“L’angoscia ci soffoca la parola.
Poiché l’ente nella sua totalità si dilegua e poiché così proprio il niente ci
assale, tace [schweigt] al suo cospetto ogni tentativo di dire ‘è’ [‘Ist’-Sagen].
Che nello spaesamento dell’angoscia noi si cerchi spesso di infrangere il vuoto
silenzio [die leere Stille] proprio con parole dette a caso [ein wahlloses
Reden], non è che la prova della presenza del niente”. (Martin Heidegger, Che cos’è
metafisica, Adelphi, 112; 68).
“Il nulla nulleggia” (Das nicht
nichtet). (Rudolf Carnap, 1932, Überwindung der Metaphysik durch logische Analyse der Sprache,
“Erkenntnis”, 2, 219-241; tr. it. in Il Neoempirismo, UTET, Torino, 1969, p.
504-532).
«Per parte mia, comincio il
trattamento invitando la paziente a narrarmi tutta la storia della sua vita e
della malattia, ma ciò che vengo a sapere non è ancora sufficiente ad
orientarmi. Questa prima narrazione è paragonabile a un fiume non navigabile il
cui corso ora è ostruito da rocce, ora deviato e impoverito da banchi di
sabbia. Non posso altro che provare meraviglia per i casi clinici d’isteria
così esatti e forbiti quali figurano nelle opere dei maestri; in realtà, i
malati sono incapaci di fornire simili resoconti di se stessi».
(Sigmund Freud, 1901, Frammento
di un’analisi d’isteria (Caso clinico di Dora), OSF., Boringhieri, Torino, Vol.
3, p. 312).
A colpirmi immediatamente, come
due luci di alta intensità, furono gli occhi, mi guardavano fissi senza
accennare a declinare; mi capita raramente che qualcuno mi guardi con una pari
insistenza, senza alcun imbarazzo ma che produceva in me, devo ammetterlo, un
certo imbarazzo, fors’anche fastidio per quell’essere scrutato così fissamente,
un imbarazzo provocato che molto probabilmente era originato da un imbarazzo
provato e proiettato all’esterno. Cos’era, alterigia? Seduzione? Sfida? Non lo
avvertivo né come un ostentato senso di superiorità, come talvolta capita con i
narcisisti, né come un gesto teso a sedurmi, per il momento il termine sfida
era quello che mi sembrava più appropriato. Già, ma perché una donna adulta,
libera, intelligente dovrebbe contattarmi per un consulto, spendere il suo
tempo e i suoi soldi, solo per sfidarmi?
Era davvero difficile guardarla e
non pensare, come prima cosa, che fosse una bella donna, subito dopo il suo
sguardo profondo era la cosa che si imponeva di più a qualsiasi osservatore, ma
non si trattava di una bellezza esuberante, da maggiorata, di quelle dalle
forme straripanti, era bensì una bellezza dalle forme armoniche, sobrie,
eleganti, resa ancora più raffinata dal suo dal suo modo di vestire, dal suo
stile, dalla sua classe e dal suo charme.
Indossava un semplice paio di
jeans blu scuro, stretti ma non aderenti ed elasticizzati, che si limitavano a
sottolineare le sue forme perfette, una camicetta bianca di pizzo molto
elegante e un bolerino nero sopra che la slanciava ancora di più di quanto non
facessero i suoi tacchi moderati, un cappotto nero lungo che sembrava addosso a
lei una pennellata di stile e una sciarpina turchese.
I suoi capelli biondo scuro,
lisci, le cadevano indolenti sulle spalle e sulla schiena, le scarpe, la
cintura, i gioielli, erano di fine fattura e assolutamente non vistosi, per
questo si notavano di più nella loro sobrietà e per questo ti soffermavi un po’
di più ad apprezzarne l’eleganza.
La invitai ad accomodarsi sulla
poltrona di fronte a me e la incoraggiai con un semplice sorriso, lei accavallò
le gambe e iniziò a parlare con la sua voce che era melodia, e il suo discorso
non fu soltanto logico, ma crono-logico, nel senso i suoi fili erano
organizzati razionalmente secondo l’accadere nel tempo degli eventi che lei considerava
pregnanti.
Lascio sempre ampia libertà alle
persone che mi consultano riguardo a cosa dire e a come dirlo, cerco di
limitare al minimo indispensabile le domande per non incanalare il discorso su
tracce prefissate, su argomenti prefigurati, perché ciò che una persona decide
di dire (come la prima mossa sulla scacchiera) e come lo dice sono sicuramente
tanto importanti quanto il contenuto di ciò che dice.
D’altronde, la grunderegel (regola fondamentale)
freudiana è lapidaria nella sua formulazione, si prescrive al paziente di dire
semplicemente, seguendo la regola delle libere associazioni, tutto ciò che
viene loro in mente, senza esercitare su questo materiale associativo alcuna selezione
e alcuna censura, anche se ciò dovesse apparire loro senza alcun interesse, non
pertinente, illogico o addirittura assurdo.
Il corrispettivo della grunderegel che si applica al paziente è
per l’analista l’attenersi ad una “attenzione
fluttuante”, ovvero l’esercizio di un ascolto rispettoso del paziente senza
alcuna interruzione non indispensabile, senza tentare di condurre il discorso
su un terreno più familiare per l’analista, senza prestare una particolare
attenzione ad un elemento invece che ad un altro, senza tentare di memorizzare
ciò che stiamo ascoltando e, soprattutto, lasciandoci attraversare dal discorso
in maniera da coglierne soprattutto le risonanze emotive profonde che lascia in
noi, ben al di la della pura comprensione razionale.
Con le parole dello stesso Freud:
«Si tenga lontano dalla propria
attenzione qualsiasi influsso della coscienza e ci si abbandoni completamente
alla propria “memoria inconscia”, oppure, in termini puramente tecnici: “Si
stia ad ascoltare e non ci si preoccupi di tenere a mente alcunché”».
(Sigmund Freud, 1912, Consigli
al medico nel trattamento analitico, in OSF, Boringhieri, Milano, Vol. 6,
p. 533).
O, secondo un modulo più
articolato e moderno di quello freudiano, direi che io mi ispiro, nel mio
ascolto analitico, a questo eptalogo:
«Le sette regole dell’arte di
ascoltare
1. Non avere fretta di arrivare a
delle conclusioni. Le conclusioni sono la parte più effimera della ricerca.
2. Quello che vedi dipende dal
tuo punto di vista. Per riuscire a vedere il tuo punto di vista, devi cambiare
punto di vista.
3. Se vuoi comprendere quel che
un altro sta dicendo, devi assumere che ha ragione e chiedergli di aiutarti a
vedere le cose e gli eventi dalla sua prospettiva.
4. Le emozioni sono degli
strumenti conoscitivi fondamentali se sai comprendere il loro linguaggio. Non
ti informano su cosa vedi, ma su come guardi. Il loro codice è relazionale e
analogico.
5. Un buon ascoltatore è un
esploratore di mondi possibili. I segnali più importanti per lui sono quelli
che si presentano alla coscienza come al tempo stesso trascurabili e fastidiosi,
marginali e irritanti, perché incongruenti con le proprie certezze.
6. Un buon ascoltatore accoglie
volentieri i paradossi del pensiero e della comunicazione. Affronta i dissensi
come occasioni per esercitarsi in un campo che lo appassiona: la gestione
creativa dei conflitti.
7. Per divenire esperto nell’arte
di ascoltare devi adottare una metodologia umoristica. Ma quando hai imparato
ad ascoltare, l’umorismo viene da sé».
(Marianella Sclavi, Arte di
ascoltare e mondi possibili. Come si esce dalle cornici di cui siamo parte,
Bruno Mondadori, Milano, 2003).
In questo modo, lontano dal
perdere informazioni preziose e contrariamente a quello che potrebbe sembrare
un ascolto più attento che cerca di memorizzare e conservare quanta più
informazione possibile, noi cerchiamo di cogliere l’essenza di un dialogo, che
non è certo nel contenuto che ci viene trasmesso, ma nel substrato emotivo che
lo anima e nel legame relazionale che corre fra paziente ed analista.
Una persona può utilizzare
qualsiasi argomento, anche il più banale, per comunicarci un suo stato d’animo,
un sentimento; allora, visto che noi lavoriamo con le emozioni, non è tanto
importante seguire il contenuto dei suoi discorsi, che può portarci fuori
strada perché non è quello il registro su cui si basa il dialogo, ma alla
persona che ci sta parlando preme che cogliamo il messaggio emotivo e non
quello simbolico e letterale.
Allora lasciamo fluire la nostra
attenzione, pronti a cogliere le risonanze emotive che ci suscita tutto il
dialogo, che è fatto certamente di parole, ma fondamentalmente è fatto di
comunicazione non verbale, a-simbolica, molto più primitiva e diretta di quella
razionale e molto più importante ai nostri fini per incidere sul profondo e
sulla nostra regolazione emotiva.
L’osservare che una paziente sia
bella, come ho fatto all’inizio di questo post, non è un gioco ozioso, né
semplicemente l’indulgere ad un piacere estetico, ma un modo per rendersi
presente l’effetto e l’impatto che una persona può esercitare su di me anche
col suo aspetto fisico.
Fu il mio maestro, Michele Minolli, a focalizzare la
mia attenzione su questi aspetti che allora ritenevo secondari e poco
interessanti: molti anni fa quando ero in formazione seguivo un caso in
supervisione con lui, io ero sempre alla ricerca di individuare chissà quali
dinamiche psichiche inconsce potessero illuminare i motivi della sofferenza
della mia paziente, quando lui mi domandò come prima cosa: “Com’è questa donna,
è bella?”.
Io cercai di scantonare pensando
che fosse poco importante l’avvenenza o meno della mia paziente, ma lui
insistette e fui costretto allora a pensare alla mia paziente come donna e non
come paziente e all’effetto che lei, con la sua fisicità aveva su di me, così
mi resi conto immediatamente che cercavo improbabili o impossibili dinamiche
inconsce per nascondermi quanto in realtà mi turbasse la sua bellezza.
Non solo l’impatto che la
bellezza o la fisicità di una persona ha su di noi è importante e foriero di
informazioni sulle reciproche emozioni e sulla relazione, ma anche altre
emozioni, come ad esempio la simpatia (o antipatia che una persona può
suscitarci), ricordo che Michele Minolli in una delle sue magistrali lezioni in
cui avremmo analizzato il caso clinico di Freud di Dora (Frammento di un’analisi d’isteria (Caso clinico di Dora), OSF.,
Boringhieri, Torino, Vol. 3, , pp. 298- 402) ci chiese come prima cosa che
impressione avevamo avuto di questa ragazza diciottenne.
La simpatia è preludio di
comprensione, facilita la strada a comprendere i motivi della “protesta” di
Dora, che si sentiva tradita dal padre, abbandonata dalla madre, ignorata dal
fratello maggiore, usata sia dall’amante del padre, la signora K., sia dal
marito di questa il signor K. che tentò di approfittare di lei in almeno due
occasioni, infine non si sentì compresa da Freud, al punto da abbandonare
l’analisi, perché questi era presumibilmente troppo intento a dimostrare
attraverso Dora la validità della sua teoria sul sogno e sulla teoria sessuale,
per ascoltare davvero la ragazza.
Quando, invece, proviamo
antipatia, disagio, fastidio o ci troviamo di fronte a clamorose mancanze di
sintonizzazione col paziente, vuol dire che siamo lontani da una sintonia
emotiva col paziente, vuol dire che dovremmo lavorare prima sui nostri ostacoli
alla comprensione, che sulle asperità del paziente, come il caso di Freud con
Dora che trascura di trarre tutte le conseguenze di una sensazione che Dora gli
rivela fin da subito e che gli ripete più volte senza che Freud riesca a
coglierla del tutto perché ciò significherebbe mutare radicalmente
l’inquadramento del caso e le coordinate su cui si accingeva a lavorare, che
non coincidevano del tutto con i suoi interessi teorici.
Freud ci informa che:
«Nei momenti di maggiore amarezza
le [a Dora] si imponeva l’idea di essere stata consegnata a K. [il marito
dell’amante di suo padre] come prezzo per la sua tolleranza della relazione tra
suo padre e la moglie, e sotto la tenerezza di Dora per suo padre si poteva
sentire l’indignazione per un simile impiego di sé stessa». (Sigmund Freud, 1901, Frammento di un’analisi d’isteria (Caso
clinico di Dora), OSF., Boringhieri, Torino, Vol. 3, p. 328).
Dora stava denunciando quello che
avvertiva come uno scambio di donne: “io mi prendo tua moglie e in cambio ti
cedo mia figlia”, si sentiva ceduta ad un altro uomo, tradita, usata dal
proprio padre, usata dal signor K. non perché la desiderasse o la amasse, ma
come moneta di scambio per la cessione della moglie, mentre riteneva che la
simpatia che le dimostrava la signora K. fosse finalizzata soltanto ad
accattivarsene i favori: in tutti i casi nessuno vedeva Dora in quanto persona,
ma come oggetto da usare nello scacchiere delle loro torbide relazioni.
Freud in questo frangente non va
oltre l’ammissione che:
«… la verità era che ognuno dei
due uomini evita di trarre dal comportamento dell’altro conseguenze che
sarebbero d’ostacolo ai propri desideri».
(Sigmund Freud, 1901, Frammento
di un’analisi d’isteria (Caso clinico di Dora), OSF., Boringhieri, Torino,
Vol. 3, p. 328).
Ma, in definitiva, anch’egli
stenta a credere del tutto a Dora e la tratta con la stessa sufficienza degli
adulti che la circondano, e quasi da bugiarda, come le era già accaduto quando
decide di denunciare ai genitori il tentativo del signor K. di abusare di lei,
in quel momento tutti indistintamente sono propensi a credere che si sia
inventata tutto, magari (come suggerisce la signora K.) con la fantasia
infiammata dalla lettura della Fisiologia
dell’amore del Mantegazza.
Il tradimento freudiano però si
consuma definitivamente quando Freud trae le conclusioni, assurde e
paradossali, che il gesto di Dora di schiaffeggiare il signor K. e di fuggire
via di fronte alle avanches amorose
di quest’ultimo, di fronte al fatto che un uomo di mezza età avesse fatto il “provolone”
con una ragazzina minorenne, sia isterico (in conformità alla sua diagnosi di “petite hystérie”) perché rinnegava il
proprio eccitamento sessuale e il proprio desiderio per quest’uomo.
Non lo sfiora nemmeno per un
istante l’idea della differenza di età fra i due (la stessa probabilmente che
c’era fra lui e Dora), l’immaturità della ragazza e il fatto che Dora ritenesse con certezza che il signor K.
non era innamorato di lei ma che esigesse con le sue avanches una
sorta di risarcimento.
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