ἵπποι ταί με φέρουσιν, ὅσον τ΄ ἐπἱ θυμὸς ἱκάνοι,
πέμπον, ἐπεί μ΄ ἐς ὁδὸν βῆσαν πολύφημον ἄγουσαι
δαίμονος, ἣ κατὰ <...> φέρει εἰδότα φῶτα·
τῇ φερόμην· τῇ γάρ με πολύφραστοι φέρον ἵπποι
[5] ἅρμα τιταίνουσαι, κοῦραι δ΄ ὁδὸν ἡγεμόνευον.
ἄξων δ΄ ἐν χνοίῃσιν ἵ<ει> σύριγγος ἀυτήν
αἰθόμενος ‐ δοιοῖς γὰρ ἐπείγετο δινωτοῖσιν
κύκλοις ἀμφοτέρωθεν ‐, ὅτε σπερχοίατο πέμπειν
Ἡλιάδες κοῦραι, προλιποῦσαι δώματα Nυκτός
[10] εἰς φάος, ὠσάμεναι κράτων ἄπο χερσὶ καλύπτρας.
ἔνθα πύλαι Νυκτός τε καὶ Ἤματός εἰσι κελεύθων,
καί σφας ὑπέρθυρον ἀμφὶς ἔχει καὶ λάινος οὐδός·
αὐταὶ δ΄ αἰθέριαι πλῆνται μεγάλοισι θυρέτροις·
τῶν δὲ Δίκη
πολύποινος ἔχει κληῖδας ἀμοιϐούς.
[15] τὴν δὴ παρφάμεναι κοῦραι μαλακοῖσι λόγοισιν
πεῖσαν ἐπιφράδέως, ὥς σφιν βαλανωτὸν ὀχῆα
ἀπτερέως ὤσειε πυλέων ἄπο· ταὶ δὲ θυρέτρων
χάσμ΄ ἀχανὲς ποίησαν ἀναπτάμεναι πολυχάλκους
ἄξονας ἐν σύριγξιν ἀμοιϐαδὸν εἰλίξασαι
[20] γόμφοις καὶ περόνῃσιν ἀρηρότε· τῇ ῥα δι΄ αὐτέων
ἰθὺς ἔχον κοῦραι κατ΄ ἀμαξιτὸν ἅρμα καὶ ἵππους.
καί με θεὰ πρόφρων ὑπεδέξατο, χεῖρα δὲ χειρί
δεξιτερὴν ἕλεν, ὧδε δ΄ ἔπος φάτο καί με προσηύδα
ὦ κοῦρ΄ ἀθανάτοισι συνάορος ἡνιόχοισιν,
[25] ἵπποις θ’ αἵ σε φέρουσιν ἱκάνων ἡμέτερον δῶ,
χαῖρ΄, ἐπεὶ οὔτι σε Μοῖρα
κακὴ προὔπεμπε νέεσθαι
τήνδ΄ ὁδόν ‐ ἦ γὰρ ἀπ΄ ἀνθρώπων ἐκτὸς πάτου ἐστίν ‐,
ἀλλὰ Θέμις
τε Δίκη τε. χρεὼ δέ σε πάντα πυθέσθαι
ἠμέν Ἀληθείης εὐκυκλέος ἀτρεμὲς ἦτορ
[30] ἠδὲ βροτῶν δόξας, ταῖς οὐκ ἔνι πίστις ἀληθής.
ἀλλ΄ ἔμπης καὶ ταῦτα μαθήσεαι, ὡς τὰ δοκοῦντα
χρῆν δοκίμως εἶναι διὰ παντὸς πάντα περ ὄντα.
(Parmenide di Elea, DK 28 B 1, in Fr. 1, Sesto
Empirico, Contro i matematici, VII, 111 e segg.).
"Le cavalle che mi
portano fin dove vuole il mio cuore,
mi guidavano, dopo
che mi ebbero condotto e mi ebbero posto sulla via ricca di canti,
che appartiene alla
divinità e che porta per tutti i luoghi l’uomo sapiente.
Là venni condotto; là
mi portarono le cavalle molto avvedute
trainando il carro, e
le fanciulle additavano il cammino.
L’asse dei mozzi,
incandescente, emetteva un sibilo acuto
(poiché da ambo i
lati era premuto
da due cerchi ben
curvati) ogni qual volta le figlie del Sole [la fanciulle Eliadi],
abbandonate le case
della Notte, affrettavano il cammino a guidarmi
verso la luce,
liberando il loro capo dai veli con le mani.
Lì sono i cardini
della porta dei sentieri della Notte e del Giorno:
fanno loro da cornice
un architrave e una soglia di pietra;
essi, svettanti nell’etere,
sono agganciati a grandi battenti.
Di questi, Giustizia,
che molto punisce, tiene le chiavi che aprono e chiudono.
Le fanciulle, allora,
rivolgendole soavi parole,
con accortezza la
persuasero, affinché, per loro, la sbarra del chiavistello
senza indugiare
togliesse dalla porta. E questa, subito aprendosi,
produsse una vasta
apertura dei battenti, facendo ruotare
nei cardini, in senso
inverso, i bronzei assi
fissati con chiodi e
con borchie. Di là, subito, attraverso la porta,
diritto per la strada
maestra le fanciulle guidarono carro e cavalle.
E benigna la dea
m’accolse, e mi prese la destra
e così parlò
dicendomi queste parole:
«O giovane condotto
da guide immortali
che vieni alla nostra
casa portato dalle cavalle,
sii il benvenuto!
Poiché non fu un avverso destino [Moira]
a mandarti per questa
via (che invero è lontana dall’orma dell’uomo),
ma la legge divina [Temi]
e la giustizia [Dike]. Ma ora devi imparare ogni cosa
sia il saldo cuore della
ben rotonda Verità
e sia le opinioni dei
mortali, in cui non è vera certezza.
Ma tuttavia anche
questo imparerai, come l’apparenza
debba configurarsi
perché possa veramente apparir
verosimile,
penetrando tutto in tutti i sensi»".
(Parmenide di Elea, DK 28 B 1, in Fr. 1, Sesto Empirico, Contro i matematici, VII, 111 e segg.)
"αἱ γὰρ στεινότεραι πλῆντο πυρὸς ἀκρήτοιο,
αἱ δ΄ ἐπὶ ταῖς νυκτός, μετὰ δὲ φλογὸς ἵεται αἶσα·
ἐν δὲ μέσῳ τούτων δαίμων ἣ πάντα κυϐερνᾷ·
<πάντων> γὰρ στυγεροῖο τόκου καὶ μίξιος ἄρχει
[5] πέμπουσ΄ ἄρσενι θῆλυ μιγῆν τό τ΄ ἐναντίον αὖτις
ἄρσεν θηλυτέρῳ".
(Parmenide di Elea, DK 28 B 12, in Fr. 12, Simplicio,
Commento alla Fisica, 39, 14-16 e 31, 13-17).
"Quelle più strette,
infatti, si riempirono di fuoco non mescolato,
le successive di
tenebra in cui s’insinua una porzione di fuoco;
in mezzo a queste è
la dea che tutto governa:
per ogni dove essa
guida la dolorosa nascita e l’unione
spingendo la femmina
ad unirsi al maschio e di nuovo,
al contrario, il maschio ad unirsi
alla femmina".
(Parmenide di Elea, DK 28 B 12, in Fr. 12, Simplicio, Commento alla Fisica, 39, 14-16 e 31, 13-17).