Questo post nasce come commento
al post di Antonio Una famiglia sacrale! (http://cosechedimentico.blogspot.it/2013/09/una-famiglia-sacrale.html)
poi, visto che ero ispirato e viste le dimensioni, ho preferito trasformarlo in
un post a mia volta, senza per questo perdere il carattere di replica:
La battuta sulle coppie
eterologhe, tipo un uomo e una gallina è bellissima e fulminante. Anch'io ho
avuto la sensazione che Banderas stesse cercando di sedurre la gallina e tutti
insieme (Banderas, gallina e Barilla) stessero cercando, con quella pubblicità,
di sedurre altre "galline" a casa che si illudono che a cucinare i
biscotti sia davvero Antonio Banderas e che li cucini al naturale ... con il
fiato.
Si possono fare diverse
considerazioni su quanto dichiarato da Guido Barilla, la prima è: chi glielo ha
fatto fare? Un imprenditore dovrebbe ampliare il mercato, non restringerlo; uno
che ti viene a dire: «Non metterei in una nostra pubblicità una famiglia gay
perché noi siamo per la famiglia tradizionale. Se i gay non sono d’accordo,
possono sempre mangiare la pasta di un’altra marca. Tutti sono liberi di fare
ciò che vogliono purché non infastidiscano gli altri».
Aggiungendo poi: "Va bene se
a loro piace la nostra pasta e la nostra comunicazione la mangiano, altrimenti
mangeranno un’altra pasta. Uno non può piacere sempre a tutti. Io rispetto
tutti facciano quello che vogliono senza disturbare gli altri. Sono anche
favorevole al matrimonio omosessuale, ma no all’adozione per una famiglia gay.
Da padre di più figli credo sia molto complesso tirare su dei bambini in una
coppia dello stesso sesso".
Ora, tutto ciò a livello di
marketing è estremamente lesivo per l’immagine e per quello che viene chiamato
il brand dell’azienda, una dichiarazione autolesionistica; ma come, anni a
costruire un’immagine dell’azienda e dei suoi prodotti, a sciorinare
ossessivamente slogan come: ”Dove c’è Barilla c’è casa” o “Dove c’è pasta c’è
amore”, a mostrare famiglie felici e sorridenti, che abitano mulini bianchi,
dove abitano tutti i buoni sentimenti e la felicità intorno ad un piatto di
pasta, ad un sugo a dei biscotti o a delle merendine, dove ti ospitano
convivialmente anche la bambina cinese, anche lei contagiata da questa felicità
e con l’espressione di chi è appena entrato nel giardino dell’eden (e
perdonatemi se non faccio altri esempi, ma non vedo molto né la pubblicità né
la tv) … e guido Barilla manda tutto a puttane in pochi minuti in una
trasmissione radiofonica?
Frequentazione di licei classici
(a Parma e per due anni a Boston, ci tiene a precisare), “poi ha seguito i corsi della facoltà di
Economia all'Università di Parma e all'Università Bocconi. A Milano ha poi
cambiato facoltà con quella di Filosofia” scrive wikipedia e non si capisce se
Guido è un economista o un filosofo, o un filosofo economista e nessuno dei due
visto che non è specificato che abbia mai conseguito una laurea, solo che “ha
seguito i corsi” … anch’io ho abitato per mesi vicino al conservatorio di
Padova, dovrò scriverlo sul mio curriculum… per poi buttare li
irriflessivamente una cavolata di queste dimensioni?
Non vorrei essere ingeneroso
perché non lo conosco e non posso e non
voglio giudicare un uomo per una dichiarazione che ha fatto, ma ogni
tanto mi sorge il sospetto che questi figli di papà che ereditano aziende
colossali e fortune immense siano un tantino sopravvalutati. Prendete Marina
Berlusconi, anche lei liceo classico (che è la scuola scelta da chi ha molte
pretese, dai figli di papà e non solo da chi è attratto dalle lettere e dalla
cultura classica), anche lei frequenta i corsi prima della facoltà di
Giurisprudenza poi di Scienze Politiche abbandonando entrambe al primo anno,
fortunatamente per lei non mette piede alla Bocconi, non credo conosca il vero
significato della parola “gavetta” e non credo che abbia occupato i ruoli
di vicepresidente di Fininvest (all’età
di 30 anni), di presidente della holding e di guida della casa editrice Arnoldo
Mondadori nelle aziende di papy per meriti speciali o perché abbia dimostrato spiccate
doti di imprenditrice.
Eppure viene considerata da molti
una “tosta”, una che sa il fatto suo, una in gamba, tanto che Forbes nel 2008
la colloca al nono posto nella lista delle ereditiere più ricche del mondo e
nel 2010 è al 48° posto fra le donne più potenti del mondo (unica italiana
presente) e che ha pure vinto l’Ambrogino d’oro; esiste anche una lista di
donne capaci? In tal caso vorrei segnalare una mia conoscente e vicina di casa
che lavora come impiegata, tira su da sola due figli uno di sette e l’altro di
nove anni, aiuta il marito negli aspetti economici e amministrativi
dell’azienda di questi e se invitano degli amici a cena è lei che cucina,
apparecchia, serve in tavola, sparecchia, riassetta e fa i piatti…e i suoi
discorsi in tavola o nel salotto dopo cena sono più interessanti di quelli del
marito.
Come possiamo conciliare
quest’immagine positiva di Marina Berlusconi, di imprenditrice in gamba, con la
perdita di uno degli scrittori di successo della Mondadori come Roberto
Saviano? Ricordo brevemente ciò che accadde (in rete troverete ancora le
lettere aperte che i due si sono scambiati): Silvio Berlusconi (altro “grande”
comunicatore) dichiara che serial tv come la Piovra o libri come Gomorra dello
stesso Saviano (pubblicato dalla sua casa editrice, la Mondadori e che gli ha
fatto guadagnare parecchio e che ha venduto quasi 13 milioni di copie in tutto
il mondo) danno un’immagine negativa del nostro Paese, perché gli stranieri
possono pensare che gli italiani siano tutti mafiosi.
L’argomento berlusconiano è
ridicolo, mi pare simile alla vicenda del sindaco del mio paese d’origine che,
attaccato da un giornalista che lo accusava di essere il responsabile
dell’invasione di insetti e di scarafaggi in tutto il suolo comunale per non
aver eseguito la consueta disinfestazione, si arrabbia e controbatte dicendo
che queste notizie sono lesive per l’immagine del paese e per il turismo.
Ma non sarebbe stato più semplice
tenere il paese pulito e disinfestato se vuoi attrarre il turismo e non ledere
l’immagine del paese? E non sarebbe più semplice non tenere in villa stallieri
mafiosi, non dire che sono degli eroi, non frequentare persone condannate a
sette anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, non
mettere nelle liste elettorali persone indagate per collusioni con la camorra?
In qualsiasi altra azienda un
manager che perde così stupidamente un “affare” come Saviano viene licenziato
in tronco, ma Marina Berlusconi è la figlia del capo … forse l’erede, chi
potrebbe osare contrastarla, chi potrebbe offuscarne i meriti? Continuerà ad
essere quella donna in gamba che tutti ritengono che sia, continueranno ad
infiorettarle (le riviste di papà) una carriera invidiabile, una vita felice,
dei figli stupendi … da Mulino Bianco insomma!
E gli Elkann (Lapo e John),
virgulti ed eredi di Casa Agnelli, che si fanno amministrare l’azienda di
famiglia da tale Guido Marchionne, che concentra su di sé poteri e cariche
illimitati e che sta agendo come una guida indigena della foresta pluviale,
tagliando col machete tutto ciò che lo ostacola (Termini Imerese, Pomigliano,
la Fiom, …), sta facendo semplici operazioni di borsa per far salire i titoli e
moltiplicare i dividendi per i grandi azionisti, acquista a costo zero gioielli
in crisi dell’automobilismo a stelle e strisce, che però non sono fra le auto
più vendute, semmai appannaggio di una piccola nicchia di aficionados.
Ciò che non fa è rilanciare
l’azienda, la ricerca, (giapponesi e tedeschi sono al motore ibrido, a cambi
che sono una favola, ad accessori e modelli futuristici, ad un’attenzione maniacale
verso i consumi e l’impatto ambientale, perché sanno che è su questi punti che
si decide l’acquisto), a produrre e vendere nuove autovetture, che siano
competitive sul mercato … al salone dell’auto di Francoforte la Fiat non solo
non presenta nessuna vera novità solo versioni speciali, aggiornamenti e
qualche derivazione di modelli già esistenti, ma è desolante anche la totale assenza
di vetture a basso impatto ambientale (auto a propulsione ibrida ed elettrica).
E la Barilla? Nonostante la crisi
regge il mercato, emerge con nuovi prodotti, che pubblicizza bene, riesce ad
inserirsi come testimonial di grandi eventi sportivi … ed è tutto, persiste la
miopia occidentale (tranne forse per qualche grande azienda tedesca) di voler
competere con i Paesi in via di sviluppo producendo prodotti industriali a
basso costo.
È un’assurdità, noi non potremo
mai competere su questo piano con l’India e con la Cina ad esempio, che hanno
una popolazione sterminata e possono disporre di mano d’opera a costo
irraggiungibile per i canoni occidentali, loro possono anche (per sostenere lo
sviluppo) non essere così sensibili ai problemi ambientali, dimezzando i costi
di smaltimento dei rifiuti tossici, se a questo aggiungiamo che stanno
investendo in ricerca cifre per noi ormai impensabili e stanno acquisendo
esperienza e maestranze di alto livello in molti campi (dalla moda
all’agricoltura, dal turismo all’automobile), in pochi anni ci avranno
raggiunti e superati … e non varrà a niente il prestigio di un marchio.
Qualche anno fa la Comunità
Europea liberalizzò in una votazione l’uso di altri grassi vegetali nella
produzioni del cioccolato e dei dolci, si tratta di burro di karitè, di palma,
di cocco, ecc. che in precedenza in Europa venivano usati solo nella
saponificazione, visto che sono talmente grassi da essere nocivi per la salute.
Si è trattato di un’operazione da
un lato geniale, perché adesso una tavoletta di cioccolato possiamo mangiarla,
usarla per fare la doccia o per lavare i panni, dall’altro è un’operazione
suicida perché le “gocciole” assomigliano sempre di più alle “sdrucciole”, il
cioccolato svizzero al sapone di Marsiglia … e non si capisce perché dovremmo
pagare di più per questi prodotti, visto che la loro qualità è identica e il
loro sapore indistinguibile.
Tutte le aziende europee, dalle
multinazionali (come la Nestlé) che hanno fatto pressioni per questa
liberalizzazione, fino alle aziende artigianali medio-piccole (comprese le
gelaterie sotto casa) si sono adeguate, e al burro di cacao (un tempo unico
grasso vegetale permesso nell’industria dolciaria) hanno aggiunto grassi
vegetali di altra derivazione: Alcuni scrivono: “Cacao al 70°”, bene, bravi, e
il resto? Sapone di Marsiglia!
Niente però vieta ad un
imprenditore di continuare a fare i suoi dolci come si facevano una volta,
usando il 100° di burro di cacao (e scrivendolo sull’etichetta), eppure non ce
n’è uno che lo faccia. Perché, mi chiedete? Perché è più remunerativo
pubblicizzare un prodotto con Antonio Banderas che circuisce una gallina che
non scrivendoci sopra “burro di cacao al 100°”.
Tanto ormai la differenza fra
cacao e sapone di Marsiglia non la capisce più nessuno, ci siamo imbarbariti a
tal punto che somministriamo merendine e hamburger di McDonald ai nostri figli
e tacitiamo la nostra coscienza dicendoci che sono “naturali” (cotti a vapore, col
fiato, garantisce Banderas) e che lo fanno tutti ormai.
Negli USA, dove il cibo
spazzatura è stato introdotto molto prima, il tasso di obesità è elevatissimo e
l’età di esordio delle malattie cardiocircolatorie è sceso vertiginosamente,
tanto che hanno dovuto correggere l’età media in cui si può presentare il primo
infarto a 40 anni circa … ancora qualche anno di merendine e di fast food e
anche noi raggiungeremo le medie americane.
Le madri, le donne che sono
quelle che ancora oggi fanno la spesa per i loro figli e filtrano per loro i
prodotti buoni, naturali e sani, non sono più in grado di fare la differenza,
di distinguere un prodotto artigianale da uno industriale, una buona bistecca
da un hamburger e un pasticciere da un attore che tenta i sedurti per farti
credere che non solo fa buoni dolci (mentre è probabile che non abbia la minima
idea di come si facciano), ma che l’amore che mette nei suoi biscotti potrebbe
travalicare l’arte pasticciera e giungere fino a te (tanti e tali sono le
allusioni e gli ammiccamenti in tal senso).
Più è squallida la realtà (stiamo
parlando di biscotti industriali, che utilizzano ingredienti e modalità di
fabbricazione e di confezionamento del prodotto che non hanno più niente di
artigianale) e più la pubblicità tenta di nasconderlo mistificandoci; più la
famiglia nucleare cade a pezzi ed è in crisi, più la idealizziamo e desideriamo
vivere come quella del mulino bianco. C’è forse un’assonanza fra le due cose,
una qualche eco? Secondo me si, la famiglia idilliaca del Mulino Bianco
certamente non esiste, non è mai esistita, così come non esiste la famiglia
“sacrale” (sono le parole di Guido Barilla, di quale sacralità stia parlando lo
sa solo lui visto che di famiglie ne ha due; qual è quella sacrale: la prima o
la seconda? E se fosse la prima, perché l'ha dissacrata risposandosi? E se invece
fosse la seconda, la sacralità si trova per prove ed errori? E quand’è che sono
sicuro che quella che ho sia davvero quella sacrale? Troppe domande per uno che
si occupa di pasta).
Più questo modello di famiglia
imposto, sognato, vagheggiato, che struttura inconsapevolmente anche i nostri
più reconditi desideri, si fa etereo, evanescente, irraggiungibile, utopico e
più diventa necessaria la sua esistenza, più ci aggrappiamo ad idee deliranti
come il trovare la pace, la serenità, l’amore, l’affetto, la realizzazione, il
riconoscimento, …, all’interno della famiglia, più rendiamo rigidi i contorni
di questo modello di famiglia, più diventa necessaria e “naturale”, più si
sente la necessità di difenderla.
Ma difenderla da chi? Non da
tutte le assurdità che ci abbiamo messo dentro, da tutte le cose assurde che
non stanno né in cielo né in terra, dai nostri stessi limiti, dal fatto che
l’amore che dovrebbe legare i componenti della famiglia fra di loro non è un
Dio buono come crediamo, se dessimo ascolto al Socrate di Platone sapremmo che
esso è in realtà un demone e che un rapporto d’amore fra due persone è in
realtà una lotta continua, un tormento e un’estasi.
Che la coppia nucleare che noi a
torto riteniamo il modello naturale di coppia sia in realtà una creazione
culturale di questi ultimi anni lo dicono tutti coloro che si sono occupati di
coppia e di famiglia (ad esempio lo dice con molta autorevolezza Chiara
Saraceno nel suo Coppie e famiglie. Non è questione di natura, Feltrinelli,
Milano, 2012, 15 € e lo dicono altrettanto autorevolmente Michele Minolli e Romina Coin nel loro Amarsi, amando. Per una psicoanalisi della relazione di coppia, Borla, Roma, 2007, 25 €), basterebbe ampliare un po’ i propri orizzonti in fatto di
coppie e di famiglie, anche semplicemente osservare le assonanze e le
differenze fra le famiglie attuali e quelle dei nostri padri e dei nostri
nonni.
Se poi desiderassimo
approfondire, troveremmo solo l’imbarazzo della scelta fra sociologi,
antropologi e psicologi di coppia o familiari che si sono occupati di questi
argomenti acquisendo nel corso dei decenni un’esperienza e tutta una serie di
informazioni preziosissime che permettono di capire e di operare in situazioni
anche molto critiche, pima che possano precipitare nel controllo dell’altro,
nella violenza e nell’omicidio.
Credete che nelle trasmissioni
televisive o radiofoniche in cui si parla di coppia o di famiglia invitino
Chiara Saraceno o Michele Minolli (che sono due autorità in Italia su queste
questioni)? No, invitano piuttosto Carlo Giovanardi o Paolo Crepet.
Questa idea di famiglia
“naturale” che legioni di inadeguati paladini si affrettano a difendere a spada
tratta da nemici e detrattori (ma se è "naturale" che bisogno ha di
essere difesa?) è talmente fragile che basta una donna emancipata, un gay o
anche soltanto qualche persona di buon senso per metterla profondamente in
crisi.
In quanto ai suoi paladini, a chi
si erge come difensore, li chiamo inadeguati perché si tratta di uomini di
chiesa che hanno preferito per vocazione non avere una famiglia propria, di
politici, personaggi dello spettacolo e imprenditori che straparlano di
famiglie naturali, sacrali e quant’altro e molti di loro sono separati anche
più volte, fidanzati (alla tenera età di 78 anni), interessati a non
contrariare i dettami di Santa Romana Chiesa che pretende di esercitare un
potere sui corpi e sulle menti degli individui dalla nascita alla morte e persino
sotto le lenzuola matrimoniali.
E, infine, c’è il povero diavolo,
quello che entra in casa e la moglie e i figli lo salutano appena, quello che
si è convinto di essere diventato ormai il bancomat della famiglia, quello che
più è deluso dalla sua vita familiare più ne rilancia l’idea e la purezza, più
ne avverte la necessità, più ci va a sbattere contro come il calabrone continua
a tirare testate sul vetro perché lui vede la luce, non l’ostacolo.
O la povera diavola che, come
Marge Simpson, cucina tutto il giorno e poi il marito e i figli ingurgiteranno
tutto ciò che ha fatto senza nemmeno rendersi conto di che sapore avessero,
senza distinguere fra i suoi manicaretti e qualsiasi schifezza potesse comprare
per nutrire la famiglia, quella che è ormai diventata la serva che lavora,
cucina, stira, fa il bucato e si occupa di tutte le questioni amministrative
spicciole dell’intera famiglia.
Questi poveracci invece di
mandare tutto al diavolo, invece di sentirsi in colpa e inadeguati perché le
cose non vanno come dovrebbero e come avevano sperato, come era stato loro
fatto credere e tacitamente promesso dalle telenovelas, dalle fiction o dai romanzi della Collana Harmony,
difendono quest’idea come se fosse un delirio e riversano tutta la loro
insoddisfazione su chi a loro parere mette in crisi la “famiglia”.
Le donne emancipate, ad esempio,
i gay, chi convive, chi sceglie di non avere figli o le persone di buon senso
che coltivano qualche dubbio e relativizzano l’intera questione o anche solo
cercano di capire. Come può chi fa una scelta diversa dalla mia danneggiarmi?
Al massimo se presumo che la mia scelta sia quella giusta e la sua quella
sbagliata, questa persona danneggia se stessa. Come può uno che non si sposa
mettere in crisi il matrimonio? Se tanta gente non si sposa è perché il
matrimonio in sé non ha molto di allettante, se poi ci aggiungiamo che anche
chi si sposa si separa, forse l’errore non è nel non sposarsi, ma nel farlo.
Infine, una persona soddisfatta non ha necessità di trovare conferma delle sue
scelte di vita nelle altre persone, chi è soddisfatto è tollerante, è chi è
insoddisfatto che cerca compensazione nel sentirsi migliore di altri.
In genere queste persone non
cercano di essere migliori degli altri in attività in cui possono eccellere,
cercano semplici e banali scorciatoie, di essere migliori “a buon mercato”; pretendono
di essere migliori di chi è nato da un’altra parte, di chi appartiene ad un
altro popolo, di chi ha il colore della pelle diverso dal loro, di chi parla
un’altra lingua, di chi fa scelte sessuali diverse dalle loro, o semplicemente
perché loro si sono sposati in chiesa o si sono sposati (come se la formalità
di un rito o di una cerimonia desse automaticamente un valore superiore alla
scelta stessa e a chi opera quel tipo di scelta, come se una casualità o una
scelta formale potesse farmi essere migliore di ciò che sono o migliore di
chiunque altro, solo per averla fatta).
Voglio ricordare che tutta la
questione con Guido Barilla è nata in seguito alle dichiarazione della
Presidente alla Camera Laura Boldrini che ha inveito contro gli spot che
mostrano la donna ancora in ruoli subordinati, come servire a tavola, come se
fosse suo compito esclusivo, e che Barilla, chiamato in causa dalla
stucchevolezza degli spot da Mulino Bianco dove il ruolo della donna è proprio
questo, abbia risposto nel modo che sappiamo, riuscendo ad inimicarsi
contemporaneamente e le donne e i gay.
Ci riflettiamo poco in genere, ma
la Boldrini ha ragione su certi automatismi che diamo per scontati, quando una
coppia viaggia insieme nella stessa macchina, chi è che guida in genere? E chi
cucina? Chi sparecchia? Chi porta i bambini a scuola? Chi si occupa delle
faccende domestiche? L’altro aiuta, ma a spot, all’occorrenza, o è un aiuto
continuo su cui potete contare? Chi parla con i figli in difficoltà? Quali
differenze notate nel rispettivo ruolo educativo? Come ti guardi le unghie
delle mani (ora chiedilo ad un uomo se sei una donna o ad una donna se sei un
uomo e noterai la differenza)? Come ti guardi la suola dei piedi o delle scarpe
e come lo fa il tuo partner? Esistono ancora molti automatismi che sono
differenti nell’uomo e nella donna, molte cose che diamo per scontato che siano
così, che ci sembrano quasi naturali, mentre in realtà sono frutto di
educazione, modellamento e di identificazione di genere che scambiamo per legge
universale, che sanciscono nell’ambito sociale, nella famiglia allargata e nel
gruppo familiare ristretto compiti, ruoli e soprattutto una stima di sé come
individuo e il corrispettivo benessere ad essa associato.
Il fatto che esistano questi
automatismi, che implicano rapporti di coordinazione o di subordinazione, di
superiorità o di inferiorità, e di valore fra gli individui, non è dovuto
all’automatismo in sé, ma al senso che noi gli diamo.
In altre parole, se tendiamo a lasciare
o a dare per scontato che sia la donna a cucinare in una famiglia, ciò non
significa che il problema sia cucinare, ma il senso che noi diamo a
quell’evento e le implicazioni che ne derivano; se il senso è che cucina la
donna perché cucinare è noioso e meno nobile e chi lo fa si pone
automaticamente in un rapporto di subordinazione rispetto a chi non lo fa,
cucinare diventa meno appetibile e si trasforma in una imposizione o in
qualcosa di mal tollerato (quando non subentra addirittura un’adesione a questo
giudizio: siccome sono donna e valgo meno di un uomo, è compito mio occuparmi
delle faccende più noiose e meno nobili).
L’errore storico delle donne
emancipate è stato quello di abbandonare la cucina (dando così per scontato che
cucinare fosse noioso e meno nobile) per competere con l’uomo su territori che
si supponevano più nobili e più appetibili, dimenticando che qualsiasi cosa una
persona (non importa se uomo o donna) sappia fare è un bene per lei e per gli
altri ed è anche un valido strumento di prestigio e di potere sugli altri, a
maggior ragione da potere e prestigio l’attività tesa a nutrire tutta la
famiglia.
Ci sono state donne molto in
gamba che hanno dominato uomini indomiti e riottosi, figli ribelli e poco
malleabili curando la semplice arte di selezionare i prodotti che arrivano in
tavola e di trasformare le materie prime in cibo prelibato…in fondo si tratta
della vetusta dialettica fra il servo e il padrone che si ripropone in quasi
tutti i rapporti umani e il cui esito (la sintesi) non è scontato, tutt’altro …
ma evidentemente Guido Barilla non ha letto mai la Fenomenologia dello spirito
di Hegel, nonostante abbia frequentato corsi di filosofia.
A suo merito c’è da dire che,
finalmente, Guido Barilla si è scusato senza se e senza ma, e senza aggiungere:
“sono stato frainteso” ( http://www.barillagroup.it/), ma io sono
diffidente verso i cambiamenti repentini, che possono essere adottati più per
convenienza che per mutata convinzione. Dov’è un Don Chisciotte che combatta di
nuovo contra todos los molinos blanco?