“Bisogna assomigliare alle parole che si dicono. Forse non parola per parola, ma insomma ci siamo capiti”.
(Stefano Benni, Saltatempo, Feltrinelli, Milano, 2001).
“Così parlò Zarathustra, e voleva andar via; ma l'indicibile afferrò un lembo della sua veste e ricominciò a gorgogliare e a cercare parole. «Rimani! - disse infine - rimani! Non passare oltre! Io ho indovinato qual è la scure che ti ha abbattuto a terra: salute a te Zarathustra, che sei di nuovo in piedi!»”.
(Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno, Adelphi, Milano, 1985, Parte IV, L’uomo più brutto, p. 320).
“Le parole più silenziose sono quelle che portano la tempesta. Pensieri che incedono con passi di colomba guidano il mondo”.
(Friedrich Nietzsche, Ecce homo. Come si diventa ciò che si è, Adelphi, Milano, 20011, p. 13).
Scrivo questo post in risposta a Julia “Mi chiedo se tu, come psico filosofo, non ti sia mai occupato della personalità e soprattutto della parabola folle di Nietzsche…”, e al link che mi suggeriva in cui il filosofo Maurizio Ferraris parlava di Nietzsche. Dal momento che mi sono fatto prendere la mano, come accade per le cose che mi piacciono, ho pensato che fosse più semplice ed elegante risponderle con un post, che riempirle il blog con i diversi commenti in cui dovrei frammentare questo testo.
Per chi volesse vedere il filmato: https://youtu.be/aZ3lc2Nvh-o?si=iYriVY2Q-zhuWwcy
C’è più saggezza nella follia di Nietzsche che in tutto ciò che di “normale” dice Maurizio Ferraris, la mia impressione è non soltanto che Ferraris non abbia capito niente di Nietzsche, ma che provi per lui un’antipatia epidermica.
Ora, l’antipatia è sempre sintomo di incomprensione, e spesso si prova repulsione per qualcun altro perché si vede il lui la caricatura di ciò che temiamo di essere. Qui Ferrari fa dell’ironia su Nietzsche soprattutto sul suo narcisismo e sulla sua megalomania, che sono attestati, soprattutto in Ecce Homo e nelle cosiddette lettere della follia, ma a me ad esempio non suscitano scherno, talvolta mi divertono, quando sono presentate con arguzia e talaltra provo pietà per l’uomo che è stato convinto di essere sull’orlo di abissi per tutta la vita, e quando era sul crinale di quello della follia, non se n’è accorto, ed è stato risucchiato dentro: “Chi lotta contro i mostri deve guardarsi di non diventare, così facendo, un mostro. E se tu scruterai a lungo un abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te” (Al di là del bene e del male, Adelphi, Milano, 2010, 146, p. 79).
Tutto il discorso su Nietzsche assetato di fama e di successo è completamente fuori dal cardine della vicenda, Nietzsche era già famoso, a 24 anni, senza nemmeno la laurea, tramite il professor Ritschl che l’aveva preso sotto la sua ala protettiva, diventa professore di filologia all’università di Basilea, col conferimento di un dottorato ad honorem.
Da quella posizione a Nietzsche sarebbe bastato approfondire i suoi studi filologici, pubblicare qualche buon libro di livello elevato, ma che non si discostasse molto dai cardini della filologia dell’epoca e per il resto mostrare un buon carattere, curare le relazioni personali ed eventualmente chiamare in aiuto la sorella Elisabeth, che era un’intrigante, che aveva la faccia tosta e l’ambizione che a lui mancava, per ingraziarsi le persone influenti e tutti coloro che potevano spingere la sua carriera.
La conoscenza di Wagner, invece, lo pregiudicò parecchio, Ritschl dovette garantire al collegio docenti di Basilea che Nietzsche non sarebbe stato richiamato alle armi (e questo era vero perché era stato riformato dopo una caduta da cavallo), ma anche che era disinteressato alla politica, che insomma non era un fervente pangermanista, uno che voleva unificare i popoli di lingua germanica in un solo potente stato.
Wagner era considerato un rivoluzionario che aveva alzato le barricate nel 48 insieme a Bakunin ed era stato allontanato dalla polizia della Sassonia; l’amicizia per Nietzsche fu tanto pregiudicante tanto più diventava stretta ed era ostentata.
Ma i popoli nordici possiedono un certo rispetto per la privacy, e finché non scrisse La nascita della tragedia, non ci furono reazioni di rilievo, i notabili sussultarono dopo aver letto il suo libro, che conteneva in sé un doppio tradimento.
La nascita della tragedia è un libro filosofico e non filologico, infatti i suoi detrattori, ad iniziare da Ritschl, lo attaccano perché non rispetta il rigore filologico: un filologo deve far parlare i testi antichi e deve interpretarli facendo si che ogni sua affermazione sia rigorosamente documentata nelle opere antiche, nei frammenti, nelle testimonianze, mentre un filosofo, seppure deve seguire pur sempre un filo logico razionale, ha più libertà di movimento e più autonomia nelle conclusioni.
Tutte le critiche che i suoi maestri e i suoi colleghi gli fanno sono fondate da un punto di vista filologico, e da questo punto di vista la sua opera vale ben poco; e se anche intuiscono di avere fra le mani un’opera di filosofia, non gliela perdonano, perché è un tradimento.
Poi c’è il fatto che quell’opera è un grande riconoscimento al suo amico e maestro Wagner, e per omaggiarlo Nietzsche non esita a piegare la filologia e la filosofia per farne una corona d’alloro da porre sul capo di Wagner.
A Nietzsche è mancata precocemente la figura paterna, il padre Carl Ludwig muore che lui non ha ancora cinque anni e, per togliergli dalla famiglia ogni figura maschile, l’anno successivo muore anche il suo fratellino Joseph.
Non riuscendo a trovare conforto fra i ragazzi suoi coetanei, perché aveva un carattere schivo, dopo alcune filiazioni libresche con David Friedrich Strauss e con Schopenhauer, si lega al professor Friedrich Ritschl, che vede in lui un genio della filologia dopo aver letto il suo opuscolo su Teognide.
Molto probabilmente, se il padre fosse vissuto più a lungo, Nietzsche sarebbe diventato anch’egli un pastore anglicano, come lui e com’era tradizione della sua famiglia; il fatto che diventi filologo non è dovuto ad una sua autentica vocazione per la filologia, ma era un modo per compiacere il suo professore, ed anche per non deluderlo.
Wagner è il terzo “padre” putativo di Friedrich Nietzsche, ma non avendo talento musicale e compositivo, ha il pudore di non intraprendere questa carriera, sebbene egli componga musica, suoni il piano e sottoponga di tanto in tanto a qualche stimato direttore d’orchestra le sue opere, ottenendone scarsi o nulli riconoscimenti ed anche scherno.
Il suo grande impegno nello studio a Pforta e a Lipsia, il suo compiacere Rischl e Wagner in ogni modo (alla famiglia Wagner Friedrich si offriva di fare piccoli servizi fuori casa come se fosse il maggiordomo), sono indirizzati ad ottenere la vicinanza, la stima e l’affetto di figure intellettualmente o artisticamente potenti che potessero cancellare l’onta di un padre morto precocemente di “rammollimento cerebrale” e di una madre e una sorella che lui considerava grette, meschine, conformiste, povere di spirito e, insieme, costituivano quella “macchina infernale” che gli si rivolge contro nel suoi momenti di vulnerabilità, perché egli non corrisponde al figlio e al fratello che vorrebbero.
Se avesse voluto la fama e il successo, allora aveva certamente intrapreso la strada sbagliata e con i mezzi sbagliati, il suo carattere non solo non lo aiutava, ma lo danneggiava se tutto ciò che voleva era emergere: sembra che tutte le sue mosse da persona schiva o fintamente e boriosamente spavalda, ottenessero l’effetto opposto che suscitare simpatia su di sé.
Al suo incontro con la giovanissima Lou Salomè in Piazza san Pietro esordì con: “Da quali stelle siamo caduti per incontrarci qui?”, che più che suscitare l’interesse della ragazza stimolò invece una certa diffidenza e una temporanea presa di distanza.
Poi le fece due improvvise proposte di matrimonio a breve distanza l’una dall’altra, e motivò la seconda dicendole che non voleva compromettere il suo buon nome visto che lei aveva proposto a Paul Ree e a lui un menage a trois, una casta convivenza a tre, una sorta di cenacolo culturale dove avrebbero parlato fittamente dei loro interessi culturali, si sarebbero confrontati fra di loro, senza alcun coinvolgimento sentimentale e sessuale.
Lei rimase sbalordita e stizzita: “Ma come, ti consideri il distruttore della morale comune, e ti preoccupi del buon nome e di preoccupazioni piccolo borghesi?”.
Alla fine Lou scelse Ree per convivere; Nietzsche ne venne escluso e non la prese molto bene; da questa intensa esperienza nasce il suo Così parlò Zarathustra, che è il libro della sua metamorfosi, che da pastore protestante mancato, filologo fallito, compositore improbabile, diventa un filosofo come non se ne erano mai visti prima.
C’è voluto molto coraggio, molta determinazione e un’incrollabile fiducia in se stesso, quando tutti i segnali di stima che il mondo gli rimandava indietro erano tutt’altro che incoraggianti.
È molto lontano da ogni modello potesse avere, da Kant, da Hegel, da Schopenhauer, Kierkegaard, …, parla di cose nuove, più intime, più esistenziali, il linguaggio legato alla logica aristotelica non basta più, si esprime per aforismi e non disdegna l’uso delle figure retoriche e di forme poetiche liricheggianti.
Esce spesso dal punto di vista di un Io, per immergersi nella natura, nel corpo e nella terra; vive esperienze intime molto intense col proprio corpo, con la sua mente, con la natura e con le domande esistenziali ultime che l’uomo si pone fin dal momento in cui ha iniziato a pensare.
Impazzisce perché il successo non arriva, perché nessuno gliene riconosce il merito? Oppure impazzisce perché è spaventosamente solo e nessuno, nemmeno i suoi più cari amici, lo capisce; perché vede cose che gli altri non vedono e che forse non vedranno mai e non vedrà nessuno, nemmeno i posteri?
Oppure, impazzisce per aver contratto la sifilide o una forma luetica in un bordello a Colonia da giovane, o più tardi in una casa chiusa per omosessuali a Genova, e vedete cosa giungono ad inventarsi gli storici di un uomo che con tutta probabilità rimase vergine per tutta la vita.
La sifilide (o lue) spiega alcuni sintomi fisici come le forti emicranee e la sensibilità degli occhi alla luce di cui soffriva; spiegano il lento decorso decennale per giungere all’epilogo e spiegano il rapido sprofondare del soggetto nell’idiozia più totale, ma non spiegano i sintomi psicologici, psicopatologici e psichiatrici.
C’è follia nelle opere di Nietzsche? Senz’altro, tratti narcisistici, grandiosi, megalomanici e un certo distacco dalla realtà non sono difficili da trovare ad ogni pagina. Ma è una caratteristica comune a chi vive di libri, si nutre di libri, fa dialogare dentro di sé i libri fra loro, trova i libri più interessanti delle persone e scrive libri, cioè ha la presunzione che ciò che scrive potrebbe avere una certa rilevanza per chiunque … se non è pazzo uno così …
Ma sia benedetta questa follia: “Dalla follia molti doni vennero ai greci” (Platone, Fedro, 244 A B).
A me piace pensare che quella di Nietzsche più che follia sia stata un’ebbrezza dionisiaca, quella che non si era mai concessa nell’arco di tutta la sua vita, e che sia tornato in Arcadia, nella grecità classica che tanto apprezzava, immerso nella filosofia presocratica, fra rappresentazioni tragiche, comiche e ditirambi dionisiaci.
Dopo essere stato troppo apollineo, sia diventato dionisiaco, cioè dopo aver seguito per lungo tempo i motti apollinei gnòhi scautòn (conosci te stesso) e medèn ágan (nulla di troppo), aveva cominciato a lanciare in aria il grido di vittoria “Èvoè”, danzando sfrenatamente, agitando il tirso e suonando timpani e cimbali e intonando il ditirambo.
Nietzsche nell’Ecce homo pensava di mostrare la via al come si diventa ciò che si è, ma è probabile che nel corso di questa disamina egli si accorga che ciò è impossibile, ma non lo esplicita, rimane un’intuizione taciuta forse persino a se stesso.
Qualcosa la si intuisce comunque nel testo, per il resto se questo è l’argomento che si era dato, va spesso fuori tema, sembra più premere sulla prima parte del suo titolo, Ecce homo, infatti parla di se stesso e fa una disamina dei libri che ha scritto.
È più chiaro il discorso nel suoi “biglietti della follia” di poco posteriori, in particolar modo quello indirizzato a Cosima Wagner, quando le scrive: “O Arianna, sei tu stessa il labirinto: non è più possibile uscirne”.
Nietzsche è uscito da uno dei periodi più bui della sua esistenza, quello in cui si era innamorato della Lou Salomé, attraverso la sua trasformazione in Zarathustra; Così parlò Zarathustra è il libro più profondo e più bello che lui abbia mai scritto, è visibile il colpo d’ala che ha riportato in volo Friedrich Nietzsche, che stava precipitando dopo aver aperto il suo cuore ad un essere che considerava superiore, l’unico che avrebbe potuto comprendere il suo pensiero, l’unico che avrebbe potuto comprenderlo: dopo questa esperienza diventerà Zarathustra, l’eremita e vivrà in una caverna fra gli animali più fidati, l’aquila e il serpente.
Inizia con Zarathustra il suo dialogo interiore, il suo scavo intrapsichico, il tentativo di soluzione dell’enigma, la discesa verso il labirinto la danza sul ciglio dell’abisso; è di volta in volta Edipo, solutore di enigmi, Orfeo che incanta col suono melodioso della sua lira e Dioniso/Zagreo, smembrato dai titani, fatto in mille pezzi, che rinasce dalla coscia di Zeus padre come divinità eterna, l’unico che può perdersi nell’ebbrezza fono a negare la sua identità, che può frammentarsi in mille pezzi, ed ogni volta rinascere e ritrovarsi.
in quanto Teseo, però, essere umano eroico in cerca di fama immortale, ha bisogno per le sue imprese del filo di Arianna, che lo riconduca all’uscita, e ancora, forse Nietzsche/Teseo non aveva tenuto in debito conto che il labirinto siamo noi, e che è impossibile uscirne, così una volta entratovi ne rimase intrappolato, rimase catturato dell’ebbrezza, dalla frammentazione di sé.
Ho letto molto su Nietzsche, tutte cose interessanti anche se alcuni concedevano troppo all’onda del momento, ma ciò che mi è rimasto caro sono il libro di Anacleto Verrecchia, La catastrofe di Nietzsche a Torino, Einaudi, 1978 (se lo trovi, nella mia copia il prezzo è ancora in lire), poi il libro divertente ma ben documentato di Massimo Fini, Nietzsche. L’apolide dell’esistenza, Marsilio, 2002 (anche questo, temo, difficile da reperire) e infine, da non perdere, Friedrich Nietzsche Lou von Salomé Paul Rée, Triangolo di lettere, Adelphi, Milano, 1999.