Giandomenico Tiepolo, Il mondo novo, 1791, affresco staccato visibile a Ca' Rezzonico. |
Giandomenico Tiepolo, Il mondo novo, 1791, affresco staccato visibile a Ca' Rezzonico (dettaglio). |
Giandomenico Tiepolo, Il mondo novo, 1791, affresco staccato visibile a Ca' Rezzonico (dettaglio). |
“E fieramente mi si stringe il core,
A pensar come tutto al mondo passa,
E quasi orma non lascia.
[…]
Or dov'è il suono
Di que' popoli antichi? or dov'è il grido
De' nostri avi famosi, e il grande impero
Di quella Roma, e l'armi, e il fragorio
Che n'andò per la terra e l'oceano?
Tutto è pace e silenzio, e tutto posa
Il mondo, e più di lor non si ragiona”.
(Giacomo Leopardi, La sera del dì di festa, Canti, 13, vv. 28-39).
A PROPOSITO DI GIORNALISMO LIBERO, DEL "SIAMO IN UNA DEMOCRAZIA DA NOI QUESTE COSE NON SUCCEDONO", "DA NOI CIASCUNO PUÒ DIRE CIÒ CHE VUOLE", FIRMA ANCHE TU LA PETIZIONE PER FERMARE QUESTA PERSECUZIONE DELLA "PIÙ GRANDE DEMOCRAZIA DELL'OCCIDENTE" CONTRO JULIAN ASSANGE, UN GIORNALISTA CHE CREDEVA DI ESSERE LIBERO DI DIVULGARE WIKILEAKS.
“Ogni tanto accade di dover spiegare a qualcuno o a noi stessi che cosa sia il fascismo. E ci si accorge che è categoria molto sfuggente: non è solo violenza, perché ci sono state violenze di vari colori; non è solo uno stato corporativo, perché ci sono corporativismi non fascisti: non è solo dittatura, nazionalismo, bellicismo, vizi comuni ad altre ideologie. Talché si rischia in fin dei conti sovente di definire come “fascismo” l'ideologia degli altri. Ma c'è una componente dalla quale è riconoscibile il fascismo allo stato puro, dovunque si manifesti, sapendo con assoluta sicurezza che da quelle premesse non potrà venire che “il” fascismo: ed è il culto della morte.
Nessun movimento politico e ideologico si è mai così decisamente identificato con la necrofilia eletta a rituale e a ragion di vita. Molta gente muore per le proprie idee, molta altra gente fa morire gli altri, per ideali o per interesse, ma quando la morte non viene considerata un mezzo per ottenere qualcos'altro bensì un valore in sé, allora abbiamo il germe del fascismo e dovremo chiamare fascismo ciò che si fa agente di questa promozione.
Dico la morte come valore da affermare per se stesso. Non dico la morte per cui vive il filosofo, il quale sa che sullo sfondo di questa necessità, e tramite la sua accettazione, prendono senso gli altri valori; non dico la morte dell'uomo di fede, il quale non rinnega la propria mortalità e la giudica provvidenziale e benefica perché attraverso di essa arriverà a un'altra vita. Dico la morte sentita come “urgente” perché è gioia, verità, giustizia, purificazione, orgoglio, sia che venga data ad altri sia che venga realizzata su di sé.
Ortega y Gasset ricordava che i Celtiberi erano l'unico popolo dell'antichità che adorasse la morte. Non dirò che i Celtiberi fossero archeologicamente fascisti, dico che fu in Spagna che apparve durante la guerra civile il grido “Viva la muerte!”. Il fascismo primitivo ed eroico portò la morte sulla camicia e sul fez e nel colore stesso delle sue divise. Volle andare incontro alla morte con un fiore in bocca, parlò di sorella morte con accenti non francescani, se ne fregò della brutta morte (non credo che Matteotti, Rosselli o Salvo D'Acquisto se ne fregassero della morte bruttissima che fecero).
E se mi dite che molte tradizioni religiose hanno elaborato rituali funebri in cui il senso della penitenza veniva fortemente inquinato dal gusto della necrofilia, diremo allora, in piena tranquillità, che anche là si annidavano i germi di un fascismo possibile, come nelle celebrazioni dell'olocausto e del karakiri della tradizione militaristica giapponese. Amare necrofilicamente la morte significa dire che è bello riceverla e rischiarla, e che ancor più bello e santo è distribuirla. Che solo la morte paga, meglio se quella altrui, ma al limite anche la propria, purché vissuta con sprezzo. “
(Umberto Eco, Sette anni di desiderio. Cronache 1977-1983, Bompiani, 1983; pubblicato originariamente su La Repubblica col titolo La voglia di morte, il 14 febbraio 1981).
"La Costituzione non è un pezzo di carta, ma è il testamento di 100.000 morti caduti nella lunga lotta per la libertà; una lotta che non inizia nel settembre 1943 ma che vede come capofila Giacomo Matteotti".
(Liliana Segre, al Senato).
Quando il presidente del senato dice che nella Costituzione non compare la parola "antifascismo", disconosce o fa finta di non sapere che essa è stata scritta immediatamente dopo la caduta del regime fascista, da antifascisti che avevano contribuito a quella caduta, che avevano in mente una cosa sola nel fondare la Repubblica nascente, che il fascismo non tornasse mai più.
Per questo scrissero ogni parola, ogni frase, ogni virgola, col sangue dei morti, col dolore dei vivi, con la polvere delle rovine ancora fumanti; per questo la nostra carta è l'apoteosi, l'inno all'antifascismo.
Se ancora Ignazio Benito La Russa e altri avessero dei dubbi, l'Art. XII della Costituzione dice testualmente:
"È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista. In deroga all'articolo 48, sono stabilite con legge, per non oltre un quinquennio dall'entrata in vigore della Costituzione, limitazioni temporanee al diritto di voto e alla eleggibilità per i capi responsabili del regime fascista”.
L’Italia è stata fondata due volte, la prima durante l’epoca che chiamiamo Risorgimento, dove molti patrioti combatterono per abbattere i vari regimi presenti nella nostra Penisola per unificarla e farne un’unica Nazione; la seconda quando insorsero contro il cancro nazi-fascista che la stava distruggendo con la falsa promessa di grandezza e di dominio sul mondo.
E c’è sempre spazio per una terza qualora qualche nostalgico, qualche epigono del fascio, credesse di instaurare un nuovo regime dittatoriale più o meno morbido del fascismo mussoliniano.
La cosa che mi fa più incazzare ultimamente non è tanto che quelli di destra facciano un passo avanti e uno (o mezzo) indietro facendo dichiarazioni shock e ritirandole parzialmente almeno fino alle prossime dichiarazioni ancora più shoccanti, lo fecero durante l’esordio del ventennio in cui alternavano manifestazioni di forza bruta, l’olio di ricino, il manganello, le armi e persino le bombe a mano, a manifestazioni di condiscendenza e quasi di apertura, che però erano soltanto pause strategiche in attesa di riorganizzarsi e colpire più duramente.
Fecero, soprattutto nei primi anni molte prove, saggiarono le forze nemiche per osservarne la reazione e quando si trovavano in superiorità numerica colpivano duro; più centravano il bersaglio, più realizzavano le loro spedizioni punitive impuniti a loro volta, più coraggio ne ricavavano e più accoliti passavano nelle loro file, anche dalla sinistra.
Ciò che mi fa incazzare di più è invece il fatto che politici e intellettuali di sinistra cerchino di minimizzare il fenomeno e di negare che una nuova ondata fascista stia sommergendo il paese. Come se non si rendessero conto che questa destra governa incontrastata, sia da sollevazioni di piazza come accade altrove, sia dai sindacati, sia dai politici di opposizione divisi su tutto che mettono qualche bandierina di vittoria ormai soltanto quando i loro avversari sono così stupidi da combattersi fra di loro come a Verona e a Udine, sia nei salotti televisivi fra giornalisti, intellettuali, creativi, persone dello spettacolo che gettano acqua sul fuoco.
Incuranti del fatto che a fare certe dichiarazioni shock non è più l’uomo della strada o chi all’interno dei partiti di destra conta poco, ma sono ministri, vice-ministri, sottosegretari, portavoce, presidenti del consiglio e presidenti delle due camere, e che, volendo, hanno i numeri per stravolgere la nostra Costituzione in senso presidenziale, come accade ad esempio in Francia, senza avere i contrappesi istituzionali che ha la Francia.
Noi saremmo piuttosto una “democratura”, come la della Russia di Putin, l’Ungheria di Orban o la Turchia di Erdogan, in cui i dittatori al potere governano incontrastati, seppure esiste e resiste l’esercizio del voto, solo che è limitato al fatto che loro ti impongono: o voti me o diventi un pericoloso terrorista da eliminare o da rieducare.
Buon 25 Aprile a tutti, anche ai fascisti, anche loro in quella storica data sono stati liberati!