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Erwin Blumenfeld, Lisa Fonssagrives on the Eiffel Tower, Vogue, 1939 |
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Erwin Blumenfeld, Lisa Fonssagrives on the Eiffel Tower, Vogue, 1939 |
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Erwin Blumenfeld, Lisa Fonssagrives on the Eiffel Tower, Vogue, 1939 |
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Robert Doisneau |
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Les filles de joie © Georges Thiry courtesy of the Galerie Lumière des roses |
“Non amavo altro che le parole … Avrei innalzato cattedrali
di parole sotto l’occhio azzurro della parola cielo”.
(J.P. Sartre, Les mots, 1963).
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Robert Doisneau - Un regard oblique (1948) |
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Robert Doisneau, La-dame-indignée, 1948 |
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Elliott Erwitt, Brasilia, 1961 |
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Les filles de joie © Georges Thiry courtesy of the Galerie Lumière des roses |
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Elliott Erwitt |
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Emile Savitry, La Coupole, Paris 1939 |
"Scomparirò nella nebbia come straniero a tutto, isola
umana staccata dal sogno del mare, nave con un essere superfluo a bordo, a
galla su tutto."
(Fernando Pessoa, Il libro dell'inquietudine).
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Richard Avedon, Untitled, 1957 |
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Apache de Pigalle 1938 |
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Robert Doisneau, Selezione per il Concert Mayal, 1952 |
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Helmut Newton, The world famous “Folies Bergère” revue, ca 1953, |
Ci sono amori che al loro esordio sono accompagnati da
prodigi, da meraviglie, da fenomeni eccezionali, da segnali luminosi in cielo,
da stelle comete o da altri fenomeni astrali che mettono sull’avviso i magi,
dal carro del sole che abbandona la sua eclittica, la “… strada che mal non
seppe carreggiar Fetòn” (Dante, Purgatorio IV, 71-72), sbandando
paurosamente verso il cielo, creando così la Via Lattea, o verso la Terra,
riducendo la Libia ad un deserto.
Ci sono amori che producono l’incepparsi delle meccaniche
celesti, che fermano il moto delle sfere che si produce a partire dal motore
immobile regolato dal diverso attrito che da a ciascuna sfera una velocità
diversa, e dalla concomitante assenza del suono celestiale delle arpe eoliche,
che in genere accompagna il placido movimento degli astri sui loro cardini.
Ci sono amori in cui i cieli partecipano con giubilo, gli
angeli squarciano la volta celeste per venirli a sbirciare, le bestie e gli
armenti sulla terra sono inquieti, gli alberi fremono e mulinano come neanche
nelle più fiere tempeste, il suolo ondeggia con sbalzi tellurici come se
Poseidone scuotesse la terra, e il cielo si incendia di scintille prodotte dal
martello del dio Thor, che genera il tuono.
Ci sono amori per cui chi assiste ai loro inizi sente le
membra sciogliersi in uno strano languore, la mente è incapace di pensare, il
cuore si blocca, assediato da una strana angoscia, le gambe ti reggono in piedi
a malapena, avverti addosso una strana ed inspiegabile agitazione, le donne
mostrano scollature più audaci e gli uomini non finiscono più di ringraziare di
poter godere di quei frutti del paradiso, e con occhi dolcissimi (che stanno un po' più in alto del loro seno) ti chiedono un calice di vino e tu
porteresti loro l’intero vigneto
Ma niente di tutto questo avvenne quando iniziò l’amore che
vi voglio raccontare, l’incontro fra quest’uomo e questa donna avvenne nel più
banale dei modi, senza tanti fronzoli, senza che se ne occupassero i
giornalisti, senza le foto della stampa scandalistica, senza il tintinnio di
cucchiaini nelle tazze da the, il frenetico fruscio degli abiti di seta delle
signore che denuncia una certa agitazione, senza quel mormorio nei salotti, il
frinire incessante che ingigantisce qualsiasi cosa tanto più quanto più è
sommesso e sottovoce, e lo distribuisce alla città intera.
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Albert Camus al café “Les Deux Magots” (Parigi, 1945) |
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Robert Doisneau |
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Brassai Paris Taschen Brassai on Pinterest Paris |
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Brassai, Gipsy dancer |
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Brassai, La bande du grand Albert-1931-1932 |
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Opera, Paris 1960, Jean Loup Sieff |
Frequentavano gli stessi posti, avevano molti amici in
comune, presenziavano agli stessi eventi, niente di strano, dunque, che
finissero prima o poi per incrociarsi vis
a vis; e forse tutto avvenne nel più banale dei modi, come capita alla
maggior parte delle persone comuni, con un amico di entrambi che fa le
presentazioni.
Così alcuni raccontarono che successe, assistevano entrambi
alla prima del film di Jean Renoir Le Crime de Monsieur Lenge il primo
gennaio del 1936 a Parigi, lui era stato invitato direttamente dal regista, lei
era la fotografa di scena, un amico comune ad entrambi li presentò, e da li in
poi seppero trovare da soli i pretesti per rivedersi.
In ogni caso non era la prima volta, quella, che le loro
strade si intersecavano, era semmai l’ufficializzazione del loro incontro, ciò
che fa pensare a ciascuno di noi che adesso che c’è stato il riconoscimento
pubblico, adesso che io so ufficialmente chi sei tu e tu sai ufficialmente chi
sono io, posso attendermi un saluto da te, o magari che ti fermi a fare due
chiacchiere o, chissà, che possa accadere qualcosa fra di noi, visto che siamo
stati insigniti di pubblica investitura.
È facile che si fossero visti altrove in precedenza, e che
abbiano preferito rimanere due estranei, o abbiano preferito “studiarsi” ancora
un po’ a distanza, oppure preferivano uno scenario diverso, un “galeotto”
diverso (ricordate i versi famosissimi che Dante
fa dire a Francesca? “Galeotto fu il libro e chi lo scrisse …”) che li mettesse
in contatto.
Il “galeotto” in questione poi era pure poeta e la poesia è
ineliminabile in certi frangenti, seppure la poesia sia responsabile delle
peggiori catastrofi sentimentali degli uomini, dove c’è poesia aspettati sempre
di essere elevato fino al cielo e di ricadere inevitabilmente nella polvere …
per questo gli uomini del passato si sposavano per contratto stipulato dai
rispettivi genitori e relegavano la poesia nella più profonda intimità, oppure
la bandivano dalle loro case come trastullo adolescenziale o melanconia senile.
Di certo sappiamo che lei aveva senza dubbio sentito parlare
di lui, che già da un pezzo era famoso, ma non di una fama localizzata a Parigi
o alla Francia intera, la sua fama varcava ormai ogni confine, ed era
impensabile che una donna che frequentasse gli ambienti artistici parigini non
sapesse chi fosse quell’uomo o non ne avesse mai sentito parlare, quando ormai
il mondo intero parlava di lui.
Anche lei, pur non raggiungendo le vette di notorietà a cui
si era elevato lui (il paragone è peregrino perché praticavano due arti
diverse: lui un’arte che aveva una storia antica, lei un’arte tutta moderna,
che si era affermata relativamente da poco), era abbastanza nota e molto
stimata nel suo ambiente.
Lui vide per caso un ritratto di lei scattatole ancora una
volta da un amico comune, una foto “solarizzata” in cui lei incorniciava il suo
sguardo profondo con le bellissime dita della sua mano che cadevano maliarde
sulla sua fronte, allo stesso modo di una piccola spilla che le pendeva sulla
guancia sinistra e che mostrava il medesimo intreccio di dita … fu la
folgorazione, si innamorò di quell’immagine, di quello sguardo e di quella posa
forse ancor prima di vederla dal vivo, e fece di tutto per farsela regalare.
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Dennis Stock, Cafe de Flore, Paris, 1958 |
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Café de Flore at the corner of Boulevard Saint-Germain and Rue St. Benoit, in the 6th arrondissemen |
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Café de Flore, 1885 |
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Robert Doisneau |
Ma l’incontro fra uno che era già ritenuto una leggenda
vivente già in vita, successo eguagliato in passato solo da Raffaello Sanzio e
mai più raggiunto da altri, non a quelle proporzioni, e una donna dalla
carriera molto promettente, quella che poteva elevarsi al suo livello fra tutte
quelle che lui aveva avuto, quella che poteva starle al fianco, forse l’unica
in assoluto, sul quale si sono scritti centinaia di libri, versate piogge di
inchiostro, consumate parecchie cartucce del toner, non poteva essere così
ordinario e deludente, bisognava che fosse straordinario, eccentrico come si
conviene alla grandezza dei due protagonisti e fosse anche presago del loro
futuro … che legioni di storici, storici dell’arte, giornalisti, psicologi e
psicoanalisti potessero trovare materia su cui affondare i loro denti per
parecchi secoli a venire.
Volete anche il prodigio? Eccovelo! Nel gennaio del 1936 la
signorina Henriette Theodora Marković si
incamminava a piccoli passi battendo sul marciapiede i suoi tacchetti non molto
alti, col suo “portamento da sfinge e gli occhi persi in un altro mondo” (come
fu definita) verso un tavolo del Café de
Flore in Saint-Germain-des-Prés, a Parigi (altri giurano che avvenne,
invece, al Deux Magots, poco distante
dal Flore).
I café parigini, in particolar modo i due appena citati, sono
sempre stati frequentati dal fior fiore dell’intelligenza e della sensibilità
artistica, da quando Parigi si era affermata come polarità artistica e
culturale in Occidente, da quando i francesi hanno iniziato a favorire il
soggiorno di artisti, pensatori e scienziati nella loro capitale, questi locali
divenivano centri imprescindibili di confronto, di crescita, di scambio e,
perché no, luoghi in cui stabilire una volta per tutte competenze, priorità,
vedere riconosciuto il proprio lavoro,
il proprio valore personale e il proprio posto nella gerarchia dei colleghi.
Erano centri di divulgazione della propria opera, punti per
farsi conoscere, non di rado venivano frequentati da editori, critici e
mercanti d’arte, possibili acquirenti, mecenati o semplicemente persone in
grado di apprezzare un lavoro ben fatto, un concetto ben pensato un sentimento
ben espresso; ma erano anche luoghi di relax, di ricerca del puro e semplice
divertimento, dove poter fare qualche amicizia o dove poteva sorgere qualche
amore o qualche liaison plus o moins
dangereux.
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Brassai La París de los perdidos |
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Edith-Piaf in a Parisian cafe ca. 1936. Photo by Jean Gabriel Séruzier. |
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FRANCE (Île-de-France) - Les Deux Magots in Paris, 1696 |
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George Brassaï An English girl in her dressing room at the Folies Bergère, 1932 |
Li frequentavano quasi tutti, dai grandi nomi affermati come Brassaï, Man Ray, Jeanloup Sieff,
Henri Cartier-Bresson, Richard Avedon, Amedeo Modigliani, Paul Cézanne,
Henri Matisse, Joan Miró, Albert Camus,
Guillaume Apollinaire, Jean-Paul Sartre, Simone De Beauvoir, Antonin
Artaud, Tristan Tzara, Max Ernst, René Magritte, Jacques Lacan,
Paul Èluard, Lee Miller, Robert Doisneau,
Maurice Merleau-Ponty, Jacques e Pierre Prevert, Luis Buñuel,
Georges Bataille, Salvador Dalì, André Breton, Yves Tanguy,
Léonor Fini, Giorgio De Chirico, …, fino agli autentici sconosciuti, che magari
si faranno luce più in là, o rimarranno appunto sconosciuti.
Ma non per questo furono poco importanti, perché le grandi
opere artistiche, le grandi cattedrali del pensiero, nascono da un terreno
collettivo, da un ambiente fertile, in cui molte suggestioni, idee,
illuminazioni, sorgono da più fuochi e da una comune kunstwollen (o volontà artistica) che permette ad una generazione
di artisti di andare nella stessa direzione generale e di parlare lo stesso
linguaggio, e il grande artista è quello poi capace di tirare i fili di questa
immensa rete per trarne quei capolavori che caratterizzeranno quello stile,
quel periodo artistico, quell’artista in particolare.
Ci si divertiva parecchio nel corso degli anni 30 a Parigi,
la grande guerra era terminata e tutti credevano che non ci sarebbero state più
guerre, non di quella portata almeno, non “mondiali”, la “grande depressione”
del 29 era più recente della guerra e aveva lasciato tracce ancora visibili,
forse per questo si era più invogliati a vivere, si respirava proprio questa
“avidità” di vivere, la bramosia di esperienze, l’inquietudine fra il non
perdersi un’occasione, la ribellione all’autorità normativa costituita,
attraverso l’ironia, la provocazione o la franca distruzione del passato, e la
malinconia profonda del nulla e del vuoto, sempre in agguato a sussurrarti beffardamente sillabando le
parole:
«O Zarathustra … tu, pietra filosofale! Hai scagliato te
stesso in alto, ma qualsiasi pietra scagliata deve – cadere! O Zarathustra
pietra filosofale, pietra lanciata da fionda, tu che frantumi le stelle! Hai
scagliato te stesso così in alto, - ma ogni pietra scagliata deve cadere!
Condannato a te stesso, alla lapidazione di te stesso: o Zarathustra, è vero:
tu scagliasti la pietra lontano, - ma essa ricadrà su di te!» (F. W. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, La
visione e l’enigma).
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Stanley Kubrick |
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Robert Doisneau, La derniere valse du 14 juillet, 1949 |
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Willem van de Poll Café de la paix Paris 1935 |
E davvero non esisteva nessuno in tutta Parigi che non
volesse lanciarsi in alto, che non fosse convinto di essere lui l’unica vera e
autentica pietra filosofale, il migliore di tutti, nessuno che non volesse
avere riconosciuto il predominio che nella sua mente si profilava netto; non
bastava essere fra i grandi, ciascuno voleva essere il più grande di tutti, non
bastava vivere bene, ciascuno voleva vivere meglio di tutti gli altri, possedere
ciò che gli altri non hanno, esperire tutto ciò che gli altri non potranno mai
esperire, provare e sentire cose che nessuno mai prima aveva provato e sentito,
eseguire il capolavoro dei capolavori.
Non stupisce allora che i momenti di scoramento, di
malinconia, di rabbia, di impotenza si alternassero a momenti di esaltazione,
che si rincorressero periodi di frenesia di vivere, di fare, di immergersi in
ogni cosa, con periodi di profonda tristezza e scoramento, di depressione, di
autodistruzione, il consumo di alcol e di droghe era smodato, si conosceva
l’assenzio, il laudano, l’oppio e se ne faceva largo uso, oltre ad ogni tipo di
bevande alcoliche.
Quasi del tutto tramontata l’attrattiva delle danseuses del Moulin Rouge e del Café de
Paris, la Troupe de Mlle Églantine,
le chahuteuses con le gonnelle rosse
e gialle che ballano la quadriglia all’Elysée-Montmartre,
le filles de joie, le donnine di Henri de Toulouse-Lautrec, la Goulue, Nana-la-Sauterelle, la Grille-d’Égout
che rideva mostrando una fessura fra i denti, o Rosa-la-Rouge, la sua modella preferita, che passerà
alternativamente dalle sue tele alle sue lenzuola e che gli regalò la sifilide
oltre alla pietà di qualche momento d’amore.
Divertimenti che appartengono alla generazione precedente e
che ritorneranno in auge nel secondo dopoguerra, in concomitanza con il turismo
soprattutto giapponese e statunitense, che va in vacanza a Parigi sperando di
ritrovare l’atmosfera di fine ‘800, la Belle Epoque, e di incontrare ancora Monet, Degas, Renoir, Bazille o Caillebotte, come chi veniva in Italia sperava di incontrare Fellini, via Veneto, i paparazzi, la Dolce Vita, Anita Ekberg che fa il bagno nella fontana di Trevi (magari nuda, stavolta) e il pizzardone che ti fa la multa perché hai lasciato la macchina in doppia fila con la scritta "mo' a levo, sto a parlà ch'amici!" .
Si ascoltava musica dai ritmi sincopati negli anni ‘30, il
jazz, lo swing, il fox-trot, il ragtime, che provenivano dall’America, si
poteva vedere Josephine Baker
muoversi come una pantera, Juliette
Gréco che scendeva le scale del Tabou,
Edith Piaf con la sua voce tremula
intonare melodie francesi accompagnata da una fisarmonica, o La bella Otero al Folies Bergère, Cléo de
Mérode, Anna Fougez e Lina Cavalieri esibirsi nei vari locali
della capitale francese, o nei teatri o nelle sale cinematografiche.
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Le Tabou club |
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La Galerie Lumière des Roses présente «Georges Thiry et les filles de Joies» |
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Robert Doisneau |
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Robert Doisneau Au saint Yves, Saint germain des-pres, Paris, 1948 |
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Robert Doisneau |
Dai locali notturni uscivano anche suoni di melodie latine,
napoletane e spagnole vista la nutrita rappresentanza italiana e spagnola in
terra di Francia, mischiarsi con la
musica popolare francese, anche quella dei quartieri malfamati, dove la
malavita brulicava e faceva i suoi affari, quella ballata a suon di strattoni e
di schiaffoni dagli “apaches”, quei
tizi col basco calato fino alle sopracciglia, i basettoni lunghi che
terminavano a punta, l’immancabile maglia a righe e l’eterna sigaretta in
bocca, che avevano il loro harem di protégées
nel quartiere di Pigalle.
Si discuteva, si scherzava o si ballava fino all’alba nei tabarin, nei café chantant, nei café
charmant, nei café séduisant, plaisant, fascinant … nei cafè
insomma, nei cabaret, nei locali equivoci
dei quartieri equivoci (i peggiori bar di Marais …), dove potevi trovare tutti
gli stimoli che volevi (e anche quelli che non volevi) e fare incontri di ogni
tipo, da quelli fortunati che ti fanno entrare in cerchie elitarie di persone
fino a quelli sfortunati, che ti ripuliscono delle tue magre sostanze, ti
malmenano e ti gettano malconcio in qualche vicolo o in qualche canale della
Senna.
Per pochi franchi potevi trovare un pasto decente, sollievo
ai fastidi del giorno, un po’ di svago, qualsiasi tipo di sostanza lecita o
proibita potesse modificarti in meglio il tuo stato di coscienza, fino a darti
pace, beatitudine ed ebbrezza, e un qualche surrogato dell’amore nelle
sembianze di qualche ragazza parigina dei quartieri malfamati.
O qualcuna che era giunta dalla provincia per amore o con
tante belle speranze e che si era ritrovata a battere i marciapiedi o a girare
per i locali in cerca di clienti, o una
qualche ragazza proveniente da chissà dove (dalla Russia dopo la rivoluzione, o
da altre zone d’Europa del sud o dell’est, o una ragazza dalla pelle ambrata,
proveniente dalle colonie francesi e che parlava il francese molto meglio delle
parigine, perché lei era andata a scuola dai missionari, mentre tante ragazze
francesi povere erano totalmente ignoranti).