giovedì 14 settembre 2017

PESTO VI COLGA







Ogni mattina in Africa, quando sorge il sole, una gazzella si sveglia e sa che dovrà correre più del leone o verrà uccisa. Ogni mattina in Africa, quando sorge il sole, un leone si sveglia e sa che dovrà correre più della gazzella o morirà di fame. Ogni mattina a Firenze, quando sorge il sole, una studentessa americana si sveglia e sa che dovrà correre più della gazzella dei carabinieri o sarà stuprata. Ogni mattina, in Africa o a Firenze, non importa che tu sia gazzella, leone, studentessa o carabiniere, appena sorge il sole è bene che tu cominci a correre.
Un agente delle forze dell’ordine dovrebbe mettersi al servizio del cittadino, non “fargli il servizio”; se c’è stata violenza (la forma dubitativa è d’obbligo per chiunque non abbia assistito di persona), come sembra, questi carabinieri hanno tradito tutto ciò che c’era da tradire: lo Stato, l’Arma dei Carabinieri, lo spirito di servizio, i cittadini che si fidavano della divisa, le donne tutte, il consorzio del genere umano, la loro famiglia e se stessi.
Auguro a tutti i deficienti che hanno messo in dubbio le accuse delle ragazze americane prima ancora di capire se erano basate su prove solide e circostanziate, che accada loro esattamente ciò che è accaduto alle due ragazze a Firenze: se si trattava di un rapporto consenziente, allora trascorreranno una piacevole serata in compagnia di due baldi rappresentanti dell’arma; se si è trattato di violenza però la prenderanno in quel posto doppiamente, la prima in senso fisico e la seconda perché incontreranno legioni di imbecilli dopo che diranno che se la sono cercata o che si stanno inventando tutto.







Ogni tanto, nel vano tentativo di aumentare i visitatori di questo blog, i commenti, i like, i cuoricini, i sorrisini, i filippini … alterno immagini pornografiche a ricette di cucina; ma se sulla pornografia non ho alcuna possibilità di battere il blog di Beppe Grillo, Radio Maria o il quotidiano Libero, sulle ricette l’ultima parola deve essere ancora detta, l’ultimo brodo ancora fatto e l’ultimo dado tratto.
Non vi sarà sfuggito che a qualsiasi ora, in qualsiasi stagione, in uno qualunque dei canali televisivi siate collegati troverete sfigolar di padelle, rimestare di mestoli, tintinnio di forchette, clangore di paioli e calderoni, batterie di pentole schierate in rivista, presentatrici completamente inette all’arte culinaria che vi spiegano come fare il vitello alla Stroganoff o una Saint Honorè.
Non c’è trasmissione in cui manchi un cuoco, un sottocuoco, un apprendista, un lavapiatti, non c’è argomento in cui non venga consultato uno chef, dalla composizione del governo, alla questione degli immigrati, al terrorismo o per quanta pasta fillo serva per costruire il ponte sullo Stretto.
E allora … venghino siore e siori, che oggi voglio regalare la roba, oggi mi voglio rovinare, oggi so’ ascito pazzo e mi voglio cimentare in una ricetta semplice, molto famosa, ma proprio per questo difficile da proporre perché in tutte le cose semplici ed elementari, se ti vengono male è una disfatta, come non saper fare nemmeno due uova al tegamino, e se ti vengono bene o discretamente, comunque non hai scritto alcuna nuova pagina nel Reader’s digest dell’arte culinaria, l’unico risultato accettabile è che ti vengano benissimo.
Voglio insegnarvi come si fa il pesto alla genovese, si avete capito bel il pes-to al-la ge-no-ve-se; anche se sono siciliano e vivo in Veneto dove è molto raro che troviate un pesto al basilico ben fatto … però ho avuto una zia emigrata a Genova, che aveva un ristorante a Sampierdarena, e faceva un pesto eccellente oltre a un’ottima cucina siciliana (e questo conterà pure qualcosa) e a Genova ho incontrato anche il mio primo grande amore, che veniva dalla Svezia, che a 14 anni era alta già un metro e ottanta, che aveva occhi verdi come smeraldi, che si illuminavano ogni volta che mi vedevano e che ogni volta che rideva sbocciavano i fiori.
A Genova ho vissuto molto intensamente, vegliavo la notte e dormivo di giorno, mi piaceva moltissimo il suo caratteristico odore di salmastro e di muschio bianco che la caratterizza … perché ogni città ha un suo odore specifico, diverso da quello di chiunque altra … ad esempio a Venezia c’è il tipico odore malva e a Taranto c’è il tipico odore “ilva”; per me che venivo dalla sonnolenta Sicilia sud-orientale la città mi è sembrata molto frenetica e avventurosa, ci ho rischiato anche la vita in una di quelle sere.
Dorina era una bellissima e simpaticissima ragazza con un caschetto biondo in testa che col suo muoversi a scatti e con l’incapacità intrinseca che aveva di stare ferma, svolazzava deliziosamente sulla sua testa come fossero ali di pipistrello spiegate o vele capite; i suoi occhi sorridevano sempre, anche quando piangeva e il suo entusiasmo era in genere contagioso, incontenibile e travolgente.







Genova

Genova



Purtroppo ebbi la sfortuna di esserle simpatico e si mise in testa di farmi visitare la città, i suoi luoghi caratteristici, di notte, a bordo della sua 126 o in sella al vespone che mi aveva pietosamente prestato mio cugino quando ha saputo che giravo con quella matta: diceva che ero troppo giovane per morire in un incidente stradale in una città sconosciuta… io guidavo e lei mi telecomandava da dietro (praticamente la sorte dell’uomo sposato e senza essere passato dal prete).
Una sera mi porta in un quartiere nuovo, Pegli … Voltri … Bolzaneto…non ricordo … ricordo però il nome del locale in cui entrammo Le mosche bianche; prima di fare il nostro ingresso mi si parò di fronte tutta trafelata e mi disse: “Fa finta di essere il mio uomo!”. “Come?” replicai; “Si, comportati come se stessimo insieme!”. “Ma che devo fare?”, “Tacchinami un po’ …”, “Cosa? U tacchinu jù??? E se poi alla fine qualche mafioso si domandasse: 'Scusate, si può sapere cu minchia era ca facieva u tacchinu?'”, “Oh, ma non vi insegnano niente a voi in terronia? Prendimi per mano, abbracciami, cingimi la vita, accarezzami i capelli, baciami…”, “Seh, baciammi, tanto tanto intensammente, con il cuore e con la mente, come se io fossi li … farò del mio meglio ma per….” e non finii la parola perché lei tagliò corto, abituata a comandare riteneva di aver perso già fin troppo tempo con inutili spiegazioni, era una tipa da “Fallo e basta!”.
Entrammo, e per i primi cinque minuti non mi sembrava molto pericoloso il gioco che stavamo facendo, anzi era decisamente piacevole, lei mi abbracciava, mi stringeva la mano con le sue dita intrecciate alle mie, appoggiava la sua guancia sulla mia rasata di fresco, e la sua testa sulla mia spalla lasciando che gliela accarezzassi, poi all’improvviso, come di scatto, mi si avventò contro e mi scoccò un bacio, ma di quelli veri e non per finta, sentivo tutto l’umore della sua saliva, quel sapore delizioso e indescrivibile che ha la bocca di una donna eccitata o innamorata e la sua lingua che roteava (si vede che si era identificata fin troppo col personaggio).
Quasi immediatamente compresi il motivo di quel bacio improvviso, da lontano… Caron dimonio con occhi di bragia…due occhi che sprigionavano fuoco e fiamme mi guardavano con malevole intenzioni, se avessero potuto fulminarmi io oggi sarei soltanto un mucchietto di cenere; agli occhi stava attaccato un ragazzone alto fra un metro e ottanta e uno e novanta (propendo più per la seconda ipotesi, a meno che il terrore che mi coglie alla vista del sangue, soprattutto quando è il mio, non mi abbiano fatto ingigantire le dimensioni), con una struttura ossea e muscolare particolarmente sviluppata che congiunta ad una lieve microcefalia lo rendevano particolarmente temibile … mi sentivo come Rocky Balboa quando Ivan Drago, il gigante russo con i capelli a spazzola gli disse: “Ti spiezzo in due!”.
Il ragazzone parlò concitatamente con un suo collega cameriere, evidentemente perché voleva venire di persona a servire il nostro tavolo, poi si avviò deciso verso di noi e io, pur essendo un pacifista convinto (sebbene quando vedo zanzare mi sale il sangue agli occhi e sono pronto a fare una strage più di un seguace dell’Isis),  pensai che mi sarei difeso con tutte le mie forze: in fondo ero cintura verde di karate, e che diamine … qualche mae-geri, o mawashi-geri sarei riuscito a piazzarglielo … e forse sarei sopravvissuto al primo round … in fondo ero troppo giovane per morire per un bacio con la lingua e una foto io e lei abbracciati stretti stretti alla macchinetta automatica della stazione Principe alle tre di notte.
Quando è giunto al tavolo mi guardava con rabbia e con disprezzo, mentre a lei faceva gli occhi dolci … e vai a capire la psiche umana, perché li l’unico che non c’entrava nulla e non aveva alcuna colpa ero io, eppure se avesse potuto disintegrarmi mi avrebbe disintegrato e oggi sarei un cassaintegrato (nel senso di disintegrato e inscatolato in una cassa di noce o di mogano); comunque, quando chiese cosa prendevamo tirai un sospiro di sollievo che le velature di tutte le barche del porto si gonfiarono e premettero sull’ancoraggio, come se volessero prendere il mare aperto … ma subito dopo avergli chiesto un caffè cominciai a temere l’avvelenamento.
Comunque Mario (non ricordo come si chiamasse, mi pare Mario, ma poteva benissimo essere Zâne o Serafìn) ci portò i caffè (mi ero detto che era meglio stare svegli e pronti per qualsiasi evenienza) e quel caffè era pure particolarmente buono; ci fu qualche altra carezza, ma sempre in campana, non si sa mai, passato l’obnubilamento mentale di vedere la tua ragazza che bacia un altro in un tavolo del locale in cui lavori, lo shock della provocazione, ora il delitto diventava intenzionale, doloso e le pene previste erano più severe.










Ci fu una nuova scossa elettrica quando Dorina andò alla toilette, lui mi si avvicinò e mi disse: “Belìn, ma proprio qui dovevate venire?”, con quella cadenza tipica della parlata ligure, che ad un siciliano sarebbe parso un gelese quand’è ubriaco; stavo quasi per replicargli che io neanche lo conosco, né sapevo di trovarlo li, ma lui come già lei non aspettavano repliche né spiegazioni, così rinunciai.
In ogni caso non vidi l’ora di uscire da quel posto, mi guardai cautamente tutto intorno per evitare un agguato nei vicoli, magari armato di un coltello da cucina o di uno snocciolatore di olive, poi diedi una pedalata alla messa in moto, feci cenno alla mia donna di saltare in sella come se fossi Jack Nicholson in Easy Driver, Marlon Brando in Fronte del torto, ingranai la prima e per poco non feci impennare la bestia.
Ma prima di cimentarvi a fare un pesto, prima di svelarvi gli ingredienti segreti e i trucchi del mestiere, è imprescindibile che voi assaggiate un buon pesto genovese, il migliore o uno dei migliori: quindi mettete nella vostra agenda un week-end didattico esplorativo nella città della Lanterna, perché non potrete mai fare un buon pesto se non conoscete il sapore di quello buono di Genova.
Andate a colpo sicuro alla Trattoria da Maria in vico Testadoro, piccola salita alla base di via XXV Aprile, nel centro di Genova, la scià Maria è morta da qualche anno, ma ha lasciato la sua preziosa ricetta al figlio, alla nuora e alla nipote che porta il suo nome, ordinate le trenette o gli gnocchi al pesto, con patate a fagiolini bolliti che lo rendono un piatto unico e beveteci sopra un bel bicchiere di vermentino o di albarola.
In alternativa, vanno benissimo anche Il genovese, in via Galata, Raibetta in vico dei Caprettai, in cui lo potrete abbinare ai mandilli de saea, cioè delle lasagnette genovesi, rettangoli di pasta sottile conditi con questa preziosa crema verde, o se vi allontanate un po’ dal centro cittadino e vi spostate al passo del Turchino, tra Genova Voltri e Masone, troverete Baciccin du caru, che lo fa ancora col mortaio e ve lo propone con gli gnocchi di patate quarantine (una varietà ligure antica quasi scomparsa) o con fettuccine e maltagliati “avvantaggiati” fatti con farina di castagne.
Fatta questa necessaria esperienza è bene che cominciate a familiarizzare con la cultura e il modo di essere del genovese, perché per fare un buon pesto dovrete cercare di assomigliare quanto più possibile come carattere ad un genovese, la cui cifra caratteristica è una spiccata cautela e un’accentuata parsimonia.
No, non sto avallando la diceria che i genovesi sono tirchi, taccagni, spilorci, sparagnini, nooo, tutti quelli che ho incontrato io anzi erano particolarmente generosi, e raramente andando in giro da quelle parti mi hanno lasciato offrire anche solo un caffè; vi basta sapere che un’estate invitai a casa mia cinque amici conosciuti a Genova, genovesi DOC che, bando all’avarizia, portarono in dono un preziosissimo vasetto di pesto genovese di ben 120 gr., “È la volta buona che invito a pranzo tutto il quartiere - pensai -  così anche gli abitanti della bassa siracusana assaggeranno questa salsa nordica particolarmente raffinata”.









Potrei iniziare a dirvi di procurarvi uno … anzi due mazzetti di basilico di Pra, meglio abbondare, il basilico è l’unico ingrediente su cui il genovese abbonda, visto il costo contenuto, perché è a km zero e a prezzo zero visto che può coltivarselo da solo, coglietelo foglia per foglia, eliminando il peduncolo, lasciando solo le parti tenere, evitate i tronchi insomma, perché i tronchi sono robe industriali e voi siete un laboratorio artigianale, una fucina del gusto.
Lavate le foglie e controllatele una ad una immergendole in acqua fredda molto rapidamente, non lasciandole in ammollo insomma, fate almeno tre o quattro acque (dipende da quanto sono sporche di terra e da quanto deposito lasciano sul fondo, in ogni caso l’ultima acqua deve essere limpida), passatele con un asciuga insalata e stendetele ad asciugare ulteriormente su un asciugapiatti; tutto questo (la raccolta, il lavaggio e l’asciugatura devono avvenire molto delicatamente, perché le foglie stropicciate e maltrattate renderebbero amarognolo il vostro pesto).
Se non avete il basilico di Pra, come possiamo presumere, e non lo coltivate in casa come faccio io a partire dai semi di basilico genovese, procuratevi comunque un buon basilico, che sia molto profumato, con le foglie di un verde chiaro e piccole, quello a foglie enormi e scure, molto profumato anch’esso, tipico del meridione, non è adatto perché ha un sapore molto intenso, e il pesto deve essere delicato.
Comunque sia, se non avete di meglio, fatelo con quello che avete, tanto male che vada anche se usate foglie di cicoria non può venirvi peggio del pesto Barilla.
La questione del basilico BIO è una cavolata, ma che vuol dire BIO? Un basilico DEVE essere BIO per forza anzi, tutto ciò che mangiamo dovrebbe essere BIO; gli antiparassitari, gli anticrittogamici e i concimi chimici dovrebbero essere proibiti nella produzione di alimenti, perché ci sono fascicoli e faldoni di evidenze scientifiche che dicono che questi prodotti nuocciono alla salute e possono causare la morte, quindi il BIO insapore che costa di più da parte di aziende che producono anche il NON-BIO è una presa per il culo ed io mi rifiuto categoricamente di acquistare da queste aziende sia il BIO sia il NON-BIO.
Mi viene da ridere, poi, quando leggo alcune ricette che prescrivono l’uso di basilico DOP, tutto il basilico prodotto nei dintorni di Genova non basterebbe a garantire la produzione di pesto industriale di una sola delle aziende che si fregiano di usare il basilico DOP, per soddisfare tutte queste aziende i genovesi dovrebbero coltivare basilico pure in vasca da bagno o staccare le mattonelle del salotto e piantarvi un orto.
E poi, volete forse suggerirmi che io ogni volta che faccio il pesto dovrei venire a comprare il basilico a Genova? Sarebbe il pesto più costoso di tutti i tempi, anche perché non vedo sul mercato piantine di basilico DOP genovese, il basilico è una piantina fragile che ha di solito breve durata, sarebbe impossibile trasferirla dai vivai liguri in vasi di plastica ed esportarla in tutta la penisola, isole comprese … quindi tralasciamo il DOP per i non liguri.


Olio Bono ... naturalmente






Genova



L’olio invece deve essere necessariamente ligure, o comunque un olio extra vergine a bassa o bassissima acidità perché ogni singolo ingrediente del pesto ne venga esaltato e non alterato: provate vari tipi di olio finché non troverete quello che vi sembra più indicato.
Sul pesto, poi, ci vanno i pinoli e non si discute, mandorle, noci, nocciole e quant’altro non solo sono controindicati, ma a volte sono pure un accostamento innaturale, come nel caso sempre più frequente di uso degli anacardi per sostituire i pinoli, che troverete in moltissimi vasetti di pesto industriale: gli anacardi costano molto meno, e danno un sapore più aspro, quasi immangiabile al prodotto.
Gli anacardi, ma vi rendete conto? Roba che viene dal Sud America! Beh, anche i pomodori vengono dal Sud America! Ma che c’entra, i pomodori sono arrivati prima, siamo già all’ennesima generazione coltivata in vitro di questi oriundi sudamericani nati in Italia che usufruiscono dello ius soli mio sta ‘nfronte a tte, gli anacardi arrivano ancora clandestini con i gommoni e preparano attentati terroristici al senso del gusto.
E poi, tutto quello che è ana, cioè tutto quello che sta sopra, intanto non è l’originale e poi mi sta sulle scatole per questo atteggiamento di superiorità … sopra la panca la capra canta …: per ciò a me piace Capri e non Anacapri, piace Nas e non Ananas, piace Lisi e non Analisi, piace Mnesis e non Anamnesis e vogliamo metterci sopra anche il carico da undici di quella tizia che esclamò: “Buone queste caramelle al gusto di seueue”, “De che? Posso vedere?”, giri la caramella e leggi ananas (sɐuɐuɐ).
Vi chiederete come mai i sobri genovesi utilizzino un prodotto particolarmente costoso sul mercato nella loro salsa più famosa, visto che per una bustina da 20 gr. di pinoli dovrete vendere un rene al mercato nero degli organi, il motivo è semplice, un tempo in Liguria c’erano più pini che persone, bastava tirare un colpo per far cadere giù qualche pigna, estrarre i pinoli dagli strobili, ed avevi un quantitativo di frutta secca per tutta la stagione.
Delicatissima è invece la faccenda dei formaggi che vanno ad arricchire questa salsa e a renderla cremosa, il quesito è quale o quali usare e perché, intanto vi dico che c’è una vera e propria faida fra i sostenitori del parmigiano e quelli del grana padano, io da sempre mi sono schierato dalla parte dei parmigiani, perché questo formaggio mi piace più del grana e perché da qualche anno tutto ciò che è padano mi fa girare le palle.
La parte avversa sostiene che è più plausibile che la ricetta antica dei vecchi genovesi prescrivesse l’uso del grana, perché la zona di produzione è più estesa ed era più facile entrare in contatto con ruote di grana che con ruote di parmigiano; io non condivido questa idea, perché comunque il grana non si produce in Liguria e perché Parma, Modena e Reggio non sono più distanti da Genova di Alessandria, Lodi e Asti.









Al gusto rotondo e un po’ terroso del parmigiano dovrete però abbinare il gusto più intenso e pastoso di un buon pecorino romano, uno di buona qualità, non alcuni seppure marchiati con la DOP che sanno solo di sale e rovinano il gusto delicato e intenso di un buon pesto: provate ogni formaggio prima di usarlo, assaggiate sia il parmigiano sia il pecorino e ogni scaglia che mettete in bocca dev’essere una pepita di gusto, un’esplosione dei sensi, nel dubbio scartate, lasciate solo ciò che vi convince.
Infine l’aglio, si l’aglio, se anche solo vi fate la domanda: ci va o non ci va? è meglio lasciar perdere, chiudiamola qui, non siete tipi da pesto, andatevi a farvi due spaghetti al pomodoro e buonanotte…non è pensabile un pesto senz’aglio, solo Barilla poteva realizzarlo…fate un piccolo test, quando andate in un supermercato, nel reparto sughi e vasetti afferrate uno ad uno i pesti genovesi e leggete gli ingredienti, tenendo presente che i primi sono quelli contenuti in proporzione maggiore, guardate che olio usano, quali formaggi, quale basilico, quale frutta secca e fatevi due risate su tutto il resto: io ho letto anche “può contenere tracce di pesce o di molluschi … il pesto genovese? E come ci sono arrivati, il basilico gran tombeur de femme ha invitato a casa sua vongole e sardine, o si è aperta la scatola di sardine o il vasetto delle vongole e hanno organizzato insieme un toga party? E poi, tracce … o traccie come dice il Ministero dell’Istruzione, che vuol dire? Pare di avere a che fare con le scie chimiche.
I pesti in vasetto fateli mangiare al signor Barilla, al signor Giovanni Rana (il cui pesto contiene traccie di Giovanni Rana, che essendo un anfibio nuota benissimo nell’olio di palma d’estate e nell’olio di fegato di merluzzo d’inverno), al signor Tigullio, al signor Biffi, al signor Buitoni, al signor Saclà, al signor Knorr … e parlo solo delle marche che mi vengono in mente, le più note e del pesto tradizionale, e taccio per decenza sul pesto di tofu, di seitan o di canapa.
Usate un aglio dal gusto delicato, i genovesi vi suggerirebbero quello di Vessalico, meno forte e più digeribile, una buona alternativa è l’aglio rosso di Nubia, di Trapani o di Paceco, oppure alcuni agli francesi, provate e troverete quello giusto, in ogni caso mettetene meno ed eliminate il nerbo centrale dello spicchio, usando solo la capsula esterna. Qui in Veneto trovo solo un aglio particolarmente forte, sembra quasi che si attendano di essere invasi da un’ondata di rom della Transilvania.
Il sale va quello marino, of course.
Se non siete particolarmente tradizionalisti, se non avete una mezza giornata buona da perdere ma, soprattutto, se non avete un mortaio, usate pure un frullatore elettrico, usando però l’accortezza di mettere per una buona mezzora abbondante in freezer il contenitore del frullatore, il suo coperchio e le lame e pur anche i pinoli, in questo modo eviterete di surriscaldare il basilico che diventerebbe scuro ed amaro.







Genova - Cattedrale di San Lorenzo


Essere tradizionalisti significherebbe, invece, pestare tutti gli ingredienti col pestello su un mortaio di marmo, a partire dal sale e dai pinoli, fino a farne una farina e subito dopo aggiungerete il basilico, i formaggi, l’aglio e l’olio; in questo modo otterrete un pesto più denso e cremoso, molto più omogeneo e con un sapore decisamente migliore.
Ma ricordatevi di ripetere a voi stessi, meglio se a voce alta e per tutta la durata del procedimento: “Sono genovese, sono genovese, sono genovese!”, e questo perché questo mantra per entrare nella parte è meglio del metodo Stanislavskij e vi eviterà di sbagliare.
Per prima cosa mettete quasi tutto il basilico dentro, tranne un ciuffetto per ulteriori aggiustamenti finali (che se vi avanza ci guarnirete gli spaghetti al pomodoro di cui sopra), mettete un po’ d’olio a filo, quanto basta per non fare girare i rotori a secco e a non fare ossidare rapidamente il basilico una volta tritato in contatto con l’aria; poi mettete i pinoli e continuate a tritare col pulse, quello che potete regolare voi con le dita, quindi aggiungete il formaggio tagliato in tocchetti piccoli o grattugiato, in proporzioni più o meno uguali (io faccio predominare un po’, ma solo un po’, il pecorino, che da un gusto più deciso).
Aggiungete piano piano i vari ingredienti all’occorrenza, se è liquido pinoli o formaggio, se è troppo denso l’olio, se è troppo chiaro il basilico (il colore finale dev’essere verde intenso, non verde pastello e il sapore del basilico deve predominare su tutto), i formaggi danno sapore, intensità e cremosità, ma non esagerate perché se no fate la quattro formaggi con un po’ di basilico, l’aglio deve sentirsi ma non esageratamente ed è l’ingrediente più difficile da gestire, perché se non lo mettete affatto o ne mettete troppo poco vi siete giocati l’anima del pesto, se ne mettete troppo saprà solo da aglio, in pratica più uno tzatziki greco o un gazpacho andaluso o un’aiolì nostrana che un pesto genovese.
Tenete però presente che il gusto anche intenso dell’aglio mentre assaggiate, tende col tempo, già il giorno dopo ad attenuarsi e ad addolcirsi parecchio, per cui appena tritato l’aglio deve beccare un po’, ma non troppo, infine regolate di sale e anche il sale tende a sentirsi troppo ma si attenua nelle ore successive, quindi anche al gusto il pesto dovrebbe essere leggermente troppo salato, senza essere acqua di mare.
È una salsa che va fatta a piccole aggiunte, come se faceste economia di ingredienti, come se pensaste che sarebbe meglio che la roba rimanesse e non venisse usata tutta, ma che è un peccato non farlo bene, ecco il genovese che è in voi e che può servire meglio di qualsiasi altro humus culturale per fare in maniera eccellente un pesto, perché il genovese pensa che sarebbe un peccato sprecare la roba usandola in eccesso e sarebbe altrettanto peccato farlo male, farlo senza sapore.




È un po’ come la Dorina di cui vi ho parlato prima, che adesso è sposata e ha due figli (né troppi, né troppo pochi), che volendo ingelosire il suo ragazzo mi da un bacio senza troppo trasporto e senza grande intensità, ma che comunque sarebbe un peccato sprecarlo del tutto e usa la lingua.
Esistono donne così che non sanno fingere e che non sanno recitare, se devono darti un bacio, anche per finta, te lo danno davvero, mettendoci tutte se stesse, esistono donne vere come lo era Anna Magnani, che non interpretava, che non sapeva recitare, che nel finale del film di Roberto Rossellini Roma città aperta, quando corre dietro al camion dei nazisti gridando: “Francesco, Francesco!!!”, ama davvero quel Francesco, quell’uomo è davvero suo marito, e muore davvero per una raffica di mitra e non le importa di morire perché muore per amore, o come Maria Callas che si innamora di Aristotele Onassis e lo amerà per tutta la vita, contro ogni evidenza, l’unica donna che abbia mai amato l’armatore greco disinteressatamente, di amore sincero, e che ama Pier Paolo Pasolini in maniera disperata, perché lui non potrà mai ricambiarla come lei vorrebbe, è Lucia di Lammermoor folle d’amore per Edgardo, è Norma … Casta Diva, che inargenti queste sacre antiche piante, a noi volgi il bel sembiante, senza nube e senza vel (Norma, preghiera, Atto I) … che si immola in olocausto per amore e perché non regge la colpa, è Medea che non esita a sacrificare i suoi stessi figli per il folle amore che prova per Giasone.
Il pesto genovese: la storia.

Vespaiolona di Breganze


A Genova ... e ai genovesi, che in realtà sono le persone più generose che io conosca ... se non altro per scrollarsi di dosso l'etichetta di taccagneria.  



21 commenti:

  1. Sono impressionato dall'evolversi delle violenze sulle donne. Avvengono nell'arco dell'anno, però ho notato che in estate e a fine estate la situazione peggiora terribilmente. Si, hai ragione, che sia Africa o Firenze il rapporto che hai fatto è tremendamente attuale con la gazzella che deve correre (ma correre forte! E magari non basta) perché il leone se la mangia. E così la società "bestiale" in cui viviamo ha aumentato a dismisura il rapporto fra un violentatore e la vittima che subirà il trauma. Per non parlare poi del femminicidio (altro capitolo lugubre). Violenze che vengono messe sui vari mass media e spariscono nel giro di qualche giorno ma sono traumi che non finiscono mai e segnano le donne per tutta la vita. Quando ho letto il tuo post, così a primo acchito, non so perché ma ho pensato a Nietzsche quando diceva "Se guarderai a lungo nell'abisso, l'abisso guarderà dentro di te", una riflessione che mi ha sempre fatto un po' rabbrividire, perché penso che la vittima di una violenza viva un abisso fatto di dolore, sofferenza indicibile e varie altre sfaccettature del dramma.

    Però mi fa piacere che hai toccato un argomento come il pesto...sai com'è sono Ligure e ho vissuto a Genova per tanti anni e, sin da bambino, mia madre, le zie, i vicini di casa e tanti altri conoscenti il pesto lo mettevano un po' ovunque quando si trattava di mangiare. Mi permetto di dilungarmi (per carità, non me la tiro da cuoco) ma quello che dirò fa bene quando sei a tavola. Ad esempio, oltre alle splendide leccornie delle foto che hai mostrato, consiglio alcune gradevoli divagazioni sul tema come ad esempio linguine, pesto e cozze. Oppure metti un po' di pesto nel piatto e ci condisci il polpo lesso con le patate, se vuoi accompagnato da qualche gambero. Poi c'è la "galletta del marinaio", storico alimento dei marinai genovesi e liguri. Pensa che nel '700 e '800 ogni marinaio che firmava un contratto di imbarco a Genova aveva diritto ad una sacca di dieci chili di gallette secche solo per lui. La galletta viene ammollata con un po' d'acqua e olio, poi un po' di pesto sopra insieme a pesci che vengono bolliti o cucinati in precedenza come pezzetti di branzino, pezzetti di seppie, i gamberi e qualche pomodorino. Puoi fare la stessa cosa con le friselle...beh, mi fermo qui!

    Un salutone e grazie per i tuoi post che mi piacciono sempre molto.

    P.S.; quando vedo in televisione la pubblicità di quei variegati pesti di consumo alla fine penso sempre; "Si, vai bravo! Mangiatelo tu quel pesto lì!". Io da più di trent'anni il pesto me lo faccio da solo a casa mia e sono importanti tutti gli ingredienti, soprattutto il parmigiano e il pecorino. Da qualche anno lo faccio con pochissimo aglio. Forse perché passati i cinquant'anni mi resta un po' indigesto

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    1. Sei un buon osservatore, in estate c’è un’incidenza maggiore dei crimini violenti, un inasprirsi di alcune patologie mentali e un interesse maggiore per i fatti di cronaca: questo crea un’attesa maggiore per cui ogni fatto viene enfatizzato , e questo a sua volta fa si che fatti simili possano accadere perché all’esercizio della violenza si sommano gli onori della cronaca … un cretino qualunque diventa un mostro assassino, una scartina diventa un boss della mafia e via narrando.
      Purtroppo metti il dito nella piaga, chi è vittima di abusi e di violenze si porterà addosso nella carne questo stigma per tutta la vita, ci si può convivere, ma il prezzo che si paga è in genere troppo grande; chi da vittima passa ad essere il carnefice, chi contribuisce a far si che si commetta su altri ciò che lui ha subito e chi rimane indifferente pur avendo compreso o avendo qualche sospetto, difficilmente è recuperabile all’umanità, ma non ha in genere sensi di colpa, il suo unico problema è quello di evitare la galera o il disprezzo altrui.
      Sul guardare l’abisso, ci avevo scritto un post sul cannocchiale, ed è vero che se guardi a lungo un abisso, anche l’abisso guarderà dentro di te, lo trovo un pensiero di una profondità infinita: tutto ciò che con rabbia, con disprezzo, con sufficienza, rimproveriamo agli altri è anche dentro di noi, l’abisso siamo noi, l’abisso è tutto ciò che rifiutiamo di essere e possiamo vederlo (solo per condannarlo e rifiutarlo) solo fuori di noi.
      So che sei ligure, me ne avevi parlato e ho pensato anche a te scrivendo questo post, il pesto genovese l’ho conosciuto tramite mia zia, che d’estate veniva in vacanza da noi e che ogni volta che faceva il pesto diceva che il nostro basilico è troppo forte, troppo intenso; con mio padre erano riusciti ad ottenere tramite incroci un basilico molto simile a quello genovese (la terra di Sicilia è comunque troppo carica per produrre aromi che abbiano un gusto delicato, tutto ciò che viene fuori è intenso e deciso.
      A me il pesto piace moltissimo, qui in Veneto invece non trova molte simpatie in genere, e lo metto dappertutto; l’ho provato anche sulla pizza, al posto del pomodoro, ma non è stata una buona idea, poi ho aggiunto qualche goccia di pesto sopra il pomodoro, e già l’idea è stata migliore.
      Proprio questa sera, in occasione di alcuni amici venuti a cena, ho fatto una pirofila di patate tagliate a fette di pochi millimetri, alternate con uno strato di funghi porcini freschi, tagliati a fette a crudo dopo essere stati puliti, e di nuovo uno strato di patate a fette, olio (poco) e sale, a fine cottura aggiungi il pesto con un cucchiaino e una buona spolverata di parmigiano.
      Io ho iniziato a fare il pesto da solo molti anni fa su incitazione di mia zia che mi stimolava a coltivare il basilico e, soprattutto, perché non mi piace nessuno dei pesti in vasetto, sia quelli commerciali delle grandi aziende, sia quelli delle piccole aziende produttrici, magari liguri, magari con stabilimento a Genova, sia quelle bio artigianali … sarò presuntuoso, ma è molto meglio quello che faccio io ;-)
      Ciao
      P.S. Per l'aglio, scegline qualcuno più digeribile e meno forte e in ogni caso privalo del filamento centrale, che è quello che lo rende meno digeribile.

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  2. Glielo auguro anch'io con il cuore, davvero, a tutti quei deficienti. Si, hai ragione, non c'è termine migliore per definirli, e anche per definirle, si perchè purtroppo tra quei deficienti ci sono anche molte donne, e ti giuro che ho grande difficoltà a capire, da donna, come una mia simile riesca a condannare quelle due ragazze e minimizzi su quei due schifosi e per giunta in divisa.
    Ma che sta succedendo? Ma perchè stiamo impantanando così miseramente il nostro animo, il nostro pensiero... Mah!

    Senti, ma tu caro Garbo, lasciatelo dire, hai sbagliato professione. Tu, dovevi diventare Chef . Tu, se vuoi, puoi fare la scarpe ai vari Canavacciuolo, Bastianich, Sora Lella, Cracco, Bottura, Bepi l'onto:-)))
    Davvero, senza scherzi, sei bravissimo. Non so, sarà il tuo modo di descrivere i particolari... ma leggendo questa ricetta del pesto ... si palpa... si certo, si respira passione, amore per il buon cibo. Mentre lo descrivi, sembra che tu ci faccia l'amore... Davvero. E mi fai rabbia. Embè, un pochino si. Perchè purtroppo esistono anche donne come me, che in cucina sono una nullità, dei veri disastri, e di questo ne hanno vergogna, perchè la passione la conoscono bene, la mettono in ogni cosa che fanno, l'amore se lo portano appresso ovunque, ma in cucina... non ci sta proprio niente da fà, buio, desolazione, impedimento assoluto. Nà vera tristezza!
    Comunque la Dorina mi piace, avrei fatto anch'io come lei:-).
    Ah, chi sei tu della foto? Scommetto che sei quello con la frangia divisa a metà sulla fronte: una virgola da una parte e una virgola dall'altra:-)) Ma potresti essere anche quello ricciolino. No no, dai, sei il virgolettato :-)))
    Ah, un'altra cosa, se hai problemi a recuperare commenti non devi fare altro che aprire la porta al sig. G., lui non bada a spese, te ne lascia a quintalate, ahahah!
    (Ehm, devo farti una confessione. Il pesto proprio pesto, quello delizioso come il tuo, l'ho mangiato una sola volta in vita mia. Me l'ha preparato il sig. B, un ottantacinquenne di Genova , che se ci penso, sento ancora il paradiso in bocca. Solitamente, sulla mia tavola, fa da padrone il pesto Barilla. Ok. Devo arrossire di vergogna? Arrossisco.)
    Ciao Garbo. Me lo rileggerei un milione di volte sto post, è fantastico.
    (Magari imparo. Ecchissamai)
    Un abbraccio.

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    1. Che sta succedendo? A me pare che il fascio che è in ciascuno di noi stia prendendo di nuovo il sopravvento, come una sorta di alternarsi di mister Hyde al dottor Jekyll, fra poco indosseremo solo camicie nere, tornerà di moda il fez e canteremo ancora “faccetta nera” … anzi, la stiamo già cantando.
      La donna tornerà in cucina, o alla finestra del soggiorno a far la calza, e l’uomo comincerà a dire “me ne frego”, butterà il cuore oltre l’ostacolo e tenterà di inseminare quante più donne possibili, con ogni mezzo … e cazzate così, già lo stiamo facendo.
      Quelli di cui parlo sono due carabinieri, non due imbecilli qualunque o due extracomunitari, per arrivare a quel punto si saranno sentiti non soltanto giustificati l’un l’altro, ma anche “nel giusto” a livello sociale, avranno pensato che chiunque al posto loro avrebbe agito allo stesso modo, nello stesso modo in cui tempo fa in molti si sentirono di dare ragione a Berlusconi, perché chiunque al suo posto, potendoselo permettere, avrebbe preferito la carne giovane a quella “stagionata”.
      Ci siamo imbruttiti Cristina, tanto da fare schifo … questo sta succedendo.
      No, non credo di aver sbagliato mestiere, lo psicoanalista, pur con tutti i miei limiti, lo faccio ancora benino, mentre sto in cucina solo se invito qualche amico o solo per preparare qualche cenetta romantica; cucinare in un locale non fa per me, il piacere di farlo si perderebbe nei ritmi concitati delle ordinazioni, nella noia della gestione degli alimenti e delle spese nella routine quotidiana, nel cucinare ogni sera le stesse cose … meglio di no, preferisco che rimanga un piacere destinato a pochi intimi … per lo stesso motivo non ho fatto il ginecologo :-)
      Bepi l’Onto l’ho superato da un pezzo, insieme a Toni Bigolaro e a Gennaro ‘o Vibrione, Bastianich mi batte d’un pelo ma solo per la simpatia, perché in cucina è un testa a testa, mentre con Cannavacciolo è un’impresa disperata, o guaglione tiene a capato tosta, gliel’ho spiegato mille volte che l’arancina si fa col riso bollito: ”Non devi fare il risotto, compattarlo, bagnalo nell’uovo sbattuto, passarlo nel pan grattato e friggerlo … il riso lo devi bollire … bollire ….” ma lui niente, continua a sbagliare e scrive così pure nel suo libro … è senza speranze, mi sembra di essere Massimo Troisi quando tentava di spiegare a Leonardo da Vinci le regole della scopa nel film Non ci resta che piangere.
      (segue)

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    2. In genere si crede che la donna che sa cucinare sappia anche far bene l’amore, sono due passioni molto simili, per quanto riguarda la mia esigua esperienza in fatto di donne, devo ammettere che spesso le cose stanno proprio così, ma tu potresti essere l’eccezione.
      Mentre non è sempre vero che chi sa scrivere bene sia anche bravo a letto, come sosteneva Umberto Eco ne Il pendolo di Foucault, spesso la passione di uno scrittore resta solo nella pagina e non lo accompagna nella vita: come sapeva bene Oscar Wilde, il tuo genio (se lo possiedi) o lo metti in ciò che scrivi o lo vivi, vivi cioè la tua vita come un’opera d’arte.
      Sei una donna senza cuore, non pensi a quel povero ragazzo del bar, alla faccia che ha fatto quando ci ha visti entrare abbracciati, quando lei faceva la svenevole con me, quando mi ha baciato proprio sotto i suoi occhi, a quello che deve aver provato? Voleva punirlo, questo è certo, e con raffinata ferocia anche. Di cosa era colpevole? L’ho saputo da mia cugina, pare che una sera al bar lui sia andato in bagno, subito dopo è entrata in bagno anche una sua ex, saranno stati dentro entrambi (non necessariamente nello stesso bagno una decina di minuti (altri dicono un quarto d’ora, due minuti secondo la Questura). Ma pare che lei uscendo per prima avesse guardato la Dorina, che già era preoccupata, con un’espressione di soddisfazione, con uno sguardo di sfida e di vittoria, come se avesse stampato n faccia: “Lo riprendo quando voglio, anche sotto i tuoi occhi”.
      Mi dispiace dirti che ti sei sbagliata, né “ricciolino” né “virgolettato”, io sono quello con la collana bianca al collo e gli orecchini tondi dello stesso colore che fanno tanto pendant :-)
      Impari? Ma certo, non è mai troppo tardi e non si nasce “imparati”, io ho iniziato a prendere una pentola in mano che avevo circa 24 anni, prima non avevo idea di come si cucinasse un uovo al tegamino, ho iniziato vedendo all’opera uno dei cuochi giovani dell’Artemio di Padova, che all’epoca era uno dei migliori ristoranti della città, che per un periodo di tempo ha condiviso l’appartamento con me, oppure chiacchierando con una signora molto brava a fare il ragù bolognese e le tagliatelle di cui ho parlato in un vecchio post. Adesso che avrai più tempo libero visto che non scriverai più sul tuo blog, potrai dedicarti di più alla cucina ;-)
      Grazie per questi raggi di luce che sono i tuoi commenti, un abbraccio a te

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  3. Che dire? chapeau! Amo il basilico, una delle mie piante simbolo, dopo, molto dopo la cicoria... Dalle mie parti si chiama masaricoi, un nome quasi ieratico, sembra una funzione, un rito iniziatico, come quello di chi, ancora bambino, prepara la salsa insieme ai genitori e mette abbondante masaricoi nel pentolone di cottura dei pomodori. Non commento i fatti di cronaca che hai disseminato nel post, non lo faccio per disgusto nei confronti di una società morbosa e maschilista fino all'osso. Dei due giovani pronti a obbedir tacendo e tacendo scopar dico solo che sono la ciliegina sulla torta della caduta di credibilità delle istituzioni.
    Anche io come Cristina ho avuto la sensazione che tu fossi uno della foto, me lo suggeriva la qualità della foto ma soprattutto la frase prima che comincia con "È una salsa che va fatta a piccole aggiunte", come per ogni cosa che riguardi il privato.
    Ad ogni modo mi associo all'ammirazione già espressa per l'amore infuso nella preparazione del pesto come fossi l'officiante di una funzione religiosa appunto. Un abbraccio.

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    1. Dalle mie parti lo chiamiamo basilicò, forse un’eredità della dominazione angioina che ha lasciato parecchie tracce e non solo linguistiche, nonostante fosse stata molto odiata per la sua arroganza; pochi chilometri più in la però, nell’entroterra, lo chiamano basaricò.
      Termine che nella maggior parte dei casi fa riferimento ad una pianta aromatica verde molto odorosa, che si coltiva in casa o nell’orto, ma se riferito ad una persona basilicò indica uno sciocco, un idiota, un babbeo, come anche il termine cicoria viene usato per dire la stessa cosa.
      Il basilico dalle mie parti è addirittura venerato, quasi non esiste un primo piatto in cui non ci vada qualche foglia di questa pianta, non esiste insalata o contorno di verdure o secondo piatto di pesce senza la guarnizione verde delle sue foglie e l’indimenticabile profumo che sprigiona appena colto e spezzato con le dita.
      L’unico posto in cui in Sicilia non lo trovi è nella pizza, nei nostri dischi di pasta lievitata noi infatti preferiamo mettere l’origano, è più profumato e si adatta meglio alla cottura nel forno a legna.
      Per quanto riguarda le foto, è vero in due ci sono anch’io, per molti motivi non mi piace esibire il mio aspetto e vi risparmio la vista di tutti i selfie che non faccio, però il basilico mi evoca il pesto e il pesto mi evoca Genova … e Genova mi evoca moltissime cose … questo post è nato da un piatto di fusilli al pesto che ho mangiato di recente e da alcune foto che ho rivisto dopo diversi anni.
      Hai perfettamente ragione, il pesto non è semplicemente fare una salsa, se hai questa idea diventi Barilla o Buitoni, il pesto è spiritualità, è rito, più sacro dello sciogliersi del sangue di San Gennaro, che alla fine non ti lascia nulla se non la speranza, ogni rito deve produrre sostanza, come sapeva bene il Cristo … “spezzò il pane, rese grazie, lo diede ai suoi discepoli e disse ‘questo è il mio corpo, prendete e mangiatene tutti’ …
      E nel fare il pesto, come nella vita, la filosofia predominante è quella delle piccole aggiunte per tendere all’armonia.
      Grazie per gli apprezzamenti, un abbraccio.

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  4. Bello il post e belli i commenti. Meglio pochi ma buoni (come da saggezza popolare)!
    Ora, non vorrei abbassare il livello... provo a fare del mio meglio.
    Viviamo un'ondata di violenza e di stupidità umana inaspettata. I comportamenti danno libero sfogo a una cultura di sopraffazione. Si sono accentuate le differenze e non c'è più rispetto della persona , né verso l'altro, né verso se stessi. Perso questo valore, unitamente al senso di giustizia nei rapporti. Da quanto succede mi sento affranta.
    Ho anch'io una passione per il pesto. La coltivo in modo rustico, senza offesa per i genovesi. Ad ogni modo penso che si possa definire di buona qualità. Da circa trent'anni me lo preparo in casa. Ho iniziato con il mortaio e il pestello, seguendo scrupolosamente il procedimento originale, in seguito ho usato il frullatore, perché ne faccio una discreta scorta che conservo nel congelatore.
    La prima volta che l'ho assaggiato è stato a Corniglia in una trattoria con vista panoramica appena usciti dal sentiero proveniente da Vernazza, dopo un'ora di camminata che si è aperto su una vista spettacolare. Spettacolare come gli gnocchi al pesto delicatissimo, una delizia!
    Noi usiamo il basilico del nostro orto, un olio evo del Garda e pinoli costosissimi. l'aglio pure, proviene dal nostro orto, al quale tolgo "l'anima". Non nascondo che durante questi anni ho sperimentato qualche variante, ma non ne vale la pena.
    Inutile dire che questo post è di una bellezza di descrizione che fa sentire pure il profumo!

    Un abbraccio
    Nou

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    1. Carissima Nou,
      tu non abbassi mai il livello, anzi lo elevi. Con i miei amici e con i miei colleghi ci stiamo chiedendo da tempo come mai la violenza sembra cresciuta rispetto ad alcuni decenni fa, come mai in molti rapporti prevalga la sopraffazione, l’umiliazione, la violenza verbale e fisica. Per la mia generazione la trasgressione era spesso fare qualcosa di spericolato che avrebbe dimostrato il proprio coraggio, o il sesso … conquistare una ragazza, infrangere qualche tabù sessuale.
      Oggi, eliminato ogni tabù sessuale, spianato come stupidità ogni atto di coraggio, sembra che si possa essere trasgressivi solo se si è violenti, infatti solo l’aggressività oggi viene sanzionata, rifiutata, spenta sul nascere, se due ragazzini vengono alle mani li si ferma subito, ogni atto di rabbia viene bloccato immediatamente, mentre quando ero bambino io le lotte fra di noi per risolvere le nostre questioni erano frequenti, in genere si evitava di farsi male sue serio, e gli adulti non intervenivano mai se non quando degeneravano e ci si poteva far male sul serio.
      Non sappiamo gestire la nostra aggressività e non sappiamo insegnare ai nostri figli a gestirla e a vivere la rabbia senza aver timore che sia deleteria e distruttiva, la rabbia come qualsiasi sentimento è sana e va vissuta, non negata, perché se la neghi sistematicamente prima o poi esplode.
      Bisognerebbe gestire i propri sentimenti come si procede per fare il pesto … pestare, tritare … procedere per piccole aggiunte, ma in modo determinato, finché non si raggiunge qualcosa di armonico, di gradevole.
      Vedo con piacere che siamo entrambi estimatori del pesto alla genovese e che entrambi preferiamo coltivare il nostro basilico, anch’io lo congelo in piccoli contenitori di vetro e quando lo tiro fuori sembra appena fatto.
      Grazie, un abbraccio a te.

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  5. Si narra - storiellina amena - che ad una festa di beneficenza, appena iniziata la raccolta di fondi, un ebreo è svenuto e sei genovesi lo hanno portato fuori salvandosi dalla questua.
    Ho vissuto un anno (1961) in quel di Genova e la ricordo come era allora. Ora con la sopraelevata ed altro è cambiata molto. Mi è rimasto dentro l'odore del Porto e della focaccia di Recco.
    La donna che mi alleva suole fare il pesto con le noccioline; abitiamo in zona vicina al viterbese e ...

    Ciao da luigi

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    1. La focaccia alle 5 del mattino, appena sfornata e ancora fumante, per colazione, solo olio, sale e rosmarino, a volte qualche fetta di formaggio oppure di mortadella, una squisitezza.
      Per noccioline intendi le arachidi? Avevo sentito del pesto con le nocciole, anche in Liguria, la vicinanza col Piemonte consente queste trasgressioni, avevo anche sentito del pesto con le noci, e persino mia zia una volta l’ha fatto con le nostre mandorle, ma mai con le arachidi.
      Vedo che la donna che ti alleva ti alleva bene.
      Ciao Luigi

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  6. Nocciole, nocciole, che possono sostituire i pinoli; così come i pistacchi (Bronte) nella "Tua" terra natìa.
    Però, le arachidi, hai dato un'idea che la "mia" cuoca, eccellente in cucina vorrà sperimentare.
    Per combattere la monotonìa occorre cambiare; in cucina e non solo.
    Gli esperti della materia dicono/scrivono che è il letto matrimoniale che uccide l'amore; per adesso il mio/nostro vive e vegeta benissimo.
    E' l'eccezione che conferma la regola?

    Ciao da luigi

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  7. I poeti accendono lampade
    e poi se ne vanno
    ma le scintille che hanno ravvivato
    se la luce è vitale
    s' imprimono come fanno i soli
    ed ogni età è una lente
    che dissemina
    la loro circonferenza


    The Poets light but Lamps
    Themselves go out
    The Wicks they stimulate
    If vital Light
    Inhere as do the Suns
    Each Age a Lens
    Disseminating
    their Circumference

    ma anche

    Vienes quemando la brisa
    con soles de primavera
    para plantar la bandera
    con la luz de tu sonrisa.

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  8. Garbo,
    serve che io ti scriva qualcosa? È un post straordinario, come molti che ne hai scritti, anche tu: "inargenti queste sacre antiche piante, a noi volgi il bel sembiante, senza nube e senza vel"; sono sicura che hai corrisposto al bacio della Dorina come meritava, perché anche tu non sai recitare e interpreti il vero. Il sorriso con le fossette sulle guance ti è rimasto ed è più bello adesso a vedersi che allora che eri si tenero, ma fin troppo furbetto a giudicare dallo sguardo.
    Baci, abbracci, saluti? No ... invitami ad assaggiare il tuo pesto, che io possa sentirne il sapore oltre alle tue chiacchiere.

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    1. “A che serve scrivere?”, certo che serve, un blog si nutre di commenti, un post scritto cerca lo scambio, se volessi solo essere solo letto scriverei libri, se cercassi conferme o volessi nutrire il mio ego sarei su facebook, se volessi solo dare il segnale che esisto digiterei qualche carattere su twitter o farei graffiti sui muri e se non mi interessasse sapere cosa ne pensa chi mi legge farei come Paolo di Tarso, scriverei ai corinzi e ai colossesi che non gli rispondevano mai. Hai ragione, inargento le sacre antiche piante e, dopo un istante iniziale di esitazione, ho corrisposto al bacio come meritava.
      Furbetto io? Ma se sono l’uomo più ingenuo sulla Terra! La mia impressione è che allora io fossi molto più sveglio e più selvaggio di adesso; però se mi fermo a riflettere devo ammettere che adesso non mi presterei in nessun caso e per chiunque a quella farsa, mentre allora mi lasciai convincere per la simpatia travolgente di quella ragazza.
      Ti invito? Io lo farei pure, ma mi corre l’obbligo di avvisarti, il mio pesto è fatale, dopo averlo assaggiato non sarai più la stessa e durante le notti di luna piena, quando sulla torre dell’orologio scoccherà la mezzanotte, ti trasformerai in …..
      Un mazzetto di basilico e un abbraccio ;-)

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  9. "se cercassi conferme o volessi nutrire il mio ego sarei su facebook"...ti assicuro per esperienza caro Garbo che il tuo ego rimarebbe digiuno anche su fb, quanto a conferme non ne avresti più di quelle che ci scambiamo qui ;-). Un saluto.

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    1. Caro Antonio,
      anch’io ho avuto una breve e meteoritica esperienza (ma non dimentichiamo che un meteorite causò l’estinzione dei dinosauri … o fu un buondì Motta precipitato dal cielo?) su facebook qualche anno fa: avevo aperto un account per seguire le elezioni comunali del mio paese di origine in cui si contendevano la carica di sindaco fronteggiandosi su schieramenti opposti, due miei amici ed erano presenti molti altri miei amici e conoscenti.
      L’impressione che ne ho tratto è stata molto negativa: superficialità, narcisismo, esibizione di sé, banalità, illusione di avere molti amici, ricerca di conferme e di riconoscimento continuo, sempre inappagante perché rimane virtuale e non ha niente a che vedere con la profondità e l’autenticità.
      Ha ragione Franco Arminio quando dice che sui social non c’è bellezza né poesia e tutto si estremizza e si fanatizza, tutto si ferma alla superficie, mentre bellezza, poesia e piacere vogliono eternità, vogliono profonda, profonda eternità.
      Io ricordo decine e decine di like in post giornalieri assemblati con poca o pochissima fatica: un’immagine, anche non scattata da te, una citazione di una frase anche non tua, una battuta magari letta altrove, qualche foto tua se hai (o se pensi di avere) un bell’aspetto, o di ciò che sai fare in cucina o altrove … e ti piovono like e cuoricini a cascata.
      Poi, per il resto, non ricordo guizzi, drammaticità, pathos, emozioni che non siano di panna montata, tutto si appiattisce, si omogeneizza, tende verso il basso, si banalizza, sembra di sentire Roberto Benigni leggere La divina commedia, sempre con lo stesso tono, sempre con la stessa espressione, sia che leggesse del dramma infinito di Paolo e Francesca o della banale vicenda di qualche orgoglioso che sconta un po’ di Purgatorio prima di ascendere in Paradiso.
      Puoi parlare di fatti drammatici, come la morte di tua figlia, con emoticon di ogni tipo a significare i tuoi sentimenti, o della tua tristezza, o della tua disperazione o del tuo dolore, per ottenere sempre e comunque la tua dose periodica di like, che non si capisce bene cosa vogliono dire: ti sono vicino nella tua sofferenza, o mi fa piacere che soffri? Comunque rapporti di uno squallore indicibile, che finiscono per diventare gli unici rapporti che abbiamo, anche se poi con alcune di queste persone ci frequentassimo anche al di fuori del mondo virtuale dei social, perché trasferiamo anche nella realtà il modello facebookiano di rapporto, in cui se uno ci dice qualcosa gli facciamo una smorfia emoticon o alziamo il pollice in alto, o raffiguriamo il cuoricino con le dita.
      Sto drammatizzando troppo? Forse è vero, in fondo non frequento più facebook da un pezzo, né nessun altro social, ma ogni tanto vengo in contatto con alcuni dialoghi estrapolati da qualche blogger che superano persino le mie convinzioni più pessimistiche e vi aggiungono l’inconsapevolezza della banalità e della superficialità del proprio dialogo, ad un certo punto credo che venga superata la soglia della consapevolezza e quel modo di dialogare appare normale, anzi l’unico ammissibile.
      Ciao

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    2. Non mi pare di scorgere drammatizzazioni nel tuo discorso, è una considerazione abbastanza fedele di quello che è la "comunicazione" nei vari social, una corsa al ribasso, un accontentarsi di qualche like che come dici non si capisce bene cosa voglia intendere. Siamo emotivamente pigri o anestetizzati e i social sono il mezzo adeguato per questa condizione. Del resto anche nei blog la cosa non è diversa, i nostri scambi non credo che rappresentino una condizione diffusa, nella maggior parte dei casi vedo la solita polpetta confezionata per attirare i commenti entusiastici d cani fedeli o quelli inviperiti di cani rabbiosi. La profondità non la sondi navigando in rete in centinaia di contatti, lo puoi fare fermandoti su uno scoglio vero o virtuale e da lì tuffandosi ma resta il fatto che di profondità non puoi sondarne tante. A presto.

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  10. ioJulia.ilcannocchiale.it2 ottobre 2017 alle ore 11:38

    Se devo essere sincera direi proprio che mi hai fatto venire fame...
    Fin da piccola adoravo la pasta col pesto e anche le lasagne al forno col pesto, tipiche del levante. Lo faccio quando ho il mio basilico fresco appena raccolto e l'aglio lo metto solo quando c'è quello nuovo, piccolo piccolo e molto delicato.
    C'è un'altra cosa che amo di questo piatto: il colore. Lo trovo fantastico.
    E dire che i romani consideravano il basilico una pianta diabolica...
    Ciao Garbo

    Il post mi è piaciuto ma il sale lo trovo spesso nello scambio di commenti.
    Concordo col tuo pensiero e quello di Antonio sulla stupidità ipocrita dei social che non sopporto e tantomeno supporto.

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    1. Nel post cerco di stimolare buoni commenti e sono felice, come in questo caso, i commenti sono migliori del post :-)
      Anche a me piace il verde intenso del pesto di basilico, così come mi piace anche il rosso del pomodoro ... la cucina non è solo gusto, ma è un fatto estetico e in molti casi anche erotico ... non sapevo che i romani considerassero diabolico il basilico, all'apparenza sembra una piantina così tranquilla, ma è anche vero che spesso ciò che sembra tranquillo è diabolico ... Lisabetta da Messina, quella della novella del Decameron, pianta il basilico nel teschio del suo amato Lorenzo, ucciso dai fratelli.
      I social, compreso il blog, lasciano una insoddisfazione profonda perché sono capaci di illudere e ancor più di deludere, di promettere e di non mantenere, di farti vagheggiare un dialogo più ampio ed esteso, e di darti solo superficialità e disimpegno.
      Ciao Julia

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  11. Ultime sul pesto :-D il guardian lo boccia, dice che è troppo salato. Lo credo bene, quelli vanno a comprare il pesto saclà! Urge traduzione del tuo post e invio alla redazione :-)

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