venerdì 13 marzo 2020

C’È IL COVONA VIVUS


















«E come potevamo noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull'erba dura di ghiaccio, al lamento
d'agnello dei fanciulli, all'urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento».
(Salvatore Quasimodo, Alle fronde dei salici, in Giorno dopo giorno, 1945).












Ogni fenomeno, ogni cosa che  accade, nell’era del virtualismo e del sovranismo, o nell’era del virtualismo sovrano, deve avere un tempo e un luogo (d'altronde lo dice anche Kant sono intuizioni pure a priori, creazioni pure della sensibilità, che fonda spazialmente e temporalmente l'esperienza, presupposti senza i quali non riusciremmo neanche a pensare), e questo serve ad ancorare qualunque evento alla realtà, visto che noi stessi non lo siamo e che guardiamo il mondo fondamentalmente attraverso uno schermo e ci entriamo in contatto sempre più raramente.
Un luogo allora è necessario, anzi è imprescindibile, qualora non ce ne fosse uno ben individuabile, semplicemente lo creiamo, come ad esempio nel caso attuale del corona virus, un virus non ha un luogo, può essere in ogni luogo, entra indisturbato ovunque, è difficile arginarlo e non ha confini, ma per poterlo pensare, per credere che sia qualcosa di reale, dobbiamo poterlo collocare da qualche parte, a questo pensano i media: reiterando un nome più volte si crea un luogo, inviando immagini si mettono contenuti visivi in questo luogo, ecco che in pochi passaggi abbiamo la cornice per il nostro evento: Wuhan per la Cina e Codogno per l’Italia (che ha dovuto competere con Vo Euganeo per qualche giorno, ma alla fine l’ha spuntata lui ... a proposito, per chi non lo sapesse vo in veneto è il presente indicativo del verbo andare: mi vo, ti ve, i va, ok se te ga capì, mi vo vanti!) … paesi di cui in precedenza sapevamo a malapena che esistessero ora sono diventai più importanti di Roma e di Milano, più centrali di New York, più discussi di Mosca, individui sciapi, incolori, senza alcuna qualità, diventano improvvisamente delle celebrità solo perché ci abitano, solo perché stanno vivendo quell’avventura “straordinaria” del corona virus, come se fossero gli unici al mondo.
Improvvisamente tutto ciò che dicono, ciò che fanno, come vivono, quello che pensano, sono interessanti, la popolarità delle loro pagine social schizza alle stelle, anche se postano la foto del loro gattino, la loro opinione sul virus vale più di quella dell’organizzazione Mondiale della Sanità.
Il tempo poi, pur essendo altrettanto importante è piuttosto monotono: è sempre l’indicativo presente “io sono” qui e ora, non esiste altro temo nel mondo del sovranismo virtuale o del virtualismo sovrano, non esiste alcun passato, già ciò che ho detto o fatto ieri o anche solo stamattina non esiste più, non me ne curo affatto, non me ne prendo più la responsabilità, non mi appartiene più, non mi imbarazza che qualcuno me lo ricordi per farmi notare come ciò che dico e che faccio ora sia in contraddizione anche netta con ciò che ho detto e fatto ieri: solo così possiamo spiegarci le contraddizioni dei politici sovranisti di oggi riguardo alle loro dichiarazioni sul corona virus (è tutto sotto controllo – il governo è incapace di gestire la crisi; abbiamo il miglior sistema sanitario del mondo – se continua così non ci saranno più posti in rianimazione; l’Italia è una grande nazione e gli italiano un popolo responsabile – siamo una manica di cretini, chi festeggia, chi scappa al sud assaltando i treni, chi organizza aperi-virus, chi brinda alla vittoria elettorale insieme ai suoi supporter, chi vuole andare allo stadio; l’economia deve continuare, non possiamo fermare il Paese – chiudiamo fabbriche, scuole, uffici, chiese, negozi; apriamo i porti, gli aeroporti, le stazioni, benvenuti turisti – chiudiamoci in casa).
Poi, come nei peggiori film, c’è la divisione netta fra buoni e cattivi, fra intelligenti e deficienti, fra noi e loro, perché un virus fa sempre paura, un virus non si può combattere, non si può neanche vedere, ti entra dentro come Diabolik e dopo puoi sperare che il tuo organismo riesca a sconfiggerlo, soprattutto questo Covid – 19 che ci è sconosciuto e per cui non possediamo anticorpi, e c’è anche da sperare che non faccia troppi danni al nostro organismo durante il suo passaggio, e poter rappresentarci di fronte qualcuno che sia bastardo come il virus che ci minaccia e contro cui possiamo sfogare la nostra rabbia e la nostra impotenza è importante: ne sanno qualcosa tutti coloro che furono accusati di essere degli untori della peste nel non lontano passato, o tutti coloro che sono stati linciati, impiccati o bruciati vivi solo perché serviva un capro espiatorio su cui sfogarsi.


















Nello stesso tempo e con la stessa energia, si creano gli eroi, si mitizza qualcuno da contrapporre alla schiera dei bastardi, perché altrimenti il mondo sarebbe un inferno, alle torme di scellerati che incuranti di divulgare il virus anche al sud Italia, ai loro stessi parenti, sciamavano per la stazione di Milano in un vero e proprio assalto al treno, con la tuta addosso come se fino a pochi istanti prima erano distesi sul divano a guardare i tg, con una scarpa e una botta, con i calzini spaiati e la valigia fatta velocemente ruzzolandovi dentro qualsiasi cosa senza fermarsi a scegliere, si creano gli angeli della solidarietà e quelli della sanità.
I primi, perlopiù giovani, alcuni persino appartenenti ai centri sociali (e nemmeno uno di Casa Pound o della Lega … aiutiamoli a casa loro, poi anche nel caso di italiani, di veneti e di lombardi persino, gli impavidi camerati fascio-leghisti si sono dissolti nel nulla, persino i loro leader sembrano scomparsi, qualcuno si chiede se siano mai esistiti: Berlusconi (o almeno il suo ectoplasma) è ospite con la sua nuova fidanzata-badante nella villa a Cannes della figlia Marina, di Salvini dopo essere stato in una baita in Trentino a mangiare taglieri di prosciutti e di formaggi, ad abbracciare soppresse e provoloni  e a baciare salami ... è facile baciare salamelle emiliane, cioccolata umbra e pecorini sardi ... vieni a baciare fichi d'india in Sicilia ..., unico caso al mondo di un salame che bacia un altro salame, dopo essere stato a Londra, si sa, il corona virus rispetta i paesi dove a governare c’è un’altra testa coronata, sarà rinchiuso nel suo buncker, come il führerbunker di Hitler a Berlino, lui da tempo si è fatto costruire un capitanobunker a Milano Magnate, e nemmeno la Meloni è rintracciabile, ma nel suo caso si sa che il tempo dei Meloni è in estate, in quella stagione danno il meglio di sé) si offrono di far la spesa, comprare medicine, portare a spasso il cane e di svolgere svariate incombenze quotidiane per persone anziane, disabili o malati.
Nel secondo caso ci sono medici, infermieri, personale sanitario, che sono sottoposti a turni massacranti, visto l’afflusso di malati negli ospedali, contagiati o sospettati di contagio o soltanto di gente spaventata che chiede informazioni e cerca conforto, che vanno ad aggravare una situazione già precaria per cui i vari tagli alla sanità, effettuati da tutti i governi, di qualsiasi colore negli ultimi 25 anni, hanno ridotto all’osso il personale e reso obsoleti molti macchinari, non a caso i nostri politici, persino quelli sovranisti, in caso di bisogno vanno a farsi curare all’estero o si fanno ricoverare in cliniche di eccellenza dove tengono parecchi amici e che non sono aperte a tutti, pur essendo in gran parte sovvenzionate con fondi pubblici.
Così abbiamo assistito a striscioni di incoraggiamento e  di ringraziamento fuori da alcuni ospedali nelle città in prima linea per la lotta al contagio, abbiamo visionato tutti i video e le immagini apparsi sui social con medici ed infermieri che soccombono a dormire sulla scrivania dopo turni di lavoro massacranti, con i segni sul viso di una maschera che ti preme sulla pelle da diverse ore, abbiamo riempito quelle pagine di like, di cuoricini, di abbracci, qualcuno si è spinto più in là facendo recapitare in ospedale delle pizze da asporto perché si rifocillassero.
Sembra di stare al festival dei buoni sentimenti, eppure aleggia nell’aria qualcosa di artificiale, di più, aleggia nell’aria non un vero e sentito grazie a persone che stanno affrontando la crisi non risparmiando energie e correndo anche dei seri rischi, visto che in molti casi non sono equipaggiati a difendersi dal contagio come lo erano i medici cinesi, né come lo sono i medici dello Spallanzani o quelli che sono andati a recuperare i nostri concittadini in Cina per accompagnarli in quarantena nel suolo italiano; negli ospedali ordinari manca tutto: le mascherine, i guanti, i tamponi, i posti in rianimazione, già insufficienti per affrontare la normale routine.



















Sembra più un sentimento che necessita di superfici specchio perché quel caloroso abbraccio, quel sentirsi più buoni, più efficaci, più bravi, ricada addosso a chi lo emette, come se ringraziando questi eroi dell’abnegazione mi sentissi un eroe anch’io, come se il loro coraggio di gente che rischia ogni giorno fosse il mio stesso coraggio che me ne sto a casa, come se i 25 miliardi per la crisi covid-19 li avesse stanziati Salvini dalla baita in Trentino e non Conte da Palazzo Chigi (e infatti Salvini se n’è preso il merito).
Un sentimento buonista che serve più ad autocelebrarmi, dunque, e non a inviare un sentito grazie alle persone che lavorano duramente mentre tutto il resto del Paese è in pausa forzata; è facile prevedere che un sentimento così labile e poco profondo svanisca nel nulla qualora non ci siano più i presupposti e i motivi che lo hanno generato, o che addirittura si trasformi nel suo opposto se mutano le circostanze.
Accade questo mentre scrivo, che nella città immaginaria di … vediamo, Metropolis no perché non è così estesa, Atlantide neanche perché non è lambita dal mare, Topolinia no perché manca i commissario Bassettoni e poi qui i topi non li mangiano vivi, Vigata o Montelusa nemmeno perché son nomi che sanno di terronia, Napule … Paliermo … Reggio Calabbria no, neanche Gotham City va bene, manca Batman, manca Robin e mancano anche    Joker, l'Enigmista, Due Facce, il Pinguino, Mister Freeze, e allora la chiameremo Treville, città piccola che ha un unico municipio e tre baseleghe soltanto.
Nell’ospedale di Treville, in tempi di corona virus, un medico chirurgo (ma che chirurgo lo è per davvero perché opera in sala operatoria, mentre tutti i medici risultano anche chirurghi, anche se non sanno tenere un bisturi in mano e mentre per il parcheggiatore dei Parioli siamo tutti dottori, infatti qualsiasi livello di scolarità tu abbia ti dice comunque: “Ja parcheggio subbito a machina, dottò”) si senta male, talmente male che gli sorge un sospetto, fa il tampone e risulta positivo.
Lui viene posto immediatamente in isolamento e forse non si accorge di quello che succede intorno a lui, ma tutti i suoi colleghi, gli infermieri, il personale sanitario dall’Os fino a quello che fa la pulizia per le scale e per i corridoi, fino all’usciere, quelli che sono venuti in contatto con lui, in sala operatoria, in corsia, in corridoio, al bar, in tutto il perimetro dell’ospedale, vengono percepiti come untori, appestati, gli angeli sono caduti nel fango.



















Niente più striscioni di ringraziamento fuori dall’ospedale, le pagine dei social prima frequentatissime e piene di follower, oggi languono desolate, persino il mostro di Foligno o quello arrestato per aver stuprato e ucciso una bambina in Campania mi hanno tolto l’amicizia, da quando la notizia è uscita sui giornali (quelli locali di Treville) amici e conoscenti si sono fatti sentire, i primi preoccupati, i secondi per sapere dove fossi in modo tale da evitarmi, nel condominio dove abito ormai mi salutano appena, mentre solo ieri erano larghi di sorrisi e strette di mano e abbracci virtuali, se mi incontrano cambiano marciapiede, fanno finta di non vedermi, mi salutano a distanza agitando la manina, afferrano i loro bambini e anche i loro cani se fanno le mosse di avvicinarsi a me, mi lasciano volentieri l’ascensore tutto per me e poi chiamano un’azienda di pulizie per disinfettarlo, mi lasciano persino il parcheggio, spostando le loro macchine che si trovano vicine alla mia e se voglio una pizza me la devo pagare … anzi devo farmela io, visto che le pizzerie sono chiuse.
Tutti i diretti interessati in ospedale pensavano che la Asl sarebbe intervenuta prontamente,  invece è intervenuto sui giornali solo il direttore sanitario assicurando che era tutto sotto controllo, il personale lavora protetto dalle migliori misure di protezione, mentre tutti i locali frequentati dal medico infetto sono stati accuratamente sanificati e vengono regolarmente sanificati più volte al giorno (si, come prima del virus, dalla signora col secchio, il mocio e Mastrolindo), e i tamponi all’equipe della sala operatoria e al personale del reparto dove lavorava?
Sponte sua non s’è visto nessuno, sollecitato da una delegazione medica con a capo alcuni primari che hanno chiesto spiegazioni, alla Asl hanno risposto prima che i tamponi si fanno solo in presenza di sintomi conclamati, alla replica che in presenza di sintomi conclamati il personale ospedaliero avrebbe già potuto infettare mezza città, visto che ciascuno ha una famiglia, dei parenti, deve fare almeno quelle commissioni improcrastinabili come far la spesa e altre cose prosaiche, e poi vedono, visitano, entrano in contatto giornalmente con altri colleghi e con i pazienti, ammettono che non ci sono tamponi per tutti.
Dopo quattro giorni, QUATTRO, si risolvono a fare il tampone solo al personale di sala, chi insomma è entrato in stretto contatto col medico contagiato, gli altri pedalare anzi, se volete la mascherina fatevela da soli con la carte forno gli elastici e le graffette, come hanno mostrato da Barbara D’Urso, come guanti usate i sacchetti riciclabili del supermercato, come cuffia quelle della piscina o quelle del courtesy kit degli hotel (tanto in hotel non ci va più nessuno e soprattutto non mangiate più i topi vivi, che è per quello che abbiamo il corona-virus.




                                                                       Da Emme

domenica 8 marzo 2020

DONNE CH'AVETE INTELLETTO D'AMORE




Rupert Bunny, Pastoral.

Santa Rosa di Viterbo, dettaglio dipinto Tondo della Vergine col Bambino tra due Sante e due Angeli, del Perugino e di Andrea d'Assisi.



Photographer above the skies of Berlin, 1912

Maxim Sayapin



"Donne ch’avete intelletto d’amore,
i’ vo’ con voi de la mia donna dire,
non perch’io creda sua laude finire,
ma ragionar per isfogar la mente.
Io dico che pensando il suo valore,
Amor sì dolce mi si fa sentire,
che s’io allora non perdessi ardire,
farei parlando innamorar la gente".
(Dante Alighieri, Rime della Vita Nova, XIV, 1-8).




Apollonio Di Giovanni, Novella di Griselda, Decameron X, X.


The Woods, by Econita




"Umana cosa è l’avere compassione degli afflitti, e come che a ciascuna persona stea bene, a coloro è massimamente richesto li quali giá hanno di conforto avuto mestiere ed hannol trovato in alcuni; tra li quali, se alcuno mai n’ebbe bisogno o gli fu caro o giá ne ricevette piacere, io sono un di quegli. Per ciò che, dalla mia prima giovanezza infino a questo tempo oltre modo essendo stato acceso d’altissimo e nobile amore, forse piú assai che alla mia bassa condizione non parrebbe, narrandolo io, si richiedesse, quantunque appo coloro che discreti erano ed alla cui notizia pervenne io ne fossi lodato e da molto piú reputato, nondimeno mi fu egli di grandissima fatica a sofferire: certo non per crudeltá della donna amata, ma per soperchio fuoco nella mente concetto da poco regolato appetito, il quale, per ciò che a niun convenevole termine mi lasciava contento stare, piú di noia che bisogno non m’era spesse volte sentir mi facea. Nella qual noia tanto refrigerio giá mi porsero i piacevoli ragionamenti d’alcuno amico e le sue laudevoli consolazioni, che io porto fermissima oppinione, per quello essere addivenuto che io non sia morto. Ma sí come a Colui piacque il quale, essendo egli infinito, diede per legge incommutabile a tutte le cose mondane aver fine, il mio amore, oltre ad ogni altro fervente ed il quale niuna forza di proponimento o di consiglio o di vergogna evidente, o pericolo che seguirne potesse, aveva potuto né rompere né piegare, per se medesimo in processo di tempo si diminuí in guisa, che sol di sé nella mente m’ha al presente lasciato quel piacere che egli è usato di porgere a chi troppo non si mette ne’ suoi piú cupi pelaghi navigando; per che, dove faticoso esser solea, ogni affanno togliendo via, dilettevole il sento esser rimaso. Ma quantunque cessata sia la pena, non per ciò è la memoria fuggita de’ benefici giá ricevuti, datimi da coloro a’ quali per benivolenza da loro a me portata erano gravi le mie fatiche; né passerá mai, sí come io credo, se non per morte. E per ciò che la gratitudine, secondo che io credo, tra l’altre vertú è sommamente da commendare ed il contrario da biasimare, per non parere ingrato, ho meco stesso proposto di volere, in quel poco che per me si può, in cambio di ciò che io ricevetti, ora che libero dirmi posso, e se non a coloro che me aiutarono, alli quali per avventura per lo lor senno o per la loro buona ventura non abbisogna, a quegli almeno a’ quali fa luogo, alcuno alleggiamento prestare. E quantunque il mio sostenimento, o conforto che vogliam dire, possa essere e sia a’ bisognosi assai poco, nondimeno parmi, quello doversi piú tosto porgere dove il bisogno apparisce maggiore, sí perché piú utilitá vi fará e sí ancora perché piú vi fia caro avuto. E chi negherá, questo, quantunque egli si sia, non molto piú alle vaghe donne che agli uomini convenirsi donare? Esse dentro a’ dilicati petti, temendo e vergognando, tengono l’amorose fiamme nascose, le quali quanto piú di forza abbian che le palesi, coloro il sanno che l’hanno provato e pruovano: ed oltre a ciò, ristrette da’ voleri, da’ piaceri, da’ comandamenti de’ padri, delle madri, de’ fratelli e de’ mariti, il piú del tempo nel piccolo circúito delle loro camere racchiuse dimorano, e quasi oziose sedendosi, volendo e non volendo in una medesima ora, seco rivolgono diversi pensieri, li quali non è possibile che sempre sieno allegri. E se per quegli, mossa da focoso disio, alcuna malinconia sopravviene nelle lor menti, in quelle conviene che con grave noia si dimori, se da nuovi ragionamenti non è rimossa: senza che, elle sono molto men forti che gli uomini a sostenere; il che degl’innamorati uomini non avviene, sí come noi possiamo apertamente vedere. Essi, se alcuna malinconia o gravezza di pensieri gli affligge, hanno molti modi da alleggiare o da passar quello, per ciò che a loro, volendo essi, non manca l’andare [p. 5 modifica]attorno, udire e veder molte cose, uccellare, cacciare o pescare, cavalcare, giucare e mercatare, de’ quali modi ciascuno ha forza di trarre, o in tutto o in parte, l’animo a sé e dal noioso pensiero rimuoverlo almeno per alcuno spazio di tempo, appresso il quale, o in un modo o in uno altro, o consolazion sopravviene o diventa la noia minore. Adunque, acciò che per me in parte s’ammendi il peccato della fortuna, la quale dove meno era di forza, sí come noi nelle dilicate donne veggiamo, quivi piú avara fu di sostegno; in soccorso e rifugio di quelle che amano, per ciò che all’altre è assai l’ago, il fuso e l’arcolaio; io intendo di raccontare cento novelle, o favole o parabole o istorie che dire le vogliamo, raccontate in diece giorni da una onesta brigata di sette donne e di tre giovani nel pistilenzioso tempo della passata mortalitá fatta, ed alcune canzonette dalle predette donne cantate al lor diletto. Nelle quali novelle, piacevoli ed aspri casi d’amore ed altri fortunosi avvenimenti si vedranno cosí ne’ moderni tempi avvenuti come negli antichi; delle quali le giá dette donne che quelle leggeranno, parimente diletto delle sollazzevoli cose in quelle mostrate ed utile consiglio potranno pigliare, e conoscere quello che sia da fuggire e che sia similmente da seguitare: le quali cose senza passamento di noia non credo che possano intervenire. Il che se avviene, che voglia Iddio che cosí sia, ad Amore ne rendano grazie, il quale liberandomi da’ suoi legami m’ha conceduto di potere attendere a’ loro piaceri".
(Giovanni Boccaccio, Decameron, Proemio).