Ogni mattina in Africa, quando sorge il sole, una gazzella si sveglia e sa che dovrà correre più del leone o
verrà uccisa. Ogni mattina in Africa, quando sorge il sole, un leone si sveglia e
sa che dovrà correre più della gazzella o morirà di fame. Ogni mattina a
Firenze, quando sorge il sole, una studentessa americana si sveglia e sa che dovrà correre più della
gazzella dei carabinieri o sarà stuprata. Ogni mattina, in Africa o a Firenze,
non importa che tu sia gazzella, leone, studentessa o carabiniere, appena sorge il
sole è bene che tu cominci a correre.
Un agente delle forze dell’ordine
dovrebbe mettersi al servizio del cittadino, non “fargli il servizio”; se c’è
stata violenza (la forma dubitativa è d’obbligo per chiunque non abbia
assistito di persona), come sembra, questi carabinieri hanno tradito tutto ciò
che c’era da tradire: lo Stato, l’Arma dei Carabinieri, lo spirito di servizio, i cittadini che si fidavano della divisa, le donne tutte, il consorzio del
genere umano, la loro famiglia e se stessi.
Auguro a tutti i deficienti che
hanno messo in dubbio le accuse delle ragazze americane prima ancora di capire
se erano basate su prove solide e circostanziate, che accada loro esattamente
ciò che è accaduto alle due ragazze a Firenze: se si trattava di un rapporto
consenziente, allora trascorreranno una piacevole serata in compagnia di due
baldi rappresentanti dell’arma; se si è trattato di violenza però la prenderanno
in quel posto doppiamente, la prima in senso fisico e la seconda perché
incontreranno legioni di imbecilli dopo che diranno che se la sono cercata o
che si stanno inventando tutto.
Ogni tanto, nel vano tentativo di
aumentare i visitatori di questo blog, i commenti, i like, i cuoricini, i sorrisini, i filippini … alterno immagini
pornografiche a ricette di cucina; ma se sulla pornografia non ho alcuna
possibilità di battere il blog di Beppe Grillo, Radio Maria o il quotidiano
Libero, sulle ricette l’ultima parola deve essere ancora detta, l’ultimo brodo
ancora fatto e l’ultimo dado tratto.
Non vi sarà sfuggito che a
qualsiasi ora, in qualsiasi stagione, in uno qualunque dei canali televisivi
siate collegati troverete sfigolar di padelle, rimestare di mestoli, tintinnio
di forchette, clangore di paioli e calderoni, batterie di pentole schierate in
rivista, presentatrici completamente inette all’arte culinaria che vi spiegano
come fare il vitello alla Stroganoff o una Saint Honorè.
Non c’è trasmissione in cui
manchi un cuoco, un sottocuoco, un apprendista, un lavapiatti, non c’è
argomento in cui non venga consultato uno chef, dalla composizione del governo,
alla questione degli immigrati, al terrorismo o per quanta pasta fillo serva
per costruire il ponte sullo Stretto.
E allora … venghino siore e siori, che oggi voglio regalare
la roba, oggi mi voglio rovinare, oggi so’
ascito pazzo e mi voglio cimentare in una ricetta semplice, molto famosa,
ma proprio per questo difficile da proporre perché in tutte le cose semplici ed
elementari, se ti vengono male è una disfatta, come non saper fare nemmeno due
uova al tegamino, e se ti vengono bene o discretamente, comunque non hai
scritto alcuna nuova pagina nel Reader’s
digest dell’arte culinaria, l’unico risultato accettabile è che ti vengano
benissimo.
Voglio insegnarvi come si fa il
pesto alla genovese, si avete capito bel il pes-to al-la ge-no-ve-se; anche se
sono siciliano e vivo in Veneto dove è molto raro che troviate un pesto al
basilico ben fatto … però ho avuto una zia emigrata a Genova, che aveva un
ristorante a Sampierdarena, e faceva un pesto eccellente oltre a un’ottima
cucina siciliana (e questo conterà pure qualcosa) e a Genova ho incontrato anche
il mio primo grande amore, che veniva dalla Svezia, che a 14 anni era alta già
un metro e ottanta, che aveva occhi verdi come smeraldi, che si illuminavano
ogni volta che mi vedevano e che ogni volta che rideva sbocciavano i fiori.
A Genova ho vissuto molto
intensamente, vegliavo la notte e dormivo di giorno, mi piaceva moltissimo il
suo caratteristico odore di salmastro e di muschio bianco che la caratterizza …
perché ogni città ha un suo odore specifico, diverso da quello di chiunque
altra … ad esempio a Venezia c’è il tipico odore malva e a Taranto c’è il
tipico odore “ilva”; per me che venivo dalla sonnolenta Sicilia sud-orientale
la città mi è sembrata molto frenetica e avventurosa, ci ho rischiato anche la
vita in una di quelle sere.
Dorina era una bellissima e
simpaticissima ragazza con un caschetto biondo in testa che col suo muoversi a
scatti e con l’incapacità intrinseca che aveva di stare ferma, svolazzava
deliziosamente sulla sua testa come fossero ali di pipistrello spiegate o vele
capite; i suoi occhi sorridevano sempre, anche quando piangeva e il suo
entusiasmo era in genere contagioso, incontenibile e travolgente.
Genova |
Genova |
Purtroppo ebbi la sfortuna di
esserle simpatico e si mise in testa di farmi visitare la città, i suoi luoghi
caratteristici, di notte, a bordo della sua 126 o in sella al vespone che mi
aveva pietosamente prestato mio cugino quando ha saputo che giravo con quella
matta: diceva che ero troppo giovane per morire in un incidente stradale in una
città sconosciuta… io guidavo e lei mi telecomandava da dietro (praticamente la
sorte dell’uomo sposato e senza essere passato dal prete).
Una sera mi porta in un quartiere
nuovo, Pegli … Voltri … Bolzaneto…non ricordo … ricordo però il nome del locale
in cui entrammo Le mosche bianche;
prima di fare il nostro ingresso mi si parò di fronte tutta trafelata e mi
disse: “Fa finta di essere il mio uomo!”. “Come?” replicai; “Si, comportati
come se stessimo insieme!”. “Ma che devo fare?”, “Tacchinami un po’ …”,
“Cosa? U tacchinu jù??? E se poi alla fine qualche mafioso si domandasse: 'Scusate, si può sapere cu minchia era ca facieva u tacchinu?'”, “Oh, ma non vi insegnano niente a voi in terronia? Prendimi per mano,
abbracciami, cingimi la vita, accarezzami i capelli, baciami…”, “Seh, baciammi,
tanto tanto intensammente, con il cuore e con la mente, come se io fossi li …
farò del mio meglio ma per….” e non finii la parola perché lei tagliò corto,
abituata a comandare riteneva di aver perso già fin troppo tempo con inutili
spiegazioni, era una tipa da “Fallo e basta!”.
Entrammo, e per i primi cinque
minuti non mi sembrava molto pericoloso il gioco che stavamo facendo, anzi era
decisamente piacevole, lei mi abbracciava, mi stringeva la mano con le sue dita
intrecciate alle mie, appoggiava la sua guancia sulla mia rasata di fresco, e
la sua testa sulla mia spalla lasciando che gliela accarezzassi, poi
all’improvviso, come di scatto, mi si avventò contro e mi scoccò un bacio, ma
di quelli veri e non per finta, sentivo tutto l’umore della sua saliva, quel
sapore delizioso e indescrivibile che ha la bocca di una donna eccitata o
innamorata e la sua lingua che roteava (si vede che si era identificata fin
troppo col personaggio).
Quasi immediatamente compresi il
motivo di quel bacio improvviso, da lontano… Caron dimonio con occhi di bragia…due occhi che sprigionavano fuoco
e fiamme mi guardavano con malevole intenzioni, se avessero potuto fulminarmi
io oggi sarei soltanto un mucchietto di cenere; agli occhi stava attaccato un
ragazzone alto fra un metro e ottanta e uno e novanta (propendo più per la
seconda ipotesi, a meno che il terrore che mi coglie alla vista del sangue,
soprattutto quando è il mio, non mi abbiano fatto ingigantire le dimensioni),
con una struttura ossea e muscolare particolarmente sviluppata che congiunta ad
una lieve microcefalia lo rendevano particolarmente temibile … mi sentivo come Rocky Balboa quando Ivan Drago, il gigante russo con i
capelli a spazzola gli disse: “Ti spiezzo in due!”.
Il ragazzone parlò concitatamente
con un suo collega cameriere, evidentemente perché voleva venire di persona a
servire il nostro tavolo, poi si avviò deciso verso di noi e io, pur essendo un
pacifista convinto (sebbene quando vedo zanzare mi sale il sangue agli occhi e
sono pronto a fare una strage più di un seguace dell’Isis), pensai che mi sarei difeso con tutte le mie
forze: in fondo ero cintura verde di karate, e che diamine … qualche mae-geri, o mawashi-geri sarei riuscito a piazzarglielo … e forse sarei
sopravvissuto al primo round … in fondo ero troppo giovane per morire per un
bacio con la lingua e una foto io e lei abbracciati stretti stretti alla
macchinetta automatica della stazione Principe alle tre di notte.
Quando è giunto al tavolo mi
guardava con rabbia e con disprezzo, mentre a lei faceva gli occhi dolci … e
vai a capire la psiche umana, perché li l’unico che non c’entrava nulla e non
aveva alcuna colpa ero io, eppure se avesse potuto disintegrarmi mi avrebbe
disintegrato e oggi sarei un cassaintegrato (nel senso di disintegrato e
inscatolato in una cassa di noce o di mogano); comunque, quando chiese cosa prendevamo
tirai un sospiro di sollievo che le velature di tutte le barche del porto si
gonfiarono e premettero sull’ancoraggio, come se volessero prendere il mare
aperto … ma subito dopo avergli chiesto un caffè cominciai a temere
l’avvelenamento.
Comunque Mario (non ricordo come
si chiamasse, mi pare Mario, ma poteva benissimo essere Zâne o Serafìn) ci
portò i caffè (mi ero detto che era meglio stare svegli e pronti per qualsiasi
evenienza) e quel caffè era pure particolarmente buono; ci fu qualche altra carezza,
ma sempre in campana, non si sa mai, passato l’obnubilamento mentale di vedere
la tua ragazza che bacia un altro in un tavolo del locale in cui lavori, lo
shock della provocazione, ora il delitto diventava intenzionale, doloso e le
pene previste erano più severe.
Ci fu una nuova scossa elettrica
quando Dorina andò alla toilette, lui mi si avvicinò e mi disse: “Belìn, ma
proprio qui dovevate venire?”, con quella cadenza tipica della parlata ligure,
che ad un siciliano sarebbe parso un gelese quand’è ubriaco; stavo quasi per
replicargli che io neanche lo conosco, né sapevo di trovarlo li, ma lui come
già lei non aspettavano repliche né spiegazioni, così rinunciai.
In ogni caso non vidi l’ora di
uscire da quel posto, mi guardai cautamente tutto intorno per evitare un
agguato nei vicoli, magari armato di un coltello da cucina o di uno
snocciolatore di olive, poi diedi una pedalata alla messa in moto, feci cenno
alla mia donna di saltare in sella come se fossi Jack Nicholson in Easy Driver,
Marlon Brando in Fronte del torto, ingranai la prima e per poco non feci
impennare la bestia.
Ma prima di cimentarvi a fare un
pesto, prima di svelarvi gli ingredienti segreti e i trucchi del mestiere, è
imprescindibile che voi assaggiate un buon pesto genovese, il migliore o uno
dei migliori: quindi mettete nella vostra agenda un week-end didattico
esplorativo nella città della Lanterna, perché non potrete mai fare un buon
pesto se non conoscete il sapore di quello buono di Genova.
Andate a colpo sicuro alla Trattoria da Maria in vico Testadoro,
piccola salita alla base di via XXV Aprile, nel centro di Genova, la scià Maria
è morta da qualche anno, ma ha lasciato la sua preziosa ricetta al figlio, alla
nuora e alla nipote che porta il suo nome, ordinate le trenette o gli gnocchi
al pesto, con patate a fagiolini bolliti che lo rendono un piatto unico e
beveteci sopra un bel bicchiere di vermentino o di albarola.
In alternativa, vanno benissimo
anche Il genovese, in via Galata, Raibetta in vico dei Caprettai, in cui
lo potrete abbinare ai mandilli de saea,
cioè delle lasagnette genovesi, rettangoli di pasta sottile conditi con questa
preziosa crema verde, o se vi allontanate un po’ dal centro cittadino e vi
spostate al passo del Turchino, tra Genova Voltri e Masone, troverete Baciccin du caru, che lo fa ancora col
mortaio e ve lo propone con gli gnocchi di patate quarantine (una varietà
ligure antica quasi scomparsa) o con fettuccine e maltagliati “avvantaggiati”
fatti con farina di castagne.
Fatta questa necessaria
esperienza è bene che cominciate a familiarizzare con la cultura e il modo di
essere del genovese, perché per fare un buon pesto dovrete cercare di
assomigliare quanto più possibile come carattere ad un genovese, la cui cifra
caratteristica è una spiccata cautela e un’accentuata parsimonia.
No, non sto avallando la diceria
che i genovesi sono tirchi, taccagni, spilorci, sparagnini, nooo, tutti quelli
che ho incontrato io anzi erano particolarmente generosi, e raramente andando
in giro da quelle parti mi hanno lasciato offrire anche solo un caffè; vi basta
sapere che un’estate invitai a casa mia cinque amici conosciuti a Genova,
genovesi DOC che, bando all’avarizia, portarono in dono un preziosissimo
vasetto di pesto genovese di ben 120 gr., “È la volta buona che invito a
pranzo tutto il quartiere - pensai - così anche gli abitanti della bassa siracusana
assaggeranno questa salsa nordica particolarmente raffinata”.
Potrei iniziare a dirvi di
procurarvi uno … anzi due mazzetti di basilico di Pra, meglio abbondare, il
basilico è l’unico ingrediente su cui il genovese abbonda, visto il costo
contenuto, perché è a km zero e a prezzo zero visto che può coltivarselo da
solo, coglietelo foglia per foglia, eliminando il peduncolo, lasciando solo le
parti tenere, evitate i tronchi insomma, perché i tronchi sono robe industriali
e voi siete un laboratorio artigianale, una fucina del gusto.
Lavate le foglie e controllatele
una ad una immergendole in acqua fredda molto rapidamente, non lasciandole in
ammollo insomma, fate almeno tre o quattro acque (dipende da quanto sono
sporche di terra e da quanto deposito lasciano sul fondo, in ogni caso l’ultima
acqua deve essere limpida), passatele con un asciuga insalata e stendetele ad
asciugare ulteriormente su un asciugapiatti; tutto questo (la raccolta, il
lavaggio e l’asciugatura devono avvenire molto delicatamente, perché le foglie
stropicciate e maltrattate renderebbero amarognolo il vostro pesto).
Se non avete il basilico di Pra,
come possiamo presumere, e non lo coltivate in casa come faccio io a partire
dai semi di basilico genovese, procuratevi comunque un buon basilico, che sia
molto profumato, con le foglie di un verde chiaro e piccole, quello a foglie
enormi e scure, molto profumato anch’esso, tipico del meridione, non è adatto
perché ha un sapore molto intenso, e il pesto deve essere delicato.
Comunque sia, se non avete di
meglio, fatelo con quello che avete, tanto male che vada anche se usate foglie
di cicoria non può venirvi peggio del pesto Barilla.
La questione del basilico BIO è
una cavolata, ma che vuol dire BIO? Un basilico DEVE essere BIO per forza anzi,
tutto ciò che mangiamo dovrebbe essere BIO; gli antiparassitari, gli
anticrittogamici e i concimi chimici dovrebbero essere proibiti nella
produzione di alimenti, perché ci sono fascicoli e faldoni di evidenze
scientifiche che dicono che questi prodotti nuocciono alla salute e possono
causare la morte, quindi il BIO insapore che costa di più da parte di aziende
che producono anche il NON-BIO è una presa per il culo ed io mi rifiuto
categoricamente di acquistare da queste aziende sia il BIO sia il NON-BIO.
Mi viene da ridere, poi, quando
leggo alcune ricette che prescrivono l’uso di basilico DOP, tutto il basilico
prodotto nei dintorni di Genova non basterebbe a garantire la produzione di
pesto industriale di una sola delle aziende che si fregiano di usare il basilico
DOP, per soddisfare tutte queste aziende i genovesi dovrebbero coltivare
basilico pure in vasca da bagno o staccare le mattonelle del salotto e
piantarvi un orto.
E poi, volete forse suggerirmi
che io ogni volta che faccio il pesto dovrei venire a comprare il basilico a
Genova? Sarebbe il pesto più costoso di tutti i tempi, anche perché non vedo
sul mercato piantine di basilico DOP genovese, il basilico è una piantina
fragile che ha di solito breve durata, sarebbe impossibile trasferirla dai
vivai liguri in vasi di plastica ed esportarla in tutta la penisola, isole
comprese … quindi tralasciamo il DOP per i non liguri.
Olio Bono ... naturalmente |
Genova |
L’olio invece deve essere
necessariamente ligure, o comunque un olio extra vergine a bassa o bassissima
acidità perché ogni singolo ingrediente del pesto ne venga esaltato e non
alterato: provate vari tipi di olio finché non troverete quello che vi sembra
più indicato.
Sul pesto, poi, ci vanno i pinoli
e non si discute, mandorle, noci, nocciole e quant’altro non solo sono
controindicati, ma a volte sono pure un accostamento innaturale, come nel caso
sempre più frequente di uso degli anacardi per sostituire i pinoli, che
troverete in moltissimi vasetti di pesto industriale: gli anacardi costano
molto meno, e danno un sapore più aspro, quasi immangiabile al prodotto.
Gli anacardi, ma vi rendete
conto? Roba che viene dal Sud America! Beh, anche i pomodori vengono dal Sud
America! Ma che c’entra, i pomodori sono arrivati prima, siamo già all’ennesima
generazione coltivata in vitro di questi oriundi sudamericani nati in Italia
che usufruiscono dello ius soli mio sta ‘nfronte a tte, gli anacardi
arrivano ancora clandestini con i gommoni e preparano attentati terroristici al
senso del gusto.
E poi, tutto quello che è ana,
cioè tutto quello che sta sopra, intanto non è l’originale e poi mi sta sulle scatole
per questo atteggiamento di superiorità … sopra la panca la capra canta …: per
ciò a me piace Capri e non Anacapri, piace Nas e non Ananas, piace Lisi e non
Analisi, piace Mnesis e non Anamnesis e vogliamo metterci sopra anche il carico
da undici di quella tizia che esclamò: “Buone queste caramelle al gusto di
seueue”, “De che? Posso vedere?”, giri la caramella e leggi ananas (sɐuɐuɐ).
Vi chiederete come mai i sobri
genovesi utilizzino un prodotto particolarmente costoso sul mercato nella loro
salsa più famosa, visto che per una bustina da 20 gr. di pinoli dovrete vendere
un rene al mercato nero degli organi, il motivo è semplice, un tempo in Liguria
c’erano più pini che persone, bastava tirare un colpo per far cadere giù
qualche pigna, estrarre i pinoli dagli strobili, ed avevi un quantitativo di
frutta secca per tutta la stagione.
Delicatissima è invece la
faccenda dei formaggi che vanno ad arricchire questa salsa e a renderla
cremosa, il quesito è quale o quali usare e perché, intanto vi dico che c’è una
vera e propria faida fra i sostenitori del parmigiano e quelli del grana
padano, io da sempre mi sono schierato dalla parte dei parmigiani, perché
questo formaggio mi piace più del grana e perché da qualche anno tutto ciò che
è padano mi fa girare le palle.
La parte avversa sostiene che è
più plausibile che la ricetta antica dei vecchi genovesi prescrivesse l’uso del
grana, perché la zona di produzione è più estesa ed era più facile entrare in
contatto con ruote di grana che con ruote di parmigiano; io non condivido
questa idea, perché comunque il grana non si produce in Liguria e perché Parma,
Modena e Reggio non sono più distanti da Genova di Alessandria, Lodi e Asti.
Al gusto rotondo e un po’ terroso
del parmigiano dovrete però abbinare il gusto più intenso e pastoso di un buon
pecorino romano, uno di buona qualità, non alcuni seppure marchiati con la DOP
che sanno solo di sale e rovinano il gusto delicato e intenso di un buon pesto:
provate ogni formaggio prima di usarlo, assaggiate sia il parmigiano sia il
pecorino e ogni scaglia che mettete in bocca dev’essere una pepita di gusto,
un’esplosione dei sensi, nel dubbio scartate, lasciate solo ciò che vi
convince.
Infine l’aglio, si l’aglio, se
anche solo vi fate la domanda: ci va o non ci va? è meglio lasciar perdere,
chiudiamola qui, non siete tipi da pesto, andatevi a farvi due spaghetti al
pomodoro e buonanotte…non è pensabile un pesto senz’aglio, solo Barilla poteva
realizzarlo…fate un piccolo test, quando andate in un supermercato, nel reparto
sughi e vasetti afferrate uno ad uno i pesti genovesi e leggete gli ingredienti,
tenendo presente che i primi sono quelli contenuti in proporzione maggiore,
guardate che olio usano, quali formaggi, quale basilico, quale frutta secca e
fatevi due risate su tutto il resto: io ho letto anche “può contenere tracce di
pesce o di molluschi … il pesto genovese? E come ci sono arrivati, il basilico
gran tombeur de femme ha invitato a
casa sua vongole e sardine, o si è aperta la scatola di sardine o il vasetto
delle vongole e hanno organizzato insieme un toga party? E poi, tracce … o
traccie come dice il Ministero dell’Istruzione, che vuol dire? Pare di avere a
che fare con le scie chimiche.
I pesti in vasetto fateli
mangiare al signor Barilla, al signor Giovanni Rana (il cui pesto contiene
traccie di Giovanni Rana, che essendo un anfibio nuota benissimo nell’olio di
palma d’estate e nell’olio di fegato di merluzzo d’inverno), al signor
Tigullio, al signor Biffi, al signor Buitoni, al signor Saclà, al signor Knorr
… e parlo solo delle marche che mi vengono in mente, le più note e del pesto
tradizionale, e taccio per decenza sul pesto di tofu, di seitan o di canapa.
Usate un aglio dal gusto
delicato, i genovesi vi suggerirebbero quello di Vessalico, meno forte e più
digeribile, una buona alternativa è l’aglio rosso di Nubia, di Trapani o di
Paceco,
oppure alcuni agli francesi, provate e troverete quello giusto, in ogni caso
mettetene meno ed eliminate il nerbo centrale dello spicchio, usando solo la
capsula esterna. Qui in Veneto trovo solo un aglio particolarmente forte,
sembra quasi che si attendano di essere invasi da un’ondata di rom della
Transilvania.
Il sale va quello marino, of course.
Se non siete particolarmente
tradizionalisti, se non avete una mezza giornata buona da perdere ma,
soprattutto, se non avete un mortaio, usate pure un frullatore elettrico, usando
però l’accortezza di mettere per una buona mezzora abbondante in freezer il
contenitore del frullatore, il suo coperchio e le lame e pur anche i pinoli, in
questo modo eviterete di surriscaldare il basilico che diventerebbe scuro ed
amaro.
Genova - Cattedrale di San Lorenzo |
Essere tradizionalisti
significherebbe, invece, pestare tutti gli ingredienti col pestello su un
mortaio di marmo, a partire dal sale e dai pinoli, fino a farne una farina e
subito dopo aggiungerete il basilico, i formaggi, l’aglio e l’olio; in questo
modo otterrete un pesto più denso e cremoso, molto più omogeneo e con un sapore
decisamente migliore.
Ma ricordatevi di ripetere a voi
stessi, meglio se a voce alta e per tutta la durata del procedimento: “Sono
genovese, sono genovese, sono genovese!”, e questo perché questo mantra per
entrare nella parte è meglio del metodo
Stanislavskij e vi eviterà di sbagliare.
Per prima cosa mettete quasi
tutto il basilico dentro, tranne un ciuffetto per ulteriori aggiustamenti
finali (che se vi avanza ci guarnirete gli spaghetti al pomodoro di cui sopra),
mettete un po’ d’olio a filo, quanto basta per non fare girare i rotori a secco
e a non fare ossidare rapidamente il basilico una volta tritato in contatto con
l’aria; poi mettete i pinoli e continuate a tritare col pulse, quello che potete regolare voi con le dita, quindi
aggiungete il formaggio tagliato in tocchetti piccoli o grattugiato, in
proporzioni più o meno uguali (io faccio predominare un po’, ma solo un po’, il
pecorino, che da un gusto più deciso).
Aggiungete piano piano i vari
ingredienti all’occorrenza, se è liquido pinoli o formaggio, se è troppo denso
l’olio, se è troppo chiaro il basilico (il colore finale dev’essere verde
intenso, non verde pastello e il sapore del basilico deve predominare su
tutto), i formaggi danno sapore, intensità e cremosità, ma non esagerate perché
se no fate la quattro formaggi con un po’ di basilico, l’aglio deve sentirsi ma
non esageratamente ed è l’ingrediente più difficile da gestire, perché se non
lo mettete affatto o ne mettete troppo poco vi siete giocati l’anima del pesto,
se ne mettete troppo saprà solo da aglio, in pratica più uno tzatziki greco o
un gazpacho andaluso o un’aiolì nostrana che un pesto genovese.
Tenete però presente che il gusto
anche intenso dell’aglio mentre assaggiate, tende col tempo, già il giorno dopo
ad attenuarsi e ad addolcirsi parecchio, per cui appena tritato l’aglio deve
beccare un po’, ma non troppo, infine regolate di sale e anche il sale tende a
sentirsi troppo ma si attenua nelle ore successive, quindi anche al gusto il
pesto dovrebbe essere leggermente troppo salato, senza essere acqua di mare.
È una salsa che va fatta a
piccole aggiunte, come se faceste economia di ingredienti, come se pensaste che
sarebbe meglio che la roba rimanesse e non venisse usata tutta, ma che è un
peccato non farlo bene, ecco il genovese che è in voi e che può servire meglio
di qualsiasi altro humus culturale per fare in maniera eccellente un pesto,
perché il genovese pensa che sarebbe un peccato sprecare la roba usandola in
eccesso e sarebbe altrettanto peccato farlo male, farlo senza sapore.
È un po’ come la Dorina di cui
vi ho parlato prima, che adesso è sposata e ha due figli (né troppi, né troppo
pochi), che volendo ingelosire il suo ragazzo mi da un bacio senza troppo
trasporto e senza grande intensità, ma che comunque sarebbe un peccato sprecarlo
del tutto e usa la lingua.
Esistono donne così che non sanno
fingere e che non sanno recitare, se devono darti un bacio, anche per finta, te
lo danno davvero, mettendoci tutte se stesse, esistono donne vere come lo era
Anna Magnani, che non interpretava, che non sapeva recitare, che nel finale del
film di Roberto Rossellini Roma città aperta, quando corre dietro al camion dei
nazisti gridando: “Francesco, Francesco!!!”, ama davvero quel Francesco,
quell’uomo è davvero suo marito, e muore davvero per una raffica di mitra e non
le importa di morire perché muore per amore, o come Maria Callas che si
innamora di Aristotele Onassis e lo amerà per tutta la vita, contro ogni
evidenza, l’unica donna che abbia mai amato l’armatore greco
disinteressatamente, di amore sincero, e che ama Pier Paolo Pasolini in maniera
disperata, perché lui non potrà mai ricambiarla come lei vorrebbe, è Lucia di
Lammermoor folle d’amore per Edgardo, è Norma … Casta Diva, che inargenti queste sacre antiche piante, a noi volgi il
bel sembiante, senza nube e senza vel (Norma,
preghiera, Atto I) … che si immola in olocausto per amore e perché non regge la
colpa, è Medea che non esita a sacrificare i suoi stessi figli per il folle
amore che prova per Giasone.
Il pesto genovese: la storia.
Vespaiolona di Breganze |
A Genova ... e ai genovesi, che in realtà sono le persone più generose che io conosca ... se non altro per scrollarsi di dosso l'etichetta di taccagneria.
Sono impressionato dall'evolversi delle violenze sulle donne. Avvengono nell'arco dell'anno, però ho notato che in estate e a fine estate la situazione peggiora terribilmente. Si, hai ragione, che sia Africa o Firenze il rapporto che hai fatto è tremendamente attuale con la gazzella che deve correre (ma correre forte! E magari non basta) perché il leone se la mangia. E così la società "bestiale" in cui viviamo ha aumentato a dismisura il rapporto fra un violentatore e la vittima che subirà il trauma. Per non parlare poi del femminicidio (altro capitolo lugubre). Violenze che vengono messe sui vari mass media e spariscono nel giro di qualche giorno ma sono traumi che non finiscono mai e segnano le donne per tutta la vita. Quando ho letto il tuo post, così a primo acchito, non so perché ma ho pensato a Nietzsche quando diceva "Se guarderai a lungo nell'abisso, l'abisso guarderà dentro di te", una riflessione che mi ha sempre fatto un po' rabbrividire, perché penso che la vittima di una violenza viva un abisso fatto di dolore, sofferenza indicibile e varie altre sfaccettature del dramma.
RispondiEliminaPerò mi fa piacere che hai toccato un argomento come il pesto...sai com'è sono Ligure e ho vissuto a Genova per tanti anni e, sin da bambino, mia madre, le zie, i vicini di casa e tanti altri conoscenti il pesto lo mettevano un po' ovunque quando si trattava di mangiare. Mi permetto di dilungarmi (per carità, non me la tiro da cuoco) ma quello che dirò fa bene quando sei a tavola. Ad esempio, oltre alle splendide leccornie delle foto che hai mostrato, consiglio alcune gradevoli divagazioni sul tema come ad esempio linguine, pesto e cozze. Oppure metti un po' di pesto nel piatto e ci condisci il polpo lesso con le patate, se vuoi accompagnato da qualche gambero. Poi c'è la "galletta del marinaio", storico alimento dei marinai genovesi e liguri. Pensa che nel '700 e '800 ogni marinaio che firmava un contratto di imbarco a Genova aveva diritto ad una sacca di dieci chili di gallette secche solo per lui. La galletta viene ammollata con un po' d'acqua e olio, poi un po' di pesto sopra insieme a pesci che vengono bolliti o cucinati in precedenza come pezzetti di branzino, pezzetti di seppie, i gamberi e qualche pomodorino. Puoi fare la stessa cosa con le friselle...beh, mi fermo qui!
Un salutone e grazie per i tuoi post che mi piacciono sempre molto.
P.S.; quando vedo in televisione la pubblicità di quei variegati pesti di consumo alla fine penso sempre; "Si, vai bravo! Mangiatelo tu quel pesto lì!". Io da più di trent'anni il pesto me lo faccio da solo a casa mia e sono importanti tutti gli ingredienti, soprattutto il parmigiano e il pecorino. Da qualche anno lo faccio con pochissimo aglio. Forse perché passati i cinquant'anni mi resta un po' indigesto
Sei un buon osservatore, in estate c’è un’incidenza maggiore dei crimini violenti, un inasprirsi di alcune patologie mentali e un interesse maggiore per i fatti di cronaca: questo crea un’attesa maggiore per cui ogni fatto viene enfatizzato , e questo a sua volta fa si che fatti simili possano accadere perché all’esercizio della violenza si sommano gli onori della cronaca … un cretino qualunque diventa un mostro assassino, una scartina diventa un boss della mafia e via narrando.
EliminaPurtroppo metti il dito nella piaga, chi è vittima di abusi e di violenze si porterà addosso nella carne questo stigma per tutta la vita, ci si può convivere, ma il prezzo che si paga è in genere troppo grande; chi da vittima passa ad essere il carnefice, chi contribuisce a far si che si commetta su altri ciò che lui ha subito e chi rimane indifferente pur avendo compreso o avendo qualche sospetto, difficilmente è recuperabile all’umanità, ma non ha in genere sensi di colpa, il suo unico problema è quello di evitare la galera o il disprezzo altrui.
Sul guardare l’abisso, ci avevo scritto un post sul cannocchiale, ed è vero che se guardi a lungo un abisso, anche l’abisso guarderà dentro di te, lo trovo un pensiero di una profondità infinita: tutto ciò che con rabbia, con disprezzo, con sufficienza, rimproveriamo agli altri è anche dentro di noi, l’abisso siamo noi, l’abisso è tutto ciò che rifiutiamo di essere e possiamo vederlo (solo per condannarlo e rifiutarlo) solo fuori di noi.
So che sei ligure, me ne avevi parlato e ho pensato anche a te scrivendo questo post, il pesto genovese l’ho conosciuto tramite mia zia, che d’estate veniva in vacanza da noi e che ogni volta che faceva il pesto diceva che il nostro basilico è troppo forte, troppo intenso; con mio padre erano riusciti ad ottenere tramite incroci un basilico molto simile a quello genovese (la terra di Sicilia è comunque troppo carica per produrre aromi che abbiano un gusto delicato, tutto ciò che viene fuori è intenso e deciso.
A me il pesto piace moltissimo, qui in Veneto invece non trova molte simpatie in genere, e lo metto dappertutto; l’ho provato anche sulla pizza, al posto del pomodoro, ma non è stata una buona idea, poi ho aggiunto qualche goccia di pesto sopra il pomodoro, e già l’idea è stata migliore.
Proprio questa sera, in occasione di alcuni amici venuti a cena, ho fatto una pirofila di patate tagliate a fette di pochi millimetri, alternate con uno strato di funghi porcini freschi, tagliati a fette a crudo dopo essere stati puliti, e di nuovo uno strato di patate a fette, olio (poco) e sale, a fine cottura aggiungi il pesto con un cucchiaino e una buona spolverata di parmigiano.
Io ho iniziato a fare il pesto da solo molti anni fa su incitazione di mia zia che mi stimolava a coltivare il basilico e, soprattutto, perché non mi piace nessuno dei pesti in vasetto, sia quelli commerciali delle grandi aziende, sia quelli delle piccole aziende produttrici, magari liguri, magari con stabilimento a Genova, sia quelle bio artigianali … sarò presuntuoso, ma è molto meglio quello che faccio io ;-)
Ciao
P.S. Per l'aglio, scegline qualcuno più digeribile e meno forte e in ogni caso privalo del filamento centrale, che è quello che lo rende meno digeribile.
Glielo auguro anch'io con il cuore, davvero, a tutti quei deficienti. Si, hai ragione, non c'è termine migliore per definirli, e anche per definirle, si perchè purtroppo tra quei deficienti ci sono anche molte donne, e ti giuro che ho grande difficoltà a capire, da donna, come una mia simile riesca a condannare quelle due ragazze e minimizzi su quei due schifosi e per giunta in divisa.
RispondiEliminaMa che sta succedendo? Ma perchè stiamo impantanando così miseramente il nostro animo, il nostro pensiero... Mah!
Senti, ma tu caro Garbo, lasciatelo dire, hai sbagliato professione. Tu, dovevi diventare Chef . Tu, se vuoi, puoi fare la scarpe ai vari Canavacciuolo, Bastianich, Sora Lella, Cracco, Bottura, Bepi l'onto:-)))
Davvero, senza scherzi, sei bravissimo. Non so, sarà il tuo modo di descrivere i particolari... ma leggendo questa ricetta del pesto ... si palpa... si certo, si respira passione, amore per il buon cibo. Mentre lo descrivi, sembra che tu ci faccia l'amore... Davvero. E mi fai rabbia. Embè, un pochino si. Perchè purtroppo esistono anche donne come me, che in cucina sono una nullità, dei veri disastri, e di questo ne hanno vergogna, perchè la passione la conoscono bene, la mettono in ogni cosa che fanno, l'amore se lo portano appresso ovunque, ma in cucina... non ci sta proprio niente da fà, buio, desolazione, impedimento assoluto. Nà vera tristezza!
Comunque la Dorina mi piace, avrei fatto anch'io come lei:-).
Ah, chi sei tu della foto? Scommetto che sei quello con la frangia divisa a metà sulla fronte: una virgola da una parte e una virgola dall'altra:-)) Ma potresti essere anche quello ricciolino. No no, dai, sei il virgolettato :-)))
Ah, un'altra cosa, se hai problemi a recuperare commenti non devi fare altro che aprire la porta al sig. G., lui non bada a spese, te ne lascia a quintalate, ahahah!
(Ehm, devo farti una confessione. Il pesto proprio pesto, quello delizioso come il tuo, l'ho mangiato una sola volta in vita mia. Me l'ha preparato il sig. B, un ottantacinquenne di Genova , che se ci penso, sento ancora il paradiso in bocca. Solitamente, sulla mia tavola, fa da padrone il pesto Barilla. Ok. Devo arrossire di vergogna? Arrossisco.)
Ciao Garbo. Me lo rileggerei un milione di volte sto post, è fantastico.
(Magari imparo. Ecchissamai)
Un abbraccio.
Che sta succedendo? A me pare che il fascio che è in ciascuno di noi stia prendendo di nuovo il sopravvento, come una sorta di alternarsi di mister Hyde al dottor Jekyll, fra poco indosseremo solo camicie nere, tornerà di moda il fez e canteremo ancora “faccetta nera” … anzi, la stiamo già cantando.
EliminaLa donna tornerà in cucina, o alla finestra del soggiorno a far la calza, e l’uomo comincerà a dire “me ne frego”, butterà il cuore oltre l’ostacolo e tenterà di inseminare quante più donne possibili, con ogni mezzo … e cazzate così, già lo stiamo facendo.
Quelli di cui parlo sono due carabinieri, non due imbecilli qualunque o due extracomunitari, per arrivare a quel punto si saranno sentiti non soltanto giustificati l’un l’altro, ma anche “nel giusto” a livello sociale, avranno pensato che chiunque al posto loro avrebbe agito allo stesso modo, nello stesso modo in cui tempo fa in molti si sentirono di dare ragione a Berlusconi, perché chiunque al suo posto, potendoselo permettere, avrebbe preferito la carne giovane a quella “stagionata”.
Ci siamo imbruttiti Cristina, tanto da fare schifo … questo sta succedendo.
No, non credo di aver sbagliato mestiere, lo psicoanalista, pur con tutti i miei limiti, lo faccio ancora benino, mentre sto in cucina solo se invito qualche amico o solo per preparare qualche cenetta romantica; cucinare in un locale non fa per me, il piacere di farlo si perderebbe nei ritmi concitati delle ordinazioni, nella noia della gestione degli alimenti e delle spese nella routine quotidiana, nel cucinare ogni sera le stesse cose … meglio di no, preferisco che rimanga un piacere destinato a pochi intimi … per lo stesso motivo non ho fatto il ginecologo :-)
Bepi l’Onto l’ho superato da un pezzo, insieme a Toni Bigolaro e a Gennaro ‘o Vibrione, Bastianich mi batte d’un pelo ma solo per la simpatia, perché in cucina è un testa a testa, mentre con Cannavacciolo è un’impresa disperata, o guaglione tiene a capato tosta, gliel’ho spiegato mille volte che l’arancina si fa col riso bollito: ”Non devi fare il risotto, compattarlo, bagnalo nell’uovo sbattuto, passarlo nel pan grattato e friggerlo … il riso lo devi bollire … bollire ….” ma lui niente, continua a sbagliare e scrive così pure nel suo libro … è senza speranze, mi sembra di essere Massimo Troisi quando tentava di spiegare a Leonardo da Vinci le regole della scopa nel film Non ci resta che piangere.
(segue)
In genere si crede che la donna che sa cucinare sappia anche far bene l’amore, sono due passioni molto simili, per quanto riguarda la mia esigua esperienza in fatto di donne, devo ammettere che spesso le cose stanno proprio così, ma tu potresti essere l’eccezione.
EliminaMentre non è sempre vero che chi sa scrivere bene sia anche bravo a letto, come sosteneva Umberto Eco ne Il pendolo di Foucault, spesso la passione di uno scrittore resta solo nella pagina e non lo accompagna nella vita: come sapeva bene Oscar Wilde, il tuo genio (se lo possiedi) o lo metti in ciò che scrivi o lo vivi, vivi cioè la tua vita come un’opera d’arte.
Sei una donna senza cuore, non pensi a quel povero ragazzo del bar, alla faccia che ha fatto quando ci ha visti entrare abbracciati, quando lei faceva la svenevole con me, quando mi ha baciato proprio sotto i suoi occhi, a quello che deve aver provato? Voleva punirlo, questo è certo, e con raffinata ferocia anche. Di cosa era colpevole? L’ho saputo da mia cugina, pare che una sera al bar lui sia andato in bagno, subito dopo è entrata in bagno anche una sua ex, saranno stati dentro entrambi (non necessariamente nello stesso bagno una decina di minuti (altri dicono un quarto d’ora, due minuti secondo la Questura). Ma pare che lei uscendo per prima avesse guardato la Dorina, che già era preoccupata, con un’espressione di soddisfazione, con uno sguardo di sfida e di vittoria, come se avesse stampato n faccia: “Lo riprendo quando voglio, anche sotto i tuoi occhi”.
Mi dispiace dirti che ti sei sbagliata, né “ricciolino” né “virgolettato”, io sono quello con la collana bianca al collo e gli orecchini tondi dello stesso colore che fanno tanto pendant :-)
Impari? Ma certo, non è mai troppo tardi e non si nasce “imparati”, io ho iniziato a prendere una pentola in mano che avevo circa 24 anni, prima non avevo idea di come si cucinasse un uovo al tegamino, ho iniziato vedendo all’opera uno dei cuochi giovani dell’Artemio di Padova, che all’epoca era uno dei migliori ristoranti della città, che per un periodo di tempo ha condiviso l’appartamento con me, oppure chiacchierando con una signora molto brava a fare il ragù bolognese e le tagliatelle di cui ho parlato in un vecchio post. Adesso che avrai più tempo libero visto che non scriverai più sul tuo blog, potrai dedicarti di più alla cucina ;-)
Grazie per questi raggi di luce che sono i tuoi commenti, un abbraccio a te
Che dire? chapeau! Amo il basilico, una delle mie piante simbolo, dopo, molto dopo la cicoria... Dalle mie parti si chiama masaricoi, un nome quasi ieratico, sembra una funzione, un rito iniziatico, come quello di chi, ancora bambino, prepara la salsa insieme ai genitori e mette abbondante masaricoi nel pentolone di cottura dei pomodori. Non commento i fatti di cronaca che hai disseminato nel post, non lo faccio per disgusto nei confronti di una società morbosa e maschilista fino all'osso. Dei due giovani pronti a obbedir tacendo e tacendo scopar dico solo che sono la ciliegina sulla torta della caduta di credibilità delle istituzioni.
RispondiEliminaAnche io come Cristina ho avuto la sensazione che tu fossi uno della foto, me lo suggeriva la qualità della foto ma soprattutto la frase prima che comincia con "È una salsa che va fatta a piccole aggiunte", come per ogni cosa che riguardi il privato.
Ad ogni modo mi associo all'ammirazione già espressa per l'amore infuso nella preparazione del pesto come fossi l'officiante di una funzione religiosa appunto. Un abbraccio.
Dalle mie parti lo chiamiamo basilicò, forse un’eredità della dominazione angioina che ha lasciato parecchie tracce e non solo linguistiche, nonostante fosse stata molto odiata per la sua arroganza; pochi chilometri più in la però, nell’entroterra, lo chiamano basaricò.
EliminaTermine che nella maggior parte dei casi fa riferimento ad una pianta aromatica verde molto odorosa, che si coltiva in casa o nell’orto, ma se riferito ad una persona basilicò indica uno sciocco, un idiota, un babbeo, come anche il termine cicoria viene usato per dire la stessa cosa.
Il basilico dalle mie parti è addirittura venerato, quasi non esiste un primo piatto in cui non ci vada qualche foglia di questa pianta, non esiste insalata o contorno di verdure o secondo piatto di pesce senza la guarnizione verde delle sue foglie e l’indimenticabile profumo che sprigiona appena colto e spezzato con le dita.
L’unico posto in cui in Sicilia non lo trovi è nella pizza, nei nostri dischi di pasta lievitata noi infatti preferiamo mettere l’origano, è più profumato e si adatta meglio alla cottura nel forno a legna.
Per quanto riguarda le foto, è vero in due ci sono anch’io, per molti motivi non mi piace esibire il mio aspetto e vi risparmio la vista di tutti i selfie che non faccio, però il basilico mi evoca il pesto e il pesto mi evoca Genova … e Genova mi evoca moltissime cose … questo post è nato da un piatto di fusilli al pesto che ho mangiato di recente e da alcune foto che ho rivisto dopo diversi anni.
Hai perfettamente ragione, il pesto non è semplicemente fare una salsa, se hai questa idea diventi Barilla o Buitoni, il pesto è spiritualità, è rito, più sacro dello sciogliersi del sangue di San Gennaro, che alla fine non ti lascia nulla se non la speranza, ogni rito deve produrre sostanza, come sapeva bene il Cristo … “spezzò il pane, rese grazie, lo diede ai suoi discepoli e disse ‘questo è il mio corpo, prendete e mangiatene tutti’ …
E nel fare il pesto, come nella vita, la filosofia predominante è quella delle piccole aggiunte per tendere all’armonia.
Grazie per gli apprezzamenti, un abbraccio.
Bello il post e belli i commenti. Meglio pochi ma buoni (come da saggezza popolare)!
RispondiEliminaOra, non vorrei abbassare il livello... provo a fare del mio meglio.
Viviamo un'ondata di violenza e di stupidità umana inaspettata. I comportamenti danno libero sfogo a una cultura di sopraffazione. Si sono accentuate le differenze e non c'è più rispetto della persona , né verso l'altro, né verso se stessi. Perso questo valore, unitamente al senso di giustizia nei rapporti. Da quanto succede mi sento affranta.
Ho anch'io una passione per il pesto. La coltivo in modo rustico, senza offesa per i genovesi. Ad ogni modo penso che si possa definire di buona qualità. Da circa trent'anni me lo preparo in casa. Ho iniziato con il mortaio e il pestello, seguendo scrupolosamente il procedimento originale, in seguito ho usato il frullatore, perché ne faccio una discreta scorta che conservo nel congelatore.
La prima volta che l'ho assaggiato è stato a Corniglia in una trattoria con vista panoramica appena usciti dal sentiero proveniente da Vernazza, dopo un'ora di camminata che si è aperto su una vista spettacolare. Spettacolare come gli gnocchi al pesto delicatissimo, una delizia!
Noi usiamo il basilico del nostro orto, un olio evo del Garda e pinoli costosissimi. l'aglio pure, proviene dal nostro orto, al quale tolgo "l'anima". Non nascondo che durante questi anni ho sperimentato qualche variante, ma non ne vale la pena.
Inutile dire che questo post è di una bellezza di descrizione che fa sentire pure il profumo!
Un abbraccio
Nou
Carissima Nou,
Eliminatu non abbassi mai il livello, anzi lo elevi. Con i miei amici e con i miei colleghi ci stiamo chiedendo da tempo come mai la violenza sembra cresciuta rispetto ad alcuni decenni fa, come mai in molti rapporti prevalga la sopraffazione, l’umiliazione, la violenza verbale e fisica. Per la mia generazione la trasgressione era spesso fare qualcosa di spericolato che avrebbe dimostrato il proprio coraggio, o il sesso … conquistare una ragazza, infrangere qualche tabù sessuale.
Oggi, eliminato ogni tabù sessuale, spianato come stupidità ogni atto di coraggio, sembra che si possa essere trasgressivi solo se si è violenti, infatti solo l’aggressività oggi viene sanzionata, rifiutata, spenta sul nascere, se due ragazzini vengono alle mani li si ferma subito, ogni atto di rabbia viene bloccato immediatamente, mentre quando ero bambino io le lotte fra di noi per risolvere le nostre questioni erano frequenti, in genere si evitava di farsi male sue serio, e gli adulti non intervenivano mai se non quando degeneravano e ci si poteva far male sul serio.
Non sappiamo gestire la nostra aggressività e non sappiamo insegnare ai nostri figli a gestirla e a vivere la rabbia senza aver timore che sia deleteria e distruttiva, la rabbia come qualsiasi sentimento è sana e va vissuta, non negata, perché se la neghi sistematicamente prima o poi esplode.
Bisognerebbe gestire i propri sentimenti come si procede per fare il pesto … pestare, tritare … procedere per piccole aggiunte, ma in modo determinato, finché non si raggiunge qualcosa di armonico, di gradevole.
Vedo con piacere che siamo entrambi estimatori del pesto alla genovese e che entrambi preferiamo coltivare il nostro basilico, anch’io lo congelo in piccoli contenitori di vetro e quando lo tiro fuori sembra appena fatto.
Grazie, un abbraccio a te.
Si narra - storiellina amena - che ad una festa di beneficenza, appena iniziata la raccolta di fondi, un ebreo è svenuto e sei genovesi lo hanno portato fuori salvandosi dalla questua.
RispondiEliminaHo vissuto un anno (1961) in quel di Genova e la ricordo come era allora. Ora con la sopraelevata ed altro è cambiata molto. Mi è rimasto dentro l'odore del Porto e della focaccia di Recco.
La donna che mi alleva suole fare il pesto con le noccioline; abitiamo in zona vicina al viterbese e ...
Ciao da luigi
La focaccia alle 5 del mattino, appena sfornata e ancora fumante, per colazione, solo olio, sale e rosmarino, a volte qualche fetta di formaggio oppure di mortadella, una squisitezza.
EliminaPer noccioline intendi le arachidi? Avevo sentito del pesto con le nocciole, anche in Liguria, la vicinanza col Piemonte consente queste trasgressioni, avevo anche sentito del pesto con le noci, e persino mia zia una volta l’ha fatto con le nostre mandorle, ma mai con le arachidi.
Vedo che la donna che ti alleva ti alleva bene.
Ciao Luigi
Nocciole, nocciole, che possono sostituire i pinoli; così come i pistacchi (Bronte) nella "Tua" terra natìa.
RispondiEliminaPerò, le arachidi, hai dato un'idea che la "mia" cuoca, eccellente in cucina vorrà sperimentare.
Per combattere la monotonìa occorre cambiare; in cucina e non solo.
Gli esperti della materia dicono/scrivono che è il letto matrimoniale che uccide l'amore; per adesso il mio/nostro vive e vegeta benissimo.
E' l'eccezione che conferma la regola?
Ciao da luigi
I poeti accendono lampade
RispondiEliminae poi se ne vanno
ma le scintille che hanno ravvivato
se la luce è vitale
s' imprimono come fanno i soli
ed ogni età è una lente
che dissemina
la loro circonferenza
The Poets light but Lamps
Themselves go out
The Wicks they stimulate
If vital Light
Inhere as do the Suns
Each Age a Lens
Disseminating
their Circumference
ma anche
Vienes quemando la brisa
con soles de primavera
para plantar la bandera
con la luz de tu sonrisa.
Garbo,
RispondiEliminaserve che io ti scriva qualcosa? È un post straordinario, come molti che ne hai scritti, anche tu: "inargenti queste sacre antiche piante, a noi volgi il bel sembiante, senza nube e senza vel"; sono sicura che hai corrisposto al bacio della Dorina come meritava, perché anche tu non sai recitare e interpreti il vero. Il sorriso con le fossette sulle guance ti è rimasto ed è più bello adesso a vedersi che allora che eri si tenero, ma fin troppo furbetto a giudicare dallo sguardo.
Baci, abbracci, saluti? No ... invitami ad assaggiare il tuo pesto, che io possa sentirne il sapore oltre alle tue chiacchiere.
“A che serve scrivere?”, certo che serve, un blog si nutre di commenti, un post scritto cerca lo scambio, se volessi solo essere solo letto scriverei libri, se cercassi conferme o volessi nutrire il mio ego sarei su facebook, se volessi solo dare il segnale che esisto digiterei qualche carattere su twitter o farei graffiti sui muri e se non mi interessasse sapere cosa ne pensa chi mi legge farei come Paolo di Tarso, scriverei ai corinzi e ai colossesi che non gli rispondevano mai. Hai ragione, inargento le sacre antiche piante e, dopo un istante iniziale di esitazione, ho corrisposto al bacio come meritava.
EliminaFurbetto io? Ma se sono l’uomo più ingenuo sulla Terra! La mia impressione è che allora io fossi molto più sveglio e più selvaggio di adesso; però se mi fermo a riflettere devo ammettere che adesso non mi presterei in nessun caso e per chiunque a quella farsa, mentre allora mi lasciai convincere per la simpatia travolgente di quella ragazza.
Ti invito? Io lo farei pure, ma mi corre l’obbligo di avvisarti, il mio pesto è fatale, dopo averlo assaggiato non sarai più la stessa e durante le notti di luna piena, quando sulla torre dell’orologio scoccherà la mezzanotte, ti trasformerai in …..
Un mazzetto di basilico e un abbraccio ;-)
"se cercassi conferme o volessi nutrire il mio ego sarei su facebook"...ti assicuro per esperienza caro Garbo che il tuo ego rimarebbe digiuno anche su fb, quanto a conferme non ne avresti più di quelle che ci scambiamo qui ;-). Un saluto.
RispondiEliminaCaro Antonio,
Eliminaanch’io ho avuto una breve e meteoritica esperienza (ma non dimentichiamo che un meteorite causò l’estinzione dei dinosauri … o fu un buondì Motta precipitato dal cielo?) su facebook qualche anno fa: avevo aperto un account per seguire le elezioni comunali del mio paese di origine in cui si contendevano la carica di sindaco fronteggiandosi su schieramenti opposti, due miei amici ed erano presenti molti altri miei amici e conoscenti.
L’impressione che ne ho tratto è stata molto negativa: superficialità, narcisismo, esibizione di sé, banalità, illusione di avere molti amici, ricerca di conferme e di riconoscimento continuo, sempre inappagante perché rimane virtuale e non ha niente a che vedere con la profondità e l’autenticità.
Ha ragione Franco Arminio quando dice che sui social non c’è bellezza né poesia e tutto si estremizza e si fanatizza, tutto si ferma alla superficie, mentre bellezza, poesia e piacere vogliono eternità, vogliono profonda, profonda eternità.
Io ricordo decine e decine di like in post giornalieri assemblati con poca o pochissima fatica: un’immagine, anche non scattata da te, una citazione di una frase anche non tua, una battuta magari letta altrove, qualche foto tua se hai (o se pensi di avere) un bell’aspetto, o di ciò che sai fare in cucina o altrove … e ti piovono like e cuoricini a cascata.
Poi, per il resto, non ricordo guizzi, drammaticità, pathos, emozioni che non siano di panna montata, tutto si appiattisce, si omogeneizza, tende verso il basso, si banalizza, sembra di sentire Roberto Benigni leggere La divina commedia, sempre con lo stesso tono, sempre con la stessa espressione, sia che leggesse del dramma infinito di Paolo e Francesca o della banale vicenda di qualche orgoglioso che sconta un po’ di Purgatorio prima di ascendere in Paradiso.
Puoi parlare di fatti drammatici, come la morte di tua figlia, con emoticon di ogni tipo a significare i tuoi sentimenti, o della tua tristezza, o della tua disperazione o del tuo dolore, per ottenere sempre e comunque la tua dose periodica di like, che non si capisce bene cosa vogliono dire: ti sono vicino nella tua sofferenza, o mi fa piacere che soffri? Comunque rapporti di uno squallore indicibile, che finiscono per diventare gli unici rapporti che abbiamo, anche se poi con alcune di queste persone ci frequentassimo anche al di fuori del mondo virtuale dei social, perché trasferiamo anche nella realtà il modello facebookiano di rapporto, in cui se uno ci dice qualcosa gli facciamo una smorfia emoticon o alziamo il pollice in alto, o raffiguriamo il cuoricino con le dita.
Sto drammatizzando troppo? Forse è vero, in fondo non frequento più facebook da un pezzo, né nessun altro social, ma ogni tanto vengo in contatto con alcuni dialoghi estrapolati da qualche blogger che superano persino le mie convinzioni più pessimistiche e vi aggiungono l’inconsapevolezza della banalità e della superficialità del proprio dialogo, ad un certo punto credo che venga superata la soglia della consapevolezza e quel modo di dialogare appare normale, anzi l’unico ammissibile.
Ciao
Non mi pare di scorgere drammatizzazioni nel tuo discorso, è una considerazione abbastanza fedele di quello che è la "comunicazione" nei vari social, una corsa al ribasso, un accontentarsi di qualche like che come dici non si capisce bene cosa voglia intendere. Siamo emotivamente pigri o anestetizzati e i social sono il mezzo adeguato per questa condizione. Del resto anche nei blog la cosa non è diversa, i nostri scambi non credo che rappresentino una condizione diffusa, nella maggior parte dei casi vedo la solita polpetta confezionata per attirare i commenti entusiastici d cani fedeli o quelli inviperiti di cani rabbiosi. La profondità non la sondi navigando in rete in centinaia di contatti, lo puoi fare fermandoti su uno scoglio vero o virtuale e da lì tuffandosi ma resta il fatto che di profondità non puoi sondarne tante. A presto.
EliminaSe devo essere sincera direi proprio che mi hai fatto venire fame...
RispondiEliminaFin da piccola adoravo la pasta col pesto e anche le lasagne al forno col pesto, tipiche del levante. Lo faccio quando ho il mio basilico fresco appena raccolto e l'aglio lo metto solo quando c'è quello nuovo, piccolo piccolo e molto delicato.
C'è un'altra cosa che amo di questo piatto: il colore. Lo trovo fantastico.
E dire che i romani consideravano il basilico una pianta diabolica...
Ciao Garbo
Il post mi è piaciuto ma il sale lo trovo spesso nello scambio di commenti.
Concordo col tuo pensiero e quello di Antonio sulla stupidità ipocrita dei social che non sopporto e tantomeno supporto.
Nel post cerco di stimolare buoni commenti e sono felice, come in questo caso, i commenti sono migliori del post :-)
EliminaAnche a me piace il verde intenso del pesto di basilico, così come mi piace anche il rosso del pomodoro ... la cucina non è solo gusto, ma è un fatto estetico e in molti casi anche erotico ... non sapevo che i romani considerassero diabolico il basilico, all'apparenza sembra una piantina così tranquilla, ma è anche vero che spesso ciò che sembra tranquillo è diabolico ... Lisabetta da Messina, quella della novella del Decameron, pianta il basilico nel teschio del suo amato Lorenzo, ucciso dai fratelli.
I social, compreso il blog, lasciano una insoddisfazione profonda perché sono capaci di illudere e ancor più di deludere, di promettere e di non mantenere, di farti vagheggiare un dialogo più ampio ed esteso, e di darti solo superficialità e disimpegno.
Ciao Julia
Ultime sul pesto :-D il guardian lo boccia, dice che è troppo salato. Lo credo bene, quelli vanno a comprare il pesto saclà! Urge traduzione del tuo post e invio alla redazione :-)
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