“ ‘È vero’ io ho ammesso. Avevamo una tale angoscia d’essere nati stupidi e senza possibilità di riscatto, che ci facevamo in quattro per dimostrarci sempre intelligentissimi e informati. […] Quando Loretta a vent’anni […] per la prima volta ci ha trafitto con l’espressione: ‘Che sguardo intelligente che ha’, ed è stata proprio una trafittura, perché intendeva proprio Oscar Liverano, non me, non Michele; noi abbiamo preso l’abitudine di andare in giro per la sezione a occhi sbarrati, cosa che nelle nostre intenzioni doveva truccare lo sguardo e camuffarne la stupidità, evitandoci il rischio di non essere apprezzati dai compagni.
Io devo aver esagerato in quel periodo. Gustavo mi ha detto spesso: ‘Che hai agli occhi?’ ‘Niente’, seccato, perché nelle intenzioni stavo facendo lo sguardo intelligente come il compagno Oscar e invece Gustavo sospettava: ha gli occhi malati”.
(Domenico Starnone, Il salto con le aste, Feltrinelli, Milano, pp. 22 - 23).
Eravate rimasti a: “Di fronte a questo cambiamento di paradigma, la quarta rivoluzione epocale della storia, delineante un’ontologia intonata alla rivoluzione permanente dell’infosfera globale”? E avete pensato subito alla “supercazzola” dell’indimenticato conte Mascetti? Ingenui!
Io avevo pensato invece alla sindrome che attanaglia tutti coloro che vengono sollevati ad incarichi per cui non si sentono all’altezza; l’elenco è lunghissimo e abbondano in politica soprattutto quelli di destra: da Farinacci che durante il ventennio volle ottenere a tutti i costi la laurea in Giurisprudenza, conseguita a suon di corruzione e di minacce, perché se avesse dovuto fare dei veri esami, lui che non si esprimeva molto bene in italiano, tanto che nel suo stesso partito era definito l’ ‘antigrammatico’, ti saluto!
Non sto nemmeno a citarvi la laurea acquistata in Albania (quante nefandezze succedono oggigiorno in Albania …) dal Trota, perché è nota a tutti, ma la falsa laurea in medicina di cui si fregiava suo padre, il Senatur, con gli amici di allora e con la sua prima moglie, tanto che la salutava ogni mattina dicendole che andava a lavorare in ospedale.
“Noi - ho precisato - avevamo dubbi persino sull’ortografia. Eravamo sul chi vive dall’età di cinque anni. Volevamo lasciare il mondo analfabeta in cui eravamo nati, ma eravamo stremati dai nostri sforzi solitari e logorati dal senso di insufficienza. ‘Ci valutavamo cinque e mezzo’ ho detto: ‘a volte sei più. E soffrivamo. Avevamo imparato tutto quello che capitava frettolosamente, da soli, con un’unica ossessione in mente: saltare in un mondo pieno di gentilezze e di cortesie ben formulate, dove eravamo perfettamente a nostro agio, non si soffriva nemmeno un po’ per la malvagità di pochi, nessuno ci faceva sentire inferiori, ogni parola era misurata”.
(Domenico Starnone, Il salto con le aste, Feltrinelli, Milano, p. 24).
Di Sangiuliano, quando ha iniziato a comparire sul TG2 di TeleMeloni, non ti chiedevi: “Ma questo come fa ad essere giornalista?”, solo perché la categoria è già abbastanza screditata; ti chiedevi piuttosto com’è che l’hanno messo a fare il ministro della Cultura: non ha un solido spessore culturale, non brilla per intelligenza, a guardarlo bene negli occhi è un uomo profondamente triste, e come tutti i mediocri che sono anche ambiziosi è vendicativo, di una vendicatività passivo-aggressiva e sostanzialmente vile, perché ti colpisce anche molti anni dopo un presunto torto subito, ma solo quando il potere è nettamente nelle sue mani.
Tutti gli esempi delle sue gaffes, che ci hanno allietati in quei mesi del suo ministero, sono frasi che avrebbe potuto non pronunciare, ma che catastroficamente ha pronunciato per fare sfoggio di erudizione: da Dante come precursore della destra, fino ai due secoli e mezzo dalla fondazione di Napoli e a Cristoforo Colombo che voleva circumnavigare la terra in base alle teorie di Galilei.
Sangiuliano nella foto con la Boccia, mentre lei sorride sfoderando i denti, lui apparentemente fa lo stesso con una smorfia della bocca che accenna appena un sorriso, ma se lo guardate negli occhi è triste, sembra un cane bastonato che fa buon viso a cattivo gioco, eppure dovrebbe essere felice di essere a fianco a quella che indubbiamente ritiene una bella donna.
“ … ci legava, come per la pratica di una lingua cifrata, l’uso di un italiano segreto, mai ascoltato, solo letto: per noi senza suono fino ad un attimo prima che lo pronunciassimo. Non era l’italiano con cadenze dialettali dei nostri insegnanti. E nemmeno quello falsamente discorsivo del cinema, della radio o della tv. Era un italiano - ci immaginavamo - da gente pensosa, che non perdeva mai il tempo in conversazioni senza sapore e senza sapienza. Lo sperimentavamo con voce sommessa, intonando interrogativi ed esclamativi sull’esistere, dichiarandoci elucubrazioni, in genere badando più al fiotto che al senso.
‘È questo il motivo’ gli ho detto, in modo che ci pensasse su prima di perdermi insuperbendosi. Perché - ho argomentato, ma ne parlo con le parole di adesso (allora ne ho usate altre che non mi ricordo, a parte un’espressione che fra poco dirò) - solo noi due sapevamo soffiare i nostri respiri in quelle lettere, naturalmente dopo averle risucchiate dalle pagine per ricomporle nei suoni che l’occhio era andato affidando all’immaginazione dell’orecchio.
‘L’immaginazione dell’orecchio’: questa è l’espressione che improvvisai là per là. E Michele ha ripetuto stupito, con una punta d’invidia: ‘L’immaginazione dell’orecchio?’. ‘Dell’orecchio’ ho confermato non credendo io stesso al fatto che quella nuvola verbale l’avessi prodotta in proprio. ‘Cioè?’ ha domandato lui. ‘Cioè che l’orecchio si immagina il suono delle parole lette dall’occhio’ gli ho illustrato. ‘Allibisco’ allora ha detto Michele. Infatti. Era questo il punto. Lui allibiva e anch’io, mentre nessun altro tra quelli che avevano accompagnato la nostra esistenza fin dalla nascita era mai allibito; nel senso che non aveva mai affidato a questo verbo di colore livido il viso che sbianca per sbigottita meraviglia. Sicché , quando allibivamo ad alta voce assumendo il colore di una foglia d’olivo per lo sfinimento verbale, poi ci guardavamo intorno allarmati per vedere se qualcuno ci aveva sentiti e già diceva di noi: si danno arie da signorini; o, peggio ancora, ci copriva di vituperio con l’espressione: vogliono fare gli intellettuali.
In quanto, per essere chiari: se Michele di punto in bianco avesse detto a suo padre FF.SS.: papà allibisco; il padre gli avrebbe in qualche modo fatto capire: ti mando a scuola, ma parla come mangi. Idem con i fratelli, che gli avrebbero cantilenato 2allibisco’ fino alla fine dei suoi giorni. Senza dire dei compagni di classe: dopo quell’allibisco Michele si sarebbe chiamato per sempre Michele Allibisco. Invece io incassavo ‘allibisco’ con curiosità e lo riusavo a mia volta: ‘Allibisco’; suo alleato e suo complice in questo sotterraneo allenarsi per ricavare dal verbo indiscutibile del mondo dove eravamo nati per caso, il verbo dell’intermondo o del sovramondo dove ‘allibisco’ era lecito”.
(Domenico Starnone, Il salto con le aste, Feltrinelli, Milano, pp. 90 - 91).
Per arrivare ad esempi più vicini a noi e più consoni all’attualità più recente, citerò anche il filosofo Diego Fusaro, turbo hegeliano col botto, una citazione a caso: “L'odierno scenario globale si presenta come un'oligarchia crematistica con sovranità dell'economia sulla politica e, schmittianamente, neutralizzazione del politico. Il mondo che si santifica come democratico si configura così, per ironia della storia, come il capovolgimento dialettico della democrazia in dittatura del capitale finanziario transnazionale (o multinazionale)”. (in Minima mercatalia, Bompiani, Milano, 2012, p. 418).
Il ministro Giuli ci riprova con: “Occorre riaffermare la centralità del pensiero solare”, letta testuale alla Buchmesse di Francoforte. e fin qui fa pariglia più con Fusaro per l’incomprensibilità di ciò che vuole dire, che con Sangiuliano, il cui detto era spesso involontariamente comico, quanto più comico tanto più avrebbe voluto essere autorevole.
Per loro sembrano stagliarsi bene le parole che dice Nitzsche dei poeti: “A un soffio, un guizzo di fantasima si riduce, per me, tutto il loro arpeggio; quando mai hanno saputo che fosse la passione dei suoni! - E poi per me non sono neppure abbastanza puliti: essi tutti intorbidano le proprie acque per farle sembrare profonde”.
(Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Parte Seconda, Dei poeti, Adelphi, Milano, 1985, p. 156).
“Nei libri c’era un mondo verbale coerente e consistente, fatto di paesaggi complessi senza buchi nel fondale, di stanze e botteghe intessute di oggetti, di nobiltà decadenti e borghesie in ascesa, di borghesie in decomposizione tra malinconici crepuscoli e proletari vergini da palingenesi: ogni due righe una parola ignota, ogni conversazione tra virgolette almeno un concetto che si fa bella figura a riusare. Ci piaceva e insieme ci avviliva. Perché ‘anche il mondo dei suoni e delle lettere è ordinato gerarchicamente’ abbiamo scoperto da adulti. In quanto ciò che stava in alto, o almeno tendeva verso l’alto, persino quando si disfaceva in repellenza o languiva nella sconfitta e nell’umiliazione, trovava il modo di farsi raccontare con belle parole: mentre quello che stava in basso soffocava nella trivialità del lessico, nella banalità delle ragioni e nella miseria della sintassi”.
(Domenico Starnone, Il salto con le aste, Feltrinelli, Milano, pp. 92 - 93).
E così ho creduto anch’io: ingenuo!
Poi arrivano quelli di Domani, il quotidiano, e mi spiegano che non c’è niente da sfottere, che questo “pensiero solare” non è una pubblicità del fotovoltaico, né una roba ayurvedica, nello stile risveglia tutti i tuoi chakra, dello shivaismo tantrico di stile dionisiaco, nessuna supercazzola, nessuna analisi psicologica da ”compensazione narcisistica”, nessuno Spin Doctor cultore di Kant ed Hegel (che il ministro Nordio dice di aver compreso benissimo, mentre esimi studiosi del filosofo di Stuttgart ancora vanno a farfalle), nessuna mancanza di un vero amico che ti metta la mano su una spalla e ti dice: “Io ti consiglierei di scrivere un discorso più semplice e comprensibile”, il neo - ministro sta lanciando messaggi in codice, e chi vuole capire capisca, dove l’idioma usato è il pensiero di Julius Evola.
Ora, Evola è un tizio che al solo pensiero ti metti le mani nei capelli, era così strampalato che non mi stupisce che i fascisti e i post - fascisti ci siano andati in comunella (non sempre, però, Evola è andato in comunella con loro), e l’hanno tirato per la giacchetta quasi tutti, da Junio Valerio Borghese a Pino Rauti.
“Se scrivere, però, non gli riusciva subito alla perfezione, era colpa dei nostri parenti che per iscritto non venivano bene, come quelli che non vengono bene in fotografia perché non sono fotogenici”.
(Domenico Starnone, Il salto con le aste, Feltrinelli, Milano, p. 93).
Era uno capacissimo di scrivere cose così, che mi stupisce che intere generazioni di missini e di Ordine Nuovo, i abbiano tratto fuori qualcosa: “Chi prende l'estinzione come estinzione e, presa l'estinzione come estinzione, pensa all'estinzione, pensa sull'estinzione, pensa "Mia è l'estinzione" e si rallegra dell'estinzione, costui, io dico, non conosce l’estinzione”. (Julius Evola, Il cammino del cinabro, p. 7).
Però ha scritto anche cose come o comacose: “Oserà dunque il fascismo assumere qui, qui donde già le aquile imperiali partirono per il dominio del mondo sotto la potenza augustea, solare, regale […] oserà qui riprendere la fiaccola della tradizione mediterranea?”.
(Julius Evola, Imperialismo pagano, Padova, Edizioni di Ar, 1996, p. 24).
E torniamo qui al “pensiero solare” di Alessandro Giuli, ancora non tremate? E allora vi aggiungo che mancano solo otto giorni all’approssimarsi dell’ora solare, una coincidenza? Io non credo. Qualunque cosa sia questo pensiero solare, non sarà certamente una cosa buona per noi, sarà più simile ad una catastrofe, ad un cataclisma, roba che persino il giornalista che l’annuncia in tv sarà in lacrime (come è successo al meteorologo John Morales in USA mentre annunciava l’uragano Milton che si approssimava alla Florida).
Basta osservare, per capirlo, la cravatta che Giuli indossava mentre leggeva questo discorso, rossa fiammeggiante come il drago con sette teste e dieci corna o come la comparsa dei cavalieri dell’apocalisse, nel libro di Giovanni, o ancora come l’apparizione di Gesù e dei suoi angeli che squarciano le nubi per far vendetta di quelli che non riconoscono Dio e di quelli che non obbediscono al Vangelo, che Paolo scrive ai Tessalonicesi (2 - 1, 7).
P.S. Però potrebbe anche darsi che "solare" non abbia niente a che vedere col sole, ma con la "sola"!
“A partire dal 1970 ci siamo dispersi e persi per la penisola. Io sono finito insegnante al sud a insegnare - come diceva il prete del paese - l’odio di classe ai giovani.
È una cosa che faccio tuttora: ho smesso solo di andare nottetempo con qualche ragazzo fidato a segnare sui muri scritte sovversive sulle quali poi indagava la tenenza dei carabinieri. Ho smesso, ma non sono contento. Quell’esercizio di scrittura mi pareva che rimpolpasse la didattica con un concetto difficile da trasmettere nelle aule: che scrivere non è un’operazione indolore.
‘La scrittura è pericolosa. La scrittura è rischio per chi scrive e per chi legge. La scrittura non è mai un atto d’amore’ polemizzavo a distanza col prete che sosteneva: io insegno ad amare e tu ad odiare. ‘ La scrittura è sempre braccata dagli sbirri’ infine dimostravo, quando nottetempo scivolavamo nell’ombra, fieri di cospirare”.
(Domenico Starnone, Il salto con le aste, Feltrinelli, Milano, pp. 142 - 143).