"Parfois je pense, parfois
je suis".
(Paul Valery, La Jeune Parque, Introduction à la méthode de
Leonard).
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Sandokan (la tigre di Mompracem): E gli sguardi, i sorrisi, i cenni di saluto,
la tua impazienza e l’inquietudine quando tardavo ad arrivare al mio solito
tavolo al bar, in quello che ormai era il nostro appuntamento mai dato, mai
detto, eppure sempre rispettato, come vogliamo intenderli? E il brillare dei
tuoi occhi quando incrociavi il mio sguardo, il ritrarti in un sorriso
imbarazzato che si distoglieva dal campo del visibile per pudore, il tuo
prendere le stesse cose che prendevo io subito dopo che le avevo prese io, il
passarmi accanto ancheggiando e occhieggiando nel caso mi perdessi quello
spettacolo fatto solo per me o per coglierne con la coda dell’occhio l’effetto
dirompente? Vuoi dire che tutto questo si sarebbe davvero tradotto in niente se
io non avessi plasmato una rosa dalla creta del mio amore per te, non l’avessi
colorata col rosso scarlatto del mio sangue e non fossi venuto a sedermi vicino
a te dicendoti: “Mi concede, signorina, di ammirare più da vicino quest’ermo
colle e questa siepe, di godere di questi interminati spazi e di questi
sovrumani silenzi, ove per poco il cor non si spaura, di questa infinità in cui
s’annega il pensier mio ... e ‘l naufragar m’è dolce in questo mare? Questo panorama
che è superbo, ma a cui manca soltanto, per raggiungere la perfezione, questa
rosa dal lungo stelo e lo scarlatto del suo colore?”.
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Jolanda (la figlia del Corsaro Nero): In niente,
proprio in niente, avrei continuato a guardarti, a sorriderti, a fare cenni di
saluto, ad essere impaziente nell’attesa, a far brillare i miei occhi, a
ordinare le tue stesse cose in questo bar dove ci incontriamo, e a passarti
accanto con movenze feline ancheggiando e occhieggiando, finché fossi stato
qui, presente, finché i tuoi occhi avrebbero cercato i miei, finché facevi da
spettatore al mio show.
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Sandokan (la tigre di Mompracem): Ma ... e se io non mi fossi mai deciso a
venire ... se fossi stato timido ... se ad un tratto non mi avessi più rivisto
.... non ti saresti mossa, non avresti chiesto o cercato di me?
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Jolanda (la figlia del Corsaro Nero): No, non mi sarei
mossa, non ti avrei cercato, sarei stata impaziente per un po’, come quando
ritardavi a venire, poi triste per un po’, ma poi con un click ti avrei
cancellato, con un battito di ciglia saresti sparito dal mio sguardo e quando
avrei riaperto i miei occhi al posto in cui sei seduto tu ci sarebbe stato
sicuramente un altro, più affascinante, più divertente, più seducente, più
brillante ..... ma, soprattutto, più presente di te, perché lui sarebbe stato
li e tu no!
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Sandokan (la tigre di Mompracem): Ma ... ma ... allora
tu cosa ami, cosa desideri? Ami, desideri?
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Jolanda (la figlia del Corsaro Nero): Ma, Caro, ma
Chère, io amo, desidero il tuo amore, il tuo desiderio per me, sopra ogni
cosa; è questo il mio fuoco eterno che secondo misura si accende e secondo
misura si spegne, questo ciò che mi fa battere il cuore, ciò che mi fa vibrare
ardentemente, ciò che fa si che io ti cerchi, ti brami, ti desideri, voglia
fare l’amore con te.
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Sandokan (la figlia del Corsaro Nero): Dunque non è che
tu vuoi me così come io voglio te, tu vuoi solo che io ti voglia; io, in tutto
questo, sarei ben poca cosa, soltanto colui che regge un desiderio, colui che
prova un sentimento, un amore ....
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Jolanda (la tigre di Mompracem): Esatto, sei soltanto
quel peu de réalité che da corpo al desiderio: il tuo per me, il mio per
il tuo desiderio, sei quel brandello di carne senza cui l’amore girerebbe nel
vuoto dell’inconsistenza, sei l’illusione del godimento, ciò che sostiene la
realizzabilità del fantasma. Ma anche il tuo amore e il tuo desiderio non sono
reali, sono supposti tali, infatti anche tu che dici di amarmi e di desiderarmi
in realtà ami e desideri sopra ogni cosa il presunto desiderio che io avrei per
te e che tu avresti letto nel mio atteggiamento (i sorrisi, gli sguardi ...)
senza il quale sei già in crisi.
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Sandokan (la figlia del Corsaro Nero): Per forza, come
fai ad amare senza essere amato, a desiderare senza essere desiderato, come può
un rapporto sorreggersi su te che ami il mio desiderio e il mio amore che fra
l’altro non c’è, che in realtà è desiderio e amore di un desiderio e di un
amore che non c’è, ma che è supposto tale? Non c’è rapporto possibile, solo
quello impossibile.
- Jolanda (la tigre di Mompracem): Solo quello
impossibile, a meno che ... a meno che tu non vada ad abitare il desiderio
dell’Altro, come unico desiderio che c’è, perché non ce ne sono altri, non c’è
altro desiderio se non il desiderio dell’Altro, non c’è desiderio senz’Altro.
Sandokan ha ascoltato attentamente Jolanda per
tutta la durata di questo discorso, fissandola negli occhi col suo sguardo
calmo e penetrante, senza accennare ad alcuna obiezione, anche se lei lo guarda
come se si attendesse una replica ... parole amare, terribili anche, ma non il
silenzio...non il silenzio. Egli, prima di andarsene (perché è questo che sta per fare) ad un
tratto le si avvicina e improvvisamente la bacia piano sulle sue esangui labbra
... ecco la sua risposta. Jolanda sussulta, gli angoli delle labbra hanno avuto
un fremito, va verso la porta, la spalanca e gli dice: “Vattene e non venir
piú... non venire mai piú... mai piú!”. E lo lascia andare per le vie oscure
della città. Sandokan si allontana, ben presto la sua scia è avvolta dal nero mantello
della notte.
Questo post l’ho scritto e
mai pubblicato anni fa … quando amavo i solstizi, ora voglio solo equinozi!
sono contento che tu abbia deciso di pubblicarlo adesso, ne abbiamo parlato già in altre occasioni di questa "guerra degli specchi" che è il desiderio dove spess nell'altro si vede il proprio desiderio. Abitare il desiderio dell'altro richiede sicuramente più impegno, entrare e uscire da sé stessi con il rischio che durante il discorso amoroso la figlia del Corsaro nero diventi Sandokan e viceversa. Mi piace il video e la canzone di Garbo, un cantante con uno pseudonimo del tuo pseudonimo, anche quello è un gioco di specchi, e mi piace il testo che tra le altre cose invita ad ascoltare il silenzio, mi sembra un bel seguito a quanto detto poco fa da me oltre a un bel paradosso che si compie dicendolo. Ciao
RispondiEliminaAnche a me fa piacere leggere questo post "ritrovato" e che hai deciso di pubblicare dopo che il tempo è passato. Credo che con il tempo che passa si riesce a vedere e a leggere alcune cose in modo nuovo rispetto a quando le abbiamo pensate e scritte tempo addietro. I rapporti sentimentali hanno quell'effetto di riflettere uno sull'altro i sentimenti e le passioni interiori. Capire e vivere il desiderio dell'altro (e non solo il proprio desiderio) aiuta due persone a confrontarsi e a crescere all'interno di una relazione, ci si apre e si comunica qualcosa di noi stessi che vive nel profondo. Di solito non si pensa più per "uno" ma per "due", perché se aiuto me aiuto anche te e viceversa. Se uno dei due è in difficoltà o se è triste (per esempio) cerca l'altro o il partner per ricevere conferme, sostegno o incoraggiamento. Ciò avviene in vari modi e per diverse problematiche. Come dicevo tempo fa in un altro tuo post (scusa, tiro fuori di nuovo una riflessione già detta, ma credo che valga la pena) nel tempo mi sono convinto che le parole che un'amica psicoanalista mi aveva detto anni fa sono sempre molto attuali: ciò che succede fra due persone, all'inizio o durante una relazione, diventerà "la costante" del rapporto per un certo periodo, sino a quando uno dei due o tutti e due decideranno di cambiare. Questo aspetto della relazione vale anche per madre - figlia, padre - figlio, sorelle, amici...o almeno, ciò che ho vissuto sino ad oggi mi conferma che quello che ho detto poco fa è una delle realtà, ma certamente esistono anche altre di realtà all'interno di una relazione. Visto anche il video e non ricordavo che ci fosse un artista che ha il nome del tuo blog (si scopre sempre qualcosa). Un salutone e alla prossima
RispondiElimina@ Antonio,
RispondiEliminache ti devo dire, Antonio, ho apprezzato ogni parola di quelle che hai scritte, sento che hai compreso perfettamente lo spirito del post e forse anche perché lo ripropongo adesso e non l'ho mai pubblicato prima. Mi permetto, però, di farti notare un punto che per me è fondamentale ... il bacio che Sandokan da a Jolanda è lo stesso che il Grande Inquisitore da al cristo ne I fratelli Karamazov di Dostojevskij ... ebbene, quel bacio finale non ha mai smesso di interrogarmi dalla prima volta che lessi quel libro ... quel bacio enigmatico l'ho ritrovato anche nel corso della mia vita ... ad alterne vicende ... l'ho dato e l'ho ricevuto.
Ciao
@ Accadebis,
RispondiEliminaquesto post può essere pubblicato proprio perché ormai parla solo a me stesso e a chiunque vi si rispecchi per vicende sue ... al momento della sua formulazione era soltanto uno sfogo, un grido, un ruggito rivolto a qualcuno (qualcuno che forse anche tu hai incrociato nella tua vita di bloggher non sapendo che era qualcuno per me).
Sono d'accordo con la tua amica psicoanalista, in base alla mia specifica formazione io parlerei piuttosto di "matrice relazionale" invece che di "costante", ma il concetto non credo che cambi di molto. Il punto non è l'essere, non è perché ci si mette insieme adesso, ma il divenire, cosa vogliamo essere insieme. Perché l'essere si riferisce inevitabilmente al nostro passato individuale e all'incerta conoscenza del nostro partner attuale, il divenire si riferisce allo stesso partner conosciuto attraverso il tempo e l'esperienza.
Ciao
Sì sono le parole del grande inquisitore, ammetto di non averle colte forse perché non ho colto l'assimilazione tra il discorso amoroso tra Sandokan e Jolanda e quello tra il condannato e il grande inquisitore. Ci ho pensato un po', ho riletto e capisco che dopotutto non avevo letto con l'attenzione necessaria. Forse il motivo per cui non ci ho pensato è che mi sembrava di cogliere nel tuo discorso una sorta di simmetria di ruoli, una dinamica in cui i ruoli possono cambiare di nuovo in un passo successivo di danza mentre nel discorso di Dostovjeski i ruoli sono scolpiti, definitivi. Sì, non avevo colto questa sfumatura del tuo discorso. ;-) Ciao
RispondiEliminaNon so cosa intendi per ruoli scolpiti, forse il fatto che uno è dio e l’altro è inquisitore e alla fine ciascuno rimane ciò che è, però a mio parere da un certo punto di vista i rapporti di forza fra i due interlocutori si ribaltano. All’inizio Cristo sembra voler dire all’inquisitore che stanno fraintendendo il suo messaggio, che lui ha predicato l’amore, e che non possono in nome suo torturare, bruciare e uccidere; poi interviene l’inquisitore a far capire a Cristo che senza questi metodi il suo messaggio messianico non sarebbe durato niente, è la spada di Paolo non la barba di Pietro che hanno fondato la chiesa, che in fondo Cristo stesso è troppo astratto e metafisico per comprendere come funzionano gli uomini e il suo messaggio è talmente utopico che bisognava calarlo a forza nella concretezza materiale dell’uomo.
EliminaÈ a questo punto che Cristo non replica più a parole, lo bacia e se ne va. Cosa vuol dire quel bacio? È un’approvazione, è un’accettazione, è un addio, è altro? Di certo non è una completa sconfessione e la saggezza assoluta di dio, l’onniscienza, l’onnipotenza vacillano e si inchinano per un istante ai bisogni dell’uomo, che non sembravano contemplati nella formulazione assoluta della legge: amerai il prossimo tuo come te stesso.
Il parallelo nel testo di Dostoevskij è nel dialogo fra i due fratelli Ivàn e Aleksej sul perché un dio buono permette il male nel mondo, quando il primo fa notare al secondo che il discorso sull’uomo che ha tutta la colpa del male non regge: “Che colpa hanno i bambini appena nati che muoiono a volte di malattie atroci, e quelli che si spengono qualche ora dopo la stessa nascita?”. È Ivàn che introduce il racconto del Grande Inquisitore, mi pare come un racconto suo mai scritto in cui si interroga sull'esistenza di Dio, sul senso del dolore e sull'essenza della libertà o libero arbitrio, e mi pare che sia Alëša a baciare il fratello così come l’inquisitore aveva baciato Cristo.
Anche nel rapporto fra dio e Giobbe, a cui abbiamo accennato sul tuo blog, c’è in prospettiva questo ribaltamento, alla fine è Giobbe a risultare vincente, anche se dio non sembra essersi accorto di questa sconfitta ed esulta nell’aver dimostrato ancora una volta la sua potenza … ma qualcuno si è accorto di questo e ne ha scritto, un libro messo li che è fra i più fraintesi e dimenticati di tutta la bibbia, se ne parli con un prete ti dice che quello di Giobbe è il libro della pazienza, nient’altro, sparisce la titanica lotta fra un dio assurdo, gabbato da satana e un uomo tenace.
Ciao
Dopo quella lotta titanica è Giobbe che saluta con un bacio. In tutti i casi menzionati il bacio è, o meglio io ci vedo, un commiato, una ammissione di impotenza, di impossibilità di persuadere l'altro. Solo nel tuo discorso mi pare che la faccenda si rovesci, anche qui in maniera speculare. Secondo quanto detto mi sarei aspettato che fosse Jolanda a dare il bacio a Sandokan. Per scolpiti intendo che le posizioni di entrambi sono definite e non ravviso passaggi di ruolo dall'uno all'altro. Non parlo dei rapporti di forza e delle "ragioni" che i due si scambiano ma delle rispettive visioni. Ciao
EliminaLeggo con piacere il vostro scambio di commenti e non conoscendo abbastanza Dostoevskij mi limito a dire che a volte è "il desiderio stesso a desiderarci, il che ci fa sentire attori e insieme passivi nel desiderare; e non tanto e non solo delle realtà che ci compongono: la nostra crescita, le nostre attese, le nostre speranze, ma anche di quel particolare desiderio alla seconda che è il desiderio di essere desiderati."
RispondiEliminaCiao e buon aprile
@ Julia,
RispondiEliminadesiderare di essere desiderati è una tappa del cammino, desiderare è la tappa successiva, due desideri contrapposti la tappa conclusiva.
Buon aprile a te, ciao