse: “Ma sei cieco?”, un po’ come quando non diciamo a qualcuno: “Ma sei matto?”.
Camilleri dice che Era punisce Tiresia perché ha rivelato la grande verità delle donne, un mistero femminino che avrebbe dovuto rimanere tale, è come se, aggiungo io, svelando questo loro segreto, avesse tolto alle donne gran parte del potere che hanno sull’uomo.
Una donna che si rispetti è capace con pochissime mosse tutte degne di Bobby Fischer e con estrema disinvoltura di farti credere che ciò che le importa, la sua unica missione, il voto solenne e sacro fatto davanti a qualche divinità, è solo il tuo piacere, il tuo benessere, la tua felicità, che la sua felicità consiste soltanto nel rendere te felice e appagato, e che fa tutto ciò solo perché ti ama.
In questo modo capovolge abilmente a suo favore i rapporti di forza che si instaurano in una coppia, l’inevitabile lotta per il potere che avvince e logora uomini e donne fin dalla notte dei tempi e che, secondo il mio amico Ezio, è la vera posta in gioco in amore: il dominio e il possesso.
Perché non c’è schiavo peggiore di quello che non sa di esserlo, perché mentre lei sa perfettamente con quali monete ripagarti e impara a conoscere che in fondo queste monete sono spiccioli, perché l’uomo in fondo è sempre di poche pretese e col tempo riduce persino queste, con la donna non sai mai qual è la moneta giusta e col tempo ti verrà il sospetto di star pagando con tutto te stesso, col tuo tempo, con la tua libertà, con la tua vita oppure che non è mai stata coniata la moneta adatta e che tu sei e sarai sempre in debito con lei e anche in affanno.
Ma se le cose stessero così come dice Camilleri, perché allora intavolare questa discussione, perché non sviarla fin dall’inizio, perché non tacciare una simile curiosità come sciocchezza? A meno che, nemmeno Era fosse consapevole di questa verità, e quando Tiresia la pronuncia, inattesa ad entrambi, Zeus e lei, Era la riconosce subito come vera, ma è ormai troppo tardi per fermarla, per far si che Zeus non la ascolti.
Altrimenti dobbiamo pensare che Era ritenga questa cosa assolutamente falsa, non è vero che la donna goda i nove decimi del piacere lasciando all’uomo solo un grado, ma se avesse ritenuto falso il verdetto di Tiresia, perché arrabbiarsi in quel modo, e perché accecarlo?


Taormina, Ristorante Baronessa.










Possiamo pensare, ancora, che era all’improvviso ascolta il verdetto di Tiresia e lo ritiene veritiero, ma che non corrisponda alla sua esperienza col consorte, e se quest’ultimo non le fa raggiungere quel punteggio elevato di godimento, nemmeno dopo trecento anni ininterrotti di rapporto sessuale, allora chi fa felice il divino Zeus? Forse tutte le altre, divine o umane, le varie Leda, Danae, Alcmena, Io, Europa, Demetra … e via elencando? E una donna, divina per giunta, può accettare un verdetto simile, che il proprio consorte faccia felici col suo scettro divino tutte le altre eccetto lei? O è per lei più facile giungere a conclusione che Tiresia si sbaglia, che non abbia visto bene, e se non ha visto bene dunque, allora che cieco sia davvero. Oppure lo acceca per aver visto troppo, o meglio per aver visto lui umano ciò che lei non è stata capace di vedere?



10 commenti:

  1. Bello questo post dedicato a Tiresia, Camilleri, ai teatri di origine greca della Sicilia (se ho capito bene sono più di uno?) e tutte le foto che hai messo. E poi Pascoli, Bertrand Russell, Pavese, la Grecia antica...quando si parla dell'eterno non esistono confini, vero? E meno male visti i tempi che corrono e le cose che vediamo giornalmente. Delle tante foto della Sicilia ho riconosciuto qualcosa perché negli anni '90 ero in Sicilia al Teatro Greco di Taormina e Palazzolo Acreide, molto belli.

    Bel post, un salutone e alla prossima

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    1. In linea teorica i greci (e i romani dopo di loro) ogni volta che fondavano una polis la dotavano di un’acropoli, di templi sacri, di un foro dove i cittadini potessero incontrarsi e di un teatro, che era considerato di estrema importanza.
      Solo in Sicilia, e citandoti esclusivamente i più importanti, quelli che si sono conservati abbastanza bene, ti ricordo quello di Siracusa, ancora attivo, che per dimensioni è secondo soltanto a quello di Atene, sempre a Siracusa c’è un anfiteatro romano, a Palazzolo Acreide (l’antica Akrai) ce n’è uno di medie dimensioni, molto ben conservato e ancora in funzione (ma forse quello l’hai visto, dal momento che ci sei stato.
      Poi, naturalmente, il più suggestivo di tutti per quello scorcio indimenticabile che offre agli spettatori sulla baia di Naxos e sull’Etna, quello greco-romano di Taormina, possedevano dei teatri anche Agira, Agrigento, Eloro, Catania, Eraclea Minoa, Morgantina, Segesta, Solunto, Tindari, Enna, Santa Croce Camerina e Messina; si opotizza che possedessero dei teatri, data la dimensione e l’importanza di quelle polis nell’antichità, che ancora non sono stati scoperti, Gela, Palermo, Rocca d’Entella e Selinunte.
      Hai ragione, l’eternità si perde nell’infinito, e non è un argomento facile da trattare; ci ho provato in passato con qualche altro post, l’ho accarezzata lievemente parlando della caducità, ho cestinato molte altre cose che avevo scritto in proposito, e alcune considerazioni le ho esposte altrove, nel mio ambiente professionale e con un linguaggio molto tecnico per essere condivise in questa sede.
      Ti ringrazio, come sempre, per i tuoi complimenti.
      Ciao

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  2. Era acceca Tiresia per punirlo, forse.
    Lui, umano, costretto in precedenza a sembianze femminili, aveva provato godimento in tal veste più di quanto non fosse riuscita a provare lei, dall'alto della sua divinità sminuita.
    E' una sfida celestiale.
    Ma è una sfida duplice. Non lo avrebbe mai punito se lui avesse avuto ora sembianza di donna.
    Era acceca Tiresia per punire l'uomo, il maschio, colui che - donna mistificata - aveva osato sondare e godere del privilegio femminino fino in fondo, fino all'estremo, fin dove è concesso a stento ad una donna vera, fin dove non è concesso neanche ad una dea.
    Il povero Zeus qui non ha colpa alcuna, è voce fuori campo.
    Era si specchia nell'identità femminile di Tiresia senza vedersi, né in quanto donna né in quanto dea, siccome più sublime della sua stessa divinità.
    Questa è la mia lettura ... :)

    Anch'io ho assistito ad una tragedia greca al teatro grande di Pompei. Eschilo, qualche tempo fa.
    Hai ragione, è un'esperienza speciale da vivere.
    Ricordo. Tutto sembrava trattenere il respiro: le pietre, gli alberi, le stelle...me.
    Forse non ho respirato affatto...

    Ciao.
    Emme.

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  3. L' eterno...

    L' infinito...

    L' assoluto...

    Anche nella forma maiuscolata...

    Eterno...

    Infinito...

    Assoluto...

    E minchiate varie ed eventuali...

    Anche nella forma maiuscolata...

    Minchiate Varie ed Eventuali.

    'Nzomma tutti quei deliri che il cervello degli esemplari più deboli della specie Homo Sapiens Sapiens costruisce per cancellare la consapevolezza del: "Si nasce. Si vive. Si muore", che angoscia,

    naturalmente con sempre maggiore frequenza ed intensità via via che gli anni passano e la morte si avvicina.

    Come nel caso de Camilleri...

    E de Garbo.

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  4. Tiresia è stato uomo e donna, entrambi. La lettura del maestro Camilleri entra nella differenza tra i sessi, delle rivalità, dei segreti dell'uno e dell'altro. Era si muove nel dominio femminile, forse punisce lo svelamento del segreto, forse punisce Tiresia che ha osato godere da femmina più di quanto non sia toccato a lei ma certamente lo punisce perché lui, nato mortale, ha potuto godere di entrambe le nature, nel proprio corpo, senza doversi lambiccare a discuterne come fa lei, divina, con il suo consorte divino intrattenendosi in una discussione futile come due partecipanti a un qualsiasi show televisivo. Era in questo episodio è il divino che invidia l'umano e lo punisce, ne invidia l'interezza che Tiresia è stato costretto a vivere per un capriccio...divino. Era è dimezzata e condanna Tiresia alla cecità perché non veda quel dimezzamento del divino. Questo Tiresia lo sa fin da subito, ecco perché solo da cieco è possibile vedere ciò che non è dato vedere. Tiresia, come dici tu, sa che avrebbe suscitato le ire di Zeus o di Era e la tragedia era già nella domanda... la tragedia è nella diatriba tra due esseri divini che non hanno proprio niente da fare. Ciao.

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  5. @ Emme e Antonio,
    Molte interessanti entrambe le vostre ipotesi riguardo all’accecamento di Tiresia, le ho lette con molta attenzione e le trovo a tratti persino geniali ma, come già le mie esposte in questo post, mi pare di scorgere un vulnus in ciascuna di esse, qualcosa che rende piuttosto debole l’intera impalcatura induttiva.
    Le ho trovate però stimolanti, al punto che mi è venuta in mente una nuova ipotesi, da prendere più come nuovo spunto di riflessione che come pensiero concluso.
    Sappiamo che ad Era veniva tributato il culto nell’antica Grecia come divinità del matrimonio, non certo il matrimonio che noi conosciamo, fatti di abito bianco di pizzo, trine, chiffon e taffetà per lei, blazer, tight, smoking per lui, nero, blu o grigio, la torta nuziale, i confetti, i fiori d’arancio, il brindisi, la promessa pronunciata davanti ad un ministro del culto o ad un pubblico ufficiale, la bella macchina tirata a lucido con le lattine attaccate dietro e la scritta “just married”.
    In realtà sappiamo molto poco di cosa fosse un matrimonio nell’Ellade, di cosa comportasse per l’uomo e per la donne, e sospettiamo che un matrimonio celebrato nell’antica Atene fosse sostanzialmente diverso da uno celebrato a Sparta.
    Di certo sappiamo che Era, in quanto divinità preposta all’unione di un uomo e di una donna in tutta la Grecia antica doveva essere il modello di sposa che poteva essere seguito senza problemi sia dalle donne ateniesi, sia dalle spartane; doveva avere tutte quelle doti, i pregi e anche i difetti elevati a potenza divina di ciò che allora si considerava dovesse essere una buona moglie.
    Alla più divina delle dee, alla più olimpica, veniva inoltre attribuita la custodia della fedeltà coniugale e il patronato sul parto (a quei tempi assai rischioso per la donna); suoi simboli erano la vacca e il pavone, che noi stentiamo a comprendere, forse perché i greci possedevano una simbologia sacra molto differente dalla nostra: nessuno oggi si sognerebbe di associare questi animali alla Madonna, a cui per rispetto e per tema di equivoci mi pare che non le si associ alcun animale simbolico, mentre a Gesù si attribuisce l’agnello.
    Ma il mondo greco non cessa mai di stupirci, perché alla “casta” Era gli Alfonso Signorini dell’antichità (i mitopoieti) attribuiscono alcune scappatelle: col padre/suocero Crono, ad esempio, o col figlio ripudiato perché deforme Efesto, o col gigante Eurimedonte, o col titano Prometeo, col re dei lapiti Issione, con un centauro (un tizio con la moto che l’aveva rimorchiata in un autogrill sulla tangenziale), con Pasilea, una delle grazie e persino con un mostro, Tifone.
    Si dice anche che Era fosse molto gelosa del proprio consorte, stava, come si suol dire in questi casi sempre in campana, drizzando le antenne ad ogni accenno di tradimento, il povero Zeus non poteva nemmeno più andare a giocare a calcetto con gli amici e aveva dovuto licenziare la sua segretaria con le belle gambe, al posto della quale aveva dovuto assumere Monsù Travet con le mezze maniche.
    (segue)

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  6. Nonostante ciò i tradimenti del re dell’olimpo erano leggendari e talmente tanti che se dai dieci volumi che raccolgono il sancta sanctorum della mitologia greca dovessimo togliere le scappatelle di Zeus, rimarrebbe soltanto una misera dispensa di non più di un paio di centinaia di pagine; questo individuo correva dietro davvero a qualunque cosa respirasse, si muovesse o potesse piacergli anche alla lontana, e non ha scrupoli a ricorrere a qualsiasi artificio umano o divino per realizzare la conquista, fosse pure la seduzione, il trasformismo (o meglio, metamorfosi), il rapimento e la violenza.
    Molto più fantasioso diventava poi nella fase di occultamento del suo tradimento, tanto che è diventato un modello per mariti fedifraghi; ma non fu mai così bravo da non farsi scoprire, anzi, Era viene a scoprire molte delle sue scappatelle e sono memorabili le scenate di gelosia e l’ira furibonda che le caratterizza.
    Un dato però colpisce chiunque venga a conoscenza di queste sfuriate, la sua rabbia, intensa ed implacabile, non viene mai rivolta al suo regale consorte, ma alla malcapitata rivale, su cui si abbatte senza alcuna pietà, o anche sul frutto eventuale di queste unioni (crudele sarà il suo accanimento contro Eracle, o contro Dioniso.
    Ora, nel momento in cui Tiresia declama il suo responso, lei dovette essere estremamente furiosa ancora una vota col proprio consorte, perché probabilmente dovette sentirsi l’unica donna a cui quest’uomo non aveva fatto raggiungere il suo potenziale di godimento che Tiresia proclamava con tanta sicurezza, anzi in base alla sua esperienza doveva essere ben lontana dai nove gradi sulla scala Tiresia, non doveva aver raggiunto un punteggio sufficientemente elevato nemmeno durante la loro luna di miele, quando avevano avuto un rapporto che era durato ben trecento anni, senza interruzione.
    Ancora di più, sospettava, con qualche fondamento, che tutte le sue rivali, nessuna esclusa, si fossero avvicinate molto più di lei al tetto massimale del godimento, a cominciare da Leda che aveva avuto in sorte di avere a che fare con uno Zeus cigno dal collo piuttosto lungo, e che dire di Europa, per la quale il manigoldo si era trasformato in un toro, ma il massimo avvenne con Danae, permeata in tutti i pori da Zeus che per l’occasione si era trasformato in rugiada d’oro … da allora per questa fanciulla chiunque, uomo o dio, non potevano che essere una delusione dal punto di vista sessuale.
    Ma anche nel caso di Tiresia, anche dopo aver scoperto inequivocabilmente che proprio lei, la moglie legittima, era quella meno ben servita dal suo illustre consorte, non lo fulmina, non gli strappa gli attributi come egli aveva fatto col padre Crono, non lo acceca neanche per rimproverargli che fosse cieco … ma come, hai quel bel pezzo di figliola, per giunta divina, e vai a fare il provolone con ninfe e donne mortali?
    (segue)

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  7. Era, è bene ricordarlo, possedeva una bellezza muliebre piuttosto accentuata, le matrone romane vi si ispirarono anche esteticamente, era di una bellezza procace nelle forme tipica delle “maggiorate”, alla Sophia Loren o alla Silvana Mangano per intenderci, e non certo alla Ilary Blasi o alla Angelina Jolie.
    Sempre dagli Alfonso Signorini dell’antichità sappiamo anche che era piuttosto vanitosa, forse il pavone dei suoi animali simbolo c’entra pure qualcosa, allorché non esitò a gareggiare in bellezza sia con la più giovane Atena, l’intellettuale del pantheon, ma addirittura con Afrodite, la dea stessa della bellezza.
    Quando Eris, dea della discordia, per vendicarsi del fatto di non essere stata invitata al banchetto per il matrimonio di Peleo con Teti, lasciò sul tavolo, bene in vista, un pomo su cui era inciso: “Alla più bella”, si scatenò una lotta feroce su chi a buon diritto potesse appropriarsene; provarono a chiedere il giudizio di Zeus, in quanto re degli dei chi meglio di lui?
    Ma Zeus, saggiamente, rifiutò, per fare felice una di loro avrebbe reso infelici e rancorose le altre due e poi c’erano di mezzo gli affetti, una era la moglie e le altre due le figlie, si avvalse della norma sul conflitto di interessi e declinò l’invitò.
    Si rivolsero ad un misero pastorello, un certo Paride, che pur essendo figlio di Priamo, re di Troia, e dunque principe di sangue, badava alle pecore, il quale rifiutò l’imbattibilità in battaglia e la sapienza che gli offriva Atena, rifiutò il dominio sull’Asia Minore che gli aveva promesso Era (forse se gli avesse offerto l’Asia Maggiore avrebbe avuto più probabilità, quell’aggettivo minore dovette sembrargli poca cosa), mentre accettò entusiasta l’amore e il fatto che avrebbe avuto in dono la donna più bella presente sulla terra: Elena.
    Non aveva idea, poveretto, di quali guai ti porta in casa l’amore e le disgrazie che una donna bella reca con sé.
    Ciò che sarebbe dovuto essere destinato al marito, Era lo scarica sul povero Tiresia, spostando così il bersaglio, così come si era accanita con le amanti e con i figli di lui lasciandolo illeso, ma nemmeno un piatto in testa, un ceffone, uno scappellotto, un rimprovero, un “birbantello” … niente.
    È lo stesso meccanismo attraverso il quale si punisce non il mittente di una cattiva notizia ma il latore, è il motivo per cui gli ambasciatori sono stati posti sotto la protezione di una bandiera bianca e che si continua a ripetere: “Ambasciator non porta pena” a scanso di equivoci.
    Ecco, è tutto. Consideratela per quel che è, non un’ipotesi seria e nemmeno un altrettanto serio tentativo di comprendere qualcosa che ci lascia perplessi, solo le elucubrazioni di un tizio che non ha niente di meglio da fare che scrivere e pubblicare le sue farneticazioni in questo blog perché non ha niente di meglio da fare.
    Infine, visto e considerato che Zeus, Era e Tiresia sono personaggi immaginari e non persone realmente esistite, e in quanto tali non hanno un inconscio né una dimensione motivazionale occulta da scoprire se non quella che gli hanno attribuito tutti coloro che ne hanno forgiato il mito, è probabile che la spiegazione più plausibile che potremmo attribuire al gesto di era è anche la più semplice e la più banale: dal momento che la diatriba fra i due divini consorti verteva sul fatto che mentre Zeus sosteneva che godessero di più le donne ed Era al contrario che fossero più avvantaggiati i maschi, l’accecamento di Tiresia è dovuto al semplice astio di quest’ultima per non aver vinto la partita.
    Ciao

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  8. sì, in effetti le risposte che abbiamo dato rivelano la nostra visione delle cose, le profondità della nostra psiche che per interposto mito proiettiamo su due creature della fantasia, tre con Tiresia ma non è questo forse il ruolo dei miti? quello di farci partorire in continuazione? pur di farlo io avevo dimenticato quale fosse la posizione di Zeus e di Era nella loro diatriba, lo avevo dimenticato forse perché gli rifiutavo quella futilità di cui pure li ho accusati, accusa che tu hai preso un po' a tuo carico, ingiustificatamente :). Alleggerendoci dei nostri fardelli la ragione dell'accecamento più plausibile è proprio dovuta al fatto che Era ha perso la scommessa ma anche qui quanta preziosa assurdità ci rivela il mito. Pur di vincere una futile scommessa Era è disposta a perdere la tenzone tra i sessi! Il pensiero femminista non può non metterci in guardia da questa lettura che fa di Era un'intrattabile bambina capricciosa come in tanti altri episodi della mitologia che la riguardano. Altro che Zeus voce fuori dal coro, il responso di Tiresia qui è il trionfo dell'indifferenza olimpica di Zeus. Povero Zeus che, specularmente a Era, si accontenta di aver vinto la scommessa ed è disposto a perdere la tenzone tra i sessi! Tiresia, l'umano Tiresia tutto questo lo sa. Un abbraccio sincero perché qui si discute con piacere, quando non ho niente di meglio (o di peggio) da fare ;-)

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    1. Il concetto di proiezione in psicoanalisi e ovunque altro sia usato (ad esempio nei test proiettivi come il Rorschach) è superato da un buon numero di psicoanalisti moderni, senza stare a fartela tanto lunga parto dal fatto che essa sarebbe una percezione errata della realtà dovuta al fatto che elementi inconsci non elaborati e inaccettabili vi si riversano addosso alterandone l’esatta percezione.
      Essa parte, dunque, dal presupposto illuministico e positivistico che non possiamo conoscere la realtà così com’è, se usiamo gli strumenti adatti, oppure ne possiamo avere una visione approssimativa tanto più affidabile quanto rigoroso è stato il nostro processo conoscitivo.
      Oggi siamo, non tutti ovviamente, in psicoanalisi ci troviamo nella stessa situazione dell’homo sapiens che conviveva con i neanderthal e non era ancora in maggioranza né poteva contare su strumenti la cui efficacia maggiore era immediatamente evidente, convinti che il soggetto conoscente riversa ampiamente se stesso nel suo processo conoscitivo, che anzi non può conoscere a prescindere da se stesso e che io non conosco l’oggetto o l’altro alla fine del processo, ma il rapporto fra me e l’altro o fra me e un oggetto.
      Per essere più chiari, una volta potevi dire che un tizio era introverso, oggi noi diremmo che fra noi e lui non sono corse molte parole in quel determinato contesto, introducendoci così nel contesto stesso; così se vuoi capire perché l’altro ha parlato poco non puoi prescindere dal fatto che ha parlato poco con te e probabilmente anche tu non sei stato un gran chiacchierone con lui.
      Poi, esistono delle differenze anche notevoli nell’espressione di sé che ciascuno possiede: c’è chi trova difficoltà più o meno ampie nel condividere i propri sentimenti, chi addirittura ha difficoltà anche ad esprime concetti razionali e anche chi non è capace di individuare e riconoscere i suoi sentimenti e quelli altrui o a formulare pensieri astratti e teorici e si riversa sul concreto, sul fare, compensando il suo non riuscire a dire.
      Mi ci riconosco in questa tua descrizione di esprimere se stessi attraverso ciò che si scrive o si racconta, credendo magari in buona fede di parlare d’altro, invece parliamo sempre e soltanto di noi stessi attraverso un discorso altro, non riusciamo proprio ad uscire da noi stessi, siamo condannati a partire da noi qualsiasi cosa facciamo o diciamo.
      Manifestiamo di noi stessi più di quanto vorremmo e meno di quanto dovremmo e ogni rivelazione è sempre un coacervo di falsità e di autenticità, tanto che persino le rivelazioni più intime e profonde non sono esenti da una maschera di pudore e la menzogna più spudorata può odorare di autenticità più di quanto desidereremmo o non desidereremmo, a seconda se siamo noi a mentire o i destinatari della stessa.
      Il mito, quello antico in particolare, io l’ho sempre pensato come una matrice, un’euristica, un archetipo, che non è pensiero ma è il contenitore e la struttura per produrre pensiero, da cui partire per pensare, e pensare per gli antichi greci era già fare e, dunque, era essere.
      Non esiste un antico greco, spartano, corinzio o tebano che non abbia combattuto contro Ettore alle Porte Scee o non abbia ingannato Polifemo nei pressi di Acitrezza, prima che vi si trasferissero i Malavoglia; con molta difficoltà, da qui l’incertezza, il basso profilo e il proliferare di interpretazioni diverse, ad immedesimarmi con una divinità maschile, molto potente, affetto da satiriasi e maschilista come Zeus.
      E con una dea altrettanto potente, isterica e patologicamente gelosa come Era (io che considero la gelosia femminile un pericolo per la mia libertà e la mia serenità, quando oltrepassa un certo limite) e con un super uomo dotato di diverse vite, della capacità di predire il futuro (che a me pare più una condanna che un dono) e che essendo stato uomo-donna-uomo ha un’esperienza che travalica i miei limiti umani e alla quale non riesco ad accostarmi più di tanto perché questa vicinanza mette in discussione le fondamenta stesse del mio essere uomo.
      Un abbraccio altrettanto sincero a te.

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