La libertà, così come qualsiasi altro inalienabile diritto del cittadino, non può essere un principio, un presupposto, qualcosa di garantito a priori, nessuno può garantire per la mia libertà così come nessuno può garantire per me se non io stesso, la libertà è piuttosto una conquista del singolo individuo, qualcosa che si raggiunge (o non si raggiunge) con un percorso educativo, un percorso molto faticoso, perché da sempre un senso di smarrimento totale realizzare di essere davvero liberi.
In realtà preferiamo definirci vittime delle circostanze,
preferiamo delegare agli altri il senso stesso della nostra vita, preferiamo
interrogare altri per sapere chi siamo e cosa dobbiamo fare e ogni volta che ci
troviamo di fronte a qualcosa in cui tocca solo a noi decidere, siamo in crisi
profonda e cerchiamo disperatamente un appiglio, un “aiutino” che ci dica cosa
fare o che ci indichi cosa va fatto in questi casi.
I padroni che in genere ci scegliamo sono le ideologie
religiose, le “verità” scientifiche, le nostre stesse ambizioni, gli stereotipi
sociali e qualsiasi cosa possa raggiungere quella notorietà tale da essere
consuetudine se non proprio legge sociale (sto pensando a quante persone
uniformano la loro vita a quella delle fiction televisive, come i loro bisnonni
la uniformavano ai romanzi al teatro e all’opera, ai programma di Barbara D’Urso e di Maria de Filippi, ai film americani in
cui nei dialoghi la parola “Cristo” occupa metà del copione, la cui recitazione
è un gesticolio isterico inconsulto e se togliessi inseguimenti, scene
d’azione, effetti speciali, ti rimarrebbero soltanto la musica di inizio e i
titoli di coda).
L’equivoco che colpì i rivoluzionari francesi fu quello di
pensare che bastava sventolare lo stendardo della libertà, bastava scriverlo su
una carta costituzionale e dei diritti, bastava creare delle istituzioni civili
che cercassero di garantirla e di proteggerla, per rendere davvero liberi i
cittadini di Francia; in realtà non passò molto tempo che loro stessi si
accorsero di questa assurdità, Maximilien
Robespierre che fu fra le menti più acute della rivoluzione non notò alcun
paradosso nell’affermare il motto che contraddistinse il suo governo: «Nessuna
libertà per i nemici della libertà».
Se volete valutare davvero un gesto o un’idea, valutateli non
in linea teorica e di principio, valutateli invece per ciò che producono, per
le loro conseguenze (reali o prevedibili), e i principi rivoluzionari applicati
in Francia produssero bel presto il “terrore”, migliaia di teste rotolarono
nella cesta della ghigliottina, all’inizio si trattava di giustiziare alcune
persone solo perché appartenevano ad una classe considerata nemica,
affamatrice, parassitaria: la nobiltà; poi si giustiziarono i rivali politici
definendoli di volta in volta nemici e traditori della rivoluzione, infine,
cominciò a predominare la paranoia, e si iniziò a giustiziare qualcuno per un
semplice sospetto.
Non c’è niente di più pericoloso e di sanguinario della
libertà istituita come principio e non come frutto di conquista personale e di
un popolo, non siamo liberi se facciamo la rivoluzione, se uccidiamo il
tiranno, se facciamo un bagno di sangue dei nemici della nostra libertà, siamo
liberi se ci liberiamo dalla nostra paura di essere liberi, altrimenti passiamo
semplicemente da una schiavitù ad un’altra, magari più impalpabile, meno
riconoscibile, come noi occidentali che ci riteniamo liberi perché abbiamo
perso il senso della libertà, e non conoscendolo non ci rendiamo più neanche
conto di quanto siamo schiavi di padroni ridicoli … perché almeno un Dio aveva
la sua dignità, ma essere schiavi del benessere, dello spreco, della frenesia
di vivere, dell’eterna giovinezza, dell’immaturità conservata con cura e difesa
ad oltranza ….
Questi principi liberali sono stati oggetto di critiche abbastanza sensate da parte del socialismo, che replicava che non può esistere nessuna libertà e nessuna uguaglianza la dove non è garantita nemmeno la sopravvivenza e alcune persone per sopravvivere dipendono da alcuni padroni che possono decidere chi lavora e chi no, chi sopravvive e chi muore.
Il socialismo ha altri limiti, altre ingenuità, altre
parzialità, che hanno prodotto anch’essi disastri immensi nel mondo; è dallo
scontro fra socialismo emergente e liberalismo che dalla rivoluzione francese
ad oggi l’Europa e il mondo intero sono la scacchiera di guerre continue di una
ferocia inaudita.
La cultura occidentale, sotto l’auspicio di tante belle
parole (libertà, uguaglianza, ecc.), ha prodotto le più grandi sciagure
dell’umanità: continue guerre per il predominio in Europa, razzie e saccheggi
da parte del vincitore (Napoleone saccheggiò l’Italia e l’Egitto delle opere
d’arte più pregevoli, arricchendo la Francia e Parigi di opere che noi adesso
andiamo ad ammirare li; Hitler saccheggiò Parigi e, nell’ultimo periodo, le
truppe tedesche in ritirata dall’Italia, cercarono di mettere le mani su tutto
ciò che poterono) due guerre mondiali, continue guerre per il controllo delle
risorse e per garantirsi l’accesso alle materie prime, la Shoah in cui vennero
eliminati 6 milioni di ebrei e il terrorismo internazionale che colpisce
indiscriminatamente per creare il panico.
La Francia ha sviluppato nel corso dei secoli il complesso da
“secondo della classe”, disperandosi perché, comunque ed ovunque c’è sempre
qualcuno di irraggiungibile che è migliore di lui e che non si può spodestare,
mentre si è incalzati da vicino da tanti altri temibili concorrenti che
potrebbero insidiare il traguardo raggiunto.
Fin dalle sue origini di stato autonomo ed erede della
gloriosa tradizione dei franchi e di Carlo
Magno, che aveva creato le basi stesse per l’Europa unita, la Francia si è
contrapposta all’Inghilterra che le insidiava il presunto primato, poi è stata
la volta della Spagna, infine la volta della Germania nelle varie vesti storiche
e politiche in cui quest’ultima si è presentata (impero d’Austria-Ungheria,
Prussia, Germania), riuscendo ben poche volte a primeggiare per qualche tempo,
ma subendo anche molte cocenti sconfitte militari e di supremazia in vari
campi.
Come ogni secondo della classe che vorrebbe superare il primo senza speranza di riuscita, si guarda le spalle da chiunque in qualche campo possa mettere in dubbio la sua supremazia; parrà strano per l’orgueil e la grandeur francesi, ma noi italiani siamo temuti moltissimo, sia nella moda (forse più in passato, quando era ancora vivo Gianni Versace, quando i marchi Armani e Valentino erano ancora italiani, quando in Italia si producevano prodotti di alta moda, soprattutto maschile famosi in tutto il mondo), sia per la cucina.
Non è forse vero che la Parigi, inventrice della haute e della nouvelle cuisine, ritiene che questa sia la migliore e la più
famosa cucina al mondo? E che non discutono neppure la tetragona certezza di
essere la patria del buon gusto, del gourmet,
del bon vivant, dei migliori vini e
dello stile di vita più raffinato del mondo?
Io posso dirvi, per mia personale esperienza, quando il mio
amore per questa città pulsa di nuovo e quando il mio odio per la stessa è
attenuato dall’oblio e dal tempo che sana tutte le ferite mi permettono di
ritornarvi, che quella che viene definita la cucina francese esiste certamente,
ma è appannaggio ormai del 5% dei parigini e dell’1% dei francesi.
Perché per poterla gustare dovreste frequentare uno di quei
locali di Parigi che sono ritenuti il gotha
della cucina mondiale, uno di quei posti in cui il chip minimo per accedere al
menù degustazione è di circa 200 euro, mentre per una cena à la carte dovrai
preventivare 300 e più euro per avere l’onore e il privilegio di mangiare
francese autentico … ricordo in una delle mie poche e folli esperienze in
questo senso di aver ordinato l’uovo (un oeuf
mollet) più costoso di tutta la mia esistenza … per fortuna che almeno era
buono.
Per il resto le varie brasserie, bistrò, bar á vin, maison du champagne, bar á huîtres, restaurant e tutti quei locali tipici della cucina francese, confezionano una cucina senza infamia né lode, dove l’haute cuisine diventa moyenne ou faible cuisine, dove i prezzi sono comunque troppo alti (va beh, siamo a Parigi, che pretendevi?), dove la grandezza dei tavolini è inversamente proporzionale a quella dei loro viali e delle loro piazze (esattamente come le camere d’albergo).
Posti dove il vino è così sacro che te lo somministrano col
contagocce (come si fa a proporre caraffe da 125 cl, e soprattutto come si fa a
farle costare quanto una bottiglia di buon Brunello?) ed è più costoso dello
Chanel n° 5, dove i loro pur favolosi fromages
sono serviti come dessert o al posto del dessert (non l’ho capito bene), ma se
sei in compagnia di altre persone che ordinano apéritif, entrées e plats, ti tocca aspettare che gli altri
abbiano terminato tutto perché venga il turno del tuo “dessert” … e non ti
portano nemmeno le posate nel frattempo, devi solo stare a guardare.
Sono amanti di ostriche, eccezionali, ne possiedono di
moltissime specie, forme e dimensioni, persino più degli spagnoli, che pure non
scherzano con i loro mariscos, che
sono più polpose e di sapore diverso dalle nostre, perché hanno tutto il sapore
che infonde loro l’oceano Atlantico in Bretagna; un sapore molto prelibato che
non è il caso di permettere loro che te lo rovinino con le loro salse, i
francesi sono molto amanti di salse di ogni tipo, alcune ottime anche contro il
raffreddore, ricordo una senape di Dijon che mi ha bloccato il respiro per
quasi tre minuti e che mi avrebbe fatto passare all’istante qualsiasi
raffreddore avessi avuto (ora che ci penso magari funziona anche come
prevenzione, è da quel cucchiaino di senape che non prendo più un raffreddore).
Se l’anatra ( o il pollame in genere, le volaille), è prelibata e la fanno in molti modi diversi che non
saprei dire davvero qual sia il migliore, dovete stare attenti ad altri tipi di
carne, almeno se siete schizzinosi come me e non conoscete tutti, ma proprio
tutti, i nomi dei vari tagli di carne, se non volete ritrovarsi sul piatto un
cuore di bue ( coeur de boeuf) o
delle animelle (de li mortacci loro) di vitello (ris de veau).
Ma la cosa peggiore è che spesso accompagnano il piatto principale con del riso (e fin qui la cosa non mi sorprende e non mi dispiace molto) o con della pasta (e qui il dispiacere aumenta) …. rigorosamente scotta (e se non sapete farla, non fatela!).
La cosa che apprezzo di più è però la saccenza e la
supponenza dei parigini, sarà stato il mio: “Je voudrais une table pour deux personnes, s’il vous plaît”, non
tanto la composizione della frase, che di per sé è sostanzialmente corretta,
più la sua pronuncia direi, ma non la pronuncia di ciascuna parola, quanto
piuttosto la pronuncia di quel deux,
che si dovrebbe pronunciare dø, in
cui la ø dovrebbe essere fra la e e
la o (più verso la prima vocale, che verso la seconda), come ad esempio bleu, ma che io ho pronunciato quasi
come una o.
La ragazza in un elegantissimo tailleurino avion, con bottoni
dorati da marinaio o, meglio, da ferroviere per restare in tema col locale, ci
ha affidati al cameriere dandogli qualche indicazione, il quale ci ha fatti
accomodare ad un tavolo e ci ha proposto due menù in lingua spagnola …
evidentemente il mio deux è sembrato
molto più simile al dos spagnolo, e
siamo stati presi per spagnoli (non c’era andata molto lontana).
Ho riso pensando che in effetti io quella frase ho cercato di
dirla in francese, ma chissà perché l’ho pensata in spagnolo, infatti fra il deux e il s’il vous plaît ho avuto un
attimo di esitazione, mi veniva in mente “por
favor” e solo con un guizzo della mente ho virato per il “s’il vous plaît”.
Il fatto è che mi trovo molto più a mio agio con la Spagna,
con gli spagnoli e con la loro lingua, che col francese, sento questi suoni più
in sintonia, mentre il carattere, il modo di fare, i suoni della lingua dei
francesi mi infastidiscono; sono cortesi, sorridenti, gentili, ma di una
cortesia distratta, disattenta, di chi non gli importa chi si trova davanti,
quella che da luogo ad un comportamento stereotipato, quasi meccanico, ma
sostanzialmente indifferente.
Sei tu che devi adeguarti a loro, a ciò che ti offrono, a
come te lo offrono, anche a ciò che ritieni più assurdo, se anche cogliessero
del fastidio in te, sicuramente lo imputerebbero a qualche tua carenza, a
qualche tuo problema, e non a qualcosa che loro hanno fatto che possa
infastidire gli altri, sembrare assurda o anche ridicola.
Dove ci sono due francesi si crea già una coda, sembra che
non sappiano vivere se non immaginando delle code, questa estate ho
attraversato in macchina la Francia del sud in direzione della Spagna, non so
più quante volte in strada mi sono dovuto fermare a qualche casello a pagare
qualche pedaggio, qualche balzello, a questa o a quella amministrazione, a
questo o a quel dipartimento, una cosa completamente assurda, è stato più il
tempo che ho trascorso in coda che quello che ho passato in marcia, e mi sono
rilassato solo dopo i Pirenei, quando mi sono immesso nelle splendide autovie, autopiste e carreteras
spagnole.
Ho avuto la malaugurata idea di visitare Versailles, dopo che
avevo evitato le immense code per Notre Dame, per la Tour Eiffel, per il
Louvre, …,che ho rimpianto moltissimo; venti minuti per il biglietto del treno
da Parigi, tre quarti d’ora per fare il biglietto per l’ingresso nella reggia,
quasi tre ore di coda che si snodava sul piazzale antistante in sette spire che
sembravano altrettanti gironi danteschi, con tanto di dannati che si
lamentavano per il male ai piedi, alla schiena o che con giochi idioti
cercavano di tenere buoni i loro bambini che, giustamente, si erano rotti le
scatole per quel trattamento disumano, vietato dalla convenzione di Ginevra.
Quando poi sono riuscito ad entrare, ed era già quasi l’una,
ho dovuto fare un’altra coda di 20 minuti circa per i bagni; pur visitando il
palazzo, i saloni, le sale, con la stessa velocità di un giapponese che in una
settimana visita l’Europa col viaggio organizzato, scatta continuamente
fotografie senza alzare nemmeno la testa dall’obiettivo, poi a casa con calma
potrà finalmente vedere cosa ha visitato, e che alla fine non si ricorderà più
se il Colosseo si trovava a Roma o a Milano, mi sono ritrovato a pranzare alle
tre e subito dopo, evitando un’altra ora di fila per il trenino che ti porta a
visitare l’immenso parco, ho raggiunto il Grand
Trianon a grandi falcate che erano le 17.00, ma a quell’ora non era più
possibile entrare per visitarlo perché chiudeva l’accesso ai visitatori.
Questo vuol dire che il biglietto giornaliero cumulativo per
il palazzo e i due Trianon è una truffa, perché nemmeno Flash Gordon sarebbe talmente veloce da riuscire a visitare tutto
in un giorno; ma la cosa peggiore non è stata nemmeno questa, ma il fatto che
alla stessa ora, cioè alle 17.00 in punto, chiudevano anche le toilettes di tutta la struttura e non
c’era verso di fare un’eccezione (la signora che stava pulendo, che ho cercato di
sedurre, di corrompere, di supplicare, non si è minimamente intenerita dalla
mia evidente sofferenza), e vi assicuro che tutto quello scorrere di acque,
tutte quelle fontane, non aiutano in simili casi.
Forse sto calcando un po’ la mano, forse sono più attento ad
esprimere i difetti di Parigi e dei suoi abitanti, mi capita di tenere questo
atteggiamento quando amo qualcuno o qualcosa, mi accorgo che sono più incline a
fargli notare i suoi difetti, le sue caratteristiche che mi colpiscono
negativamente, di prenderlo anche un po’ in giro, e di dare per scontato (per
il semplice fatto che sono li) che io abbia colto e che apprezzi anche i suoi
pregi.
Parigi non è una città semplice, né scontata, ed ogni volta
mi sorprende con una nuova meraviglia, un nuovo tesoro, una nuova scoperta che
mi affascina e che mi fa dimenticare ogni fatica e ogni disagio e, passato il
tempo debito per l’oblio di tutte queste inezie, mi fa desiderare di rivederla,
come un vecchio amore che si riavviva in una fiammata impetuosa quando ormai lo
credevi morto.
Questa città è, invece, un microscopio, un cannocchiale, una
lente di ingrandimento di tutto: se le porti il pragmatismo inglese, la
rivoluzione industriale, la borghesia al potere, ti fa una rivoluzione politica
e sociale senza precedenti da cui non si torna indietro, se le dai un
ragazzotto piccolo scuro con una improbabile zazzera da peones spagnolo o
messicano, il corpo tozzo e sgraziato, che dipinge come Raffaello, te lo trasforma in Pablo
Picasso che disegna come un bambino o come un selvaggio, se le dai un
olandese dai capelli fulvi, mezzo matto, che dipinge raccoglitori e mangiatori
di patate, con linee sgraziate e colori cupi, che al solo guardarlo ti sembra
strano, che è capace di tagliarsi un orecchio e che ospita una prostituta come
se fosse ai tempi di Caravaggio, te
lo trasforma in Van Gogh con
pennellate calde e avvolgenti e un’esplosione di gialli, rossi, verdi,
arancioni e blu che sembrano le scintille del Big Bang quando fiorì l’universo da una massa iniziale molto e
concentrata la cui densità e temperatura aumentarono costantemente fino
all’esplosione che fece espandere la materia e il calore in tutte le direzioni.
Uomo o donna che tu sia, ti avverto, diffida anzi, trema al
pensiero di Parigi, perché qualsiasi cosa le porti diventa grande, gigantesca,
immensa, titanica … se le porti un’idea cambierà il mondo, se le porti il fuoco
sacro dell’arte lo farà esplodere come un fuoco d’artificio e se le porti un
amore, anche uno che è appena nato, ai suoi primi passi, ai primi vagiti, agli
albori del suo sorgere, potrebbe diventare qualcosa di grande, di più grande
degli stessi amanti, qualcosa che li travolge irreparabilmente o,
semplicemente, qualcosa che a Parigi sembra grandioso e che si sgonfia appena
varcati i confini del suo territorio.
Molte cose grandi, che hanno cambiato l’umanità, sono sorte e
si sono spente a Parigi.
Della ridda di suggerimenti che i tuoi due post evocano, alcuni anche molto divertenti e divertiti considerando anche la mia recente visita a Parigi, voglio sottolineare solo come si prediligga una catena causale corta per dare spiegazione degli eventi della storia. Trattiamo la storia come una compagnia assicurativa che si occupa solo di chi ha tamponato chi, ma la storia non è così. La storia deve occuparsi anche del perché ti trovavi lì dove hai tamponato l'altra auto, perché non eri altrove, oppure perché eri altrove anziché lì dove quella maledetta auto dovevi tamponarla! Noi occidentali abbiamo evocato alla fine lo scontro "inevitabile" e forse lo è davvero inevitabile (penso all'isis) perché "finalmente" abbiamo il nostro "male assoluto" quotidiano in cui annegare tutti i nostri sensi di colpa. Finalmente abbiamo trovato la pietra filosofale che trasforma il nostro piombo in oro. Ciao.
RispondiEliminaHai sintetizzato in poche righe un pensiero di rara bellezza e che, naturalmente, condivido. Noi occidentali abbiamo trovato il nostro "male assoluto" che ci fa sentire il "bene assoluto", in una contingenza storica in cui abbiamo perso il senso della nostra identità, mentre non abbiamo mai avuto quello dell'unità (ci siamo scannati a vicenda per secoli), non è assolutamente poco ... l'ebreo, il talebano, l'alcaediano, l'isisiano ... servono appunto a questo ... e noi abbiamo la stessa funzione per loro, noi siamo il "loro" male assoluto.
RispondiEliminaIeri hanno dato la notizia del pilota giordano arso vivo in una gabbia metallica, come non odiare chi compie un delitto così efferato, ti verrebbe da dire che queste sono belve sanguinarie, che meritano solo di essere abbattute come cani idrofobi, prima che conquistino il mondo e impongano la loro legge di paura e di ferocia; in genere preferiamo fermarci qui nelle nostre considerazioni, come se possedessimo sono una visione monoculare ... credo che anche loro pensino la stessa cosa quando recuperano e seppelliscono i corpi dei civili (donne, vecchi, bambini) dilaniati dalle bombe che lo stesso pilota giordano ha lanciato sulle loro abitazioni.
Ciao
e l'ironia della sorte è che ho davvero una visione monoculare... scherzi a parte ma non è uno scherzo purtroppo, ti suggerisco la lettura di questa amaca di Michele Serra. Non è per porgere l'altra guancia, che dopo le ultime esegesi mi pare sia scaduta, ma è per fare qualcosa di veramente devastante. Pensi l'effetto che avrebbero i libri di Averroè, Avicenna, le poesie di Omar Khayamm? Io ci metterei anche numerose copie del Corano.
RispondiEliminaCiao
In tempi di incertezza, di disordini e di paure può succedere che alcuni (molti?) scalmanati facciano sentire la loro voce, e fa più rumore un esaltato e un fanatico che le molte persone equilibrate, così come fa più rumore un albero che cade che la foresta che cresce. A questo aggiungo che noi crediamo di essere informati, di sapere, di conoscere … ma forse conosciamo poco, o conosciamo ciò che qualcuno vuole farci conoscere (Ugo Ulfklotte, redattore politico della Frankfurter Allgemeine Zeitung scrive che: “Un giornalista italiano può ricevere fino a 20.000 dollari per scrivere articoli filo statunitensi”, io non credo che quello sulla disinformazione sia soltanto un problema italiano, in gioco ci sono interessi che forse non riusciremmo neanche a capire, cose che le multinazionali occidentali difficilmente potrebbero affidare alla sensibilità democratica del popolo).
RispondiEliminaPiù che bombardarli di libri, che presi di taglio certi volumi fanno pure male e che dovremmo fare la fatica di tradurli nella loro lingua se vogliamo che sia fruibili, io li lascerei semplicemente in pace: smettiamo di esportare democrazia (e di asportare petrolio) dal Medio Oriente, smettiamo di pretendere che il petrolio sia pagato in dollari (che è un’assurdità anche per noi europei), smettiamo di crederci i “buoni, perché questo vuol dire che sono gli altri i cattivi, smettiamo di avere una mentalità predatoria e coloniale sul resto del mondo e cerchiamo il dialogo e la trattativa … vedrai che non bruceranno più i libri in piazza , non taglieranno gole e non bruceranno vivi piloti che fino a poco prima hanno bombardato le loro città.
Ciao
P.S. Non ho capito l’auto-riferimento alla “visione monoculare “, io non intendevo rivolgermi a te e a ciò che hai scritto su tutta la questione. L'amaca di Michele Serra l'avevo già letta altrove, ma hai fatto bene a linkarla, è sempre interessante leggere ciò che scrive.
Rispondo al tuo ps perché il resto del tuo commento posso solo condividerlo senza riserve. So che non facevi riferimento a me con la “visione monoculare“ ma come dice Guccini in qualche canzone che non ricordo "per la battuta mi farei spellare", anche se può sembrare cinica e forse soprattutto! E' una vecchia storia, un incidente di percorso di un bambino che giocava da solo e che si fece molto male. Basta così, diciamo che hai la chiave di lettura per "l'ultima immagine..." che avevo inserito qui. A presto.
RispondiElimina@ Antonio,
RispondiEliminami dispiace.
Ciao