“Iperione a Bellarmino - L’uomo è
un dio quando sogna, è un mendicante quando riflette. E quando l’entusiasmo è
scomparso, egli rimane come un figlio sciagurato che il padre ha cacciato di
casa, e osserva i miseri centesimi che la pietà gli ha procurato lungo il
cammino”.
(Friedrich Hölderlin,
Iperione, libro I, p. 24).
“Per Ilir, mio figlio perché
sappia amare e s-vestire la bellezza, non solo la sua idea
Stretto è il mondo, e largo lo
spirito
I pensieri si sfiorano
leggermente
Ma le cose si urtano duramente
nello spazio”.
(Friedrich Schiller, La morte di
Wallenstein, II, 2, vv. 787-789).
Quando Katerina Ivanovna fa la sua apparizione (e non comparsa, perché
compare un attore o un misero mortale, una dea appare) in tutto il suo
splendore di ragazza ventenne, bellissima, colta, altera, dai modi raffinati, nel
corso degli eventi di cui narra il romanzo, non esiste un ufficialetto, un
giovane di nobili origini o dell’alta borghesia che non ne rimanga incantato,
ciascuno gareggiava in galanteria e avrebbe fatto follie per un suo sguardo o
per un suo sorriso.
Era in visita temporanea al
padre, tenente colonnello comandante di un battaglione di linea in una località
che non viene citata, e alla sorellastra, e proveniva da Mosca, dove studiava
in un collegio aristocratico, per pulzelle di buona famiglia, e dove alloggiava
presso una “generalessa” molto ricca e influente, loro lontana parente.
Si sarebbe dovuta fermare per
poco tempo, ma non così poco che la sua permanenza non diventasse un autentico
debutto in società: in suo onore si danno molte feste da ballo, conviti,
ricevimenti e si organizzano picnic all’aperto, come era di moda allora.
Dmitrij Karamazov era un giovane tenente agli ordini del padre di
Katja, il rigore e l’ordine che regnavano in caserma rappresentavano per lui
quei limiti di cui il suo carattere straripante aveva bisogno, il fatto che
incorresse fin troppo spesso nella disciplina marziale era una sfida continua
all’autorità, un’autorità che Mitja non aveva mai conosciuto e che pur
sfidandola era ben felice che ci fosse: per molti aspetti il rapporto fra lui e
il suo comandante era un surrogato del rapporto paterno, che non aveva mai
sperimentato o che era molto più tempestoso in quegli ultimi anni.
Il tenente colonnello, padre di
Katja, è descritto come severo e testardo, spesso lo punisce per le sue
intemperanze, e forse Mitja è intemperante (o fa si che le sue intemperanze
giungano all’orecchio del suo superiore) proprio per sincerarsi di aver trovato
un “padre” che si occupa di lui, ma nello stesso tempo gli riconosce di essere
anche un uomo giusto, una “persona, molto buona, generosa e ospitale” (p. 155);
non abbiamo elementi, invece, per capire se per il nostro tenente colonnello
Mitjia potesse essere quel figlio maschio che non ha mai avuto.
Dmitrij Karamazov si innamora
subito di Katerina Ivanovna, appena la vede, lo sappiamo perché è lui stesso a
dircelo di essere innamorato follemente di lei, ma lo sappiamo anche
ricavandolo da tutto ciò che fa dal momento in cui la incontra fino all’epilogo
del romanzo, e dall’intensità con cui fin dall’inizio egli la ama e la odia.
Se si fosse trattato soltanto di
un’infatuazione, c’è da credere che Mitja si sarebbe mostrato con lei, come al
solito, spavaldo, insolente e sfacciato, l’avrebbe corteggiata temerariamente,
si sarebbe fatto largo fra i suoi molti pretendenti con pose da smargiasso per
farsi notare e per primeggiare, allo scopo di accaparrarsela tutta per sé.
Invece se ne sta altezzosamente
in disparte, non sembra nemmeno intenzionato a conoscerla, la osserva a
distanza con aria leziosa e quasi disinteressata, non smette di far baldoria,
anche cose che fanno clamore per tutta la città, ma niente che possa
coinvolgere anche lei; pare talmente intimidito o disincantato che anche quando
si accorge che è lei a squadrarlo, lui evita di avvicinarvisi, come se
disdegnasse di conoscerla.
In seguito, quando lui durante un
ballo decide di attaccare discorso, ha l’impressione che lei lo degnasse:
“appena di uno sguardo con un’espressione sprezzante sulle labbruzze” (p. 157);
sembra quasi che Dmitrij sia incantato, paralizzato, folgorato da questa donna,
che abbia paura di sbagliare e che l’errore possa essere irreparabile.
Ed è proprio perché si convince
che non può e non deve sbagliare che colleziona errori su errori, e di questo
sembra pure rendersene conto, ha compreso infatti che Katerina non è un’ingenua
collegiale, ma una donna bella, altera, orgogliosa, virtuosa, intelligente,
colta e dotata di un carattere forte, Dmitrij non aveva alcuna possibilità di
far colpo su una donna simile a partire da ciò che si raccontava in giro di
lui, dalle dicerie sulle sue “imprese”, dal suo comportamento prepotente e
villano e dalla sua ostentata indifferenza verso di lei.
L’amore che egli prova si
trasforma ben presto in odio, odio perché lei non sembra corrisponderlo, anzi
non pare proprio accorgersi di lui, e odio perché si sente comunque catturato e
vincolato da lei, intrappolato in una sofferenza senza fine e senza scopo, in
una promessa di felicità che sai senza avvenire, ma che non puoi smettere di
sperarci, odio verso se stesso che vorrebbe essere incurante e indifferente a
lei, ma basta il più labile e involontario richiamo per pensarla e per volerla
ancora…ancora…ancora …anche se sai che ogni tuo sforzo è vano.
Ha un bel dirsi Dmitrij Karamazov
che non voleva farle una proposta di matrimonio, voleva solo vendicarsi del
fatto che, nonostante lui fosse così in gamba (questo dice a suo fratello Aleksej), lei sembrava non accorgersene,
il suo odio per Katja non deriva dalla presunta insensibilità emotiva di lei o
dalla sua indifferenza per il fatto che lui sarebbe “in gamba”, al contrario,
egli si sente una vera e propria nullità nei suoi confronti e la crede fin da
subito irraggiungibile.
Questo spiega il suo
atteggiamento sprezzante e passivo-aggressivo, la sua pseudo-indifferenza, il
suo odio, la sua rivalsa, la sua voglia di vendetta e il moltiplicare
chiassosamente i suoi bagordi, le gozzoviglie e i baccanali a tal limite che il
tenente colonnello è costretto a metterlo agli arresti.
Questa insicurezza patologica di
Dmitrij Karamazov ha una sua spiegazione eziologica che affonda le sue radici
nella sua infanzia, sua madre Adelajda
Ivanovna scappa di casa con un seminarista quando lui aveva appena tre
anni, e anche prima il povero Mitja non deve aver ricevuto tante attenzioni o
tanto affetto visto che la madre e il padre erano intenti a litigare
furiosamente.
Il padre, Fēdor Pavlovič Karamazov, si
disinteressa completamente di lui, tanto che il bambino gira scalzo per casa e
nel giardino, indossa un paio di pantaloncini tenuti su da un solo bottone,
nessuno si cura di lui, nessuno si accorge se mangia, se dorme, se si lava,
nessuno si preoccupa per ciò che fa e nessuno deve avergli mai spiegato dov’è
la sua mamma.
Quest’uomo, così scrive Dostoevskij:
“…si disinteressò nella maniera più assoluta del bambino avuto da Adelaida
Ivanovna, non per cattiveria nei confronti del bambino né in ragione di qualche
risentimento coniugale, ma semplicemente perché lo aveva del tutto dimenticato”.
(p. 15).
Più che amore Mitja ha suscitato pietà
o indifferenza, la pietà ad esempio del giovane (allora) medico tedesco Gercentube, che impietositosi di lui
gli regala una libbra di nocciole, e quella dei servi di casa Karamazov, Grigorij Vasil’evič e Marfa Ignat’evna che lo accolgono nella
loro izba, la dépendance della servitù di casa Karamazov, di lui si occupò in un
primo tempo (ottenendo l’affido del bambino) un cugino di Adelajda Pëtr Aleksandrovič Mjusov, che però si
trasferì a Parigi per un lungo periodo e affidò Mitjia ad una sua zia di
secondo grado, una nobildonna moscovita e, alla morte di questa, ad una delle
sue figlie sposate.
Non va molto meglio ai suoi due
fratellastri, Ivan e Alekseij, figli di una madre diversa (Sof’ja Ivanovna) che Fēdor Pavlovič
sposa in seconde nozze, questa donna, orfana, sposatasi troppo giovane e che
già aveva in precedenza manifestato segni di squilibrio tentando una volta il
suicidio, ben presto in casa Karamazov, sposa di un marito dal carattere poco
edificante, manifestò tutti i segni di una malattia nervosa tipicamente
femminile, caratterizzata da urla e da convulsioni, assimilabile alla nostra
isteria, da essere appellata da tutti come la klikuša, che è il termine russo popolare che definisce le donne
affette da questa patologia (da klik,
strillo, grido).
La klikuša
ebbe il primo figlio, Ivan, dopo solo un anno di matrimonio, e il secondo
Alekseij, tre anni dopo, e morì quando il primo aveva sette anni e il secondo
quattro, anche questi due orfanelli vengono completamente ignorati dal padre e finiscono
prima nell'izba di Grigorij, poi
sotto la tutela della generalessa che aveva adottato la loro madre Sonja e
infine presso il premuroso Efim Petrovič,
che si occupa di loro fino alla maggiore età.
La differenza fra di loro è che mentre
Dmitrij ha sperimentato il vuoto affettivo, il nulla assoluto, oppure la lite
furibonda in cui il padre e la madre si picchiano (in realtà sembra fosse più
Adelajda a picchiare il marito), Ivan e Alekseij sono immersi nell’indifferenza
paterna e nella follia materna, che urlava e si contorceva quando le venivano
gli attacchi e si estraniava da sé fino a perdere la ragione, prima di venire
in contatto col lutto e con la perdita della morte della madre.
La sicurezza di sé, la certezza di poter
essere amato che ciascuno di noi si porta dietro, la capacità di creare
rapporti di affetto con altre persone che siano reciprocamente soddisfacenti è
un retaggio della nostra infanzia che proviene in buona parte dal tipo di
rapporto che si instaura fra la madre e il bambino; in psicoanalisi questo
rapporto, in linea con le ricerche di John
Bowlby, si definisce attaccamento: un
rapporto sicuro fra la madre e il bambino sviluppa un adulto sicuro di sé nella
vita, nell’amore e nel rapporto con gli altri; un rapporto insicuro o
disorganizzato produce adulti insicuri che tendono ad evitare o ad affrontare
con una forte ambivalenza ogni situazione emotiva, o adulti disorganizzati
incapaci di provare amore autentico e calore umano.
Chiunque, anche in età adulta, non
abbia risolto adeguatamente il rapporto con la propria madre: chi la evita, chi
la odia, chi prova sentimenti ambivalenti, chi non prova più niente o chi la
ama esageratamente e ne è dipendente, non possiederà mai quella “base sicura”
che gli deriva da un attaccamento sicuro, e non sarà mai davvero un bravo
genitore, un buon amico, un buon partner, per quanto si sforzi di provarci, e sarà
soggetto più di altri a psicopatologie più o meno severe, tanto quanto
deficitario è il suo attaccamento con la madre.
Inoltre, la sicurezza di noi stessi,
la sensazione di benessere e di equilibrio che possediamo deriva anche dal
modello di rapporto dei nostri genitori, non tanto dagli eventuali disturbi
(anche severi) di ciascuno di loro; è come se questo rapporto fra i nostri
genitori rappresentasse per noi il modello su cui costruiamo il nostro
benessere psichico e la nostra matrice relazionale con la quale iniziamo ad
entrare in contatto col mondo.
È constatazione di tutti gli
psicoterapeuti dello sviluppo che più piccolo è il bambino con disagio per cui
vengono consultati e più probabile è che il motivo del disagio di questo
bambino sia da rintracciare in una relazione disturbata fra i suoi genitori,
per cui prendi in carico la famiglia o la coppia e, quando inizia a migliorare
questa relazione, migliora anche il disagio del bambino.
Dmitrij Karamazov era sicuro di sé
fino all’impertinenza quando si trovava di fronte a donne che non amava, ma
quando finalmente ama, è in difficoltà estrema fino alla paralisi, fino ad
essere pronto a trasformare l’amore in odio, fino a sbagliare tutto e perdere
così ogni speranza, fino a commettere azioni abiette, meschine e miserabili.
L’occasione per cui ciò che in lui
avrebbe potuto essere grandioso e generoso si trasformasse in grettezza e
meschinità, in un’autentica mascalzonata, giunse ben presto a partire dalla
situazione di estremo imbarazzo in cui venne a trovarsi il tenente colonnello
padre di Katerina, ad una delle solite e programmate ispezione del comando,
pare che gli ispettori avessero trovato un ammanco dalla cassa del reggimento
di quattromila e cinquecento rubli, una somma considerevole, ammanco che
l’ufficiale non riusciva a giustificare.
Accadeva, infatti, frequentemente da
qualche anno a questa parte che il tenente colonnello, subito dopo ogni
ispezione, prelevasse l’intera somma dalla cassa del reggimento e la
consegnasse in mano al mercante Tifonov, suo conoscente e in questo caso
complice, il quale la investiva, faceva i suoi affari, e poi riconsegnava
intatta l’itera somma più gli interessi ed anche qualche regalo al tenente
colonnello.
Forse aizzato dai nemici del padre di
Katerina, forse per avidità, quella volta Trifonov non riportò indietro al
colonnello alcuna somma e, quando questi andò a trovarlo di persona, negò
addirittura di aver ricevuto da lui alcunché; il colonnello era semplicemente
rovinato: non poteva denunciarlo perché quella somma non sarebbe mai dovuta
uscire dalla cassaforte né essere destinata ad altri usi se non a coprire le
spese del battaglione che comandava, non poteva richiederla con la forza,
perché si trattava di un povero vecchio contro un mercante, i suoi garzoni e
forse anche i nemici del colonnello suoi complici, e non era facile trovare chi
gli prestasse una tale somma senza alcuna garanzia, perché il colonnello
difficilmente avrebbe potuto saldare un tale debito col suo stipendio.
Se non pareggiava i conti come gli era
stato intimato dagli ispettori, rischiava di essere degradato, radiato
dall’esercito con disonore e di trovarsi in mezzo ad una strada in miseria e
con due figlie femmine in età da marito per di più; per un militare non
rimaneva che una soluzione: il suicidio, e infatti provò a farsi saltare la
testa usando il suo vecchio fucile da caccia a due canne, facendo in modo di
premere il grilletto col dito del piede, ma venne fermato fortunatamente dalla
figlia maggiore Agraf’ja Ivanovna, sorella di Katja.
Proprio in quel periodo Dmitrij aveva
ricevuto da suo padre, a saldo del debito che quest’ultimo aveva col figlio per
non avergli corrisposto ciò che gli spettava dell’eredità materna, seimila
rubli; se solo avesse voluto Mitja avrebbe potuto fare il grande gesto di
presentarsi dal tenente colonnello suo superiore e offrirgli in prestito la
somma che gli occorreva per pareggiare i conti con la cassa del suo battaglione
e per salvare il posto e l’onore.
Questo gesto di estrema generosità,
fatto senza alcuna garanzia, gli avrebbe certamente assicurato la gratitudine a
vita del suo superiore e delle figlie di lui, soprattutto quella a cui ambiva
di più, quella di Katja che, in un secondo momento avrebbe anche potuto
chiedere in sposa incontrando poche difficoltà a realizzare questo suo
desiderio.
Ma Mitja non può compiere questo
nobile gesto, perché se lo facesse e anche se tutto si realizzasse secondo il
suo volere, gli rimarrebbe eternamente il dubbio che Katerina lo avesse sposato
più per gratitudine che per amore, un dubbio atroce che si porterebbe dietro
per tutta la vita e che lo avrebbe certamente tormentato.
Non trovando vie d’accesso di sicura
affidabilità per manifestare il suo amore e, soprattutto, per avere garanzie
certe di essere amato, non vede altra soluzione che l’odio e la vendetta, una
vendetta inizialmente stupida e puerile, meschina, un gesto da mascalzone o da
disperato, tanto per rendersi ancora più abietto agli occhi della donna che ama
e dei familiari di lei, ma di cui sia egli, sia Katja, sia chiunque altro ne
ignorano il devastante potenziale di deflagrazione che li perderà tutti quanti.
Nella sua tetragona stupidità Dmitrij
Fedorovic Karamazov va in visita della sorella di Katerina, Agraf’ja Ivanovna
con la quale era amico e comincia ad accennare ai problemi del padre di lei, e
più questa trasalisce e nicchia, più lui gioca al gatto col topo e sadicamente
si diverte, fino all’affondo finale in cui lui le dice di avere l’intera somma
a disposizione, che potrebbe gentilmente elargire purché sia la “collegiale” in
persona a venirla a ritirare nei suoi alloggi, Agraf’ja ovviamente reagisce
dandogli del mascalzone e cacciandolo di casa.
Forse oggigiorno bisogna spendere
qualche parola per far comprendere quanto fossero oltraggianti per Katerina e
per la sua famiglia le parole di Mitja, se il colonnello fosse stato più
giovane o una delle sorelle fidanzata egli avrebbe rischiato di risponderne in
duello.
Le giovani damigelle in età da marito
di quell’epoca tenevano un contegno pubblico oltremodo decoroso, la virtù era
la loro dote di maggior pregio e molte di esse giungevano vergini e quasi
inesperte all’altare; si creavano infinite occasioni per incontrarsi con i
rappresentanti del sesso maschile, fra balli, ricevimenti, incontri en plein air, passeggiate, picnic,…, ma
potevano anche ricevere visite in casa propria, certo visite approvate dalla
famiglia beninteso, e ritirarsi in un salottino a parlare privatamente con
l’ospite, visite in un certo senso monitorare, anche se fa sorridere
l’atteggiamento della signora Chochlakova che origlia dietro la porta della
figlia.
In nessun caso, pena la perdita
dell’onore e della virtù per una fanciulla, era permesso rimanere da sole con
un uomo dietro una porta chiusa a chiave e men che meno andare a far visita ad
un uomo da sole in casa sua: era questo che Mitja stava chiedendo a Katja, cioè
di porre la sua virtù e il suo onore nelle sue mani e, implicitamente, di
mettere anche il suo corpo per intero a sua disposizione.
Anche se Mitja assicura che terrà
devotamente il segreto di quella visita, è pur sempre la parola di un
mascalzone, di un farabutto, di un uomo senza onore che ricatta una povera
ragazza in un momento così drammatico per lei; ed anche ammesso e non concesso
che egli avesse tenuto il segreto e che non se ne sarebbe vantato con nessuno,
rimaneva sempre Katerina da sola di fronte alla propria coscienza per essersi
assoggettata ad un così vile ricatto e per essersi concessa ad un uomo spregevole
… da quel momento in poi non sarebbe stata serena e capace di avere una vita
normale sapendo di essere in colpa.
Quando ormai a Dmitij sembrava che la
sua provocazione non avesse sortito alcun effetto se non quello di suscitare
l’inimicizia, l’odio e il disprezzo imperituro della donna che ama e della sua
famiglia, anche se, a dire il vero, non c’era mai staro un momento in cui egli
aveva creduto davvero che Katerina potesse cedere al suo ricatto, in un
pomeriggio verso l’imbrunire, mentre si era appena vestito e profumato per
uscire, vide apparire alla sua porta la donna che amava.
I suoi occhi scurissimi erano fieri e
dardeggianti, il suo atteggiamento era sollecito e sbrigativo come chi è venuto
a concludere un affare o a pagare una cambiale, sembrava il gatto in trappola
quando non ha più vie di fuga e si prepara ad attaccare, era persino insolente,
solo sulle labbra Mitja scorge la sua indecisione, la sua circospezione, la sua
paura.
Dopo l’iniziale voce rotta
dall’emozione, si fa sempre più sicura, anche se pare avere troppa fretta e
troppa voglia di andarsene, e riesce ad esplicitare chiaramente i motivi per
cui è venuta: vuole i soldi ed venuta a prenderli, sottintendendo che è
disposta a concedergli ciò che lui le chiederà … tutto ciò viene detto all’ancora
sbalordito Mitja con una stranissima commistione di insolenza, sbrigatività,
pragmatismo, timore estremo, inquietudine e un irrefrenabile tremito che le
incrinò la voce e le mozzò il respirò.
Dmitrij non regge a tutto questo,
avverte la grandezza e la sublime generosità di questa ragazza disposta ad
immolare se stessa pur di salvare l’onore (e la vita) del padre, avverte anche
il dislivello fra questa grandezza e la bassezza che egli ha dimostrato con
quella proposta, si sente un verme nei confronti di lei, una tarantola, un
insetto velenoso, una cimice, un mascalzone…ma quanti secondi puoi stare nei panni
di un mascalzone? Pochi, pochissimi, soprattutto se mascalzone lo sei per
davvero.
E poi c’era quella cosa che lo
tormentava più di tutte, lei Katja se n’era accorta, glielo aveva letto nel
lampeggiare dei suoi occhi quando lui le aveva aperto la porta e si era reso
conto che fosse Katja la donna di fronte a lui, c’era un infinito disprezzo nei
suoi occhi, come chi si trovasse di fronte ad una donna da strada, di più, come
chi avesse appena scoperto che la donna che riteneva virtuosa fosse in realtà
una puttana, era come se avesse realizzato all’istante che Katja era li solo
per i soldi, e che per averli e salvare la sua famiglia si sarebbe offerta a
chiunque, sarebbe andata ovunque.
Se Mitjia già non sopportava l’ombra
che l’amore di lei potesse essere sporcato dal dubbio della gratitudine,
figuriamoci se poteva sopportare l’idea di amare una donna che in quel momento
si sarebbe concessa a chiunque, una donna che era li sono per quegli
stramaledettissimi soldi.
Il veleno della tarantola che credeva
di essere cercava uno sfogo verso l’esterno, tutto il suo essere, fibra per
fibra invocava vendetta, lei era li davanti a lui, tremante, ansante, indifesa,
completamente nelle sue mani, forse la ferita che lei gli arrecava si sarebbe
placata se l’avesse posseduta, se ne avesse fatto ciò che ne avesse voluto…poi
magari il giorno dopo sarebbe andato a chiedere la sua mano, non era poi un
uomo così abietto, conservava ancora un certo senso dell’onore.
Ma fu proprio mentre si vedeva
proiettato verso casa sua a chiederla in sposa che si raggelò di nuovo, quella
era donna così orgogliosa e altera da rifiutarsi persino di riceverlo,
l’avrebbe fatto cacciare di casa dai domestici, come si fa con gli importuni o
con gli indesiderati e avrebbe riso anche della possibilità che lui potesse
vantarsi di quella notte.
Ora Dmitrij grondava solo odio e
perfidia, possederla era fin troppo poco, no, ora era più forte la voglia di
irriderla, di umiliarla, di una vendetta allo stato puro, una vendetta di una
bassezza infinita, in stile Karamazov, ora fra lui e suo padre Fēdor Pavlovič non
c’era alcuna differenza, immaginò intonando il suo discorso imitando la voce di
un mercante di bassa lega di risponderle: ”Ah, quei quattromila rubli! Ma io
stavo scherzando, che cosa dite? Siete stata troppo credulona, signorina. Un
duecento rubletti, quelli si, con piacere, volentieri, ma quattromila, quella
non è una cifra da buttar via con tanta leggerezza, signorina. Vi siete data
disturbo inutilmente” (p. 161).
Ma Dmitrij non è così, non è come suo
padre anche se ha pensato queste cose, non è così gretto e meschino, è un uomo
generoso invece, che solo per divertirsi lancia i suoi soldi come se fossero
coriandoli, figuriamoci se poi servono alla donna che ama, avrebbe dato il suo
cuore e il suo sangue senza che lei nemmeno glieli avesse chiesti, no, a
dominarlo ora è l’odio, l’odio allo stato puro: “…l’odio che dista dall’amore,
dall’amore più folle, di un solo capello” (p. 162).
Si avvicinò alla finestra, appoggiò la
sua fronte sul vetro ghiacciato e la sentì bruciare come se fosse fuoco … cosa
cercava, quel contatto fisico con lei che non c’era stato, e che forse non ci sarebbe mai più stato? … Di
azzerare i suoi pensieri, di non pensare più a niente? … Era forse un ultimo
saluto prima di sparire per sempre lontano da lei, non come se lei non ci fosse
più, ma come se non ci fosse mai stata? … poggiava sul vetro perché non avrebbe
avuto alcun senso abbracciare lei: ti congedi con un abbraccio o con un bacio
da chi hai accolto con un abbraccio o con un bacio, ma se il bacio e
l’abbraccio non sono mai accaduti, anche l’ultimo saluto deve rimanere
simbolico e non invadere l’ambito del reale.
Il tempo gli sembrò infinito, a tal
punto si era smarrito, ma erano passati solo pochi istanti, si scosse e senza
esitare andò sulla scrivania, aprì il cassetto e tirò fuori un titolo al
portatore del valore di cinquemila rubli, lo mostrò a lei senza aggiungere
alcuna parola, lo piegò e lo pose nelle sue mani, poi la accompagnò alla porta
e prima di aprire per congedarla fece qualche passo indietro e le porse il più
rispettoso e il più devoto degli inchini.
Katja trasalì tutta, era bianca come
un lenzuolo, lo fissò anch’ella per un istante e poi nel silenzio più assoluto,
con grazia infinita, si prostrò ai suoi piedi in un inchino dolce profondo,
quieto, fino a toccare terra con la fronte (allo stesso modo in cui egli si era
abbandonato poco prima con la sua fronte al vetro gelido della finestra); non
si trattava dell’inchino che insegnano in collegio, era un inchino spontaneo,
alla russa, come quello che Odette,
la fanciulla cigno, fa rivolta verso il pubblico nelle battute finali del Lago
dei Cigni di Tchaikovsky.
Quando se ne fu andata Dmitrij
estrasse la sua spada e il suo primo impulso fu quello di tagliarsi la gola,
poi invece se la avvicinò alle labbra e la baciò prima di riporla nel
fodero…per entusiasmo ci si può uccidere e si può amare, ma cosa nascondeva
Mitjia dietro la parola “entusiasmo”? Di certo è che quella sera ciò che era
accaduto fra loro due fu qualcosa che lega due persone per tutta la vita, come
quando incontri per la tua strada una donna fatale da cui non hai scampo, una
che cambierà per sempre la tua vita, una donna senza ritorno.
Una che non puoi soltanto amare, ma
non puoi semplicemente odiare, una che non puoi dimenticare, una per cui non è
stato ancora forgiato il chiodo con cui poterla scacciare, per quanto cerchi
distrazioni e consolazioni altrove, per quanto ti sforzi di non pensarci, basta
un lieve, involontario e del tutto innocuo richiamo, un’assonanza,
un’associazione, una lontanissima somiglianza, perché ti venga nuovamente
voglia di lei, perché è una donna che è poesia e fa rima ormai con tutto e non
può più uscire dalle spire della tenerezza con cui l’ha circondata.
Pur odiandosi ormai a morte entrambi,
perché Katjia era rimasta sbalordita certamente dal nobile gesto e dalla
generosità di Dmitrij, ma è pur sempre vero che egli aveva preteso il suo
disonore per darle quei soldi e il disonore non è solo andare a letto con un
uomo, ma essere li disposta a farlo; inoltre, cosa ben più grave, era persino
peggio che lui le avesse dato solo i soldi e l’avesse congedata, una donna che
si dispone mentalmente ad avere un rapporto con un uomo ha dei dubbi se questo
poi non accade perché è l’uomo che non vuole.
Katerina Ivanovna non poteva
dimenticare come l’avevano accolta gli occhi di Mitja quando lei era ancora
sulla porta, quanto disprezzo ci aveva letto dentro, quanto questo disprezzo
era stato profondo da essere disgustato persino di toccarla, e provava vergogna
per se stessa, e si disprezzava anche lei certamente, e non poteva non odiare
lui almeno tanto quanto lui odiava lei e se stesso.
Katerina e Dmitrij non lo sapevano
ancora ma ciò che era accaduto fra di loro quella sera li avrebbe legati per
sempre come un autentico cingulum diaboli:
un legame cioè che da li in poi avrebbe permesso che entrambi si amassero e si
odiassero a morte, qualsiasi cosa sarebbe successa, anche se si fossero
separati, anche se si fossero tenuti distanti, anche se uno di loro due fosse
morto.
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