Quello che ha rappresentato per
me e per tanti come me che nel 1992 eravamo giovani l’operato di Falcone e di
Borsellino è indicibile, ci ho provato a parlarne con amici siciliani, con quelli del nord in cui vivo o con altri stranieri che conoscono poco la situazione politica e
sociale del nostro Paese; ci ho provato anche su questo blog e prima sul suo
predecessore ne il Cannocchiale, aggredendo questa vicenda da diversi punti di
vista, ma il risultato che ne ho ottenuto non mi ha soddisfatto.
Falcone e Borsellino hanno
sfidato e vinto la mafia dei corleonesi, un’organizzazione criminale che all’epoca
era la più potente al mondo, che ha sfidato lo Stato uccidendo magistrati,
poliziotti, giornalisti, politici, un presidente di regione, un prefetto, gli stessi Falcone e Borsellino con una potenza di fuoco e con una
spettacolarizzazione inauditi, un prete antimafia, ordito attentati con
morti feriti e seri danneggiamenti a città e ad opere artistiche, e ne progettava uno che avrebbero mietuto molte vittime allo stadio Olimpico di Roma.
Di questa mafia resta ben poco, Totò
Riina e Bernardo Provenzano sono stati arrestati, con loro molti esponenti di
spicco della cupola e moltissimi picciotti,
il dispositivo ideato da Antonino Caponnetto, Giovanni Falcone e Paolo
Borsellino ha funzionato sia quando loro erano in vita, durante il famoso
maxi-processo, sia dopo la loro morte, perché il sequestro dei beni, le
intercettazioni, il carcere duro, l’uso sapiente dei pentiti, e la rotazione
della Cassazione, hanno decimato le file di quella mafia, schiacciato la testa
della serpe, disperso in latitanza ciò che ne rimaneva che potesse prenderne le
redini (ad esempio Matteo Messina Denaro, che alcuni dicono addirittura voglia
solo vivere in pace svincolandosi da ogni affare mafioso), impoverito enormemente
il giro e la mole degli affari (oggi il traffico di droga e l’edilizia è
passato in mano alla ‘ndrangheta, la mafia ha solo un ruolo molto marginale in
questo, forse gli rimane solo il traffico di esseri umani che gravita sull’Isola),
e indebolito l’enorme potere che si era venuto a creare quando al grande affare
di Pizza Connection, il controllo mondiale
della cocaina sudamericana e dell’eroina
afghana, si è aggiunta la ferocia, la mancanza di scrupoli e il potere di fuoco
dei corleonesi.
Non hanno sconfitto le mafie,
organizzazioni criminali fioriscono e godono di ottima salute in tutto il
nostro territorio nazionale, gestendo affari leciti e illeciti che erano
impensabili ancora negli anni 90, oppure erano al loro esordio, come i crimini
ecologici e lo smaltimento di rifiuti tossici; in diverse regione del sud poi
il territorio è strettamente sotto il dominio della criminalità organizzata,
creando di fatto uno Stato nello Stato, come una matrioska, in cui però ciò che
è invisibile conta molto di più di ciò che è visibile, dove i funzionari della
Stato sono spesso espressione della mafia o perché ne fanno parte integralmente
o per concorso esterno o per acquiescenza, perché “con la mafia bisogna
conviverci”.
Ma con la mafia non ci si
convive, non ci si può fare una coppia di fatto, la mafia tende ad impadronirsi
di ogni potere, non può condividerlo con nessuno, tende al dominio assoluto
perché non tollera un potere che sia più forte del suo o solo pari al suo:
quindi o diventi mafia anche tu o ti elimina.
Credo che la cosa peggiore per
Falcone e Borsellino non sia stata quella di essere uccisi, e nemmeno di essere
uccisi in quel modo barbaro, o l’inevitabile paura che ti attanaglia come una
morsa quando sai con certezza che ormai sei solo un cadavere che cammina.
La cosa peggiore è stata l’amarezza
e lo stato di cattività in cui sono stati costretti a vivere loro due e le loro famiglie, l’amarezza di non sapere di chi
potersi fidare anche all’interno del pool
antimafia, la cosiddetta stagione dei veleni nata per gettare fango su tutti e
delegittimare il lavoro che si stava facendo, i tradimenti politici, l’incomprensione
e le accuse che provenivano non solo dagli avversari, ma anche di chi avrebbe
dovuto stare dalla loro parte, quelli di magistratura democratica o gli intellettuali
peraltro integerrimi come Leonardo Sciascia, che li accusano di essere “protagonisti
dell’antimafia”, e quella di non essere compresi nemmeno dai siciliani onesti,
dai loro stessi concittadini, infastiditi persino dalle sirene delle macchine
della scorta, spaventati dall’idea che potevano essere uccisi coinvolgendo
anche ignari passanti, e di coloro che li consideravano degli illusi, anche
dopo le condanne del maxi-processo.
E, allora non lo capivo, mi sono
domandato perché l’avessero ucciso, lo confesso, comprendevo che la mafia
potesse uccidere un magistrato, un poliziotto, un politico, un giornalista, un
prete antimafia, ma non comprendevo come potesse uccidere un giovane che a
Radio Out a Cinisi prendeva in giro ferocemente i boss locali in un programma
chiamato Onda Pazza a Mafiopoli: il giovane si chiamava Peppino Impastato e il
boss che scherniva e derideva chiamandolo “Tano Seduto” era Gaetano Badalamenti.
Omicidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa |
Palermo vista dall'alto |
Eppure di esempi che un mafioso
teme il ridicolo e che per un “uomo d’onore” farsi sfottere impunemente era un’onta
che non poteva accettare, perché lo scherno uccide più delle canne lisce della
lupara, ne avevo avuti proprio davanti agli occhi; in un’occasione avevo visto il mafioso locale del mio Paese accettare
di buon grado lo scherzo, la battuta, anzi ci aveva riso sopra anche lui, aveva
scherzato anche lui su quelle parole, poi l’umorista era staro sparato al ginocchio
qualche mese dopo (simbolico il ginocchio, non trovate?), per aver toccato
qualche filo dell’onore di quel tizio che non avrebbe dovuto toccare, per aver
osato toccare chi non doveva toccare (scherza con i fanti …) o perché facendolo
si era messo alla pari col boss, anche se solo per un istante.
Non mi piacciono le pubbliche
celebrazioni, meno che meno se sono istituzionali, e meno ancora se provengono
dagli intellettuali contemporanei, che sono molto meno impegnati di quelli dei
decenni precedenti, hanno perso ogni fiducia nel fatto che la parola possa
cambiare il mondo, ma credono ciecamente che possa cambiare il loro conto in
banca, il loro potere o possa offrire loro occasioni amorose che se fossero
semplici impiegati del catasto sicuramente non avrebbero.
Il mio modo di ricordare quest’anno
questi due uomini straordinari è stato quello di andare a vedere Sicilian Ghost Story, il film di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, lo so, il titolo è
orrendo, infatti esitavo ad andare per questo motivo, poi per fortuna ho
cambiato idea.
Fa esplicito riferimento alla
vicenda di Giuseppe Di Matteo, la
più terribile fra quelle accadute in Sicilia in quel periodo di tempo, rapito dal
gruppo di Giovanni Brusca quando non aveva ancora tredici anni, tenuto sotto
sequestro per 779 giorni in varie prigioni nel trapanese e nell’agrigentino,
allo scopo di ricattare il padre Santino
Di Matteo, che in carcere stava collaborando con la giustizia.
Alla fine i rapitori, non avendo ottenuto
il silenzio e la ritrattazione delle dichiarazioni fatte in precedenza dal
padre del ragazzo, lo strangolarono come si strangola un capretto e disciolsero
il suo corpo nell’acido.
Il film è fatto di suoni,
musiche, rumori, che girano, ti avvolgono, ti allarmano, calano o si alzano all’improvviso,
che non sai da dove arrivano e ti inquietano, ti tengono in perenne attesa di
qualcosa che sta per succedere, è un film fatto di terra, di fango, di
sottosuolo, di pietra dura o porosa, di foglie secche, di alberi e di rami, di
intricate foreste, di versi di animali, di lame di luce che si sporgono dal
buio, di una cappa tetra di tenebra che avvolge uomini e cose come
una patina color seppia, che scurisce l’intera vicenda per tutta la durata del
film e fa diventare lo stupendo Parco dei Nebrodi, le montagne, il paesaggio circostante,
i paesi in quei dintorni e persino i templi di Selinunte, in cui pare che un
Dio insensibile si sia divertito a lanciare una palla da bowling facendo
crollare rovinosamente a terra tutti i birilli che uomini orgogliosi avevano eretto
in suo onore, da cui si affaccia sul mare uno dei più splendidi panorami dell’intera
Sicilia, una visione tetra, oscura, lunare.
Muschi, licheni, umidità, alghe
minacciose, vento e pioggia che scroscia addosso come se volesse pulire,
mondare, strapparti i vestiti e la pelle di dosso, acque che scivolano e che ti
stringono in un abbraccio mortale, nitriti, battere di zoccoli, froge nervose
di cavalli, grossi cani rabbiosi che appaiono all’improvviso e che vogliono
aggredirti, uomini con vestiti rassicuranti ma con facce da incubo che ti promettono
ciò che più desideri, mentre recano la morte nelle loro mani (il ragazzo fu
rapito da mafiosi che si spacciarono per uomini della DIA, nelle cui mani lui
sapeva fosse suo padre, il pentito Gaspare
Spatuzza, che faceva parte del commando, nelle sue deposizioni disse: "Agli
occhi del bambino siamo apparsi degli angeli, ma in realtà eravamo dei lupi.
(...) Lui era felice, diceva 'Papà mio, amore mio' ").
Un film delirante, onirico, cupo
e allucinante che oscilla fra un realismo spietato, feroce, orribile, visto con
estrema rassegnazione o trasformandoci noi stessi in quell’incubo, o fra la
fantasia, il sogno, il sospiro e la speranza; Luna, la ragazza protagonista è
una sognatrice, e fantastica una storia d’amore fra lei e Giuseppe, il figlio
del boss pentito, il figlio dell’infame.
Selinunte |
Selinunte |
Selinunte |
Nemmeno lei ha compiuto tredici
anni, eppure è già dura e determinata come una pietra, qualche traccia di
dolcezza, di candore, di spensieratezza o della levità tipica dell’adolescenza
la puoi solo indovinare, la cogli qui e la da quella breve schermaglia d’amore
fra lei e Giuseppe, dalla lettera d’amore che gli scrive, da quel disegno di
stelle con cui l’ha decorata, da alcune parole o sguardi che si scambiano, dalla
farfalla che lui tiene sul dorso della mano, da qualche momento giocoso fra di
loro … per il resto sembrano due adulti cinici e disincantati.
Dell’adolescenza i due
protagonisti conservano i lineamenti dolci, ma non lo sguardo, che è già
deciso, conservano il concetto dell’amore come qualcosa di assoluto, la
testardaggine, il senso di protesta, ma anche questi modi e questi gesti sono
connotati di violenza, come quando Luna e la sua amica schiaffeggiano e
sbattono la testa sul banco al compagno che si era seduto nel posto vuoto di
Giuseppe in classe.
Sono circondati dalle violenza e dalla ferocia, l’hanno assorbita fin da piccoli, la respirano e la credono normale: la ragazza non ha in apparenza alcuna reazione né quando vede il maiale appena ucciso appeso ad un gancio col sangue che cola in una bacinella, né quando assiste al coito bestiale di quei due nel casolare in cui era entrata insospettita.
Sono circondati dalle violenza e dalla ferocia, l’hanno assorbita fin da piccoli, la respirano e la credono normale: la ragazza non ha in apparenza alcuna reazione né quando vede il maiale appena ucciso appeso ad un gancio col sangue che cola in una bacinella, né quando assiste al coito bestiale di quei due nel casolare in cui era entrata insospettita.
Quando la realtà è orribile,
fatta di aggressività e sopraffazione, te ne crei una di fantasia che ti permetta di
sopportarla, che ti dia speranza di cambiamento, che potrai migliorarla almeno un
po’ da com'è, che potrai vivere ciò che sogni, avere ciò che desideri … arrivi
a non saper più distinguere fra il vero e il falso, fra la realtà e il sogno, e
tutto si intreccia come un grumo unico, che è la tua vita.
Ad un certo punto sembra quasi
che un lieto fine possa essere possibile, che Luna guidata da sospetti, sensazioni
e da premonizioni abbia trovato dove tengono nascosto Giuseppe, che riesca a
liberarlo, che riescano a fuggire insieme e a nascondersi nello scafo di una
barca sul lago … sembra, ma da molti segni ti accorgi che c’è qualcosa che non
va, troppo semplice, troppo liscio, troppo fortunati, e lui poi, Giuseppe, non
è il ragazzo sporco, deperito, con i capelli tagliati male da uno dei carcerieri che è diventato dopo molti giorni di prigionia,
ma è come lei se lo ricordava l’ultima volta che l’aveva visto, perché lei che
lo ama non riusciva a pensarlo se non così, quel Giuseppe che ormai esiste solo
nella sua testa, e lei sta abbracciando l'aria e l’umidità del lago.
Selinunte |
Selinunte |
Non sempre il bene vince, non
sempre l’amore predomina sull’odio, talvolta accadono cose terribili che avremmo
fatto di tutto per poterle evitare, non sempre i cattivi muoiono o vengono
puniti e gli eroi si salvano e predominano sul male, talvolta sono i buoni a
morire e in modo atroce e i cattivi che godono, il mondo è ingiusto, crudele e senza
senso, fino ad essere spietato, fino a far male, fino a pensare che non valga
la pena vivere.
Ma quando una vita non si spegne,
perché ha creato solidi legami d’affetto, perché ha lanciato segnali che non si
possono ignorare, allora accade il miracolo, allora getta le sue gemme e
rifiorisce, e rifiorisce il sorriso, il vento fra i capelli, l’onda del mare
che ti lambisce i piedi, e la voglia di abbracciare e di essere abbracciato,
che pensavi non sarebbe più tornata, e tornano ad illuminarsi come mai si erano
visti nel film i templi di Selinunte e la sua spiaggia, che mostrano tutto il
loro splendore e le cui colonne stanno ardimentosamente erette sfidando ogni
catastrofe ed ogni tempesta.
Il film non è bello, è un pugno nello
stomaco, che ti fa arretrare e sussultare, che ti fa perdere il respiro per
tutta la sua durata … ho ripreso a respirare quando la musica finale ha iniziato
a smorzarsi e stavo per avviarmi all’uscita per rivedere la luce.
- Sentite cosa dice Roberto Scarpinato in un'intervista al Fatto Quotidiano.
- Sentite cosa dice Roberto Scarpinato in un'intervista al Fatto Quotidiano.