venerdì 30 gennaio 2015

AU CIEL DE PARIS 1









Ha ricevuto un duro colpo al cuore … al cuore, si, perché il cuore di Parigi non è il Word Trade Center come a New York, i parigini non hanno il cuore nel portafogli, il cuore di Parigi è la sua voglia di ridere di tutto e di godersi la vita, e chi meglio di un settimanale di satira può incarnarlo, chi meglio di una rivista guidata da un direttore che lascia detto a sua moglie che alla sua morte (allora scherzava, non immaginava fosse così vicina) avrebbe voluto essere cremato e che gettasse le sue ceneri nel water, così avrebbe potuto guardarle il sedere tutti i giorni?
Un po’ volgare come battuta, dite? Ne convengo (anche Cuore, che apprezzavo moltissimo, talvolta lo era), ma la sua volgarità non dovrebbe distoglierci dall’assoluta libertà con cui viene espressa, incurante persino del giudizio di “volgare”, e il suo potere dissacrante e dirompente persino su un argomento solenne come lo è la propria morte, intimo come la sessualità e che appartiene al pudore personale come le nostre funzioni scatologiche.
Ed è anche nella sua multietnicità, nella sua multiculturalità, è la città in Europa che ha accolto più immigrati in assoluto e, contrariamente a ciò che avviene nelle nostre città, dove le persone appartenenti ad altri popoli e ad altre culture fanno gruppo a sé, ed hanno con noi soltanto rapporti subordinati e non di amicizia, come ho visto spesso a Parigi;  per cui colpire un supermercato kosher  o colpire un correttore di bozze che si chiama Mustapha o un poliziotto che si chiama Ahmed (figli di immigrati che colpiscono altri immigrati o figli di immigrati) significa colpire l’essenza stessa della città.  
Alcune persone sono state barbaramente uccise nelle sue strade, nei suoi edifici per motivi assurdi e inconcepibili (ma esiste un motivo sensato e concepibile per uccidere una persona?) se non quello del sangue, perché l’unico motivo che spiega il sangue è il sangue stesso, la voglia di vederlo scorrere, di procurare dolore a qualcun altro, di sottometterlo, dominarlo, soggiogarlo, di essere padrone della vita e della morte di un’altra persona, non fatevi ingannare dai motivi (chi uccide può gridare indifferentemente: "Allah hu akbar" o “Gott mit uns” o “Deus le volt”), questi sono spesso degli alibi a giustificazione del delitto, per non assumere in prima persona la responsabilità del sangue, per nascondere la nostra ferocia a noi stessi.
Si possono sempre trovare dei buoni motivi per essere aggressivi con qualcuno, o anche per ucciderlo, ottimi motivi che si propagano in fretta e molto velocemente vengono condivisi da tutti, basta accendere il primo fuoco … l’avete sentito, no, papa Francesco, se qualcuno osa insultare la sua mamma lui “gli da un punio” … altro che porgi l’altra guancia (vorrei qui sottolineare anche l’equazione simbolica fra “mamma” e “chiesa” che ha fatto). Il motivo del “punio”? Non ci si prende gioco della mamma altrui, della religione altrui, di ciò che è sacro insomma.








Ma ciò che è sacro, intoccabile, tabù, diventa inevitabilmente il nostro padrone esterno che ci espropria dalla nostra libertà, dalla nostra umanità, un orrendo Moloch che ci domina inesorabilmente e soffoca ogni speranza, ogni gioia, ogni anelito (perché se non siamo padroni di noi stessi, non siamo niente) e ci schiaccia piallandoci nella retorica del “tu devi” e ci fa dimenticare che tutto ciò che siamo vorrebbe invece gridare “Io voglio” … esiste crimine più orrendo che privare un individuo della sua soggettività, della sua dignità, della sua libertà, fosse anche in nome di qualcosa di sacro, del partito, dello Stato, di Dio in persona?
Se volete capire qual è il meccanismo psicologico che porta all’edificazione di totem e alla costruzione di tabù leggete Totem e tabù di Freud, scritto fra il 1912 e il 1913, da qui il passo al sacro, al dogma, alla rigidità, all’inflessibilità, alla preghiera, all’inginocchiarsi davanti ad idoli (e soprattutto al genuflettersi davanti ai sacerdoti che amministrano il culto di quegli idoli) il passo è breve, sembra che l’uomo fugga più di ogni altra cosa la sua libertà, ogni qualvolta ne ha cognizione o soltanto intuizione cerca subito e disperatamente qualcosa, qualsiasi cosa (pregiudizio, superstizione, religione, scienza, consuetudine, …) a cui sottomettersi … di questo moto spontaneo dell’animo, di questa sorta di viltà, di quanto sia potente la volontà di essere soggiogati (o aggiogati) a qualcosa (potente quanto quella di aggiogare e sottomettere altri alla stessa ideologia) ne rende testimonianza Nietzsche ne Il risveglio dello Zarathustra, in cui gli uccisori del vecchio dio si prostrano a pregare davanti a un asino.
Ogni potere, ogni forma di sacralità, ha per fortuna un suo punto di fragilità, una sua linea di frana, qualcosa che sta fra l’orrendo e il ridicolo, che qualche mente sagace, satirica, coglie prima degli altri e la restituisce a tutti fra scrosci di risa.
Cogliere il punto debole di un potere, di un sapere, di un amore, per quanto ammantati di sacralità, aiuta a coglierne il limite, il punto esatto che potrebbe far crollare tutto o il micro-difetto che potrebbe sgretolare un diamante se solo venisse sfiorato.








Questo potere dissacrante e questa capacità di assorbire la diversità a Parigi è presente più che altrove e, se pure non l’hanno inventato i parigini, sono stati loro a farne un’arte e a divulgarlo ad alti livelli al mondo intero, con l’esempio e con una rivoluzione che fu sociale e culturale prima che politica … pensate a quanto dovettero sobbalzare sui loro scranni gli augusti sovrani d’Europa (i vari Asburgo, i Borbone, i Savoia, i Coburgo-Gotha, gli Orange Nassau, i Braganza, gli Orléans, gli Hohenzollern, gli Hannover, i Romanov, gli Oldenburg, …), quando le chiappe plebee di Gioacchino Murat si posarono sul trono del regno di Napoli nel 1808.
Certo, Murat durò pochissimo, dal 1808 al 1815, quanto durò la meteora del successo napoleonico, ma il gesto era compiuto, il figlio di un albergatore poteva essere re senza possedere quarti di nobiltà, senza la benedizione della chiesa, senza l’investitura divina, e i napoletani (e non soltanto loro) si accorsero che poteva essere persino un ottimo re, sicuramente migliore dei Borbone che l’avevano preceduto.
Parigi ha ricevuto un duro colpo, dicevo, ma adesso la risposta migliore, nello spirito di ciò che la città è e di ciò che rappresenta, non è tanto restituire il colpo, soprattutto se questo significa colpire indiscriminatamente una popolazione, una cultura, delle persone che nulla c’entrano con quegli atti terroristici e che, ormai lo sappiamo, non farebbero altro che alimentare il terrorismo.
Perché è dalle macerie dei bombardamenti occidentali dal fumo dei corpi umani bruciati dal napalm, dai sabotaggi, boicottaggi e dai tentativi di rovesciamento dei governi costituiti in Africa, Asia, Sudamerica, Europa, che i “terroristi” nascono come funghi, è dai funerali, quando ti tocca seppellire persone care, moglie, figli, genitori, parenti, amici, vicini di casa che la tua rabbia sale e imbracceresti qualsiasi arma, colpiresti anche tu indiscriminatamente le loro mogli, i loro figli, …, chiunque anche a costo che questo gesto omicida sia anche suicida, anche a costo di farti brillare in aria imbottito di tritolo.








Qui un elenco completo dell’ingerenza degli USA nella politica e nell’economia di altri Stati dal secondo dopoguerra ad oggi, che merita una seria riflessione: Cina 1945-46; Siria 1949; Corea 1950-53; Cina 1950-53; Iran 1953; Guatemala 1954; Tibet 1955-70; Indonesia 1958; Cuba 1959; Repubblica democratica del Congo 1960-65; Iraq 1960-63; Repubblica Dominicana 1961; Vietnam 1961-73; Brasile 1964; Congo Belga 1964; Guatemala 1964; Laos 1964-73; Repubblica Dominicana 1965-66; Perù 1965; Grecia 1967; Guatemala 1967-69; Cambogia 1969-70; Cile 1970-73; Argentina 1976; Turchia 1980; Polonia 1980-81; El Salvador 1981-92; Nicaragua 1981-1990; Cambogia 1980-95; Angola 1980; Libano 1982-84; Grenada 1983-84; Filippine 1986; Libia 1986; Iran 1987-88; Libia 1989; Panama 1989-90; Iraq 1991; Kuwait 1991; Somalia 1992-94; Iraq 1992-96; Bosnia 1995; Iran 1998; Sudan 1998; Afghanistan 1998; Yugoslavia-Serbia 1999; Afghanistan 2001; Iraq 2002-03; Somalia 2006-2007; Iran 2005 ai nostri giorni; Libia 2011; Siria 2015 ai nostri giorni.
Bisogna evitare il panico, le isterie (a Padova di recente c’è stato un allarme bomba che ha allertato il centro cittadino solo perché qualcuno ha notato dei giovani che legavano ad un’inferriata un pacchetto col fil di ferro … si trattava di una sorta di caccia al tesoro organizzata per le vie cittadine, il pacchetto conteneva il messaggio con le indicazioni per le mosse successive in direzione della scoperta di dove era nascosto il tesoro, dalle dimensioni se fosse stato esplosivo non avrebbe scheggiato nemmeno la vernice dell’inferriata), di farsi sopraffare dalla paura, di fare emergere il peggio di sé che è sempre in agguato.
È quanto mai necessario proteggersi e prevenire ulteriori attacchi, con politiche diverse, più sane, più sostenibili, più egualitarie, perché non possiamo continuare a sprecare in questo modo le risorse producendo beni forsennatamente, la maggior parte dei quali sono inutili, come gli involucri dei prodotti o come le confezioni dei regali di Natale, e non possiamo pretendere che il 20% circa della popolazione mondiale che vive in Occidente consumi l’80% delle risorse mondiali.
Soprattutto se nel mondo ci sono bambini che muoiono per mancanza di risorse e per l’inquinamento che noi paesi ricchi andiamo a sversare nei loro territori … l’acqua del Niger, che attraversa il deserto del Sahara e quattro stati africani, che rappresenta la fonte idrica principale in quella vasta zona, è fortemente infetta da non essere utilizzabile né per usi alimentari né in agricoltura o in pastorizia.
È necessario colpire chi alimenta, chi sostiene, chi arma (anche ideologicamente) il terrorismo contro l’Occidente, ma non dobbiamo arretrare nemmeno di fronte alla scoperta paradossale che i migliori sponsor del terrorismo mondiale siamo in realtà noi stessi … spesso il terrorismo che oggi ci colpisce non è altro che qualcosa che noi abbiamo contribuito a far nascere, abbiamo armato e abbiamo usato senza scrupolo alcuno contro alcuni nemici di quel momento storico … seguendo la massima che fu inizialmente attribuita a Filippo il macedone e che ebbe il periodo di suo massimo splendore e maggiore applicazione nella Roma imperiale e in tutti gli imperi successivi che ad essa si sono ispirati: Divide et impera.








Ma, soprattutto, è necessario che Parigi ritorni ad essere ciò che è, ciò che è sempre stata, la ville lumiére, una grande e superba città occidentale che ha dato moltissimo al mondo intero; detto questo è però necessario cercare di capire cos’è Parigi, cosa rappresenta oggi, cosa è stata, qual è la sua caratteristica più precipua, quella che meglio di altre la definisce.   
Già, cos’è esattamente Parigi? Alcuni pensano che sia una delle città più belle al mondo, e questo è sicuramente vero, ma non è certo la più bella, Venezia, ad esempio, è molto più bella di Parigi, non è certo la bellezza la qualità precipua che la può meglio identificare. Si tratta, anzi, di una bellezza ridondante, tutte quelle rifiniture in oro su inferriate blu, tutti quegli stucchi, le decorazioni, tutta quella esuberanza in ogni dettaglio, in ogni particolare, la fanno assomigliare non tanto ad una bella ragazza, ma ad una vecchia signora in cui si notano tutti i segni del tempo trascorso, che però è truccata, incipriata, imparruccata e profumata talmente da apparire più una maschera che una bella donna … una maschera di sembianze antiche, certamente, ma di abilità moderne, una di quelle che si sa muovere molto bene nel mondo moderno, che sa usare il computer, il palmare ed eseguire una transazione, una prenotazione o un’operazione qualsiasi in rete con perfetta abilità e nonchalance.
Forse allora è la solennità, la maestosità il suo tratto peculiare, ma Vienna è più imponente di Parigi, più serafica, più uguale a se stessa nei secoli, meno cambiata dalle mode e dai tornanti della storia, non solo esteticamente ma anche nella profondità dell’animo o nel suo stile di vita, non è difficile a Vienna immaginare Herr und Frau che passeggiano abbracciati lungo il Ring, lui con la paglietta e lei con l’ombrellino, o comodamente adagiati sul sedile del fiaker, mentre nemmeno a Versailles riuscirete ad immaginare Madame et Monsieur in passeggiata sul Trianon, sul Parterre de Latone o sul Bosquet de Dauphin.
Si è scritto molto sui misteri di Parigi e sul suo romanticismo, a Parigi si potrebbe ambientare un thriller pieno di colpi di scienza e di arcani segreti custoditi per secoli nel suo ventre e le storie più romantiche del mondo, ma basterebbe essere stati a Praga anche una sola volta nella vita per rendersi conto che questa città non ha rivali sia per il mistero, sia per il romanticismo, se avete un partner a fianco vi stringerete in un caldo abbraccio sul Ponte Carlo, quando un brivido correrà ad entrambi lungo la schiena e vi accorgerete come le vostre mani tenderanno ad intrecciarsi e le vostre labbra ad incollarsi senza che quasi ve ne rendiate conto.








Allora è senza dubbio la culla delle arti, Montmartre, il quartiere Latino, Montparnasse, il Louvre, il Musée d’Orsay, a Parigi sono nati, hanno vissuto o sono passati artisti come Toulouse-Lautrec, Monet, Matisse, Picasso, Degas, Cézanne, Pissarro, Manet, Fantin-Latour, Van Gogh, Gauguin, Derain, Modigliani, Soutine, Chagall, Dalì, Léger, Braque, Renoir, Rodin, …, ma per quanto famosi, per quanto abbiano cambiato radicalmente il modo di fare arte, per quanto abbiano fatto conoscere questa città in molti dei suoi dettagli più caratteristici e pittoreschi, per quanto sia stata per decenni il crogiolo dell’arte moderna, assumono nella storia dell’umanità un rilievo indimenticabile e ben maggiore l’antica Atene, la Firenze del Rinascimento, la Roma antica e quella papale, mentre il ruolo di città principe dell’arte moderna, dove si producono e si commerciano oggi le più grandi opere artistiche contemporanee, è da attribuire senza dubbio alcuno alla città di New York.
Mentre nessuno oggi metterebbe in discussione che i diritti civili, i fondamenti dello stato moderno, delle moderne democrazie, della convivenza sociale siano nati in Francia, a Parigi, che non soltanto la Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, ma anche le Costituzioni di molti stati moderni (compresa l’Italia) sono ricalcate dalla Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789, quella che può essere riassunta nel più famoso motto rivoluzionario di tutti i tempi:  Liberté, Égalité, Fraternité.
Ma, se fu Jean-Paul Marat, nel suo saggio The chains of slavery, pubblicato nel 1774, a coniare il motto nazionale francese che travalicò ben presto i confini della Francia, se la Rivoluzione del 1789 fu preparata e ne fu la logica conclusione, dal pensiero dei philosophes e dei principi che andavano articolando, dall’esprit che imprimevano nei loro taglienti pamphlets e nell’Encyclopédie, è pur vero che questo pensiero e questi principi non erano esattamente originali, né originali furono molti degli atti politici che avvennero durante il periodo della rivoluzione e quello della successiva Prima Repubblica.







Il primo atto che sancisce lo statuto di una monarchia costituzionale e il primo documento fondamentale per il riconoscimento universale dei diritti dei cittadini è la Magna Charta siglata dal re d’Inghilterra Giovanni Senzaterra e dai suoi feudatari, e risale al 1215; il primo stop alla monarchia assoluta e la prima decapitazione di un re che governa per diritto divino, avvenne ancora in Inghilterra con Carlo I Stuart, deposto da Olivier Cromwell e dal Parlamento e messo a morte per alto tradimento; la maggior parte dei principi che informarono l’ideologia illuminista francese e la rivoluzione di luglio erano già presenti nelle opere di Locke, Hume, Berkeley e di Hobbes, tutti inglesi di nascita e vissuti prima dei philosophes francesi come D’Alembert, Diderot, Voltaire, Montesquieu, d’Holbach, Buffon, Condillac, Helvetius o La Mettrie.
Il primo principio che iniziò a declinare fu quello di fraternité, è il meno citato, quello che fece la strada meno lunga, giunse fino in America quando fra il 1775 e il 1783 le colonie americane combatterono per l’indipendenza dall’Inghilterra, poi se ne persero definitivamente le tracce, forse perché poteva sembrare o un motto il cui uso ti identifica nettamente come affiliato alla Massoneria  o come figlio dei fiori o come partecipante ad un gay pride.
Libertà ed uguaglianza, invece, resistono, e sono termini considerati positivamente ancora oggi, soprattutto il primo poi è come il prezzemolo, lo ritrovi dappertutto, uccidono ad esempio 12 persone all’interno di una redazione di una rivista satirica gridando: “Allah hu akbar”? Ecco che subito noi ci imbastiamo sopra un problema di libertà di espressione: li hanno uccisi perché non tollerano le loro critiche, la loro libertà di ridere di loro. Condannano Alessandro Sallusti e Fabrizio Corona? È un attentato alla libera espressione, alla libertà di stampa. E poco importa che probabilmente il vero motivo dell’attentato a Charlie Hebdo è economico e concernente l’umiliazione di non sentirsi veramente né musulmani (essendo nati, cresciuti ed educati a Parigi), né pienamente parigini (vivendo in quartieri periferici chiamati banlieau), o che non si può infamare un giudice con false accuse  che non si può ricattare la gente con foto compromettenti.
E che dire poi della vicenda di Corona? A sentire ciò che dicono e che scrivono alcune persone sembrerebbe che sia stato condannato in maniera spropositata prima a 14 anni e 9 mesi di reclusione, scontati poi a 9 anni e 8 mesi solo perché ha scattato qualche foto.
 Di recente qualche psichiatra ha avanzato l’ipotesi che Corona sia malato e non un delinquente dunque, e in quanto tale le sue condizioni sarebbero incompatibili col carcere, invocando con una certa confusione diagnostica, non so attribuibile a lui o alla stampa che l’ha divulgata, la depressione, la psicosi, gli attacchi di panico, gli stati d’ansia, la patologia borderline … che è come fare un’insalata con tutto ciò che trovi in frigo.







Avvalendosi della collaborazione di Ignazio Larussa, avvocato e parlamentare, Corona ha chiesto a Napolitano la grazia parziale (un ulteriore sconto di pena, quanto basta per rientrare nei limiti previsti dalla legge per usufruire delle pene alternative al carcere o degli arresti domiciliari),  ma il testo della richiesta di grazia viene venduto al settimanale Oggi per 10.000 euro, come anche i dettagli più scabrosi e personali della storia oggi conclusa con Nina Moric erano finiti sui rotocalchi … del maiale non si butta via niente.
Hastag, dibattiti televisivi, colonne di giornali, dedicate a Fabrizio Corona vittima del soffocamento della libertà di espressione, estorsioni e ricatti presentati come inappuntabili servizi giornalistici, disinformazione diffusa dove non si capisce più nemmeno perché stiamo parlando di questa cosa e perché ci stiamo interessando a questo individuo.
In realtà Fabrizio Corona: “è stato oggetto di numerosi procedimenti penali: dal 2002 al 2014 è stato condannato in via definitiva (ovvero passata in giudicato) per aggressione a pubblico ufficiale, estorsione e tentata estorsione, estorsione aggravata e trattamento illecito di dati personali, detenzione e spendita di banconote false e detenzione e ricettazione di una pistola, violazione di domicilio, appropriazione indebita, falso, corruzione, bancarotta fraudolenta ed evasione fiscale. Ha peraltro ancora dei procedimenti in corso per diffamazione, truffa, oltraggio a magistrato e falsa testimonianza, violazione di misure cautelari e detenzione d'arma”. (Fonte: wikipedia).
Corona, se proprio volessimo usare un termine tratto da un manuale di psicopatologia, potrebbe essere più correttamente definito un “disturbo antisociale di personalità", un tipo che ha una concezione strumentale dei rapporti umani: usare gli altri ed essere usati, fregare per non essere fregati, che non ha il benché minimo senso etico, non conosce il senso di colpa, non è capace di provare empatia o di mettere a fuoco i propri sentimenti, che non si fa alcuno scrupolo e che rispetta solo la forza, l’autorità e il potere.
È uno che non ha avuto remore ad intrufolarsi nella casa della signora Concetta Serrano, (mamma di Sarah Scazzi, la ragazza uccisa ad Avetrana), perché stava cercando delle foto scottanti o compromettenti della ragazza morta, da dare in pasto alla stampa scandalistica, quella che gode nel rimestare nella melma, di cui qualcuno degli “amici” della ragazza gli aveva ventilato l’esistenza.
È uno che se n’è sempre fregato di rispettare le precedenti restrizioni a cui era sottoposto, che ha continuato, finché non l’hanno fermato, a commettere altri reati e ad infrangere la legge per coprire le precedenti infrazioni, che se lasciato libero o in semilibertà ricomincerà a fare esattamente ciò che ha fatto finora e ciò che faceva prima, con in più la soddisfazione di aver fregato ancora una volta tutti quanti.
Uno per cui non basterà la palestra della comunità di don Mazzi perché se ne faccia un cittadino modello, come garantisce lo stesso prete (non ho capito chi garantisce per don Mazzi, però, o lui pensa che gli basta una tonaca a garantire per lui o la fama di prete impegnato nel sociale?), che ha già sulle sue spalle l’abilitazione di Lele Mora con cui l’unico risultato terapeutico finora apprezzabile è quello di aver perso qualche chilo.



AU CIEL DE PARIS 2









La libertà, così come qualsiasi altro inalienabile diritto del cittadino, non può essere un principio, un presupposto, qualcosa di garantito a priori, nessuno può garantire per la mia libertà così come nessuno può garantire per me se non io stesso, la libertà è piuttosto una conquista del singolo individuo, qualcosa che si raggiunge (o non si raggiunge) con un percorso educativo, un percorso molto faticoso, perché da sempre un senso di smarrimento totale realizzare di essere davvero liberi.
In realtà preferiamo definirci vittime delle circostanze, preferiamo delegare agli altri il senso stesso della nostra vita, preferiamo interrogare altri per sapere chi siamo e cosa dobbiamo fare e ogni volta che ci troviamo di fronte a qualcosa in cui tocca solo a noi decidere, siamo in crisi profonda e cerchiamo disperatamente un appiglio, un “aiutino” che ci dica cosa fare o che ci indichi cosa va fatto in questi casi.
I padroni che in genere ci scegliamo sono le ideologie religiose, le “verità” scientifiche, le nostre stesse ambizioni, gli stereotipi sociali e qualsiasi cosa possa raggiungere quella notorietà tale da essere consuetudine se non proprio legge sociale (sto pensando a quante persone uniformano la loro vita a quella delle fiction televisive, come i loro bisnonni la uniformavano ai romanzi al teatro e all’opera, ai programma di Barbara D’Urso e di Maria de Filippi, ai film americani in cui nei dialoghi la parola “Cristo” occupa metà del copione, la cui recitazione è un gesticolio isterico inconsulto e se togliessi inseguimenti, scene d’azione, effetti speciali, ti rimarrebbero soltanto la musica di inizio e i titoli di coda).








L’equivoco che colpì i rivoluzionari francesi fu quello di pensare che bastava sventolare lo stendardo della libertà, bastava scriverlo su una carta costituzionale e dei diritti, bastava creare delle istituzioni civili che cercassero di garantirla e di proteggerla, per rendere davvero liberi i cittadini di Francia; in realtà non passò molto tempo che loro stessi si accorsero di questa assurdità, Maximilien Robespierre che fu fra le menti più acute della rivoluzione non notò alcun paradosso nell’affermare il motto che contraddistinse il suo governo: «Nessuna libertà per i nemici della libertà».
Se volete valutare davvero un gesto o un’idea, valutateli non in linea teorica e di principio, valutateli invece per ciò che producono, per le loro conseguenze (reali o prevedibili), e i principi rivoluzionari applicati in Francia produssero bel presto il “terrore”, migliaia di teste rotolarono nella cesta della ghigliottina, all’inizio si trattava di giustiziare alcune persone solo perché appartenevano ad una classe considerata nemica, affamatrice, parassitaria: la nobiltà; poi si giustiziarono i rivali politici definendoli di volta in volta nemici e traditori della rivoluzione, infine, cominciò a predominare la paranoia, e si iniziò a giustiziare qualcuno per un semplice sospetto.
Non c’è niente di più pericoloso e di sanguinario della libertà istituita come principio e non come frutto di conquista personale e di un popolo, non siamo liberi se facciamo la rivoluzione, se uccidiamo il tiranno, se facciamo un bagno di sangue dei nemici della nostra libertà, siamo liberi se ci liberiamo dalla nostra paura di essere liberi, altrimenti passiamo semplicemente da una schiavitù ad un’altra, magari più impalpabile, meno riconoscibile, come noi occidentali che ci riteniamo liberi perché abbiamo perso il senso della libertà, e non conoscendolo non ci rendiamo più neanche conto di quanto siamo schiavi di padroni ridicoli … perché almeno un Dio aveva la sua dignità, ma essere schiavi del benessere, dello spreco, della frenesia di vivere, dell’eterna giovinezza, dell’immaturità conservata con cura e difesa ad oltranza ….








Questi principi liberali sono stati oggetto di critiche abbastanza sensate da parte del socialismo, che replicava che non può esistere nessuna libertà e nessuna uguaglianza la dove non è garantita nemmeno la sopravvivenza e alcune persone per sopravvivere dipendono da alcuni padroni che possono decidere chi lavora e chi no, chi sopravvive e chi muore.
Il socialismo ha altri limiti, altre ingenuità, altre parzialità, che hanno prodotto anch’essi disastri immensi nel mondo; è dallo scontro fra socialismo emergente e liberalismo che dalla rivoluzione francese ad oggi l’Europa e il mondo intero sono la scacchiera di guerre continue di una ferocia inaudita.
La cultura occidentale, sotto l’auspicio di tante belle parole (libertà, uguaglianza, ecc.), ha prodotto le più grandi sciagure dell’umanità: continue guerre per il predominio in Europa, razzie e saccheggi da parte del vincitore (Napoleone saccheggiò l’Italia e l’Egitto delle opere d’arte più pregevoli, arricchendo la Francia e Parigi di opere che noi adesso andiamo ad ammirare li; Hitler saccheggiò Parigi e, nell’ultimo periodo, le truppe tedesche in ritirata dall’Italia, cercarono di mettere le mani su tutto ciò che poterono) due guerre mondiali, continue guerre per il controllo delle risorse e per garantirsi l’accesso alle materie prime, la Shoah in cui vennero eliminati 6 milioni di ebrei e il terrorismo internazionale che colpisce indiscriminatamente per creare il panico. 
La Francia ha sviluppato nel corso dei secoli il complesso da “secondo della classe”, disperandosi perché, comunque ed ovunque c’è sempre qualcuno di irraggiungibile che è migliore di lui e che non si può spodestare, mentre si è incalzati da vicino da tanti altri temibili concorrenti che potrebbero insidiare il traguardo raggiunto.
Fin dalle sue origini di stato autonomo ed erede della gloriosa tradizione dei franchi e di Carlo Magno, che aveva creato le basi stesse per l’Europa unita, la Francia si è contrapposta all’Inghilterra che le insidiava il presunto primato, poi è stata la volta della Spagna, infine la volta della Germania nelle varie vesti storiche e politiche in cui quest’ultima si è presentata (impero d’Austria-Ungheria, Prussia, Germania), riuscendo ben poche volte a primeggiare per qualche tempo, ma subendo anche molte cocenti sconfitte militari e di supremazia in vari campi.








Come ogni secondo della classe che vorrebbe superare il primo senza speranza di riuscita, si guarda le spalle da chiunque in qualche campo possa mettere in dubbio la sua supremazia; parrà strano per l’orgueil e la grandeur francesi, ma noi italiani siamo temuti moltissimo, sia nella moda (forse più in passato, quando era ancora vivo Gianni Versace, quando i marchi Armani e Valentino erano ancora italiani, quando in Italia si producevano prodotti di alta moda, soprattutto maschile famosi in tutto il mondo), sia per la cucina.
Non è forse vero che la Parigi, inventrice della haute e della nouvelle cuisine, ritiene che questa sia la migliore e la più famosa cucina al mondo? E che non discutono neppure la tetragona certezza di essere la patria del buon gusto, del gourmet, del bon vivant, dei migliori vini e dello stile di vita più raffinato del mondo?
Io posso dirvi, per mia personale esperienza, quando il mio amore per questa città pulsa di nuovo e quando il mio odio per la stessa è attenuato dall’oblio e dal tempo che sana tutte le ferite mi permettono di ritornarvi, che quella che viene definita la cucina francese esiste certamente, ma è appannaggio ormai del 5% dei parigini e dell’1% dei francesi.
Perché per poterla gustare dovreste frequentare uno di quei locali di Parigi che sono ritenuti il gotha della cucina mondiale, uno di quei posti in cui il chip minimo per accedere al menù degustazione è di circa 200 euro, mentre per una cena à la carte dovrai preventivare 300 e più euro per avere l’onore e il privilegio di mangiare francese autentico … ricordo in una delle mie poche e folli esperienze in questo senso di aver ordinato l’uovo (un oeuf mollet) più costoso di tutta la mia esistenza … per fortuna che almeno era buono.








Per il resto le varie brasserie, bistrò, bar á vin, maison du champagne, bar á huîtresrestaurant e tutti quei locali tipici della cucina francese, confezionano una cucina senza infamia né lode, dove l’haute cuisine diventa moyenne ou faible cuisine, dove i prezzi sono comunque troppo alti (va beh, siamo a Parigi, che pretendevi?), dove la grandezza dei tavolini è inversamente proporzionale a quella dei loro viali e delle loro piazze (esattamente come le camere d’albergo).
Posti dove il vino è così sacro che te lo somministrano col contagocce (come si fa a proporre caraffe da 125 cl, e soprattutto come si fa a farle costare quanto una bottiglia di buon Brunello?) ed è più costoso dello Chanel n° 5, dove i loro pur favolosi fromages sono serviti come dessert o al posto del dessert (non l’ho capito bene), ma se sei in compagnia di altre persone che ordinano apéritif, entrées e plats, ti tocca aspettare che gli altri abbiano terminato tutto perché venga il turno del tuo “dessert” … e non ti portano nemmeno le posate nel frattempo, devi solo stare a guardare.
Sono amanti di ostriche, eccezionali, ne possiedono di moltissime specie, forme e dimensioni, persino più degli spagnoli, che pure non scherzano con i loro mariscos, che sono più polpose e di sapore diverso dalle nostre, perché hanno tutto il sapore che infonde loro l’oceano Atlantico in Bretagna; un sapore molto prelibato che non è il caso di permettere loro che te lo rovinino con le loro salse, i francesi sono molto amanti di salse di ogni tipo, alcune ottime anche contro il raffreddore, ricordo una senape di Dijon che mi ha bloccato il respiro per quasi tre minuti e che mi avrebbe fatto passare all’istante qualsiasi raffreddore avessi avuto (ora che ci penso magari funziona anche come prevenzione, è da quel cucchiaino di senape che non prendo più un raffreddore).
Se l’anatra ( o il pollame in genere, le volaille), è prelibata e la fanno in molti modi diversi che non saprei dire davvero qual sia il migliore, dovete stare attenti ad altri tipi di carne, almeno se siete schizzinosi come me e non conoscete tutti, ma proprio tutti, i nomi dei vari tagli di carne, se non volete ritrovarsi sul piatto un cuore di bue ( coeur de boeuf) o delle animelle (de li mortacci loro) di vitello (ris de veau).









Ma la cosa peggiore è che spesso accompagnano il piatto principale con del riso (e fin qui la cosa non mi sorprende e non mi dispiace molto) o con della pasta (e qui il dispiacere aumenta) …. rigorosamente scotta (e se non sapete farla, non fatela!).
La cosa che apprezzo di più è però la saccenza e la supponenza dei parigini, sarà stato il mio: “Je voudrais une table pour deux personnes, s’il vous plaît”, non tanto la composizione della frase, che di per sé è sostanzialmente corretta, più la sua pronuncia direi, ma non la pronuncia di ciascuna parola, quanto piuttosto la pronuncia di quel deux, che si dovrebbe pronunciare , in cui la ø dovrebbe essere fra la e e la o (più verso la prima vocale, che verso la seconda), come ad esempio bleu, ma che io ho pronunciato quasi come una o.
La ragazza in un elegantissimo tailleurino avion, con bottoni dorati da marinaio o, meglio, da ferroviere per restare in tema col locale, ci ha affidati al cameriere dandogli qualche indicazione, il quale ci ha fatti accomodare ad un tavolo e ci ha proposto due menù in lingua spagnola … evidentemente il mio deux è sembrato molto più simile al dos spagnolo, e siamo stati presi per spagnoli (non c’era andata molto lontana).
Ho riso pensando che in effetti io quella frase ho cercato di dirla in francese, ma chissà perché l’ho pensata in spagnolo, infatti fra il deux e il s’il vous plaît  ho avuto un attimo di esitazione, mi veniva in mente “por favor” e solo con un guizzo della mente ho virato per il “s’il vous plaît”.
Il fatto è che mi trovo molto più a mio agio con la Spagna, con gli spagnoli e con la loro lingua, che col francese, sento questi suoni più in sintonia, mentre il carattere, il modo di fare, i suoni della lingua dei francesi mi infastidiscono; sono cortesi, sorridenti, gentili, ma di una cortesia distratta, disattenta, di chi non gli importa chi si trova davanti, quella che da luogo ad un comportamento stereotipato, quasi meccanico, ma sostanzialmente indifferente.
Sei tu che devi adeguarti a loro, a ciò che ti offrono, a come te lo offrono, anche a ciò che ritieni più assurdo, se anche cogliessero del fastidio in te, sicuramente lo imputerebbero a qualche tua carenza, a qualche tuo problema, e non a qualcosa che loro hanno fatto che possa infastidire gli altri, sembrare assurda o anche ridicola.








Dove ci sono due francesi si crea già una coda, sembra che non sappiano vivere se non immaginando delle code, questa estate ho attraversato in macchina la Francia del sud in direzione della Spagna, non so più quante volte in strada mi sono dovuto fermare a qualche casello a pagare qualche pedaggio, qualche balzello, a questa o a quella amministrazione, a questo o a quel dipartimento, una cosa completamente assurda, è stato più il tempo che ho trascorso in coda che quello che ho passato in marcia, e mi sono rilassato solo dopo i Pirenei, quando mi sono immesso nelle splendide autovie, autopiste e carreteras spagnole.
Ho avuto la malaugurata idea di visitare Versailles, dopo che avevo evitato le immense code per Notre Dame, per la Tour Eiffel, per il Louvre, …,che ho rimpianto moltissimo; venti minuti per il biglietto del treno da Parigi, tre quarti d’ora per fare il biglietto per l’ingresso nella reggia, quasi tre ore di coda che si snodava sul piazzale antistante in sette spire che sembravano altrettanti gironi danteschi, con tanto di dannati che si lamentavano per il male ai piedi, alla schiena o che con giochi idioti cercavano di tenere buoni i loro bambini che, giustamente, si erano rotti le scatole per quel trattamento disumano, vietato dalla convenzione di Ginevra.
Quando poi sono riuscito ad entrare, ed era già quasi l’una, ho dovuto fare un’altra coda di 20 minuti circa per i bagni; pur visitando il palazzo, i saloni, le sale, con la stessa velocità di un giapponese che in una settimana visita l’Europa col viaggio organizzato, scatta continuamente fotografie senza alzare nemmeno la testa dall’obiettivo, poi a casa con calma potrà finalmente vedere cosa ha visitato, e che alla fine non si ricorderà più se il Colosseo si trovava a Roma o a Milano, mi sono ritrovato a pranzare alle tre e subito dopo, evitando un’altra ora di fila per il trenino che ti porta a visitare l’immenso parco, ho raggiunto il Grand Trianon a grandi falcate che erano le 17.00, ma a quell’ora non era più possibile entrare per visitarlo perché chiudeva l’accesso ai visitatori.
Questo vuol dire che il biglietto giornaliero cumulativo per il palazzo e i due Trianon è una truffa, perché nemmeno Flash Gordon sarebbe talmente veloce da riuscire a visitare tutto in un giorno; ma la cosa peggiore non è stata nemmeno questa, ma il fatto che alla stessa ora, cioè alle 17.00 in punto, chiudevano anche le toilettes di tutta la struttura e non c’era verso di fare un’eccezione (la signora che stava pulendo, che ho cercato di sedurre, di corrompere, di supplicare, non si è minimamente intenerita dalla mia evidente sofferenza), e vi assicuro che tutto quello scorrere di acque, tutte quelle fontane, non aiutano in simili casi.    
Forse sto calcando un po’ la mano, forse sono più attento ad esprimere i difetti di Parigi e dei suoi abitanti, mi capita di tenere questo atteggiamento quando amo qualcuno o qualcosa, mi accorgo che sono più incline a fargli notare i suoi difetti, le sue caratteristiche che mi colpiscono negativamente, di prenderlo anche un po’ in giro, e di dare per scontato (per il semplice fatto che sono li) che io abbia colto e che apprezzi anche i suoi pregi.








Parigi non è una città semplice, né scontata, ed ogni volta mi sorprende con una nuova meraviglia, un nuovo tesoro, una nuova scoperta che mi affascina e che mi fa dimenticare ogni fatica e ogni disagio e, passato il tempo debito per l’oblio di tutte queste inezie, mi fa desiderare di rivederla, come un vecchio amore che si riavviva in una fiammata impetuosa quando ormai lo credevi morto.
Questa città è, invece, un microscopio, un cannocchiale, una lente di ingrandimento di tutto: se le porti il pragmatismo inglese, la rivoluzione industriale, la borghesia al potere, ti fa una rivoluzione politica e sociale senza precedenti da cui non si torna indietro, se le dai un ragazzotto piccolo scuro con una improbabile zazzera da peones spagnolo o messicano, il corpo tozzo e sgraziato, che dipinge come Raffaello, te lo trasforma in Pablo Picasso che disegna come un bambino o come un selvaggio, se le dai un olandese dai capelli fulvi, mezzo matto, che dipinge raccoglitori e mangiatori di patate, con linee sgraziate e colori cupi, che al solo guardarlo ti sembra strano, che è capace di tagliarsi un orecchio e che ospita una prostituta come se fosse ai tempi di Caravaggio, te lo trasforma in Van Gogh con pennellate calde e avvolgenti e un’esplosione di gialli, rossi, verdi, arancioni e blu che sembrano le scintille del Big Bang quando fiorì l’universo da una massa iniziale molto e concentrata la cui densità e temperatura aumentarono costantemente fino all’esplosione che fece espandere la materia e il calore in tutte le direzioni.
Uomo o donna che tu sia, ti avverto, diffida anzi, trema al pensiero di Parigi, perché qualsiasi cosa le porti diventa grande, gigantesca, immensa, titanica … se le porti un’idea cambierà il mondo, se le porti il fuoco sacro dell’arte lo farà esplodere come un fuoco d’artificio e se le porti un amore, anche uno che è appena nato, ai suoi primi passi, ai primi vagiti, agli albori del suo sorgere, potrebbe diventare qualcosa di grande, di più grande degli stessi amanti, qualcosa che li travolge irreparabilmente o, semplicemente, qualcosa che a Parigi sembra grandioso e che si sgonfia appena varcati i confini del suo territorio.
Molte cose grandi, che hanno cambiato l’umanità, sono sorte e si sono spente a Parigi.