sabato 26 ottobre 2013

MONPTY



«A chi non conoscono abbaiano i cani» (Eraclito, DK 22 B 97).



Vi ricordate dell’intervista di Daria Bignardi a Mario Monti alle Invasioni Barbariche durante le ultime elezioni politiche? Quella in cui si vede un Monti imbarazzatissimo con in braccio un cagnetto? Il cagnetto si chiama Empy (da empatia, da ciò l’acronimo Monpty, da Monti+Empy), il nome sembrerebbe averglielo dato lui in persona, ora, Signore, conoscete un uomo meno empatico di Mario Monti, eccetto vostro marito?
Io non me la ricordavo, perché non guardo la Bignardi, sono andato a vedere il filmato in archivio incuriosito dall’ultima polemica sollevata dallo stesso Monti nella trasmissione In Mezz’ora (Rai3) di Lucia Annunziata in cui il senatore a vita dichiara: «Chi vi parla, perché così vuole coltivare la sua immagine chi non mi ama, è colui che in uno studio televisivo si è trovato tra le braccia, di sorpresa, in maniera poco corretta, ad opera di una sua collega - e collega è dire molto- un cagnolino. E oggi c’è un’alta autorità dello Stato che fa spesso riferimenti, nelle sue sagaci dichiarazioni, alla fine che avrà fatto il cagnolino di Monti, sarà svanito nel nulla come il centro? Quest’alta autorità dello Stato è un vicepresidente del Senato, il senatore Gasparri, lui si diverte molto».
Insomma, Monti si toglie qualche sassolino dalla scarpa (e ci ha camminato parecchio con quei sassolini, che neanche un fachiro indiano … quale sorta di masochismo l‘ha spinto a tenerseli per tutto questo tempo?): il primo verso Daria Bignardi, che gli avrebbe buttato sulle braccia il cane a sorpresa, pensando (a ragione): “Sei pressappoco un baccalà, uno stoccafisso, beccati ‘sto cagnetto e cerca di sembrare umano!”. Un po’ è la stessa cosa che aveva pensato la Michela Brambilla con Silvio Berlusconi quando gli ha regalato Dudù … solo che li non si trattava di rendere umano un tronchetto della felicità, ma di rendere credibile Jack lo Squartatore come macellaio, Pietro Gambadilegno come commissario di Topolinia, la volpe a guardia del pollaio (e se il cane sembra felice e scodinzola, perché no …), …,  che “ …  Il lupo abiterà con l'agnello e il leopardo giacerà col capretto; il vitello, il leoncello e il bestiame ingrassato staranno insieme e un bambino li guiderà. La vacca pascolerà con l'orsa, i loro piccoli giaceranno insieme, e il leone si nutrirà di paglia come il bue. Il lattante giocherà sulla buca dell'aspide, e il bambino divezzato metterà la sua mano nel covo della vipera” (Isaia, 11, 6-8).



Ora, se sei stato al gioco, se ti sei prestato a quella farsa, denunciare chi te l’ha proposta ricade su di te che hai accettato di prendere in giro e di mistificare l’elettorato, perdi credibilità anche tu, qualora te ne fosse rimasta appesa un grammo ancora, a meno che tu non stia interpretando il ruolo di Sansone che fa crollare le colonne della casa dove sono riuniti tutti i capi dei filistei … e allora credo che potresti dire e fare molto di più di questa banalità del cagnetto e individuare filistei ben più rappresentativi della Bignardi e di Gasparri che mi paiono piuttosto due scartine e a polemizzare con le scartine da immediatamente il livello in cui ci si colloca … liti da pollaio!
La Bignardi sarebbe una giornalista, se solo se ne ricordasse, e non solo la sacerdotessa del Grande Fratello, e in quanto tale dovrebbe fare un programma giornalistico serio, non un “confessionale”, dovrebbe presentarci l’uomo per ciò che è nel bello e nel brutto, non confezionarci un “pacco convenienza” in vista delle elezioni, non buttargli addosso un cane per farlo apparire più simpatico … operazione ignobile per chiunque, ma che toglie ogni credibilità a chiunque voglia dirsi “giornalista”.
La Bignardi replica a Monti semplicemente: “Bau”, ma già nel passato (visto che la polemica non nasce oggi) aveva scritto questo sul suo blog; non stento a crederle riguardo all’assenso di Monti, stento a crederle invece sul fatto che Monti avesse capito a cosa aveva appena dato l’assenso.



Maurizio Gasparri, dal canto suo, asserisce che:
“Avevo ironicamente chiesto notizie del cane che era stato regalato a Monti durante un’intervista con Bignardi. Vedo che il professore, stizzito dal suo fallimento politico, invece di rispondere con simpatia e verità, finito in tv dalla militante della sinistra condannata Agcom, replica con poco sagace tendenza al ridicolo […] Da persona che rispetta gli animali vorrei evidenziare che Monti conferma quanto si era ben capito e che era alla base della mia domanda. E cioè che Daria Bignardi con quel teatrino, dice Monti a sua insaputa, ha dimostrato cinismo nell’abuso di un cane, usato come merce di propaganda. Chi ama gli animali, e non siamo pochi, ne può trarre un giudizio sul comportamento spregevole della conduttrice televisiva. Così come si può valutare criticamente Monti e il suo staff, immersi allora in fallite campagne simpatia, di cui anche un cane fu vittima. La Bignardi si rivela una specie di ‘Crudelia’. E resta il quesito che fine ha fatto il povero Empy vittima di una cinica propaganda tv, ennesimo cane che si rivela migliore degli umani che ne abusano? Empy al posto di Monti in Senato porterebbe più calore e più lealtà”.
Un cane al posto di Monti, avete capito bene, Gasparri arriva a pensare che un cane sarebbe andato meglio al posto di Monti: in sostanza, un cane dice che un cane sarebbe stato meglio di uno che si è trovato un cane fra le braccia senza volerlo. Gasparri mette la piaga sul maggiore dei problemi di Monti: quello della sua “simpatia”, è stato subito accolto da tutti col calore con cui si accoglie un calcio sui coglioni; ma fa finta di non comprendere che è anche il suo problema più grande, perché in quanto a simpatia Gasparri dovrebbe fare lo spareggio con Monti per vedere chi vince, in ogni caso la differenza sarebbe minima.



Io credo che Monti, dopo l’ubriachezza molesta seguita al fatto di essere diventato senatore a vita, Presidente del Consiglio e salvatore della patria in solo pochi mesi, per poi ritrovarsi col culo per terra, scaricato da tutti (avversari e alleati più o meno fedeli), abbia molto da recriminare contro chi l’ha usato e contro chi, col suo assenso ovviamente, abbia contribuito a fargli fare qualcosa di cui oggi si vergogna.
È molto triste essere stato elevato in poco tempo alle più alte cariche dello Stato, essere stato considerato un interlocutore credibile e preparato dai partner europei, avere attestati formali di lealtà e di fedeltà (e pure qualche leccata al podice) da tutti (giornalisti compresi, hai visto mai che questo finisce per contare davvero qualcosa?), per poi ritrovarsi scaricato da tutti (ci manca solo la moglie che intraprenda causa di separazione legale e i figli che ne disconoscano la paternità).
Ma trovo assurdo sollevare polveroni sulla Bignardi e su Gasparri, uno esce da una coalizione di centro mettendo a rischio tutto ciò in cui ha creduto e in cui si è prodigato negli ultimi due anni per polemizzare con una “giornalista”, a suo dire, poco corretta e con Gasparri che è stato il cane di riporto di Fini prima e poi di Berlusconi?
Trovo assurdo prestare il fianco alle facili critiche di Gasparri che, mi spiace dirlo, ne esce vittorioso da questa bagarre, anche perché le polemiche stupide sono il suo campo privilegiato, li nessuno può batterlo; per Gasparri è facile infilzare Monti su questa montatura pubblicitaria, ovviamente non ricordando che il primo ad utilizzare la stessa montatura pubblicitaria è stato il suo Signore e Padrone Silvio Berlusconi, che non solo si dichiarerebbe gay se questo servisse a dargli un qualche consenso, ma andrebbe anche a Porta a Porta vestito da Village People.   



Ma la cosa più sconcertante dell’intera vicenda non è la reazione di Monti, o la replica della Bignardi o i grugniti, il battere il petto con i pugni o lo spulciarsi di Gasparri, la cosa che la mia mente si rifiuta di accettare è che un tizio, eurodeputato del PDL, tale Sergio Silvestris, sedicente “gasparriano” (io pensavo che già un Gasparri bastasse e avanzasse, mi sono sempre rifiutato di pensare che potessero esservi proseliti, che la “specie” potesse proliferare insomma) e con faccia tosta non indifferente si dica pure fiero di questa appartenenza, abbia appena portato in Parlamento Europeo un'interrogazione sul caso Empy: appellandosi "all'articolo 4 della Convenzione sugli animali", Silvestris chiede alla Commissione Europea di scoprire "che fine abbia fatto il cane Empy, se sia stato abbandonato, se l'animale riceva cibo e acqua a sufficienza".   
Non so voi, ma io mi fermo qui, il mio cervello in questo momento è una lastra di cristallo, potrebbe frantumarsi in mille pezzi se solo osassi approfondire questa cosa qui, siamo in territori dove non osano nemmeno le aquile … solo Gasparri e Silvestris sembrano trovarcisi a loro agio.



Dico solo:
“Basta con i cani in politica!!!”.









P.S. E, comunque, questo blog in anteprima è in grado di dirvi che fine ha fatto Empy, il cane che la Bignardi ha ignobilmente gettato sulle braccia di Monti (invece di abbandonarlo in un autogrill, come fanno tutti) … adesso frequenta la Bocconi e il prossimo anno si laurea con una tesi su “Politica, giornalismo e Grande Fratello: identità assiomatica. Un punto di vista canino”. Eccolo:




lunedì 21 ottobre 2013

RITRATTO DI UN IMBECILLE 1



“La stupidità ha fatto progressi enormi. È un sole che non si può più guardare fissamente. Grazie ai mezzi di comunicazione, non è più nemmeno la stessa, si nutre di altri miti, si vende moltissimo, ha ridicolizzato il buon senso, spande il terrore intorno a sé”.
(Ennio Flaiano, da Ombre grigie, elzeviro sul Corriere della sera, 13 marzo 1969).



Nella prima metà del secolo scorso il poeta e scrittore francese Philippe Soupault, permeato di dadaismo, di surrealismo, della ventata di novità rappresentata dalle avanguardie letterarie e dalle letture di Freud e di Janet espose provocatoriamente in una mostra d’arte uno specchio intelaiato da una cornice dal titolo: “Ritratto di un imbecille”.
Credo che un marchingegno di siffatta natura sia molto prezioso in ogni casa e sia cosa sana rispecchiarvisi anche più volte al giorno e sorridere di sé senza prendersi mai troppo sul serio; mentre trovo deleteri altri “specchi”, da quello delle “mie brame” della regina di Biancaneve, fino ai grandi tabloid internazionali (Time, Life, Men’s Health, Vogue, ecc.) che incoronano donne e uomini “dell’anno”, persone celebri, le “eccellenze” della politica, dello spettacolo, della letteratura, dell’arte, ..., chiunque ti rimandi indietro l’immagine monocorde e monotona che sei un grand’uomo o una gran donna, una persona capace, in gamba, il migliore di tutti nel tuo campo o in assoluto.
Imbecille è senza ombra di dubbio Mario Balotelli, in occasione della partita che si sarebbe disputata a Napoli fra Italia e Armenia qualcuno aveva ventilato l’ipotesi di farne un simbolo anticamorra, ma lui su twitter ha replicato:
“Questo lo dite voi! Io vengo perché il calcio e bello e tutti devono giovarlo dove vogliono e poi c'è la partita!!!!”.
Ma come gli è saltato in mente di scrivere una cavolata di queste dimensioni, non lo sa Balotelli che nell’antimafia (come nella mafia) ci sono delle proposte che non si possono rifiutare? Nessuno sano di mente avrebbe osato declinare questa proposta perché più il calcio (e lo sport in generale) sta diventando un puro e squallido business per vendere carabattole di ogni genere o semplice sfogo di frustrazioni represse e più c’è chi alla base tesse i fili per nobilitarne l’esercizio e la funzione.
Lo sport è educativo, dicono, e a cosa ti educhi di preciso non è chiaro; lo sport è catartico, ti insegna a dominare la violenza, toglie i ragazzini dalla strada, quelli che rischiano di essere attratti dalla sfera della criminalità organizzata, lo sport fa bene al fisico e alla mente (poi vedi con quale facilità gli sportivi si ammalino solo qualche anno dopo aver terminato la loro carriera agonistica, come si “gonfino” fisicamente in certi casi perché sfumi immediatamente l’idea del “corpore sano”, mentre ti basta vedere l’intervista con qualsiasi calciatore o anche solo Cassano muto perché proprio tu non ti faccia alcuna illusione sulla “mens sana”).
Lo sport ha un’importante funzione sociale, il campione di calcio è un ragazzo che ha avuto in dono un gran talento e che dovrebbe mettere questo talento al servizio della società, per migliorarla, sfruttando la sua posizione, il suo successo, la presa che fa nel pubblico, per realizzare opere benefiche e per mettere in guardia contro comportamenti a rischio, pericolosi, lesivi, o criminosi che si può essere tentati di assumere.
Siamo ormai abituati agli appelli degli assi del calcio contro la violenza negli stadi, contro il razzismo, le discriminazioni, per combattere alcune malattie, …, perché in tutto questo buonismo non ci può stare anche un appello contro la criminalità organizzata? In fondo Umberto Eco se si presentasse in tv a dire la stessa cosa non se lo filerebbe nessuno, se si presenta invece Francesco Totti viene immancabilmente ascoltato da migliaia di persone.
Lo so, voi che siete diffidenti starete pensando che in fondo Eco sa scrivere e parlare molto bene, è capace di organizzare ed esprimere superbamente il suo pensiero e poi non è così vero che non se lo fila nessuno, i suoi libri e soprattutto i suoi romanzi sono tradotti in molte lingue e sono diventati dei best seller, mentre sul penchant espressivo di Totti è meglio stendere un velo pietoso.
È una tristezza sentire le dichiarazioni dei campioni del calcio in tv, le conferenze stampa, le interviste, i proclami, le pubblicità ad alcuni prodotti, per la pochezza e mestizia di contenuti, ma soprattutto per il modo, lo stile, sembrano dei bambini che stiano recitando malamente una poesia che hanno imparato a memoria e nel loro declinarla traspaia tutta la fatica che hanno fatto nell’impararla e quella che stanno facendo recitandola.
Sembrano distaccati da ciò che stanno dicendo, come se non capissero il significato delle loro stesse parole, come se dicessero cose che non appartengono loro, come se fossero sulle spine e che diano l’idea che prima finisca questa comparsata e meglio è per tutti.
Molto spesso questo imbarazzo e questa sensazione di poca convinzione e di poca adesione ai contenuti che potrebbe essere estremamente deleteria per il prodotto che stanno promuovendo o per la battaglia per cui si stanno mobilitando, viene ovviata con inquadrature particolari, con testi ridotti al minimo, col contorno di qualche bella fanciulla o con una spalla comica che ironizzi sulla situazione, o ancora con una scritta sulla maglietta, una  bandiera, un simbolo, un gagliardetto, ma resta l’impressione che in fondo a questi esangui bietoloni interessi ben poco non solo dell’acqua uliveto o della nuova polo, ma anche della lotta contro il razzismo, contro la violenza o contro la criminalità organizzata.
Che si tratti insomma soltanto di curare i loro interessi economici o di immagine (inutile dire che spesso entrambi sono aspetti della stessa questione perché una buona immagine rafforza l’efficacia di uno spot televisivo e, dunque, anche l’opulento conto in banca del calciatore in questione), che tutto il calcio e lo sport in generale siano diventati soltanto un luogo dove girano vorticosamente un mare di soldi e in cui ciò che conta è poter associare ad un’immagine vincente un prodotto per poterlo vendere meglio.
In una situazione di questo genere al campione sportivo non viene richiesto di essere nobile, di avere buoni sentimenti, virtù particolari, di possedere un certo fair play o di essere socialmente impegnato, ma di avere tecnica, potenza, muscolarità, spietatezza, voglia di vincere, ambizione e soprattutto, visto il picco di massima efficienza fisica richiestogli dura solo pochi anni e con esso gli ingaggi miliardari e le relative pubblicità che può essere chiamato a fare, affrettarsi a guadagnare quanto più è possibile, offrendosi di stagione in stagione al miglior offerente, senza portarsi dietro zavorre emotive come l’attaccamento alla squadra, il fare gruppo con i compagni, la responsabilità, la lealtà, la fedeltà.
Visto che questo è il calcio, visto che questi sono i calciatori, che senso ha affidare a questo ambiente un messaggio anticamorra? Che senso ha voler fare di uno come Mario Balotelli un simbolo della lotta anticamorra, proprio lui che l’unico interesse che ha mostrato per Napoli e per la Campania è stato il fatto che (senza voler credere all’accusa di un pentito che riferisce che Mario avrebbe “spacciato” per scherzo in quell’occasione) abbia visitato Scampia per curiosità, come si va a visitare uno zoo e a vedere gli animali esotici, come certi imbecilli si mettono in macchina per visitare, come se fossero al circo, le zone colpite da una calamità naturale, soprattutto terremoti, ma vanno bene anche inondazioni in questi ultimi anni?
È seria una lotta anticamorra affidata in queste mani? E ha un bel dire Rosaria Capacchione, senatrice PD e coraggiosa giornalista che si è occupata di camorra e che vive sotto scorta, a dargli dell’imbecille. Non che non abbia ragione, probabilmente Balotelli è davvero tutto questo e fin’ora, eccetto qualche talento calcistico, non ha mostrato molto buon senso.
Ma quanto buon senso c’è in chi lo propone come testimonial? Uno che non ha mai mostrato un minimo di interesse verso la camorra se non quello descritto sopra, uno che non ha mai dimostrato interesse verso nulla che non sia egli stesso (pensate a come ha reagito alla faccenda della vera o presunta paternità).
Sapete quanti ricercatori in gamba si potrebbero trattenere nelle  nostre università (mentre adesso vanno all’estero ad arricchire altri Paesi con la loro intelligenza) con l’ingaggio annuale di Mario Balotelli? E non sarebbe molto più credibile in tv un ignoto ricercatore che sappia esprimersi in un italiano passabile piuttosto di un calciatore che parla solo a slogan, grugniti e sputi sul campo … manco fosse un lama?
Il fatto è che io ne ho le scatole piene di testimonial di cartapesta, da George Cluney che sa dire in italiano solo: “Immagina, puoi!” e questa cazzata gli è stata pagata a peso d’oro dalla Fastweb e, di conseguenza, da noi che usiamo Fastweb.

Ne ho le scatole piene degli Antonio Banderas, che circuiscono galline e cucinano i biscotti al vapore col loro alito abitando in improbabili e omofobi mulini bianchi; ne ho le scatole piene di Mario Balotelli che scimmiotta la camorra senza avere alcuna idea di cosa sia realmente; e ne ho le scatole piene di tutti questi “cavalli di cartone” usati per veicolare messaggi di qualsiasi tipo e che invece di esaltare svalorizzano qualsiasi cosa dicono e qualsiasi battaglia sembrano combattere.



mercoledì 9 ottobre 2013

VAJONT







«Il ricordo delle quasi duemila vittime e della devastazione di un territorio stravolto nel suo assetto naturale e sociale induce, a cinquant’anni di distanza, a ribadire che quell’evento non fu una tragica, inevitabile fatalità, ma drammatica conseguenza di precise colpe umane, che vanno denunciate e di cui non possono sottacersi le responsabilità». (Giorgio Napolitano,  Corriere della sera 09-10-2013).



"Tra la piazza e il cimitero le case sono abitate. Sulla strada è vietato passare, ma non è vietato agli ertani abitare in quella zona, dove si asserisce esservi pericolo. Non è vietato celebrare le funzioni religiosa nella chiesa situata dentro il perimetro franoso. Ricercare una logica negli avvenimenti del Vajont, di prima, di dopo, di adesso, è come cercare un ago in un pagliaio. Il giorno prima della tragedia si era imposto agli ertani di sfollare le bestie dalla zona del Toc, ma non la gente. Adesso  si fa altrettanto: si blocca la strada, ma ci si può abitare sopra. Ben preso il cartello scompare. Arrivano i carabinieri e vanno difilato da un membro del "Comitato per Erto". Siccome non ha peli sulla lingua è considerato il più "sovversivo" di tutti. Lo tirano fuori da casa e gli chiedono: "Chi è stato ad asportare il cartello?" Risponde rivolgendo alla forza pubblica un’altra domanda: "Chi è stato ad ammazzarmi la famiglia?"
(Tina Merlin - Sulla pelle viva. Come si costruisce una catastrofe. Il caso del Vajont).

"Un sasso e’ caduto in un bicchiere colmo d’acqua e l’acqua é traboccata sulla tovaglia. Tutto qui. Solo che il bicchiere era alto centinaia di metri ed il sasso era grande come una montagna e di sotto, sulla tovaglia, stavano migliaia di creature umane che non potevano difendersi”."
(Dino Buzzati, Corriere della Sera, 10/10/1963).




La sera del 09-10-1963 alle ore 22.39  circa 260 milioni di m³ di roccia (un volume più che doppio rispetto all'acqua contenuta nell'invaso) scivolarono dal monte Toc nel bacino artificiale sottostante (che conteneva circa 115 milioni di m³ d'acqua al momento del disastro) creato dalla diga del Vajont, provocando un'onda di piena tricuspide che superò i 200 m di altezza.
Quest’onda spazzò via quasi del tutto i paesi di Longarone, Erto, Casso, Codissago e Castellavazzo, fece 1917 vittime accertate e si riversò nel bacino del Piave trasportando cadaveri, carcasse di animali, tronchi d’albero e terra fino alla foce di questo fiume a nord della laguna veneta fra le provincie di Treviso e di Venezia.
Non si trattò, dunque, del crollo della diga (la più grande dei suoi tempi), che tutto sommato resistette anche a quell’onda devastante, ma di una frana enorme staccatasi da uno dei monti che formavano l’invaso, una frana accelerata dai continui riempimenti e svuotamenti effettuati in fase di collaudo.
Non si può dire che sia stato un evento naturale e imprevedibile, ci furono anzi molti segnali che qualcosa non andasse per il verso giusto perché da mesi si sentivano boati paurosi provenire dalla diga e zolle enormi di montagna slittavano verso il basso creando crepacci e spaccature; dopo l’estate del 1963 questi fenomeni si fecero preoccupanti ed in molti si aspettavano che accadesse il disastro.




Ha ragione Giorgio Napolitano, non fu una tragica fatalità, seppure la geologia fosse ancora una scienza giovane, la frana del monte Toc era stata individuata da tempo ed era risaputo che la roccia dolomia, che costituisce la catena alpina delle Dolomiti è una roccia calcarea, poco compatta, friabile, franosa e facile a sgretolarsi (è recente il crollo improvviso di cumuli imponenti di roccia dalle Tre Cime di Lavaredo).
Ci furono colpe e responsabilità precise, persone che sottovalutarono il pericolo in fase di progettazione, di costruzione e di collaudo, persone che avrebbero dovuto controllare e non lo fecero con il dovuto scrupolo, persone che avrebbero potuto evitare le morti per la frana (a cui si aggiungono le decine di morti in fase di costruzione) e che avrebbero dovuto sconsigliare la costruzione di un colosso con i piedi di argilla.
I momenti di riflessione furono tanti, dall’inizio quando furono eseguiti i “carotaggi” e si scoprì la frana (che venne sottovalutata e non impedì l’impresa), a quando si decise di elevare arditamente la diga stessa da 202 metri a quasi 700 metri s.l.m. triplicando la quantità di metri cubi di acqua contenuta dell’invaso da 58,2 milioni ad oltre 150 milioni, fino a tutti i segnali di dissesto idro-geologico a cui ho accennato sopra.
Ma in tutti i passaggi critici prevalse il pragmatismo, la logica del profitto, la fretta che aveva la SADE (l’azienda costruttrice, con un nome da divin marchese) di passare la gestione della diga all’ENEL, nell’ottica della nazionalizzazione del settore energetico e in questo modo scaricare sullo Stato ogni futura responsabilità, in tal modo si accelerò il collaudo e il disastro del nove ottobre accadde nel corso della terza prova di invaso, quando si giunse a riempire la diga fino a quota 710 metri.




Dopo varie vicende processuali furono condannati personaggi tutto sommato secondari per “disastro colposo di frana e disastro colposo d'inondazione, aggravati dalla previsione dell'evento e omicidi colposi plurimi aggravati” (la prevedibilità della frana non viene riconosciuta).
Fra questi l’ingegner Alberico Biadene (il responsabile del progetto dopo la morte dell’ing. Carlo Semenza) e Francesco Sensidoni (Responsabile del ministero dei Lavori Pubblici della sezione dighe e membro della commissione di collaudo della diga del Vajont).
Mario Pancini, il capo-cantiere della SADE si tolse la vita alla vigilia del processo nel 1968, alcubi imputati tolgono l’incomodo morendo di morte naturale e qualche altra condanna viene distribuita ad altri imputati non eccellenti, condanne che saranno sensibilmente ridotte in Cassazione a L’Aquila e a Biadene saranno condonati altri tre anni per motivi di salute, tutti gli altri imputati saranno assolti.
Non c’è alcuna condanna ai proprietari di SADE (Vittorio Cini conte di Monselice, ad esempio, ne esce illeso, nemmeno sfiorato dall'indagine) o agli alti funzionari dell’ENEL che si occuparono della vicenda o ai funzionari politici che avrebbero dovuto ispezionare, controllare l’esecuzione del progetto, collaudare, garantire soprattutto gli abitanti dei paesi intorno alla diga.
Dopo 50 anni dal disastro non è rimasto in vita più nessuno dei responsabili di quella tragedia e anche i testimoni diretti, quelli che avrebbero potuto dire cose interessanti in merito, si sono diradati ed è ancora più difficile di allora accertare cosa sia realmente accaduto e perché; il monito di Napolitano, dunque, che esorta a denunciare e a non sottacere le responsabilità e le precise colpe umane è solo flatus voci che lascia il tempo che trova.




Trasecolo quando qualche alto papavero si presenta persino con una certa veemenza a rivendicare la verità del "Vajont", di “Piazza Fontana”, di “Ustica”, di “Piazza della Loggia”, della “Stazione di Bologna”, quando qualcuno cerca ancora i colpevoli di “Sant’Anna di Stazzema”, o dell’ “omicidio Pecorelli”, il mistero della “morte di Sindona”, la strana impiccagione del “banchiere Calvi” sotto il Black Friars Bridge, il “Caso Moro” ….
Non che la soluzione di questi misteri non sia interessante, la politica attuale e l’attuale potere economico sono i moderni derivati di quei misteri, ne sono figli e nipoti, eredi materiali e spirituali, e anche quando i potenti di oggi invocano chiarezza, invitano ad improbabili denunce e ad inchiodare i colpevoli alle loro responsabilità, esprimono in realtà solo quel senso di impotenza atavica, di inutilità, di improbabilità di poter dare una svolta efficace alla soluzione di questi misteri.








L’Italia non è una Repubblica fondata sul lavoro, come è scritto nel primo articolo della Costituzione, l’Italia è una Repubblica fondata sul mistero, perché non se n’è mai risolto uno, perché fra Gladio, servizi segreti “virtuosi” e quelli “deviati” che intervengono a depistare in occasioni anche fra le più assurde (come il caso dell’omicidio della contessa Alberica Filo della Torre), la storia del nostro Paese è diventata un guazzabuglio bizantino.
Napolitano, invece di invocare improbabili denunce e moniti a non sottacere responsabilità di ieri, avrebbe potuto almeno dire qualcosa, dimostrarsi contrario all’opportunità che al recente 70° festival del cinema di Venezia uno dei premi più ambiti sia la “Coppa Volpi”, in onore del conte Giuseppe Volpi di Misurata, nobiluomo veneziano, imprenditore e politico, che istituì la 1ª Esposizione Internazionale d'Arte Cinematografica, oggi conosciuta come Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia nel 1938, ma che era anche un simpatizzante fascista, che ricoprì incarichi politici per il “partito” e che nel 1905 costituì la SADE.




Napolitano, nel suo piccolo, potrebbe ancora fare un grande gesto per gettare la poca o tanta luce di cui dispone, rinunciando alle sue prerogative di Capo dello Stato per deporre in aula in merito alle telefonate intercorse con Nicola Mancino, Ministro dell’Interno all’epoca dei fatti, accusato di falsa testimonianza nel corso dell'indagine sulla Trattativa Stato-Mafia; il magistrato Di Matteo insiste perché ritiene la sua testimonianza molto rilevante.
Il fatto in sé è gravissimo, se ci fu davvero dopo le stragi del 1993, una trattativa fra lo Stato e la mafia, ciò vuol dire che il giudice Borsellino è stato immolato come vittima sacrificale per suggellarla, ciò vuol dire che il potere politico ed economico che ci governa tuttora è un potere mafioso, se Napolitano avesse davvero il fuoco sacro della denuncia di colpe e responsabilità dovrebbe essere il primo a dimostrarlo pubblicamente facendo il suo dovere di cittadino, senza trincerarsi nell’invocazione del rispetto del ruolo, della privacy e senza affrettarsi a far distruggere dal gip di Palermo il contenuto delle telefonate intercettate … sarebbe stato di ottimo esempio e un modello di trasparenza, oltre a fugare ogni suo coinvolgimento in una vicenda così inquietante.
E l’Ilva di Taranto? È plausibile che una città debba scegliere fra il lavoro e la morte per malattie causate da inquinamento? Che benessere è quello che ti inquina irreversibilmente la terra che ti nutre, il mare che ti sostenta e l’aria che respiri?
Altra questione spinosa è la TAV, la costruzione della linea per l’alta velocità fra Torino e Lione, ormai è evidente che questa linea non la vogliono i valligiani di Susa, non la vogliono molti italiani, non ne hanno capito l’utilità la stragrande maggioranza di cittadini di questo Paese, in molti si chiedono perché bisogna traforare un monte, sodomizzare una valle, perché le carote possano arrivare mezzora prima da Torino a Lione.




Di sicuro è che si tratta di un progetto europeo per l’alta velocità, di cui gli stessi Stati che l’hanno siglato non lo ritengono più tanto prioritario, ma di cui non si capisce bene perché sia il PDL sia il PD (o almeno parte di esso, quello che ha voce in capitolo) lo difendano ad oltranza, con manganelli e con la ben peggiore criminalizzazione del dissenso e con puerili accuse di violenza, di terrorismo, di anarchismo, di essere retrogradi verso chiunque ne mette in dubbio l’utilità, la sicurezza e la trasparenza.
Il potere politico da noi è legato al potere economico e a quello spirituale, sono loro che decidono se la TAV è importante o non è importante e la calano sul territorio, non importa se c’è chi non è d’accordo e chi dissente, il concetto di democrazia di queste persone è che questo matrimonio s’ha da fare perché ci sono già i loro amici imprenditori che si sono svegliati in piena notte sotto le vibrazioni del terremoto e ridevano pensando al grande affare della “ricostruzione”, quelli che stanno già scaldando i motori, stanno azionando i perforatori, facendo roteare le impastatrici che verseranno colate di cemento in val di Susa, sul Vajont, sul Ponte di Messina o sulla Salerno-Reggio Calabria (un’estasi infinita, un cantiere eterno).






L’unica persona che denunciò coraggiosamente lo stupro del Vajont fu la giornalista dell’Unità Tina Merlin, che fu denunciata, tuttavia, per "diffusione di notizie false e tendenziose atte a turbare l'ordine pubblico" tramite i suoi articoli, processata e assolta dal Tribunale di Milano; nel corso della sua isolata denuncia fu lasciata sola e accusata di ostacolare il progresso e, dopo la catastrofe, addirittura di sciacallaggio nientedimeno che da Indro Montanelli. Faticò persino a pubblicare il suo libro: Sulla pelle viva. Come si costruisce una catastrofe, fino al 1993 anno in cui la Cierre Edizioni lo da alle stampe.
Oggi non c’è più nessuno su cui depongo piena e totale fiducia per capire ciò che sta accadendo intorno a me, i giornalisti esistenti, persino quelli più “liberi" sono funzionari di qualcosa, di un qualche interesse che non sono io, non è il lettore, il lettore conta così poco che è addirittura ininfluente (Il Foglio, Libero, Il Giornale, Il Riformista, forse tutti, pubblicano indipendentemente da quante copie venderanno e sono finanziati dalla politica).





Alcuni fra questi, quelli che ancora leggo o guardo in tv, mi illuminano brevi e circoscritti angoli della realtà, se volete capire le cose andate dentro le cose, dentro le parole, fate come me andate a Longarone, andate sul Vajont e guardate quel colosso, percorrete la sua vela e guardate la valle dall’alto, parlate con la gente anziana dei Paesi, magari con un bicchiere di vino, e fatevi raccontare i loro dubbi, le loro paure, il loro dolore e quella sensazione di essere sopravvissuti all'inconcepibile.

lunedì 7 ottobre 2013

E IL NAUFRAGAR M’ È DOLCE ....



"L’Italia è il paese classico dell’ospitalità. Gli italiani hanno tutti il cuore più grande del duomo. Piangono e si inteneriscono agli spettacoli pietosi, non rifiutano l’obolo di una “buon parola” a nessuna miseria. Ma lo spirito evangelico non ha saputo trasformarsi nella forma moderna della solidarietà e dell’organizzazione disinteressata e civile. Esso è rimasto pura esteriorità, inutile e melensa coreografia."
Antonio Gramsci



Retorica, solo fiumi di retorica dai politici, dai giornalisti, dalla gente comune … è retorica il “vergogna!” (che semmai avrebbe dovuto essere “Vergogniamoci!”), è retorica l’appello all’Europa da cui fino a ieri non volevamo altro che smarcarci, che ci chiedeva solo sacrifici, lacrime e sangue, che fa gli interessi della “culona” (come Nosferatu Sallusti de Il Giornale chiama ormai la Merkel, l’unico statista con le palle che abbiamo ancora in Europa, l’unica che ha detto no alla possibile guerra in Siria di Obama, l’unica donna a capo di uno stato europeo) e non i nostri, che ci impedisce la crescita col rigore eccessivo, e adesso tutti a dire che ci ha abbandonati, che abbiamo bisogno del loro sostegno, che non possono lasciarci soli ad affrontare questa immane tragedia.
Retorica è la comparsata di Alfano a Lampedusa, il sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini aveva chiesto qualcuno che contasse i morti insieme a lei e gli hanno andato Alfano, l’unico che sa contare, perché con Gasparri a tragedia si sarebbe sommata altra tragedia, non molti giorni fa ha dichiarato: “Basta con le divisioni nel PDL …” e c’è da capirlo poveretto, gli fa male alla testa, lui già stentava con le addizioni a scuola.



Chissà perché i sindaci di Lampedusa (questa è la seconda) si dicono sempre contenti quando qualche politico romano va a trovarli, poi non importa se fa solo promesse e dopo sparisce lasciando tutto inalterato e lasciando intatti i problemi che trova, non importa se dichiara di voler comprare una casa nell’isola e poi non la compra, basta che vada a trovarli … ma forse bisognerebbe intervistarli non solo prima o durante la visita, ma anche qualche giorno dopo.
Retorica è tutta quella melassa che sta colando da tutti i media sulla tempestività dei soccorsi, sull’eroismo dei pescatori e dei diportisti dell’isola che si sono fatti in quattro per trarre in salvo i superstiti, sulla notoria “ospitalità” dell’Isola, sul calore delle genti del sud, sul premio Nobel a Lampedusa, sugli italiani “bravaggente”, che nasconde sempre la catastrofe e ci regala un magro contentino, un premio di consolazione.
Perché tutta questa foga nell’autoincensarci come ospitali, calorosi, pronti a lasciare tutto pur di aiutare chi è in difficoltà, nasconde in primo luogo il fatto che è più probabile che siamo l’esatto contrario di ciò che vorremmo essere, qualcuno in rete ha colto perfettamente la doppiezza e l’ipocrisia dell’italiano medio che si commuove quando un immigrante affoga e si incazza, invece, se arriva sano e salvo a riva (http://ilfascinodelvago.tumblr.com/post/63004490805/lipocrisia-tutta-italiana-prevede-il-commuoversi).



In secondo luogo nasconde il fatto che non abbiamo nessuna organizzazione, nessuna idea, nessuna strategia per affrontare un dramma epocale che colpisce noi più di chiunque altro perché siamo in mezzo al Mediterraneo, perché siamo pieni di coste, perché sembra che gran parte degli immigranti dell’africa e del Medio Oriente si riversa prevalentemente sulle nostre coste perché possediamo la criminalità organizzata più potente d’Europa (e forse del mondo) che gestisce questo bieco traffico, perché c’è il mare che in quelle condizioni di navigazione e con la ferocia degli scafisti che non esitano a buttare in mare il loro carico umano in caso di pericolo, cela la tragedia in ogni viaggio.
Talvolta prevale la linea dura, quella di chi pensa di impedire gli sbarchi, di rimandarli indietro, addirittura di sparare sulle imbarcazioni clandestine che si avvicinano alle nostre coste (non sto scherzando, lo dichiarò Umberto Bossi qualche anno fa e, a proposito di Bossi, nessuno statista serio europeo avrebbe mai accettato di fare un governo con un partito populista e razzista come la Lega).
Solo un fascista e un leghista (con l’avallo di un pagliaccio a capo del governo, un imbecille a capo dello Stato e degli ectoplasmi all’opposizione), infatti, avrebbero potuto concepire la clandestinità come reato (con l’esito assurdo a cui assistiamo in questi giorni con i superstiti indagati per essere entrati clandestinamente nel nostro territorio nazionale e la possibilità che anche i soccorritori possano essere indagati per favoreggiamento).
Talvolta prevale il cinismo, come quando si fanno accordi con Gheddafi per fermare la marea umana prima che si metta in mare, tralascio la pagliacciata dell’accordo in sé (solo Berlusconi supportato della Lega poteva giungere a tanto), dico solo che è stato come fare un accordo col principale responsabile degli sbarchi in Italia (difficile credere che Gheddafi non pilotasse gli sbarchi nel nostro Paese, visto che partivano tutti dalle coste libiche), come accordarsi con chi ti ha appena rubato la macchina per riscattarla.
L’aspetto meno noto di questo accordo è che gli sbarchi sono in effetti diminuiti (non cessati del tutto), perché il caro Gheddafi bloccava i poveretti in cerca di fortuna o in fuga da guerre, fame e malattie sulla linea del Sahel o del deserto libico, condannandoli a morire di fame e di sete; ho visto le immagini di questa tragedia, i cadaveri calcinati al sole e spolpati dalla sabbia e mi ribolle il sangue quando sento ancora qualcuno vantarsi che con gli accordi Italia-Libia l’immigrazione è diminuita.



Retorica è lo scaricabarile fra i partiti, gli stessi che sono al governo insieme, che si rimpallano colpe e responsabilità e reciproche leggi vergogna: da un lato la Bossi-Fini (io non dormirei la notte se avessi messo nero su bianco le assurdità di quella legge), dall’altro la Turco-Napolitano (di cui il minimo che si può dire è che fosse inadeguata per affrontare la gravità del problema).
Nemmeno dopo fatti di questa portata salta fuori uno scatto d’orgoglio, qualche idea, qualche proposta, fra accuse reciproche e polemiche interminabili non ho visto niente di serio nel dibattito alla Camera dei Deputati, soltanto il portavoce della Lista Civica, con una voce chioccia che non lasciava presagire nulla di importante, ha buttato li un’idea che mi è sembrata sensata: istituire del centri in Africa, in Asia, in Medio Oriente, nelle ambasciate, nei consolati, altrove, perché chi voglia chiedere asilo politico o accoglienza, chi voglia venire a lavorare nel nostro Paese, possa farne domanda (se poi si trattasse di una rete europea e non di una iniziativa solo italiana, forse avrebbe qualche probabilità di funzionare, se corredata di altre proposte sensate).
È una proposta talmente scontata, talmente banale, che ci si stupisce che non sia mai stata tentata prima.
Credo, tuttavia, che i motivi dello spostamento verso i nostri Paesi di una marea di gente che giunge a sfidare la sorte pur di venire, cioè la fame, le malattie, la guerra, la speranza di una vita migliore, nelle proporzioni bibliche a cui stiamo assistendo, non siano di facile soluzione.
Perché molto spesso siamo noi occidentali i responsabili di queste loro calamità, è il nostro stile di vita proteso a consumare l’80% delle risorse del pianeta, la nostra rapacità nel depredare i popoli tecnologicamente meno evoluti e meno armati, che fomentano conflitti interni (gli antichi romani sentenziavano: Dividi et impera!), che trascinano con sé fame, malattie, stupri, violenze e esodi di proporzioni bibliche di cui non sempre abbiamo notizie o che vediamo talmente lontani spazialmente ed emotivamente che è come se non ci riguardassero.



Eppure, basta accendere il motore della nostra auto per riflettere sulla provenienza di quel petrolio, basta toccare un termosifone per o accendere il gas per chiedersi da dove arrivi, basta dare un’occhiata ai gioielli di vostra moglie (gli ori, i diamanti, gli smeraldi, le perle …) per domandarvi che origine abbiano, basta aprire il vostro frigo e interrogarvi da dove vi giunge l’olio che usate, i limoni, le mandorle, i pomodori (arrivano ogni giorno enormi containers dalla Cina nei porti di Genova, di Napoli, di Palermo, di Ravenna, cosa ci portano?), la frutta, la verdura, il pesce, il grano con cui è fatto il vostro pane e la vostra pasta, le scarpe che indossate, i vestiti, dove sversiamo i nostri rifiuti tossici oltre che in Campania, dove va a finire l’uranio impoverito delle centrali nucleari occidentali e giapponesi oltre che in Kosovo o nell’alto Adriatico.




Perché esportiamo democrazia e inviamo missioni di pace in Iraq, in Afghanistan, in Libia, in Somalia, in Kosovo, mentre in Algeria, in Egitto, in Siria (prima no, poi si, ora forse, cos’è cambiato, l’uso dei gas che ancora non si sa bene chi li abbia davvero usati? E i morti senza gas da soli non bastavano a giustificare un intervento?), mentre nel Darfur, in Algeria, in Costa d'Avorio, in Ciad, in Nigeria, in Sudan, nella Repubblica Centro - africana, in Somalia (dove imperano i signori della guerra nonostante l’intervento dell’ONU del 1993), in Uganda, nella Repubblica Democratica del Congo, la guerra continua ad incendiare villaggi e città, e a mietere numerose vittime fra i morti per ar.ma da fuoco, fra quelli che saltano in aria sulle mine anti-uomo e quelli che muoiono di fame, di sete e di malattie?