«Il ricordo delle quasi duemila vittime e della devastazione di un territorio stravolto nel suo assetto naturale e sociale induce, a cinquant’anni di distanza, a ribadire che quell’evento non fu una tragica, inevitabile fatalità, ma drammatica conseguenza di precise colpe umane, che vanno denunciate e di cui non possono sottacersi le responsabilità». (Giorgio Napolitano, Corriere della sera 09-10-2013).
"Tra la piazza e il cimitero
le case sono abitate. Sulla strada è vietato passare, ma non è vietato agli
ertani abitare in quella zona, dove si asserisce esservi pericolo. Non è
vietato celebrare le funzioni religiosa nella chiesa situata dentro il perimetro
franoso. Ricercare una logica negli avvenimenti del Vajont, di prima, di dopo,
di adesso, è come cercare un ago in un pagliaio. Il giorno prima della tragedia
si era imposto agli ertani di sfollare le bestie dalla zona del Toc, ma non la
gente. Adesso si fa altrettanto: si
blocca la strada, ma ci si può abitare sopra. Ben preso il cartello scompare.
Arrivano i carabinieri e vanno difilato da un membro del "Comitato per
Erto". Siccome non ha peli sulla lingua è considerato il più
"sovversivo" di tutti. Lo tirano fuori da casa e gli chiedono:
"Chi è stato ad asportare il cartello?" Risponde rivolgendo alla
forza pubblica un’altra domanda: "Chi è stato ad ammazzarmi la
famiglia?"
(Tina Merlin - Sulla pelle viva.
Come si costruisce una catastrofe. Il caso del Vajont).
"Un sasso e’ caduto in un
bicchiere colmo d’acqua e l’acqua é traboccata sulla tovaglia. Tutto qui. Solo
che il bicchiere era alto centinaia di metri ed il sasso era grande come una
montagna e di sotto, sulla tovaglia, stavano migliaia di creature umane che non
potevano difendersi”."
(Dino Buzzati, Corriere della
Sera, 10/10/1963).
La sera del 09-10-1963 alle ore
22.39 circa 260 milioni di m³ di roccia
(un volume più che doppio rispetto all'acqua contenuta nell'invaso) scivolarono
dal monte Toc nel bacino artificiale sottostante (che conteneva circa 115
milioni di m³ d'acqua al momento del disastro) creato dalla diga del Vajont,
provocando un'onda di piena tricuspide che superò i 200 m di altezza.
Quest’onda spazzò via quasi del
tutto i paesi di Longarone, Erto, Casso, Codissago e Castellavazzo, fece 1917
vittime accertate e si riversò nel bacino del Piave trasportando cadaveri,
carcasse di animali, tronchi d’albero e terra fino alla foce di questo fiume a nord della
laguna veneta fra le provincie di Treviso e di Venezia.
Non si trattò, dunque, del crollo
della diga (la più grande dei suoi tempi), che tutto sommato resistette anche a
quell’onda devastante, ma di una frana enorme staccatasi da
uno dei monti che formavano l’invaso, una frana accelerata dai continui
riempimenti e svuotamenti effettuati in fase di collaudo.
Non si può dire che sia stato un evento naturale e imprevedibile, ci furono anzi molti segnali che qualcosa
non andasse per il verso giusto perché da mesi si sentivano boati paurosi
provenire dalla diga e zolle enormi di montagna slittavano verso il basso
creando crepacci e spaccature; dopo l’estate del 1963 questi fenomeni si fecero
preoccupanti ed in molti si aspettavano che accadesse il disastro.
Ha ragione Giorgio Napolitano,
non fu una tragica fatalità, seppure la geologia fosse ancora una scienza
giovane, la frana del monte Toc era stata individuata da tempo ed era risaputo
che la roccia dolomia, che costituisce la catena alpina delle Dolomiti è una
roccia calcarea, poco compatta, friabile, franosa e facile a sgretolarsi (è
recente il crollo improvviso di cumuli imponenti di roccia dalle Tre Cime di
Lavaredo).
Ci furono colpe e responsabilità
precise, persone che sottovalutarono il pericolo in fase di progettazione, di
costruzione e di collaudo, persone che avrebbero dovuto controllare e non lo
fecero con il dovuto scrupolo, persone che avrebbero potuto evitare le morti
per la frana (a cui si aggiungono le decine di morti in fase di costruzione) e
che avrebbero dovuto sconsigliare la costruzione di un colosso con i piedi di
argilla.
I momenti di riflessione furono
tanti, dall’inizio quando furono eseguiti i “carotaggi” e si scoprì la frana
(che venne sottovalutata e non impedì l’impresa), a quando si decise di elevare
arditamente la diga stessa da 202 metri a quasi 700 metri s.l.m. triplicando la
quantità di metri cubi di acqua contenuta dell’invaso da 58,2 milioni ad oltre
150 milioni, fino a tutti i segnali di dissesto idro-geologico a cui ho
accennato sopra.
Ma in tutti i passaggi critici
prevalse il pragmatismo, la logica del profitto, la fretta che aveva la SADE (l’azienda
costruttrice, con un nome da divin marchese) di passare la gestione della diga
all’ENEL, nell’ottica della nazionalizzazione del settore energetico e in
questo modo scaricare sullo Stato ogni futura responsabilità, in tal modo si
accelerò il collaudo e il disastro del nove ottobre accadde nel corso della
terza prova di invaso, quando si giunse a riempire la diga fino a quota 710
metri.
Dopo varie vicende processuali furono condannati personaggi
tutto sommato secondari per “disastro colposo di frana e disastro colposo
d'inondazione, aggravati dalla previsione dell'evento e omicidi colposi plurimi
aggravati” (la prevedibilità della frana non viene riconosciuta).
Fra questi l’ingegner Alberico Biadene (il
responsabile del progetto dopo la morte dell’ing. Carlo Semenza) e Francesco
Sensidoni (Responsabile del ministero dei Lavori Pubblici della sezione dighe e
membro della commissione di collaudo della diga del Vajont).
Mario Pancini, il capo-cantiere
della SADE si tolse la vita alla vigilia del processo nel 1968, alcubi imputati
tolgono l’incomodo morendo di morte naturale e qualche altra condanna viene
distribuita ad altri imputati non eccellenti, condanne che saranno
sensibilmente ridotte in Cassazione a L’Aquila e a Biadene saranno condonati
altri tre anni per motivi di salute, tutti gli altri imputati saranno assolti.
Non c’è alcuna condanna ai
proprietari di SADE (Vittorio Cini conte di Monselice, ad esempio, ne esce illeso, nemmeno sfiorato dall'indagine) o agli alti funzionari dell’ENEL che si occuparono della
vicenda o ai funzionari politici che avrebbero dovuto ispezionare, controllare
l’esecuzione del progetto, collaudare, garantire soprattutto gli abitanti dei
paesi intorno alla diga.
Dopo 50 anni dal disastro non è
rimasto in vita più nessuno dei responsabili di quella tragedia e anche i testimoni diretti, quelli che avrebbero potuto dire cose interessanti in merito, si sono diradati ed è ancora più difficile di allora accertare cosa sia realmente
accaduto e perché; il monito di Napolitano, dunque, che esorta a denunciare e a
non sottacere le responsabilità e le precise colpe umane è solo flatus voci che
lascia il tempo che trova.
Trasecolo quando qualche alto
papavero si presenta persino con una certa veemenza a rivendicare la verità del "Vajont", di “Piazza
Fontana”, di “Ustica”, di “Piazza della Loggia”, della “Stazione di Bologna”,
quando qualcuno cerca ancora i colpevoli di “Sant’Anna di Stazzema”, o dell’ “omicidio
Pecorelli”, il mistero della “morte di Sindona”, la strana impiccagione del “banchiere
Calvi” sotto il Black Friars Bridge, il “Caso Moro” ….
Non che la soluzione di questi
misteri non sia interessante, la politica attuale e l’attuale potere economico
sono i moderni derivati di quei misteri, ne sono figli e nipoti, eredi
materiali e spirituali, e anche quando i potenti di oggi invocano chiarezza,
invitano ad improbabili denunce e ad inchiodare i colpevoli alle loro
responsabilità, esprimono in realtà solo quel senso di impotenza atavica, di
inutilità, di improbabilità di poter dare una svolta efficace alla soluzione di
questi misteri.
L’Italia non è una Repubblica
fondata sul lavoro, come è scritto nel primo articolo della Costituzione, l’Italia
è una Repubblica fondata sul mistero, perché non se n’è mai risolto uno, perché
fra Gladio, servizi segreti “virtuosi” e quelli “deviati” che intervengono a
depistare in occasioni anche fra le più assurde (come il caso dell’omicidio
della contessa Alberica Filo della Torre), la storia del nostro Paese è
diventata un guazzabuglio bizantino.
Napolitano, invece di invocare
improbabili denunce e moniti a non sottacere responsabilità di ieri, avrebbe
potuto almeno dire qualcosa, dimostrarsi contrario all’opportunità che al
recente 70° festival del cinema di Venezia uno dei premi più ambiti sia la “Coppa
Volpi”, in onore del conte Giuseppe Volpi di Misurata, nobiluomo veneziano,
imprenditore e politico, che istituì la 1ª Esposizione Internazionale d'Arte
Cinematografica, oggi conosciuta come Mostra internazionale d'arte
cinematografica di Venezia nel 1938, ma che era anche un simpatizzante
fascista, che ricoprì incarichi politici per il “partito” e che nel 1905
costituì la SADE.
Napolitano, nel suo piccolo,
potrebbe ancora fare un grande gesto per gettare la poca o tanta luce di cui
dispone, rinunciando alle sue prerogative di Capo dello Stato per deporre in
aula in merito alle telefonate intercorse con Nicola Mancino, Ministro dell’Interno
all’epoca dei fatti, accusato di falsa testimonianza nel corso dell'indagine
sulla Trattativa Stato-Mafia; il magistrato Di Matteo insiste perché ritiene la
sua testimonianza molto rilevante.
Il fatto in sé è gravissimo, se
ci fu davvero dopo le stragi del 1993, una trattativa fra lo Stato e la mafia,
ciò vuol dire che il giudice Borsellino è stato immolato come vittima
sacrificale per suggellarla, ciò vuol dire che il potere politico ed economico
che ci governa tuttora è un potere mafioso, se Napolitano avesse davvero il
fuoco sacro della denuncia di colpe e responsabilità dovrebbe essere il primo a
dimostrarlo pubblicamente facendo il suo dovere di cittadino, senza trincerarsi
nell’invocazione del rispetto del ruolo, della privacy e senza affrettarsi a
far distruggere dal gip di Palermo il contenuto delle telefonate intercettate …
sarebbe stato di ottimo esempio e un modello di trasparenza, oltre a fugare
ogni suo coinvolgimento in una vicenda così inquietante.
E l’Ilva di Taranto? È plausibile
che una città debba scegliere fra il lavoro e la morte per malattie causate da
inquinamento? Che benessere è quello che ti inquina irreversibilmente la terra
che ti nutre, il mare che ti sostenta e l’aria che respiri?
Altra questione spinosa è la TAV,
la costruzione della linea per l’alta velocità fra Torino e Lione, ormai è
evidente che questa linea non la vogliono i valligiani di Susa, non la vogliono
molti italiani, non ne hanno capito l’utilità la stragrande maggioranza di
cittadini di questo Paese, in molti si chiedono perché bisogna traforare un
monte, sodomizzare una valle, perché le carote possano arrivare mezzora prima
da Torino a Lione.
Di sicuro è che si tratta di un
progetto europeo per l’alta velocità, di cui gli stessi Stati che l’hanno
siglato non lo ritengono più tanto prioritario, ma di cui non si capisce bene
perché sia il PDL sia il PD (o almeno parte di esso, quello che ha voce in
capitolo) lo difendano ad oltranza, con manganelli e con la ben peggiore
criminalizzazione del dissenso e con puerili accuse di violenza, di terrorismo,
di anarchismo, di essere retrogradi verso chiunque ne mette in dubbio l’utilità,
la sicurezza e la trasparenza.
Il potere politico da noi è
legato al potere economico e a quello spirituale, sono loro che decidono se la
TAV è importante o non è importante e la calano sul territorio, non importa se
c’è chi non è d’accordo e chi dissente, il concetto di democrazia di queste
persone è che questo matrimonio s’ha da fare perché ci sono già i loro amici
imprenditori che si sono svegliati in piena notte sotto le vibrazioni del
terremoto e ridevano pensando al grande affare della “ricostruzione”, quelli
che stanno già scaldando i motori, stanno azionando i perforatori, facendo roteare
le impastatrici che verseranno colate di cemento in val di Susa, sul Vajont,
sul Ponte di Messina o sulla Salerno-Reggio Calabria (un’estasi infinita, un
cantiere eterno).
L’unica persona che denunciò
coraggiosamente lo stupro del Vajont fu la giornalista dell’Unità Tina Merlin,
che fu denunciata, tuttavia, per "diffusione di notizie false e
tendenziose atte a turbare l'ordine pubblico" tramite i suoi articoli,
processata e assolta dal Tribunale di Milano; nel corso della sua isolata
denuncia fu lasciata sola e accusata di ostacolare il progresso e, dopo la
catastrofe, addirittura di sciacallaggio nientedimeno che da Indro Montanelli.
Faticò persino a pubblicare il suo libro: Sulla pelle viva. Come si costruisce
una catastrofe, fino al 1993 anno in cui la Cierre Edizioni lo da alle stampe.
Oggi non c’è più nessuno su cui
depongo piena e totale fiducia per capire ciò che sta accadendo intorno a me, i
giornalisti esistenti, persino quelli più “liberi" sono funzionari di qualcosa,
di un qualche interesse che non sono io, non è il lettore, il lettore conta
così poco che è addirittura ininfluente (Il Foglio, Libero, Il Giornale, Il Riformista,
forse tutti, pubblicano indipendentemente da quante copie venderanno e sono
finanziati dalla politica).
Alcuni fra questi, quelli che
ancora leggo o guardo in tv, mi illuminano brevi e circoscritti angoli della
realtà, se volete capire le cose andate dentro le cose, dentro le parole, fate
come me andate a Longarone, andate sul Vajont e guardate quel colosso, percorrete
la sua vela e guardate la valle dall’alto, parlate con la gente anziana dei
Paesi, magari con un bicchiere di vino, e fatevi raccontare i loro dubbi, le
loro paure, il loro dolore e quella sensazione di essere sopravvissuti all'inconcepibile.
Signor Garbo, che dire? E in stato di grazia. Un post denso, per la scelta delle immagini e i contenuti. Interessante la tesi che l'Italia sia una repubblica fondata sul mistero, gli esempi concreti sono innumerevoli. Aggiungerei che i misteri italiani hanno tutti un tratto comune, l'insabbiamento decennale, e quanto più è duraturo, di solito, tanto più è pesante la responsabilità politica. Il mistero serve, non a caso, a loro che hanno fatto della mancanza di trasparenza e della spiccata tendenza a non assumersi responsabilità un marchio distintivo. Il politico italiano è un imbrattatore di verità altamente specializzato. Quanto al Vajont, va dato atto che senza la memorabile e drammatica ricostruzione teatrale e televisiva di Marco Paolini non se ne conoscerebbe la portata effettiva e, forse, oggi non se ne staremmo a parlare.
RispondiEliminaLa saluto, signor Garbo, mi stia bene e saluti a casa!
Gentile Signora,
RispondiEliminatrovo che sia Lei troppo buona nel giudicare questi miei post scritti in fretta e furia e raramente riletti, che si portano dietro, come la piena del Vajont, qualsiasi cosa possa sfuggire ad una valutazione più accurata.
Il mistero è la cifra che ci contraddistingue, altro che lavoro, se vogliamo imparare cosa vuol dire “lavorare” bisogna osservare i tedeschi, gli svizzeri, gli statunitensi, i giapponesi, …, noi in confronto a loro siamo degli artisti che attendono l’ispirazione anche per sbrigare una pratica al catasto.
Saremmo capaci di creare un mistero dal nulla in mancanza d’altro e siamo bravissimi ad intorbidire qualsiasi realtà, anche quella più limpida; esistono giornalisti che sanno rendere complicato persino allacciarsi le scarpe, che invece di far luce sugli eventi li intorbidano, sono mestatori di realtà, li rendono sempre più opachi e farraginosi e ci fanno un’infinità di puntate come se fosse una telenovelas (basti pensare a cosa ha fatto Bruno Vespa col delitto di Cogne).
Questi invitano poi degli “esperti” selezionati per rendere arcano e inintellegibile anche il più semplice dei gesti umani, esperti del “si però…” e delle ipotesi più improbabili, esperti che mai e poi mai conobbero Guglielmo di Occam che consigliava la spiegazione più semplice e lineare a quella più complessa e arzigogolata e di non moltiplicare i concetti e le spiegazioni senza necessità alcuna, se è cioè reperibile un concetto o una spiegazione più semplice e altrettanto soddisfacente.
Siamo bravissimi, però, nel banalizzare e nel minimizzare le cose quando accade davvero un fatto inspiegabile: il disastro di Ustica? È colpa del pilota che è stato trovato positivo al lambrusco di Sorbara e all’improvviso voleva andare a pesca di polpi (il lambrusco, si sa, è la morte loro …). Gladio? Era un’associazione di boy scout! La P2 un’associazione massonica eversiva? Ma va? Io pensavo che fosse una polispostiva, mi hanno inviato a casa la proposta di adesione, credevo mi avrebbero fatto lo sconto in piscina e nel campo da tennis. Volevano impadronirsi del potere in Italia? Ma a che ora, nessuno mi ha detto niente.
La stazione di Bologna, fu una bomba? Macché, si trattò di una sigaretta gettato li sbadatamente (http://www.today.it/rassegna/strage-stazione-bologna-licio-gelli-sigaretta.html).
È evidente che questo non è un Paese serio, perché altrove Licio Gelli sarebbe stato appeso per le palle e lasciato a macerare fino a quando non cantava come il coro delle voci bianche dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia; la sua villa è stata sequestrata solo ieri per frode fiscale e, pur essendo coinvolto in tutti gli eventi peggiori della nostra Repubblica, non mi pare abbia frequentato molto le patrie galere, è stato insignito di una quantità notevole di onorificenze e gli iscritti alla sua loggia siedono ancora in Parlamento.
Mo’ la devo proprio saluta’ perché me strilla er pupo che vo’ magnà; per quanto riguarda i saluti inviati, è stata servita. Un caro saluto a Lei e ai suoi cari.
P.S. Dimenticavo Marco Paolini, che di recente è tornato ad esibirsi a Treviso dopo 14 anni di “bando” da parte dello “sceriffo” Gentilini (che adesso per fortuna non è più al potere), per aver protestato in mutande per le vie cittadine insieme agli orchestrali del Teatro Comunale (la Lega, e Gentilini non è un’eccezione, è molto sensibile alla cultura, durante il ventennio del potere sulla “Marca” ha promosso eventi culturali come le bancarelle di specialità regionali, mai un libro … avrebbero chiamato l’esorcista … mai un evento teatrale o cinematografico … mai un concerto, al massimo la banda degli alpini e poi tutti a magnare polenta e costicine e radicio rosso de Treviso).
RispondiEliminaQuando il 9 ottobre del 1997 andò in onda su Rai 2 in diretta da Longarone il suo “Il racconto del Vajont” in pochi in Italia si ricordavano o sapevano di cosa stesse parlando, era una tragedia completamente dimenticata e non avrebbe fatto notizia perché non era una strage di mafia o un attentato terroristico.
Solo la bravura di Marco ha posto all’attenzione di tutti uno dei più gravi disastri industriali del nostro Paese ed è a partire da quella diretta (e dal coraggio di qualche dirigente di Rai 2) che noi abbiamo iniziato a parlarne; subito dopo il disastro, chi accusava (come tina Merlin) veniva a sua volta accusato di sciacallaggio e l’intera vicenda si chiuse in sordina.
Le rinnovo il saluto
Ho visto Paolini con la sua recita sulla tragedia che è addebitabile alo Stato Italiano e non a disgrazia non prevedibile.
RispondiEliminaluigi
P.S.:
l'altro commento sul medesimo post l'ho rimesso per posta poichè non mi prendeva il codice di inserimento.
Spero che questo possa "viaggiare" fino a destinazione.
L'uomo tecnologico non ha ancora imparato la lezione, crede di poter attraversare questo mondo sfidandolo armato solo della sua presunzione e del suo egoismo.
RispondiEliminaPurtroppo nulla può contro la spietata indifferenza della natura..
"La natura per costume e per istinto è carnefice impassibile e indifferente della sua propria famiglia" scrisse Leopardi.
Ho letto con interesse i due post precedenti, specie i commenti, direi ricchissimi ..
E' sport abituale ormai andarsene in giro con una faccia per sé e una per la folla con il rischio costante di non sapere più qual è quella vera, citando Hawthorne...
Ciao e buon tutto
Julia