venerdì 18 aprile 2014

GABRIEL GARCÌA MÁRQUEZ



“A volte arrivava in ufficio senza aver dormito, con i capelli ingarbugliati d’amore …” (Gabriel García Márquez, L’amore ai tempi del colera, p. 77).

“Ansioso di contagiala con la sua stessa follia, le mandava versi da miniaturista incisi con la punta di uno spillo sui petali delle camelie”. (Ibid., p. 78).

“ … la rabbia coltivata con tanto amore per molti giorni si sedò improvvisamente” (Ibid., p. 133).

“ … gli esseri umani non nascono sempre il giorno in cui le loro madri li danno alla luce ma che la vita li obbliga ancora molte altre volte a partorirsi da loro stessi” (Ibid., p. 175).

“…non esisteva nessuno con maggior senso pratico, né tagliapietre più ostinati né gerenti più lucidi e pericolosi dei poeti” (Ibid., p. 178).

“… matrimonio: un’invenzione assurda che solo poteva esistere per la grazia infinita di Dio. Era contro qualsiasi ragione scientifica che due persone che si erano appena conosciute, senza nessuna parentela fra loro, con caratteri diversi, con culture diverse, e persino con sessi diversi, si vedessero impegnate di colpo a vivere insieme, a dormire nello stesso letto, a condividere due destini che forse erano stabiliti in sensi diversi. Diceva: «Il problema del matrimonio è che finisce tutte le notti dopo che si è fatto l’amore, e bisogna tornare a ricostruirlo tutte le mattine prima della colazione»”. (Ibid,. p. 222).

“La vita mondana … non era altro che un sistema di patti atavici, di cerimonie banali, di parole scontate, con cui si intrattenevano in società gli uni con gli altri per non assassinarsi reciprocamente” (Ibid,. p. 234).

“Si sentì sempre di vivere una vita prestatale dal marito: sovrana assoluta di un vasto impero di felicità edificata da lui e solo per lui. Sapeva che lui l’amava più di qualsiasi cosa, più di chiunque altro al mondo, ma solo per sé: al suo santo servizio” (Ibid., p. 235).




“… non era possibile vivere insieme in un altro modo né amarsi in un altro modo: niente a questo mondo era più difficile dell’amore”. (Gabriel García Márquez, L’amore ai tempi del colera, p. 237).

“… il cuore ha più stanze di un casino”. (Ibid., p. 288).

“Una volta lui le aveva detto qualcosa che lei non riusciva a immaginare: gli amputati sentono dolori, crampi, solletico, alla gamba che non hanno più. Così si sentiva senza di lui, sentendolo là dove non c’era più”. (Ibid., p. 298).

“… ben presto si rese conto che la voglia di dimenticarlo era lo stimolo più forte per ricordarlo”. (Ibid., p. 300).

“Doveva insegnarle a pensare all’amore come a uno stato di grazia che non era un mezzo per nulla, bensì un’origine e un fine di per se stesso”. (Ibid., p. 312).

“… lei continuava a essere tanto selvatica come quando era giovane ma che aveva imparato ad esserlo con dolcezza”. (Ibid., p. 328).

“Florentino Ariza lo ascoltò senza battere ciglio. Poi guardò dalle finestre il cerchio completo del quadrante della rosa dei venti, l’orizzonte nitido, il cielo di dicembre senza una sola nuvola, le acque navigabili per sempre, e disse: «Andiamo a dritta, a dritta, a dritta, ancora verso La Dorada». Fermina Daza sussultò, perché riconobbe l’antica voce illuminata dalla grazia dello Spirito Santo, e guardò il capitano: era lui il destino. Ma il capitano non la vide perché era annichilito dal tremendo potere di ispirazione di Florentino Ariza. «Lo dice sul serio?» gli chiese. «Fin da quando sono nato» disse Florentino Ariza, «non ho detto una sola cosa che non sia sul serio». Il capitano guardò Fermina Daza e vide sulle sue ciglia i primi fulgori di una  brina invernale. Poi guardò Florentino Ariza, la sua padronanza invincibile, il suo amore impavido, e lo turbò il sospetto tardivo che è la vita, più che la morte, a non avere limiti. «E fino a quando crede che possiamo continuare con questo andirivieni del cazzo?» gli domando. Florentino Ariza aveva la risposta pronta da cinquantatrè anni sette mesi e undici giorni, notti comprese. «Per tutta la vita» disse”. (Ibid., p. 369-370).



Gabriel "Gabo" Garcia Marquez e la moglie Mercedes

Mi ha insegnato un modo nuovo, più intenso, più profondo, di pensare all’amore, alla morte, alla vita, un concetto inedito di poesia, un modo stupefacente di scrivere e di vedere le cose, un senso del rispetto illimitato, che le cose non esistono al di fuori di noi, ma siamo noi con la nostra tenacia a farle esistere.
Florentino Ariza, il protagonista de L’amore ai tempi del colera, ama Fermina Daza nonostante tutto, nonostante il fatto che con tutta evidenza Fermina non lo riamasse come sembrava inizialmente, ma fosse soltanto lusingata che un giovane la guardasse con quegli occhi ardenti che le facevano pena, piuttosto, e che gli sembravano quelli di un malato, perché le scriveva lettere e le dedicava poesie, e perché le faceva delle serenate appassionate col suo violino. E forse anche perché la zia di Fermina la spingeva fra le sue braccia, giocandosi in questo modo le sue frustrazioni, le sue sconfitte e le sue passate viltà in fatto di amore.
Florentino ci crede in questo amore, crede non solo che lui ami Fermina, ma anche che Fermina ami lui, solo che non lo sa, che la vita l’ha portata altrove, allontanandola da lui, ci crede anche quando lei lo rifiuta, quando gli dice che è stata tutta un’illusione, quando sposa un altro, quando rimane incinta di quest'uomo e lui la vede col pancione, quando il tempo passa e loro invecchiano e tutto lascia presumere che non ci siano più speranze, quando anche la fiamma che gli arde nel cuore sembra vacillare e questo amore sembra senza speranza, un carico troppo gravoso per un uomo solo.
Ci crede anche quando cerca disperatamente di cancellare quel "no" di Fermina con i tanti troppi si di amanti fugaci che popolano il suo letto e muovono le sue lenzuola, amanti tutte debitamente e coscenziosamente annotate in un taccuino per numero e per caratteristiche. 
Marquez ha uno stile unico, in cui il reale e l’irreale si fondono, camminano insieme, e l’irreale, l’incredibile e l’impossibile diventano realtà o, meglio, plausibili, credibili; come se si creasse un accordo fra lettore e scrittore perché ciò che viene narrato non solo diventi possibile, ma l’unico, vero, grande espediente che mette insieme e risolve le aspettative razionali di plausibilità e di conformità a ciò che riteniamo vero e possibile, con i moti dell’animo e con i sentimenti che vorrebbero travalicare il possibile per l’impossibile, il concreto, il relativo, lo specifico, il determinato, per l’assoluto, l’inesplicabile, il grandioso, l’incommensurabile … per poter misurare noi stessi e le cose col metro infinito del sentimento senza sminuire ed umiliare il metro della ragione. 

Della sua vita, della vittoria del premio nobel e del suo impegno politico, potrete leggerne qui o altrove, dove vi pare, di ciò che non trovate qui scritto, ne parlerà qualcun altro. 


4 commenti:

  1. quanto dispiacere stamattina quando ho scoperto questa notizia.. di quelle che non sei comunque pronto mai a leggere..
    anch'io gli ho dedicato un post, pochissime righe ma degne di nota. di lui resta veramente tanto..
    Buona Pasqua anche a te Garbo, un abbraccio.

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  2. Ho letto Cent'anni di solitudine a sedici anni e mi si è letteralmente aperto un mondo... Naturalmente, Marquez, ho continuato a leggerlo..

    "La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla"

    Ciao, grazie e buona Pasqua a te
    Julia

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  3. "La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla"

    Sono d'accordo ed a tale proposito ho lasciato traccia della mia, lavorativa, in poche pagine che Ti rimetto, caro Garbo, a parte.

    Ne ho spedita copia a Stoccolma, non si sa mai che io possa prendere, da vivente il posto di Gabriel nella Letteratura.

    Ciao ed auguri ancora da luigi.

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  4. Sono debitore a Marquez per il suo Cent'anni di solitudine più che per altri libri. Quel libro che lessi molti anni fa, tanto da averlo quasi dimenticato, mi fa stare continuamente davanti al plotone di esecuzione della mia memoria. Tempo fa mi fece uno scherzo. E' arrivato il tempo di rileggerlo quel libro perché quel realismo magico che Marquez ha insegnato e capito è la mia realtà, quella di un sud che trovo ovunque io guardi. A presto.

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