«Padri e maestri, io mi
domando: “Che cos’è l’inferno?”. E do la seguente risposta: “La sofferenza di
non essere più capaci di amare”». (Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamazov, p. 447).
Dopo quella sera fatale, Dmitrij Karamazov e Katerina Ivanovna non si rividero per
molto tempo e non ebbero alcun contatto fra di loro eccetto che il giorno
seguente la cameriera di lei gli consegnò un plico con il resto della vendita
del titolo senza alcuna parola scritta oltre all’indirizzo del destinatario e
senza alcun messaggio a voce affidatole, qualche tempo dopo, il giorno stesso
in cui Katerina, la sorella e la zia erano in procinto di partire per Mosca, ricevette una busta
azzurrina con dentro un foglietto in cui era vergato a matita: “Vi scriverò,
aspettate, K.”…nient’altro.
Questo non vuol dire però che non
fosse accaduto niente, anzi erano successe molte cose, il tenente colonnello
poté restituire la somma mancante dalla cassa del reggimento, salvando così il
suo onore e venendo reintegrato nel suo grado e nel suo ruolo, ma il colpo
ricevuto era stato molto forte, talmente che cadde ammalato da li a poco e morì
nel giro di qualche giorno di “rammollimento cerebrale”, cioè quello che oggi chiameremmo infarto cerebrale o encefalomalacia.
Fatti i funerali del padre, con gli onori militari, Katerina, la sorella Agaf’ja e la zia di questa che viveva con loro decisero di trasferirsi a Mosca, qui accadde a Katerina qualcosa di incredibile, qualcosa che nei romanzi ottocenteschi intercorre spesso per mutare la sorte di qualcuno dei protagonisti, mentre oggi gli scrittori moderni, più realisti, tendono a non ricorrervi mai.
Lo stesso Dostoevskij si schermisce introducendo la cosa con: "...la loro sorte cambiò con la rapidità di un fulmine e con l'imprevedibilità delle favole arabe" (p. 164), ma egli aveva già usato questo espediente altrove, nel suo romanzo L'idiota, dove un'improvvisa e favolosa eredità da alcuni parenti sconosciuti trasformano il principe Lev Nikolàevič Myškin da povero e spiantato qual era, che girava con un fagottino di stoffa che conteneva tutti i suoi averi, in una persona facoltosa.
Proprio come Aladino si ritrovò di fronte allo djinn materializzatosi dalla lampada che esaudiva ogni suo desiderio o Alì Babà ebbe accesso ad enormi ricchezze nella caverna dei quaranta ladroni, Katerina Ivanovna divenne improvvisamente l’erede universale di quella sua lontana parente che la ospitava nella capitale russa, la generalessa, perché le sue nipoti più dirette morirono entrambe di vaiolo nel giro di una settimana.
Fatti i funerali del padre, con gli onori militari, Katerina, la sorella Agaf’ja e la zia di questa che viveva con loro decisero di trasferirsi a Mosca, qui accadde a Katerina qualcosa di incredibile, qualcosa che nei romanzi ottocenteschi intercorre spesso per mutare la sorte di qualcuno dei protagonisti, mentre oggi gli scrittori moderni, più realisti, tendono a non ricorrervi mai.
Lo stesso Dostoevskij si schermisce introducendo la cosa con: "...la loro sorte cambiò con la rapidità di un fulmine e con l'imprevedibilità delle favole arabe" (p. 164), ma egli aveva già usato questo espediente altrove, nel suo romanzo L'idiota, dove un'improvvisa e favolosa eredità da alcuni parenti sconosciuti trasformano il principe Lev Nikolàevič Myškin da povero e spiantato qual era, che girava con un fagottino di stoffa che conteneva tutti i suoi averi, in una persona facoltosa.
Proprio come Aladino si ritrovò di fronte allo djinn materializzatosi dalla lampada che esaudiva ogni suo desiderio o Alì Babà ebbe accesso ad enormi ricchezze nella caverna dei quaranta ladroni, Katerina Ivanovna divenne improvvisamente l’erede universale di quella sua lontana parente che la ospitava nella capitale russa, la generalessa, perché le sue nipoti più dirette morirono entrambe di vaiolo nel giro di una settimana.
Ora, oltre che bella, raffinata e
intelligente, Katerina era anche una ragazza molto ricca ed era un “partito”
molto appetibile per chiunque; la generalessa continuava ad amministrare quella
fortuna e non mancava di essere generosa con la nipote che adesso aveva
adottato come figlia, per questo il tenore di vita delle tre donne cambiò
radicalmente, però Katerina non poteva ancora disporre a suo piacimento di quel
denaro.
All’istante la generalessa,
poiché comprendeva che la sua pupilla era in età da marito, le consegnò la
somma di ottomila rubli come dote, perché ne disponesse come meglio credeva; la
prima cosa che Katja fece quando ebbe quella somma fra le mani fu quella di
inviare a Dmitrij i suoi quattromilacinquecento rubli, insieme ad una ardente
lettera d’amore che egli portava sempre con sé anche quando iniziò a
precipitare in un baratro di abiezione e di disperazione.
In quella lettera Katja manifestava
i suoi sentimenti per Mitja e gli scriveva: “Vi amo da impazzire, e se voi non
mi amate, fa lo stesso, siate lo stesso, siate lo stesso mio marito. Non
temete, non vi darò alcun fastidio, sarò il vostro mobilio, sarò il tappeto su
cui camminerete … Vogliate amarmi in eterno, voglio salvarvi da voi stesso …”.
(p. 164).
Dmitrij non poteva credere ai
suoi occhi, quelle parole erano indirizzate a lui, proprio a lui, era proprio
lui quello che Katja diceva di amare, ancora quando ne parla al fratello Alëša
si mostra incredulo, sbalordito, gli dice che quelle parole lo trafissero
allora e lo trafiggono ancora adesso e quella lettera gli è più cara della sua
stessa vita tanto che la porta sempre con sé e non se ne separerà se non con la
morte.
La prima frase era come folgore,
un’aquila che planava sul suo cuore, acqua limpida e cristallina che solleva
dall’arsura, quanti si sarebbero gettati nel fuoco per sentirsi dire quelle
parole da Katerina Ivanovna? Ed era anche inconsueta, in genere era l’uomo che
manifestava e dichiarava il suo amore, la donna acconsentiva o rifiutava, tutto
ciò che le era concesso era mostrare qualche interesse particolare per
qualcuno, far notare che gradiva le sue avanches,
incoraggiare, ma esporsi così esordendo con “vi amo alla follia” era
inconcepibile.
Del resto tutto il loro rapporto
era inconcepibile ed anomalo fin dall’inizio, Katja e Mitjia non avrebbero
potuto essere più diversi, forse in condizioni normali fra di loro non sarebbe
mai successo niente, si sarebbero ignorati o completamente dimenticati magari
dopo qualche approccio maldestro e sbagliato da parte di lui, o tenendosi
semplicemente a distanza senza osare farsi avanti come del resto stava già
accadendo in precedenza.
La seconda frase, il mobilio, il
tappetino su cui camminare, forse avrebbe lusingato molti maschi, l’avrebbero
certamente scambiata per l’intensità dell’amore di questa ragazza verso di
loro, per amore limpido, disinteressato, totale, è insolita una così radicale
abnegazione in una donna, di solito siamo noi maschi i tappetini su cui
camminano o vorrebbero camminare.
Fin dalle prime schermaglie
d’amore una donna ha in testa una cosa sola (mentre i maschi, com’è risaputo,
hanno in mente soltanto: “la mia squadra vincerà questa partita …e il
campionato?” e il miglior complimento che riescono a farti è: “Sei più bella di
un gol al 90°”) , impadronirsi della volontà e dell’amor proprio dell’uomo,
ottenere il dominio più assoluto su di lui con ogni mezzo, anche con armi
proibite dalla Convenzione di Ginevra, come la seduzione più spudorata,
capricci inconcepibili, crisi isteriche di portata titanica, minacce e
comportamenti contraddittori e incomprensibili, sottoporre il malcapitato a
prove che le fatiche di Ercole sono in confronto sciocchezze e Sisifo un uomo
fortunato, abbattere e scuoiare il maschio adulto per farne tappeti con la sua
pelle e trofei con la sua testa mozzata e in genere quando ci riesce, perché
una donna ci riesce quasi sempre a sottomettere un uomo, anche se fosse meno
intelligente di lui, lo pianta come un carciofo perché il giocattolo perde ogni
attrattiva ai suoi occhi, o lo sposa per poter continuare il suo giochetto
sadico.
Non so se succede a tutte le
donne, forse solo a quelle un po’ più narcise, di avere un luogo virtuale della
loro mente (o forse anche reale) in cui espongono le teste impagliate dei loro
trofei di caccia, tutti gli uomini che hanno avuto; vi ricordate di Virgil, il protagonista de La migliore offerta di Giuseppe Tornatore, la sua estasi e la
sua beatitudine quando entrava nel suo caveau
privato e si sedeva ad ammirare tutte le opere che possedeva, tutti quei quadri
autentici che grazie alla sua perizia falsa e all’aiuto di un complice lui
acquistava come falsi ad un prezzo molto inferiore al loro valore reale?
Una donna di questo tipo entra
nel suo caveau personale con la
stessa estasi e la stessa beatitudine di Virgil, invasa da una sorta di plateau pre-orgasmico, e come Virgil non
è estasiata dal numero della sua collezione (come di certo farebbe un uomo), ma
di ciascuno ricorderebbe caratteristiche e particolari: “Questo era
particolarmente bello, questo molto fine ed elegante, questo molto
intelligente, questo simpaticissimo e molto divertente, quest’altro estremamente
sensibile, sembrava capirmi ancor prima che io avessi capito me stessa”.
Una donna non parlerebbe dei suoi
trofei mai e poi mai al passato, essi sono ancora oggi suoi, le basterebbe
schioccare le dita perché loro si precipitino ai suoi piedi … non sappiamo se
ciò accadrebbe davvero, ma una donna lo penserebbe certamente, e lo penserebbe
in senso assoluto, senza che le serva una verifica … infatti cautelativamente,
per non rischiare di offuscare questa tetragona certezza, preferisce tenersi al
largo da un incontro reale con chiunque di loro e mantenere con loro un intimo
e segreto rapporto immaginario dove lei è regista e sceneggiatrice.
In genere quando una donna
(potremmo dirlo di chiunque, uomo o donna che sia, ma nella donna la cosa è più
accentuata e nell’anima bella diventa arte sublime) mostra una devozione
estrema, una sottomissione totale, nei vostri confronti, non gioitene non è
sentimento più forte e profondo che prova per voi, in ogni polarità
comportamentale esasperata c’è sempre il suo opposto: pretende la vostra
devozione, mira alla vostra sottomissione.
Ma non sono solo io a sostenere
queste cose, ne trovo piena conferma in Dostoevskij, il quale scrive che: “Alëša
[è il più giovane, ma anche il più intuitivo dei fratelli e quello che più
degli altri sembra cogliere per primo il clima emotivo di una situazione e che
ha anche l’ingenuità di rivelarlo] sentiva istintivamente che un carattere come
quello di Katerina Ivanovna aveva bisogno di dominare, e lei poteva dominare
solo uno come Dmitrij, non certo uno come Ivan
[che è il terzo fratello Karamazov]”. (p. 259)
Del resto Dmitrij sembra essere
ben consapevole di questa tendenza femminile e di Katja in particolare, tanto
che dirà ad Alëša, mentre è in vena di dargli consigli come fratello maggiore:
“ogni uomo perbene deve stare sotto il tacco di una donna” (p. 815).
La terza frase poi, “voglio
salvarvi da voi stesso”, è addirittura allarmante, scappate con quante gambe
avete, fatevi crescere le ali, gettatevi in un precipizio piuttosto, ma
allontanatevi da chi vi dice o vi fa capire che vuole salvarvi da voi stesso,
girate al largo da chiunque vi vuole cambiare per il vostro bene, anche e
soprattutto se vi dice che lo fa perché vi ama.
In amore si cambia, e molto
anche, ma è e deve essere una cosa spontanea, non una pretesa, non si può
basare un amore sul presupposto che noi cambieremo la persona che amiamo, anzi,
sull’assioma che amiamo quella persona proprio perché vogliamo cambiarla; ed è
altresì ridicolo chi pretende di cambiare per amore, chi giura di poterlo fare
o chi supplica l’altro dicendo di essere cambiato: nessuno cambia per volontà
di cambiare, si cambia per amore e quasi inavvertitamente.
Scappate anche come un fulmine da
chiunque abbia presupposti, assiomi, esigenze indiscutibili, pretese su come
debba essere il proprio partner, da chi valuta, soppesa, stima e scarta come se
fosse al mercato o sul banco del fruttivendolo, da chi dice: “Lo voglio bello…
intelligente … simpatico …uno che mi capisca … libero …che abiti nella mia
stessa zona…affascinante …colto …bene educato …”, da chiunque dica anche solo:
“Lo voglio …”.
Questo non è amore, è un baratto,
una vendita delle vacche, l’amore semplicemente accade (fidatevi dei greci,
alcuni dei quali dicevano che l’amore fosse un dio, altri che fosse un demone,
ma tutti erano concordi nel dire che è comunque qualcosa che ti possiede,
afferra il tuo cuore e la tua anima e ti trascina in paradiso o all’inferno, o
un po’ nell’uno o un po’ nell’altro posto come le montagne russe), anche quando
non lo vorresti, ed è talmente irrazionale che ti travolge.
E non importa se sia bello, o
intelligente, o altro, non importa se ti chiede un sacrificio e un rischio
spropositati, non importa se è in gran parte attesa e sofferenza, perché anche
se quella persona che stai amando non era proprio il tuo tipo, non avresti
detto prima che fosse bello o intelligente, adesso che lo ami lui è per te
bellissimo e intelligentissimo, e saresti disposta a lanciarti nel vuoto
insieme a lui.
Katerina sostiene spesso questo
suo ruolo nei confronti dell’uomo che dice di amare, esclama addirittura che
sarebbe disposta a sopportare tutto da Mitja, di volergli sacrificare la sua
vita in cambio di niente, che gli sarà sempre fedele a lui e alla promessa
solenne che gli ha fatto col fidanzamento, che si trasformerà per lui in uno
strumento per la sua salvezza, in “una macchina per la sua felicità”, sebbene
si lasci sfuggire nella frenesia anche un “sarò il suo Dio, il Dio delle sue
preghiere” (p. 263) che rende tutta la vicenda ancor più inquietante.
A questo proclama dell’amore
universale e dell’abnegazione più totale che Katerina fa in presenza di alcuni
testimoni, reagisce duramente prima Alëša il quale ha il coraggio di
affrontarla apertamente, nonostante lei sia profondamente ferita e addolorata,
e le replica in faccia: “ma voi stavate recitando di proposito …stavate
recitando la vostra parte, come a teatro!” e poi insiste col dirle, come chi si
getta a precipizio in un baratro: “Fate chiamare subito Dmitrij – ve lo troverò
io – che venga qui, prenda la vostra mano e quella del fratello Ivan e unisca
le vostre mani. Perché voi state tormentando Ivan semplicemente perché lo amate
…e lo tormentate perché amate Dmitrij per lacerazione…per finta…perché avete
convinto voi stessa…” (p. 265-266).
Beccandosi in replica da Katja
un: ”Voi …voi…siete un piccolo fanatico, ecco cosa siete!” (p.266) mentre solo
pochi istanti prima ne aveva parlato come “una persona nella quale confido
tutta me stessa” (p. 261), la cui opinione era per lei molto importante e al
suo giudizio ella si sarebbe rimessa, e lo stesso Alëša le era caro come un
fratello.
L’intervento di Alëša smosse Ivan Karamazov, che era li presente, dalla
sua acquiescenza e dal suo dignitoso silenzio, tanto che con un’espressione
spontanea, intensa e di impetuosa sincerità che Alëša non gli aveva mai visto
dipinta in volto disse: “Ti sbagli, mio buon Alëša, Katerina Ivanovna non mi ha
mai amato! Ha sempre saputo che io l’amo, sebbene io non abbia mai fatto parola
del mio amore; lo sapeva, ma non mi amava. Non le sono nemmeno stato amico,
neanche per una volta, neanche per un solo giorno: da donna orgogliosa qual è,
non poteva aver bisogno della mia amicizia. Mi ha tenuto presso di sé come
strumento di incessante vendetta. Si vendicava con me e su di me di tutte le
offese che, in tutto questo periodo, ha dovuto incessantemente subire da parte
di Dmitrij, sin dal loro primo incontro …Perché persino il loro primo incontro
è rimasto nel suo cuore come un’offesa. Ecco com’è fatto il suo cuore! Per
tutto questo tempo non ho fatto altro che ascoltare le sue dichiarazioni di
amore per lui. Adesso me ne vado, ma sappiate, Katerina Ivanovna, che voi in
realtà amate soltanto lui. E quanto più lui vi offende, tanto più voi lo amate.
Ecco qual è la vostra lacerazione. Voi lo amate esattamente per quello che è,
lo amate in quanto vi offende. Se si correggesse, voi lo abbandonereste
all’istante e cessereste di amarlo. Ma voi avete bisogno di lui per poter
contemplare continuamente la vostra eroica fedeltà e biasimare lui per
l’infedeltà. E tutto ciò deriva dal vostro orgoglio” (p. 267).
Al di la del fatto che fino alla
fine del libro non è chiaro chi dei due ami davvero Katerina, se Dmitrij o
Ivan, tutti e tre i fratelli esprimono opinioni differenti e nel corso degli
eventi si convinceranno ora di una cosa ora dell’altra, e si domanderanno anche se in realtà ella non
ami nessuno di loro e se in fondo non abbia ragione quello che sembra a torto
il più ottuso dei fratelli, Dmitrij, quando dice: ”Lei ama la sua virtù e non
me” (p. 165); e a questa verità sembrano avvicinarsi sia Ivan quando fa
riferimento al suo orgoglio o alla contemplazione della sua fedeltà, sia Alëša
quando gli balenò in mente all’improvviso, mentre si poneva questo quesito: “E
se ella non amasse nessuno dei due?” (p. 260).
Dopo l’euforia e la gioia di aver
letto quelle parole stillanti miele di lei, dopo aver fatto risuonare più volte
nel timpano, nella coclea, nella testa e nel cuore quel: “Vi amo da impazzire
…” e forse anche “sarò il tappeto su cui camminerete”, come se fossero ormai
diventati l’unico scopo della sua vita, Dmitrij Karamazov venne assalito da un
profondo sconforto.
Una così, la perfezione fattasi
donna ai suoi occhi, in condizioni normali mai e poi mai si sarebbe innamorata
di uno come lui, un uomo capace di qualsiasi bassezza, un mascalzone, uno che
gode nel rotolarsi nel fango, era chiaro nella sua mente che lei si stesse
ingannando, che scrivesse quelle parole solo per una immeritata gratitudine,
perché il suo vero obiettivo era quello di infangarla, di punire la sua
presunta alterigia, di mortificare quell’aria di superiorità che scorgeva ogni
volta che aveva a che fare con lei.
Si può amare un mascalzone?
Certamente no, lei si era legata a lui con l’inganno, non l’avrebbe mai avuta se
avesse mostrato i suoi talenti, non pensava davvero di poter competere con
altri pretendenti, più dotati, più gradevoli, più amabili di lui; ad esempio
con uno come suo fratello Ivan, bello, intelligente, gradevole, di buone
maniere, tanto colto da citare i versi di Schiller:
“Den Dank, Dame, begehr ich nicht [Il
vostro grazie, signora, non bramo]” (p. 267), a memoria e in tedesco, per
uscire elegantemente e appropriatamente da una conversazione imbarazzante in
cui sono entrati in gioco spiacevoli sentimenti.
Ivan era un’anima più affine a
quella di Katja di quanto mai potesse o avrebbe potuto essere lui, era anche
onesto, signorile, dignitoso, non perdeva mai le staffe come accadeva a lui
anche per cose da nulla, non si lasciava travolgere dall’impeto e dall’ira, non
era violento e preferiva battere i suoi avversari con la forza della sua
dialettica e delle sue argomentazioni, di certo avrebbe avuto un futuro
brillante e già adesso bastava leggere i suoi articoli pubblicati su qualche
rivista, i suoi racconti ancora inediti, ascoltare i suoi discorsi filosofici
per comprendere che aveva una mente affilata come un rasoio e che Katerina
poteva innamorarsi davvero di uno così invece di un insetto, una cimice, una
tarantola, una nullità come lui.
Con questa tenebra nel cuore
Mitja scrisse a Katerina in risposta alla sua lettera d’amore e nello stesso
momento scrisse anche a suo fratello Ivan che dimorava a Mosca in quel periodo
annunciandogli il suo prossimo fidanzamento e pregandolo di recarsi in visita
alla sua fidanzata per conoscerla…Ivan si innamorò di Katja dal primo istante
in cui la vide e non cessò mai di amarla in seguito, nonostante tutto… “nonostante
la logica” (p. 319) dirà lui facendo riferimento alla vita, ma si può applicare
benissimo anche al suo amore per Katja, fino alla follia, quella vera stavolta.
Dmitrij, intanto, in una vera e
propria orgia auto e pantoclastica, stava cercando di distruggere con
particolare accanimento tutto ciò che di bello gli era mai capitato nella vita,
si congedò dall’esercito e andò a vivere nel suo paese natale, spese in follie
e bagordi i soldi che gli aveva inviato Katja, quelli del prestito, viveva in
una casa indegna di un gentiluomo, e aveva ripreso la guerra con suo padre per
l’eredità materna, nonostante avesse già firmato una quietanza in cui affermava
di non aver altro da pretendere.
Frequentava le peggiori bettole e
gli uomini peggiori, beveva ed era ubriaco o allucinato per la maggior parte
del tempo, tutte le volte che compare nel romanzo lo troviamo in uno stato di
esaltazione e la sua disperazione cresce sempre di più; il trasferimento di
Katerina in quella stessa città invece di diminuire il suo precipitarsi nel
baratro, lo amplificò, sembrava che ormai più niente potesse frenarlo dalla
perdizione, sembrava quasi che potesse commettere qualsiasi atrocità.
Picchiò e umiliò pubblicamente
anche in presenza del figlioletto di questi che usciva da scuola con i suoi
compagni, un povero capitano in pensione che per vivere sbrigava faccende per
conto terzi, in quel caso era colpevole di aver richiesto a Mitjia il pagamento
di una cambiale per conto del padre Fëdor Pavlovič
Karamazov, e di averla poi
consegnata, perché venisse incassata, ad Agrefena
Aleksandrovna (meglio nota per tutto il seguito del romanzo come Grušen’ka, il
diminutivo del suo nome non seguito dal patronimico, segno che o si è in
rapporti molto intimi con lei o lei non gode di rispetto per la sua condizione
sociale o per la sua condotta).
Il ragazzino si ammalerà e morirà per
la pubblica umiliazione subita dal padre che venne letteralmente picchiato e
tirato per la barba da Dmitrij Karamazov di fronte a tutti; anche da Grušen’ka
Mitjia andò con l’intento di picchiarla, poi una volta in casa di lei cambiò
idea e se ne innamorò, si innamorò cioè di una donna considerata senza onore,
perché qualche anno addietro era stata sedotta e abbandonata da un capitano
polacco, che poi risultò essere sposato e, buttata fuori di casa dai propri
genitori fu accolta in casa come amante e assistente da un vecchio e ricco
mercante.
Grazie al fatto che era una donna
sveglia e intelligente, Grušen’ka imparò ben preso dal suo vecchio amante tutti
i trucchi del mestiere ed iniziò ad investire e a prestare ad usura alcune
somme di denaro di sua proprietà che il vecchio le regalava, divenendo ben
presto proprietaria di un’abitazione e possidente di una piccola fortuna, tanto
da poter vivere agiatamente e indipendentemente.
Dal momento che il suo nome era
infangato e persino i suoi parenti la rinnegavano, tranne quando avevano
bisogno di soldi, lei viveva molto liberamente, accoglieva chiunque le piacesse
a casa sua a qualsiasi ora, senza rispettare l’etichetta, con la sola presenza
della servitù, senza nemmeno qualche dama di compagnia al seguito che salvasse
le apparenze, ma nonostante questa ampia libertà che si concedeva, non aveva
avuto e non aveva altri amanti oltre i due menzionati.
A complicare enormemente le cose, di Grušen’ka
si innamorò follemente anche il vecchio Karamazov, padre di Dmitrij, era
talmente invaghito della bella ragazza dalle forme prosperose da mandarle a
dire tramite il suo lacchè di aver messo in una busta la cifra di tremila rubli
che le avrebbe dato in cambio di una notte con lei (a quanto pare era un vizio
di famiglia), la stessa cifra che Dmitrij fra l’altro pretendeva che suo padre
ancora gli dovesse dell’eredità di sua madre.
Per questo motivo Mitjia era piombato
in casa del padre Fëdor Pavlovič accendendo un’animata discussione e picchiando
malamente sia questo, sia il fedele ed anziano servo Grigorij che era intervenuto per difendere il padrone, prima che
Ivan e Alëša riuscissero a fermarlo e lo pregassero di andarsene.
Era diventato talmente geloso di Grušen’ka
che la controllava e la pedinava ovunque, temeva che questa donna sensibile ai
soldi, o almeno così la credevano, potesse davvero concedersi al vecchio
Karamazov per interesse, inoltre visto che Fëdor Pavlovič aveva davvero perso
la testa per lei e sbavava al solo sentirla nominare, in molti erano convinti
che lei con la sua bellezza e con la sua luciferina astuzia, avrebbe potuto
anche indurre il vecchio a sposarla e a farsi intestare tutti i suoi averi,
lasciando i fratelli Karamazov eredi di nulla.
Manca ancora la quarta ed ultima parte ... la più bella, non prendere impegni nei prossimi giorni!
Manca ancora la quarta ed ultima parte ... la più bella, non prendere impegni nei prossimi giorni!
Il bello dei post è che una volta scritti restano lì per poterci ritornare anche dopo aver assolto eventuali impegni, sempre che tu non decida di toglierli, ma sarebbe uno sgarbo imperdonabile :-) Attendo il prossimo, non aggiungo nulla alla tua guida alla lettura, lettura che a suo tempo ho fatto e che raccomando a chiunque perché Dostojevski è una scheggia di divino incagliata nella letteratura mondiale e i fratelli Karamazov in particolare ne rappresentano un vertice. Solo una cosa a proposito dei pretesti di Dostojevski, non è solo l'effetto sorpresa di una eredità inattesa e venuta dal nulla, è un po' tutta la letteratura di questo straordinario scrittore che si compone di pretesti per scrivere. E' come se lui avesse in testa i personaggi, l'intima psicologia, i loro sotterranei sentimenti ma non la trama. La trama avviene davanti ai suoi occhi, e a quelli del lettore, quasi sorprendendolo e le vicende non sono altro che una conseguenza della psicologia dei personaggi, un pretesto per analizzare, scandagliare la loro psicologia. Un po' come fai tu con i tuoi post. :-D Un saluto e a presto.
RispondiElimina“Una scheggia di divino incagliata nella letteratura mondiale” … non avrei nemmeno saputo pensarla, grazie a te per averla espressa. Si, i Karamazov, in questo momento potrei pure darti ragione, ma con Dostoevskij mi capita una cosa strana, l’ultimo suo libro che leggo (o rileggo) è il migliore … Le notti bianche … I demoni … Delitto e castigo … Memorie dal sottosuolo … L’idiota … anche se a distanza i Karamazov sono quello a cui sono più affezionato.
RispondiEliminaSono completamente d’accordo con te, lui immagina persone, con la loro psicologia, con la loro complessità, poi le fa recitare insieme, e inventa la trama all’istante, spreme ciascuno perché dia l’essenza di sé, spesso ti trovi spiazzato non tanto dalle vicende che narra e che magari non ti aspettavi, come accade con i romanzi americani ed europei, ma per la profondità di analisi che raggiunge e per l’indeterminatezza in cui ti lascia, come se ci fosse altra profondità insondata e insondabile.
Ti ringrazio per l’ultima frase, ma non credo di meritarla, sono soltanto un banale commentatore incosciente e inconsapevole di qualcosa di più grande di me … forse ho soltanto il pregio di intuirne la grandezza, senza essere capace di renderne conto come vorrei e come ciò che affronto meriterebbe.
Un abbraccio
Caro Garbo, prima di leggere il prossimo post mi preme dirti che forse avere quel senso di grandezza che non possiamo afferrare e da cui si è travolti è tutto quello che possiamo avere per una vita consapevole. Tormentata forse ma proprio per questo umana. A presto, Antonio
EliminaThanks for your report, but my post did not care exactly about "sator".
RispondiEliminaGoodbye
Eh si, è vero i tuoi post sono proprio come li ha descritti Antonio C, ci do un'occhiata e leggo gran parte ma non faccio subito pensieri precisi Diciamo che rifletto, penso. Poi torno di nuovo lo rileggo e riguardo bene tutte le foto e il video e poi scrivo qualcosa. Per quanto riguarda la letteratura do Dostojevski, o altri autori come i russi, hanno scritto concetti, emozioni e idee indelebili nel tempo. Dalla foto iniziale di San Giovanni (se non sbaglio) passando per Leonardo e le tavole illustrate, sino in fondo, è un percorso unito al discorso che definisco perfetto. Leggo a iosa e poi penso a iosa...ma è il bello del tuo blog è proprio questo. Anche questa volta ho letto sino in fondo e mi congratulo con te. Un salutone e alla prossima
RispondiEliminaSi, ho saccheggiato Leonardo, i disegni, gli schizzi preparatori delle sue opere, il Codice atlantico, il trattato di pittura, qualche sua opera, come in precedenza avevo saccheggiato Botticelli. Mi pare che Dostoevskij appartenga all'onda lunga della grande cultura dell'Occidente, ne sia un epigono tormentato, ma è più da quella parte che da questa. Questa serie di post risponde ad una grande nostalgia culturale, quando ancora la cultura confluiva in un unico centro e ciascuno dialogava con tutti gli altri. Oggi la cultura non ha più centro, nessuno dialoga con nessuno perché tutti aspirano ad una originalità che non esiste, e non esiste neppure qualcosa che possiamo chiamare cultura, né esistono davvero culture ... solo fantasmi di ciò che è stato, ectoplasmi, avatar, pensiamo di dire cose, esprimere concetti, emozioni, ma siamo solo pesci in un acquario che aprono e chiudono la bocca. In secondo luogo parla della donna o dell'uomo moderno, l'anima bella, incapace d sentire, di provare, di amare, di fare, eppure mai più di adesso chiamato a sentire, provare, amare e fare. Lascio a te intendere cosa possa fare in realtà ... Infine, parla di cose che mi riguardano in prima persona, ma un blog è troppo indiscreto per affidarvele ;-)
EliminaUn saluto a te e grazie per i tuoi passaggi