Una catastrofe di dimensioni
bibliche, centoquarantadue lunghissimi secondi di puro terrore, un’eternità,
basta guardare ciò che rimane degli edifici completamente accartocciati su se
stessi, le case sventrate, le pareti sbriciolate come le mura di Gerico al
suono delle trombe di Giosuè, per capire quale notte hanno attraversato gli abitanti dei luoghi colpiti dal sisma.
Non ho mai visto un disastro simile né in Umbria, né in Molise, né in Emilia, né a L’Aquila, dove solo il centro storico era paragonabile a questa improvvisa polverizzazione dei corpi solidi … ti guardi intorno e il paesaggio sembra un presepe di cartapesta su cui sia appena passato sopra un elefante.
Non ho mai visto un disastro simile né in Umbria, né in Molise, né in Emilia, né a L’Aquila, dove solo il centro storico era paragonabile a questa improvvisa polverizzazione dei corpi solidi … ti guardi intorno e il paesaggio sembra un presepe di cartapesta su cui sia appena passato sopra un elefante.
Ma i danni maggiori il terremoto
li ha fatti dentro le persone, se potessimo fare una spettrografia dell’anima o, se preferite,
della psiche, noteremmo devastazioni maggiori, cicatrici più profonde, rispetto a quelle arrecate fuori alle loro
cose, alle loro case, al loro paese, che graffiano le pareti invisibili del
loro essere.
C’è certamente l’impotenza, l’essere
stati in balia di una forza contro la quale non puoi niente, una forza che ti ha
privato di cose, di persone e di affetti, che non hai saputo o potuto
proteggere; c’è la fiducia che è precipitata anch’essa con l’ultima pietra che
è rotolata a terra, con l’ultimo calcinaccio sbriciolatosi miseramente, coi i
tanti corpi senza vita soffocati, schiacciati, lacerati.
A nulla sono valse le garanzie, le rassicurazioni, la speranza di avere amministratori più onesti, più coscienziosi, più in gamba, i lavori preventivi effettuati, la messa in sicurezza che avrebbe dovuto proteggerli meglio di quanto fossero protetti gli abitanti de L’Aquila solo pochi anni prima.
A nulla sono valse le garanzie, le rassicurazioni, la speranza di avere amministratori più onesti, più coscienziosi, più in gamba, i lavori preventivi effettuati, la messa in sicurezza che avrebbe dovuto proteggerli meglio di quanto fossero protetti gli abitanti de L’Aquila solo pochi anni prima.
C’è l’assenza della fede, che si
nota tutta nell’esclamazione disperata del vescovo di Rieti mons. Domenico Pompili, quando invoca: “Dov’è
Dio?”, ma si nota ancora di più nei tanti che si assemblano spauriti sotto un
campanile diroccato, in una chiesa improvvisata, sotto la tonaca di un prete a
chiedere inconsapevolmente perché? Si nota ancora di più in quei credenti o in
quei prelati che da almeno due millenni spiegano qualsiasi cosa con la
cattiveria, la malvagità o la debolezza dell’uomo pur di non intaccare la
perfezione e la bontà del loro Dio.
Queste non sono espressione di
una fede salda e consapevole, tutt’altro, sono le manifestazioni della
constatazione che Dio proprio non c’è nella storia (non si tratta del fatto che
Dio esista o no, l’esistenza si può dimostrare solo con la percezione
sensoriale che nel caso di Dio sarebbe inutile, si tratta piuttosto dell’esserci
o non esserci, dell’influire sul corso della storia o sui destini umani, e qui
sarebbe difficile per chiunque dimostrare che un Dio c’è, che interviene con la
sua Provvidenza e che, soprattutto, si tratta di un Dio buono).
Puoi pure pensare che Dio abbia
mandato quell’orrenda sciagura perché gli amatriciani e i cittadini dei paesi
limitrofi fossero malvagi, indegni, o che avessero perso la giusta via, ma è
difficile dimostrare che fossero più malvagi, più indegni o più empi di tanti
altri … in fondo Totò Riina è ancora vivo, Bernardo Provenzano è morto di
vecchiaia e i tanti mostri che popolano il pianeta non vanno incontro ad alcuna
punizione divina.
E i bambini? che colpa avevano i
bambini che sono morti? No, chi invoca la punizione divina a spiegazione delle
disgrazie ha perso già da tempo la fede e la ragione.
Se abbiamo perso la fede in Dio (anche
se è difficile liberarsi di un Dio, non esistono praticamente popoli che non
abbiano una qualche forma di divinità e Lacan ha dimostrato quanto sia
essenziale l’Altro per la costituzione di un soggetto, quanto: "non si vive
senz’Altro"); se non è servito a nulla crearci un Dio che fosse neutro (ne
uter=né l’uno né l’altro), che si incarna non in Cristo ma nel potere, nel sapere, nell’amore o nel denaro che ti
illude di poter avere i primi tre a discrezione e a piacimento; allora cosa ci rimane: credere
nell’uomo?
No, l’uomo quando diventa Dio è
il più terribile e il più crudele di tutti gli dei, tutte le grandi rivoluzioni
degli ultimi due secoli sono nate sotto il sigillo dell’umanesimo, erano
imbevute di teorie che avrebbero dovuto migliorare la condizione fisico-sociale
(comunismo), ideologico-valoriale (liberismo), narcisistica (fascismo e
nazismo), esistenziale (esistenzialismo; Heidegger in Germania appoggiò il
nazismo, Sartre in Francia appoggiò il comunismo).
È proprio il fatto di credere che
non funziona, e non può funzionare, l’altalena Dio/Uomo provoca solo disastri, massacri, discriminazioni perché punta
su una parte e vorrebbe dominare il tutto, e ciò che non riesce a dominare lo
nega, lo esclude, lo discrimina, lo perseguita o lo uccide … succede in una
coppia, figuratevi fra due bande rivali, fra due paesi, fra due stati o fra due blocchi di alleanze contrapposte del mondo.
L’uomo faccia i conti col suo Dio
(o col suo Altro), se completa il suo percorso di soggettivazione, se diventa
uomo, se costruisce ciò che è in base alle potenzialità di ciò che avrebbe
potuto essere, allora è un uomo libero in rapporto col mondo.
Certo, un uomo limitato, uno che non è dio e non vuole esserlo, che convive ancora col suo Dio (o col suo Altro), ma in un rapporto differente, come gli antichi greci convivevano con i loro dei: non si piegavano in ginocchio quando dovevano rivolgersi a loro, avrebbero voluto misurarsi con loro e magari superarli, spinti dalla hybris (tracotanza, superbia, prevaricazione), non si facevano eccessive illusioni sui loro dei, ma li temevano e li rispettavano.
Certo, un uomo limitato, uno che non è dio e non vuole esserlo, che convive ancora col suo Dio (o col suo Altro), ma in un rapporto differente, come gli antichi greci convivevano con i loro dei: non si piegavano in ginocchio quando dovevano rivolgersi a loro, avrebbero voluto misurarsi con loro e magari superarli, spinti dalla hybris (tracotanza, superbia, prevaricazione), non si facevano eccessive illusioni sui loro dei, ma li temevano e li rispettavano.
Sarebbe saggio mantenere fra l’Uomo
e Dio, fra Vecchi e Giovani, fra Maschile e Femminile e fra le diverse culture
la “buona distanza”, quella che apprese Claude Lévi-Strauss osservando gli
Indiani Mandan del Nord America; questi indigeni che soggiornavano fra il Nord
e il Sud Dakota furono raggiunti da un altro gruppo di indiani che vivevano non
troppo distanti fra loro a cui insegnarono la coltura del mais.
Quando i vecchi saggi delle tribù
Mandan stabilirono che il contatto fra le due culture era stato
sufficientemente intenso e proficuo, così si rivolsero ai loro ospiti:
“Sarebbe preferibile che voi ve
ne andaste al di là del fiume, e che vi costruiate il vostro villaggio, perché
i nostri costumi sono troppo diversi dai vostri. Non conoscendosi gli uni con
gli altri, i giovani potrebbero avere dei disaccordi, e ci sarebbero delle
guerre. Non andate troppo lontano, perché i popoli che vivono a grande distanza
sono come stranieri e la guerra può scoppiare tra loro. Viaggiate verso il
nord, fino a che non riuscirete a vedere più il fumo delle nostre case, e qui
costruite il vostro villaggio. Così, saremo abbastanza vicini per essere amici
e non abbastanza lontani per essere nemici”.
(Claude Lèvi-Strauss,
Antropologia strutturale. Rapporti di simmetria tra riti e miti di popoli
vicini, Il Saggiatore, Milano, Vol. II, p.299).
Qualsiasi contatto casuale e
accelerato del diverso, degli opposti, provoca catastrofi: dall’incontro di due
placche tettoniche si origina un terremoto, dai
giovani e dai vecchi il conflitto intergenerazionale, dal ricco e dal povero l’invidia
(reciproca) e la lotta di classe, dall’Uomo e da Dio il fanatismo, l’integralismo,
il fondamentalismo e le guerre di religione, dalle diverse culture l’intolleranza
e il razzismo, dal Maschio e dalla Femmina … beh, fate voi...ditemi voi se anche l'amore non è una tragedia ...
Bisogna andarci cauti, dunque, quando andiamo incontro al diverso, ma non possiamo mettere in discussione l'utilità di questo incontro (che è comunque inevitabile), perché dallo scontro delle placche tettoniche si originano le montagne, da quello fra giovani e vecchi la saggezza, fra il ricco e il povero la compassione e la solidarietà, fra l'uomo e dio nasce l'Uomo e da maschio e femmina nasce l'amore, che è si un demone, ma n demone di cui non possiamo fare a meno.
Bisogna andarci cauti, dunque, quando andiamo incontro al diverso, ma non possiamo mettere in discussione l'utilità di questo incontro (che è comunque inevitabile), perché dallo scontro delle placche tettoniche si originano le montagne, da quello fra giovani e vecchi la saggezza, fra il ricco e il povero la compassione e la solidarietà, fra l'uomo e dio nasce l'Uomo e da maschio e femmina nasce l'amore, che è si un demone, ma n demone di cui non possiamo fare a meno.
Ma stabilire la buona distanza
non basta, bisognerebbe anche saper coniugare i verbi, ma non per quello stupido sport di alcuni snob
fanatici che credono di essere migliori di qualcun altro solo perché loro sanno
coniugare un congiuntivo o esprimersi al condizionale; il verbo esprime la
volontà, il tempo e l’azione dell’uomo.
Il modo e il tempo che usiamo,
dunque, rivelano le nostre vere intenzioni, in questo periodo ascolto molti discorsi
e ne leggo degli altri in riferimento al terremoto, sono molto usati i tempi
del passato prossimo, dell’imperfetto, del trapassato remoto per spiegare
presunte cause e antecedenti, e il futuro semplice per indicare ciò che si
intende fare.
Questo è il tempo preferito del
politico, dell’imbonitore, del truffatore, così come esistono i cosiddetti “pronomi
cialtroneschi”, quelli per cui alla fine non riesci ad individuare un soggetto
specifico perché il soggetto della frase diventa folla, senza alcun contorno o
responsabilità per l’azione che il verbo esprime, quelli omessi o impersonali
che lasciano vuoto lo spazio del soggetto, nascondendone l’identità, perché
ogni azione necessita di un soggetto, esistono i modi cialtroneschi, e il
futuro semplice lo è perché sposta in avanti il problema per non occuparsene adesso.
Congiuntivo, condizionale, participio, gerundio e infinito creano, se è possibile, ancora più problemi per ciò che riguarda la definizione dell’agire di un soggetto, ma questi sono problemi da affidare alla linguistica o ad una psicoanalisi che si è occupata degli slittamenti temporali del soggetto fra passato, presente e futuro.
Congiuntivo, condizionale, participio, gerundio e infinito creano, se è possibile, ancora più problemi per ciò che riguarda la definizione dell’agire di un soggetto, ma questi sono problemi da affidare alla linguistica o ad una psicoanalisi che si è occupata degli slittamenti temporali del soggetto fra passato, presente e futuro.
In quest’ambito dico solo che auspicherei
di sentire articolare di più i discorsi usando il futuro anteriore, perché
questo è il modo e il tempo che flette la storia, che presentifica ciò che sarà
domani come se lo vedesse, è un futuro che è già adesso, una memoria del
domani: è il tempo del miracolo.
Scrive Lacan:
“Ciò che si realizza nella mia
storia non è il passato remoto di ciò
che fu perché non è più, e neanche il perfetto di ciò che è stato in ciò che io
sono, ma il futuro anteriore di ciò che sarò stato per ciò che sto diventando”.
(Jacques Lacan, Funzione e campo
della parola, in Scritti, Einaudi, Torino, p. 293).
Caro Garbo, giusto ieri sera ero a cena con amiche e parlavamo della semplificazione della lingua e dei tempi verbali in disuso. Tra questi quello cui io tengo di più c'è il futuro anteriore, un tempo che esprime la capacità di immaginarsi oltre il proprio futuro facendolo diventare già passato. In quel tempo risiede la capacità di pro-gettarsi, gettarsi in avanti. Senza futuro anteriore non si pianteranno più alberi a lenta crescita, non si costruiranno più opere che non potremo vedere ma... ahimé neanche il futuro anteriore è privo di insidie, quando lo usavamo era anche per esprimere la brama e la tracotanza di superare il proprio tempo, di superare lo stesso tempo, cavalcarlo come fece Fetonte prima di essere fulminato. Non so quale lingua dei segni parleremo un giorno, temo che alla base della nostra evoluzione linguistica ci sarà la stessa ignavia di sempre, quell'ignavia che ci fa vivere come le formiche, imbocchiamo un percorso seguendo il capofila e non ci curiamo se è pericoloso, qualche dio per consolarci o da invocare lo troveremo sempre. Impossibile per me commentare il terremoto, le vittime, i crolli, non è neanche un film già avvenuto ma un film che sarà avvenuto ancora molte volte. Ti saluto sperando sinceramente di essere in errore.
RispondiEliminaLa buona distanza è la forma più saggia che di possa applicare nei comportamenti.
RispondiEliminaLe case si sono sgretolate e con esse le vite e le sorti di tante persone... non ci sono parole che possano rimediare, ma spero che la vicinanza solidale possa portare loro un po'di conforto.
Ciao Garbo
Nou
Condivido tutto quello che hai scritto in questo post e concordo pienamente con il commento di @Antonio.
RispondiElimina...l’uomo quando diventa Dio è il più terribile e il più crudele di tutti gli dei...
Nel suo nome si consumano i delitti dell'arroganza di credersi padroni del pianeta e al di sopra della natura.
Ho letto di armamenti elettronici capaci di produrre una distruzione come quella di questo terremoto. Spero anch'io si tratti di un errore.
Un caro saluto.
@ Antonio,
RispondiEliminaconcordo con te che anche il futuro anteriore non è esente da invidie, ma il poterti rappresentare un’azione come se la stessi compiendo adesso ti permette, più di altri tempi e modi verbali, di rappresentarti anche le conseguenza della tua azione, oltre a dare ad essa una concretezza che il futuro semplice non è in grado di darle. E’ il tempo della poetica immaginata da Baudelaire, è il tempo dell’analisi per Freud che esprime con la famosa frase: “Wo es war soll ich werden”, ed è il tempo stesso dell’esistenza per Lacan, il quale sostiene che io esisto, parlo, usando le parole di una lingua che mi preesiste, per raggiungere un senso: io esisto, dunque, solo retroattivamente, quando avrò parlato, esisto al futuro anteriore.
Si ha così un: “Effetto di retroversione per cui il soggetto ad ogni tappa diventa quel che era come dapprima e si annuncia: egli sarà stato – solo al futuro anteriore” (J. Lacan, Sovversione del soggetto, in Scritti, p. 811).
Pensare, soprattutto alle cose negative, ancor di più a quelle catastrofiche, è una fatica immensa, contrariamente a ciò che riteniamo l’uomo non è fatto per pensare, il pensiero nasce dal dubbio e dall’errore, solo una cantonata apre la possibilità del pensiero, per il resto seguiamo, come dici tu, un capofila o ci costruiamo un totem o una divinità dal nulla che ci rassicuri o ci consoli dal pericolo. Alla prossima catastrofe, alla prossima area abitata che si sbriciolerà come le precedenti, alla prossima alluvione che si porterà via case, cose e persone. Ai prossimi amministratori, politici, costruttori, esperti vari che giureranno che loro non c’entrano niente anzi, loro l’avevano detto.
Ciao
Invidie=insidie :-) Maledetto Bill Gates, che Zeus lo strafulmini lui e tutto il correttore automatico di word.
Elimina@ Nou,
RispondiEliminaanche quando porti la tua solidarietà a qualcuno è bene osservare una "buona distanza", spesso abbracciare qualcuno per essergli vicino è più una tua esigenza che dell'altro; bisognerebbe avere la delicatezza e la sensibilità di entrare nella vita altrui in punta di piedi, senza sconvolgerla. Con gli adulti i rapporti sono complicati dall'orgoglio, dalla diffidenza, da quel senso di responsabilità che si portano dietro, dal "dovere" di essere forti, con i bambini è diverso, bastano pochi gesti, qualche sorriso, piccoli regali che possono portare con sé ovunque (dopo aver vissuto una perdita così grave e radicale si aggrappano a tutti gli oggetti che ancora possiedono e li portano con sé sempre), qualche gesto di complicità, la condivisione di un pasto, di un gioco, di uno svago (come il filmato Disney dei tre porcellini), perché ti esprimano tutta la loro vicinanza e gratitudine.
Cose così te le porti dietro per tutta la vita, per molto tempo potrebbero esserci strascichi come manifestazioni d'ansia, attacchi di panico, depressione, in alcuni casi condizioneranno il tuo futuro con insicurezze e senso di precarietà, o con scelte di vita che tenteranno di opporsi a quel senso di inquietudine e di impotenza che ti può trasmettere un evento di queste dimensioni. In alcuni casi eccezionali da eventi di questo genere possono nascere uomini eccezionali, forgiati dalle scosse telluriche della terra.
Ciao
@ Berica,
RispondiEliminaforse l'uomo ha superato già da tempo la forza distruttrice della natura, basti pensare solo recentemente all'olocausto, a Hiroshima e Nagasaki, ai vari bombardamenti a raffica in varie zone del mondo (c'è un parallelismo non voluto ma incredibilmente simmetrico fra le città della Siria bombardate dai "buoni" soldati occidentali che portano l'ordine, la pace e la democrazia e i paesi distrutti dal terremoto), alla Palestina martirizzata nell'indifferenza diffusa all'Africa saccheggiata e depredata, al Sud America trattato come fosse la foresteria dell'Occidente.
Io non spero più niente, combatto l'atrocità ovunque la trovo.
Ciao
Ultimamente sto rileggendo Leopardi e non ho potuto fare a meno di pensare a questo:
RispondiElimina"Natura. Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra? Ora sappi che nelle fatture,negli ordini e nelle operazioni mie, trattone pochissime, sempre ebbi ed ho l'intenzione a tutt'altro che allafelicità degli uomini o all'infelicità. Quando io vi offendo in qualunque modo e con qual si sia mezzo, io nonme n'avveggo, se non rarissime volte: come, ordinariamente, se io vi diletto o vi benefico, io non lo so; e nonho fatto, come credete voi, quelle tali cose, o non fo quelle tali azioni, per dilettarvi o giovarvi. E finalmente,se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei".
Operette morali, “Dialogo della Natura e di un Islandese”
e poi a questo:
“Il rifiuto di un ordine finalistico dell’universo.
A molti appare inconcepibile che nell’universo possano esistere dei processi che non siano diretti alla realizzazione di un fine determinato. Dato che giudichiamo contrario ai nostri valori un agire umano privo di significato, ci disturba il fatto che possano esistere degli eventi naturali in se stessi del tutto privi di significato. Ma ciò che offende più di ogni altra cosa l’amor proprio dell’essere umano è il fatto che, con tutta l’importanza che egli dà a se stesso, il divenire dell’universo sia del tutto indifferente alla sua sorte.
“L’uomo” afferma Nicolai Hartmann “non vuole affatto guardare in faccia la realtà in tutta la sua durezza; essa, infatti, è assolutamente indifferente all’uomo stesso. Ma allora, pensa l’uomo, non varrebbe la pena di vivere.” E lo stesso filosofo dice in un altro passo: “Infinitamente lontano dall’intuire, anche solo confusamente, che dare un senso alle cose potrebbe essere un privilegio dell’uomo stesso, egli oggi non si avvede che forse si sta privando da solo, nella sua insipienza, di tale privilegio”.
Konrad Lorenz, “Il declino dell’uomo”
Un ruolo a Dio in questo caso non so proprio darlo..
Ciao
La Terra è giovane e, come tutti i giovani è turbolenta.
RispondiEliminaSi agita con al centro una palla di fuoco; Dio (?) c'entra nulla.
L'Uomo non ha ancora compreso che si paga un prezzo alla scelleratezza del peggior animale che popola il Pianeta; può fare non molto invero, contro quelle che sono le forze della Natura, ma non si adopera se non per lottarsi.
Allora la terra ballerina ci rammenta la nostra pochezza; c'è chi prega, chi si adopera, chi promette, chi lucra, chi aiuta, chi ...; tutte formichine!
Ciao da luigi
@ Luigi,
RispondiEliminain momenti come questo vedi spuntare il peggio di ciascuno, ma anche il meglio; un terremoto non scuote solo le case e i nostri corpi, scuote soprattutto le nostre anime, apre per un istante le porte per afferrare opportunità e risorse che non pensavamo di possedere, e per cambiamenti anche radicali. E' un peccato che nella stragrande maggioranza dei casi mettiamo qualche puntello qui e la nella nostra anima, cuciamo qualche ferita, e ritorniamo come prima, solo un po' più cinici.
Formiche? Perché offendi le formiche? Loro hanno un'organizzazione sociale incredibilmente complessa.
Ciao
Rispetto la Natura ed il richiamo era per la nostra pochezza/"piccolezza" di fronte alle forze della Madre Terra e dell'Universo.
RispondiEliminaUna formica ha visto cadere una foglia vicino ad essa ed esclamò: "Che disgrazia!".
Era questo che volevo richiamare.
Ciao da luigi