venerdì 10 novembre 2017

SENZA MEMORIA E SENZA DESIDERIO 11










“Lo sai, mettersi ad amare qualcuno, è un’impresa. Bisogna avere un’energia, una generosità, un accecamento … C’è perfino un momento, al principio, in cui bisogna saltare un precipizio: se si riflette non lo si fa”.  (Jean-Paul Sartre, La nausea, p. 195).










Aveva ucciso Dio, fin da bambina, si, lei lo aveva ucciso, ma non da sola: “Siamo stati noi ad ucciderlo: voi [lei] e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto questo? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all’ultima goccia? Chi ci dètte la spugna per strusciar via l’intero orizzonte? Che mai facemmo, a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci moviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto più freddo? Non seguita a venire notte, sempre più notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? Anche gli dèi si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di più sacro e di più possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremmo noi lavarci? Quali riti espiatori, quali giochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione? Non dobbiamo noi stessi diventare dèi, per apparire almeno degni di essa?” (F. Nietzsche, La gaia scienza, aforisma 125).
Aveva ucciso, solo qualche anno dopo, l’autorità dei suoi genitori, i valori della sua classe sociale, era rimasta delusa dai suoi coetanei, da quelli che lei riteneva i più ribelli, i più anticonformisti, l’amica Zazà, il cugino Jacques e perfino Maurice Merleau-Ponty, che frequentò fin da ragazza, era bello, affascinante, intelligente, disinvolto e aveva un sorriso disarmante, ma era credente, si crogiolava nei valori borghesi e si accontentava delle verità rivelate e di quelle che la scienza aveva rese disponibili, non era un esploratore, non un avventuriero, per cercare devi avere fame e sete e Maurice queste cose non le avvertiva … quando Simone capì che fra lui e Zazà c’era una simpatia reciproca ne fu davvero felice, loro due erano simili, più simili di quanto ciascuno di loro lo fosse con lei.
A diciannove anni si iscrisse presso l’École Normale Supérieure di Parigi, era un grande traguardo per lei, aveva dovuto convincere i suoi genitori, non era facile allora per una ragazza frequentare una scuola che fino a qualche anno prima era esclusiva per maschi e tuttora era governata da maschi, avrebbe dovuto impegnarsi davvero per essere presa sul serio dai colleghi e dai professori maschi; a diciannove anni si era iscritta in filosofia e non aveva più il cielo stellato sopra di lei, né la legge morale dentro di lei, scrutava l’orizzonte in cerca di compagni di viaggio, ma non ne trovava … esisteva un compagno di viaggio per il viaggio che intendeva fare?
Distingueva i suoi compagni in talas (vale a dire credenti, cattolici praticanti, che era anche sinonimo di borghesi e di pedanti), che lei odiava, e in anti-talas, cioè i non credenti, gli anticonformisti, i ribelli; questi ultimi erano in numero inferiore, ed anche fra di essi l’atteggiamento ribelle era soltanto un vezzo estetizzante, nessuna convinzione profonda alla base, e lei stessa non aveva condotto alle estreme conseguenze la sua rottura col suo ambiente culturale, ma questo ancora non lo capiva.
C’erano quei tre, è vero, Paul Nizan, André Herbaud e Jean-Paul Sartre, che sembravano interessanti, erano arroganti, superbi, ironici, intelligenti e non si fermavano di fronte a niente e a nessuno, se ritenevano corretta una cosa lottavano anche contro tutti i compagni, i professori e l’opinione pubblica; erano preparati ad un livello molto più elevato della media della scuola, che già era alta, perché non era una scuola facile e vi giungeva solo gente molto determinata, e taglienti nei giudizi, dotati di una dialettica notevole, potevano zittire i migliori normalisti, i migliori sorbonisti e non di rado anche qualche professore.










Ma loro  non la badavano nemmeno, non si accorgevano affatto che lei esistesse, se ne stavano per conto loro ed erano molto selettivi nelle amicizie, non frequentavano chiunque volentieri; nelle sue Memorie Simone non è molto chiara, non si capisce se punta su Herbaud perché le piace (“Il mio sguardo, scoraggiato dai grigi candidati al concorso si riposava con piacere sul suo volto roseo, illuminato da due occhi di un azzurro infantile; i suoi capelli biondi erano fitti e vigorosi come erba … nonostante l’eleganza del suo abito blu, della sua sciarpa chiara, del suo completo ben tagliato, gli avevo riscontrato qualcosa di campagnolo” (p. 319), oppure perché egli: “…era l’unico che mi sembrasse accessibile” (p. 318).
Leggendo ciò che scrive sembra che Simone ed André si incontrassero sempre per caso, per caso lei era presente in gennaio al corso di Brunschvicg, mentre lui leggeva la sua relazione, per caso entrambi frequentavano le lezioni di  Brunschvicg e si trovavano seduti fianco a fianco, per caso lei che non lo faceva mai decide di far colazione al ristorante interno alla Biblioteca Nazionale, proprio quando lui era seduto ad un tavolo e la fa accomodare come se avessero avuto un appuntamento per parlare insieme di Hume e di Kant, sempre per caso lo incontra in rue Soufflot, accompagnato da Sartre e da Nizan, con sottobraccio una donna in grigio …
Io di donne non ho mai capito niente, ma una piccola perla di saggezza si è impigliata sulla mia rete: quando hai a che fare con una donna niente avviene per caso, una donna è il determinismo, il meccanicismo, l’inesorabilità, l’ineluttabilità e l’implacabilità fatte persona, la Legge di Murphy calzata e vestita, ma senza l’ombra del pessimismo che la parola “male” le aggiunge, limitandosi cioè a formularla come: “Se qualcosa deve andare, andrà!”.
Non accade MAI che una donna inizi a frequentare la tua compagnia, che si trovi spesso nei posti in cui ci sei anche tu, che ti inviti da qualche parte, che ti chieda di accompagnarla in qualche posto, che si trovi con una certa frequenza presente su MSN qualche minuto dopo che sei entrato tu, non troppi altrimenti crescono le probabilità che tu sia impegnato con qualcun’altra entrata nel frattempo, e che lei non vede, e nemmeno troppo pochi da suscitare il sospetto che fosse li in agguato ad attendere te.
Non succede per caso che iniziate ad uscire insieme, che tu ti innamori di lei, che correte insieme mano nella mano a perdifiato contro la pioggia e poi ancora col fiatone vi baciate in un cortile col cuore di lei che bussa sul tuo petto e col tuo che bussa sul suo; non succede per caso che vi fidanziate, andiate a convivere, vi sposiate, vi ritrovate a spingere una carrozzella con due gemelli monozigoti a cui date il latte e cambiate i pannolini sperando di non invertire le due cose, non succede per caso che vi ritroviate in cinema, teatri, balletti, a vedere film in tv o ad ascoltare musica che non avreste mai ascoltato, e quel bel ristorantino dove si mangia così bene scordatelo, da oggi solo cibi sani, magri e biologici, se lei non vi avesse costr… suggerito di farlo.









Per una donna non è importante l’amore in sé, che per essere amore deve poter essere libero, spontaneo e potersi costruire e creare mentre accade, è più importante che tutto avvenga come lo vuole lei, come lei l’ha sognato, come Vincent van Gogh che diceva: “"Prima sogno i miei dipinti, poi dipingo i miei sogni", una donna sogna in ogni dettaglio il suo principe azzurro, il matrimonio, la cerimonia, gli invitati, i piatti di portata, i regali, quanti figli vorrebbe, la casa, l’automobile, il mutuo in banca, dove fare le vacanze, la scuola e le carriere per i bambini, fino alla stele tombale e ai pomelli di ottone che orneranno il feretro.
Nessun tipo di amore potrebbe sopravvivere a questo furor organizzandi.
È stato tutto accuratamente preparato in ogni minimo dettaglio, ogni tassello aveva il suo punto d’incastro, ogni bottone la sua asola, ogni porta il suo pomello, ogni  cosa il suo perché, ogni dama il suo lacché, ogni lingua il suo parler, ogni bagno il suo bidet, ogni pancia il suo gilet e ogni bar il suo caffè; la Cia, la Fed-ex, la NATO, l’Unesco, il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, le Nazioni Unite e la Lega Interstellare Galattica, guardano con ammirazione queste doti e le studiano per uniformarvi i loro sistemi organizzativi.
Quindi, dicevamo, per caso accadde che Simone de Beauvoir incontrasse con una certa frequenza André Herbaud, ora qui ora li, sempre per caso iniziarono a parlare fra di loro spontaneamente, sempre per caso egli, col suo fare ironico e scanzonato che lo rendeva simpatico e divertente a tutti, iniziò a parlarle dei suoi due amici: Sarte e Nizan, ancora per caso la introdusse alla loro teoria degli Eugène (ispirati in realtà agli omonimi Eugeni di Cocteau in Le Potomak) e fu ancora per caso che le dedicò il suo Ritratto di un normalista qualunque.
Strana amicizia quella che intercorreva fra il signor Herbaud e la signorina De Beauvoir, se non altro perché lui era sposato, non ve lo avevo detto? Ve lo dico ora, Andrè Herbaud era un uomo sposato, per i genitori di Simone, che lo conoscevano ormai perché frequentava la loro casa, lo ritenevano simpatico, colto, divertente, intelligente, ironico e persino un bell’uomo, egli rimaneva pur sempre un simpatico, divertente, intelligente, ironico, bell’uomo sposato.










E non stava affatto bene che un uomo sposato frequentasse una ragazza nubile, di buona famiglia in età da marito, non ne poteva venire nulla di buono: se lei si fosse innamorata di lui sarebbe stato un disastro e anche se il loro rapporto si fosse mantenuto nei limiti del decoro e fosse rimasto solo una buona amicizia [ma non era stato Nietzsche a dire che: “Le donne possono stringere benissimo amicizia con un uomo; ma per poterla conservare – a tal fine deve ben aiutare una piccola antipatia fisica”. (Umano, troppo umano, I, 390; 2011), e non sembrava questo il caso], rimaneva il fatto che non era decoroso frequentare un così bell’uomo e per di più sposato, cosa avrebbero pensato i possibili pretendenti, e la gente? Gli unici amici maschi che una ragazza borghese di buona famiglia può e deve frequentare sono quelli che ti presenteranno il tuo futuro marito.
E a dirla tutta, non si comportavano esattamente come due amici, contribuivano a dirsi tali e fra di loro non era accaduto nulla di meno che corretto, però … ecco … come dire … l’attrazione fra di loro si sarebbe tagliata col coltello e poi lui era anche un po’ geloso e possessivo; giunse il momento per Herbaud di presentare Simone ai suoi due amici, lo fece con molta titubanza, assalito dai dubbi, e non come credette Simone perché temeva che lei non fosse all’altezza della compagnia e si sforzava di dire o di pensare qualcosa di intelligente, egli temeva la loro rivalità.
Non tanto di Paul Nizan, anch’egli sposato e che già spingeva la carrozzina, e che fra l’altro Herbaud non considerava particolarmente temibile in quanto a fascino, Andrè temeva proprio Sartre, che era l’unico scapolo, l’unico che avrebbe potuto davvero spingersi con pieno diritto oltre la semplice amicizia e giocarsi le carte del sentimento, ed era il più bravo di loro tre ad incantare una donna con le parole: se lui e Paul erano intelligenti ed ironici Jean-Paul era un genio, e gli bastava aprire bocca perché qualunque donna se ne accorgesse.
E ciò che più André temeva avvenne, Sartre, estremamente intraprendente, non perse tempo ad invitare Simone a passare una serata sola con lui, ed ella accettò di buon grado; Herbaud, saputolo, dovette esercitare tutto il suo ascendente per far cambiare idea a Simone, Sartre a suo dire era un tipo molto pericoloso, avrebbe certamente tentato di accaparrarsela tutta per se e, gli Eugeni non vogliano, forse ci sarebbe persino riuscito … poteva fallire Rodolfo Valentino, Yves Montand, Jean-Paul Belmondò, Alain Delon, Marlon Brando, Giacomo Casanova … ma non poteva fallire Jean-Paul Sartre.
Gelosia? Si rispose Herbaud, era molto geloso dei suoi amici, disse senza rispondere. Era forse per gelosia che quella volta che egli passeggiava insieme a Sartre vicino alla vasca del Lussemburgo, l’aveva ignorata senza salutarla, eppure era certa che lui l’aveva vista, oppure aveva rinnegato la loro amicizia perché se ne vergognava? Si infastidiva ogni volta che vedeva qualche amico o qualche studente che si rivolgeva a lei, la rimproverava di essere molto indulgente e di sprecare il suo tempo con persone che valevano ben poco. Fatto sta che Simone si convinse e declinò l’invito, ma come fare perché Jean-Paul non se ne adontasse? E qui la coppia Simone André ebbe il colpo di genio: mandarono la sorella di lei, Hélène.








Non sapete cosa avrei dato pur di vedere la faccia di Sartre quando si vede arrivare Poupette che gli disse che Simone era dovuta andare improvvisamente fuori città, ma c’era li lei disponibile a sostituirla per la serata. Pensate che se la sia bevuta? Ma non abbiamo appena finito di dire che era un genio ...
Egli era un giovanotto di 22 anni allora, io alla sua età, pur cercando di non ferire la ragazza, le avrei detto ben chiaro che sono io a decidere con chi uscire, e quando lo decido sono io ad invitarla, non mi piacciono i rimpiazzi, le sostituzioni, se sua sorella non poteva o aveva cambiato idea bastava che mi avvertisse, dopo di che l’avrei salutata amabilmente, magari con inchino e baciamani, e sarei andato via.
Sartre invece fa buon viso a cattivo gioco ed accetta questo “risarcimento”, quello che è inequivocabilmente frutto di una concezione borghese e bottegaia dell’amore, ti avevo promesso una serata con me, ti risarcisco con quello che posso, con qualcosa di pari valore, e porta Hélène al cinema e in qualche locale.
Si direbbe che Sartre allora possedesse già la saggezza che ho acquisito io solo ora, perché adesso se mi succedesse una cosa del genere la prenderei con molta più filosofia di quand’ero giovane, mi divertirebbe lo scambio e probabilmente sarei ancora più galante, cercando di regalare alla mia nuova dama una serata indimenticabile, ma non è proprio così, Poupette al suo rientro si lamentò per quella serata, sapeva già prima di accettare l’appuntamento quanto Jean-Paul fosse brutto, ma tutti ne magnificavano il dialogo, la simpatia, l’ironia, la genialità, quella sera con lei era stato piuttosto spento.
Oggi una cosa del genere non potrebbe più succedere, perché non ci sono più le sorelle di una volta, se tu osassi proporre a tua sorella di andare a qualche appuntamento con un uomo al posto suo, ti manderebbe allegramente a quel paese ... a meno che il tizio non sia Brad Pitt.
Oggi se una donna cambia idea sul suo appuntamento con un uomo o ha nel frattempo trovato di meglio, non lo avvisa neppure, gli da buca semplicemente e lo blocca su wathsapp per evitare di sentire le sue sacrosante proteste, poi, se ancora il tizio le interessa, se nel frattempo non ha concluso o se l'asse del suo interesse non ha ancora deciso da che parte pendere, dopo qualche giorno lo richiama in un'ora di punta, così lo sventurato ha poco da riflettere e poco da replicare, e gli dice: "Non ti ho dato buca. Dico sul serio. Ero ... rimasta senza benzina. Avevo una gomma a terra. Non avevo i soldi per prendere il taxi. La tintoria non mi aveva portato il tailleur. C'era il funerale di mia madre! Era crollata la casa! C'è stato un terremoto!Una tremenda inondazione! Le cavallette! Non è stata colpa mia! Lo giuro su Dio!" ... senza scusarsi. 
Questo appuntamento mancato fu l’acme del potere di Herbaud su Simone de Beauvoir, il capolavoro del suo fascino, tutto ciò che gli riuscì di esercitare su di lei, il trionfo della sua potenza, da qui il declino; Simone era sempre più perplessa e persino infastidita riguardo al senso di possessività che lui dimostrava nei suoi confronti, ma alla fine egli aveva presentato la ragazza ai suoi petit camerades e si incontravano tutti e tre per studiare insieme e preparare l’esame di agrégation (un corrispettivo della nostra abilitazione all’insegnamento).
E spesso uscivano insieme anche a far baldoria, tuttavia non permetteva che ella uscisse da sola con Sartre (o con chiunque altro), una volta che quest’ultimo la invitò di nuovo, André si affrettò a dire che quella sera Simone sarebbe uscita con lui, naturalmente non era vero, naturalmente loro due quella sera uscirono davvero insieme, però Simone non lo contraddisse, nonostante ne fosse sconcertata (decideva lei con chi uscire, o no?), e nemmeno Jean-Paul, che aveva capito, fece storie, forse per non contrariare l’amico, forse perché sembrava cha a Simone stesse bene così.








 A Simone urtava anche molto che lui si mostrasse infastidito quando qualcuno l’avvicinava, come quella volta che lui l’aveva salutata freddamente e seccamente in pubblico perché l’aveva trovata in compagnia di un amico, poi più tardi l’aveva buttata sullo scherzo con una risata, intanto però lei c’era rimasta male per tutto il giorno.
E che dire poi delle sue idee sulle donne, quando le aveva confessato la cotta per suo cugino Jacques, lui le aveva suggerito di sposarlo, motivando ciò col fatto che se una donna vuole essere rispettata deve sposarsi, inoltre, mentre un ragazzo che fosse ancora vergine dopo i 18 anni era un nevrotico, una donna non avrebbe dovuto darsi ad un uomo se non in legittime nozze, lui non avrebbe potuto certo rispettare una donna che gli si fosse concessa altrimenti.
Quanto era lontano dal sentire di Simone questo suo sproloquio sessista, non si ha una donna come Simone de Beauvoir, non era donna che potesse appartenere a qualcuno come se fosse una proprietà, in quanto a farsi rispettare, è proprio la donna che si sposa per essere rispettata che non ha rispetto di sé, Herbaud avrebbe sentito dire molto presto quanto Simone si facesse rispettare anche senza sposarsi, il suo nome sarebbe corso con un filo di rispetto, mentre il suo sarebbe stato dimenticato se la donna non lo avesse citato come amico.
Ma ciò che la distaccava maggiormente da lui era sentirgli dire che avrebbe scritto libri, voleva essere celebre, famoso, nominato, rispettato, ma considerava lo scrivere come un mezzo per ottenere il successo, quanto era diverso da Sartre, che in ogni cosa era generosissimo, soprattutto di sé, si era prodigato intere giornate a spiegare loro i passaggi più difficili di autori come Kant, Descartes, Leibniz, Spinoza, attività che a lui personalmente non serviva a niente, tutto ciò che possedeva lo condivideva con gli amici ed era animato da una curiosità infinita anche per le cose più banali, sulle quali faceva considerazioni di straordinario acume, e quando aveva tratto da quella conoscenza qualcosa che riteneva interessante, lo condivideva con gli altri disinteressatamente, senza cioè pretendere nulla in cambio.
All’età di cinquant’anni, nel pieno della sua maturità di donna e quando il loro rapporto era ormai pienamente consolidato, Simone de Beauvoir scrive di Sartre: “- Non smette mai di pensare, - m’aveva detto Herbaud. Ciò non significava che secernesse formule e teorie a ogni piè sospinto: aborriva la pedanteria. Ma il suo spirito era sempre all’erta. Ignorava i torpori, le sonnolenze, le evasioni, le tregue, la prudenza, il rispetto. S’interessava di tutto e non prendeva mai niente per ammesso. Di fronte ad un oggetto, invece di farlo sparire a beneficio di un mito, d’una parola, d’un’impressione, d’un’idea preconcetta, lo osservava, e non lo lasciava prima di averne compreso le attinenze e le risultanze, i sensi molteplici. Non si domandava ciò che bisognava pensare, ciò che sarebbe stato originale o intelligente pensare, ma soltanto ciò che lui ne pensava. In tal modo deludeva gli esteti, avidi di un’eleganza inattaccabile. […]. Eli interessava sempre la gente che non si spaventava alla novità, poiché, non mirando all’originalità, sfuggiva ad ogni conformismo. La sua attenzione ostinata, ingenua, coglieva le cose nella loro profusione, con grande vivezza”. (Memorie, p. 347-348).  












Si sentiva sempre più lontana da Herbaud, che in quel periodo era molto assorbito da sue preoccupazioni e dal timore di non aver passato lo scritto dell’esame, e sempre più affine a Sartre, a cui la accomunava un comune sentire, come se ciascuno per la sua via giungessero a conclusioni comuni, anzi, Sartre sembrava sempre essere almeno di un passo davanti a lei, giungeva felinamente come la folgore sempre per primo dove lei sarebbe arrivata con i suoi tempi, la sua metodicità, il suo assiduo lavoro e la sua lentezza, non per niente Herbaud, che aveva notato per primo questo aspetto del suo carattere, l’aveva soprannominata il Castoro (facendo un jeux de mots o calembour fra Beauvoir, che era il suo cognome e Beaver, che vuol dire castoro).
Così come il cugino Jacques era uscito di scena da sé, anche Herbaud uscì di scena per le circostanze della vita, ma forse era solo una comparsa che aveva temporaneamente rubato la scena a qualcun altro, solo perché come Giovanni Battista lo preannunciava; André Herbaud non superò l’esame dell’agrégation, come presagiva da tempo, e si ritirò a Bagnoles-de-l’Orne, il paese natale della moglie, senza salutare nessuno, una settimana dopo, venuto a Parigi a ritirare le sue cose, salutò tutti e ci tenne in particolar modo a salutare Simone.
La portò al Balzar – Cosa prendete? – le chiese – Ai tempi miei prendevate una limonata. – Sono sempre i tempi vostri – disse lei, con poca convinzione. Lui sorrise – È quello che volevo sentirvi dire! – Entrambi sapevano di aver mentito.
Sartre … dunque! Si sentiva sempre più attratta da lui, quando stavano insieme avrebbe voluto trattenere il tempo con le sue mani, per ritardare il momento del distacco, e quando era lontana non vedeva l’ora di incontrarlo; ma fin qui siamo ancora in fase di infatuazione, aveva provato già la stessa cosa con Herbaud, solo che stavolta era più intensa, più forte, più coinvolgente, un artiglio che l’afferrava per le viscere e lei se ne sentiva catturata.
Non era solo un uomo dall’intelligenza geniale, era anche divertente, molto più di tanti che aveva conosciuti, aveva una bella voce, sapeva cantare e recitare (proprio come suo padre Georges), memorabile fu la sua interpretazione di Charlie Chaplin che canta Je cherche après Titine nel film Tempi moderni, quel suo buffo medley di linguaggio pseudo-francese e italiano, che Simone ricorda ad orecchio, ma il cui testo originale e completo è questo:

Se bella giu satore
Je notre so cafore
Je notre si cavore
Je la tu la ti la twah.

La spinash o la bouchon
Cigaretto portobello
Si rakish spaghaletto
Ti la tu la ti la twah.

Senora pilasina
Voulez vous le taximeter?
Le zionta su la seata
Tu la tu la tu la wa.

Sa montia si n'amora
La sontia sogravora
La zontcha con sora
Je la possa ti la twah.

Je notre so lamina
Je notre so cosina
Je le se tro savita
Je la tossa vi la twah.

Se motra so la sonta
Chi vossa l'otra volta
Li Zoscha si catota
Tra la la la la la la.








Non si trattava solo di Sartre, un’intera generazione di artisti, di letterati, di filosofi, di poeti francesi erano folli, e contagiavano chiunque toccassero, chiunque venisse a stabilirsi a Parigi, come spiegare altrimenti fenomeni come il surrealismo, il dadaismo e l’esistenzialismo francese, come spiegare che l’arte, la pittura, la letteratura, la poesia e la filosofia permeavano le coscienze comuni, si riversavano nella vita di ciascuno, erano accessibili a tutti, magari non nei concetti, ma nei criteri a cui si ispiravano, come sguardo sul mondo e senso da dare alla propria vita.
Come spiegare altrimenti, se non attraverso la follia che un gruppo ben nutrito di persone, alcune legate fra loro da saldi sentimenti di amore e di amicizia, altre che si conoscevano appena e altre ancora che si conoscevano di nome ma si incontravano li per la prima volta, il 19 marzo del 1944, nel giorno che precedette l’equinozio di primavera, nel pieno della guerra con Parigi occupata dai nazisti, senza luce elettrica, e con una difficoltà estrema a procurarsi i beni di consumo di prima necessità, si incontrarono a casa di Leiris, alla luce delle candele, condividendo qualche bottiglia di vino e di cognac, per interpretare Le Désir attrapé par la queur (Il desiderio afferrato per la coda), una commedia scritta da Picasso nel 1941.
Picasso in questa sua prima e ultima opera letteraria si faceva beffe ironicamente delle privazioni a cui la guerra e l’occupazione tedesca li obbligava, Camus condusse il gioco, battendo sul pavimento con un bastone per annunciare i cambiamenti di scena, Leiris interpretò il ruolo di Gros Pied (Piedone) e Sartre quello di Bout Rond (Punta Rotonda),la De Beauvoir interpretò la Cousine (Sua Cugina). Dora Maar, la compagna di Picasso, era l’Angoisse Grasse (l’Angoscia Grassa) e la moglie del poeta Hugnet l’Angoisse Maigre (l’Angoscia Magra). Zanie Campan, giovane attrice sposata con l’editore Jean Aubier, incarnava La Tarte (La Torta). Tra quelli che guardavano e applaudivano c’erano Georges Bataille, Lucien ed Armand Salacrou, Georges Limbour, Sylvia Bataille, Jacques Lacan, Jean-Louis Barrault, Braque e tutta la famiglia sartriana. Due giorni dopo questa rappresentazione, Brassaï fece tornare da Leiris i principali testimoni e attori della festa per immortalarli con la sua macchina fotografica. Gli amici più stretti banchettarono sino all’alba. Mouloudji cantò “Les Petits Pavés” e Sartre “Les papillons de nuit” e “J’ai vendu mon âme au diable”.
In seguito a questa notte le frequentazioni fra i partecipanti si infittiscono, si ritrovano nei caffè con le vetrate ancora oscurate da pesanti tendaggi blu, per sfuggire ai bombardamenti tedeschi prima dell’invasione, pranzano e cenano insieme, a gruppi più o meno numerosi, ma hanno anche tanta voglia di replicare quella notte clandestina, ed iniziano ad organizzare ora a casa dell’uno, ora dell’altro, quelle che Leiris chiamerà fiestas.
La De Beauvoir scrive: “…Parigi era un vasto Stalag [campo di concentramento nazista]. Noi avevamo scongiurato questa dispersione, e se non avevamo infranto la regola, per lo meno l’avevamo elusa; bere e parlare insieme, nel cuore delle tenebre, era un piacere così furtivo che ci sembrava illecito; aveva il fascino delle felicità clandestine”. (L’età forte, p. 497).  










Ve lo immaginate il più grande filosofo del ‘900 che fa il pagliaccio, canta in farsetto e spinge il piedino all’indietro spostando così tutto il corpo, come un ballerino di break dance? Ve lo immaginate cantare, danzare e recitare? Riuscite ad immaginare i più grandi artisti, letterati e filosofi del tempo, quelli che stanno ritessendo la trama della cultura, interrotta dalla guerra, spezzata da Auschwitz e da Dachau, frammentata e dispersa a Hiroshima e Nagasaki, quelli che ci restituiranno la dignità di essere uomini e di guardarci ancora in faccia con un po’ di rispetto e con qualche speranza, folleggiare fra loro in piena guerra e in piena occupazione, quando gli esiti sono incerti e i destini di ciascuno imperscrutabili? “I beni più grandi ci vengono dalla follia …” (Platone, Fedro, 244d), e come folli tutti costoro banchettavano: “tra saggezza e ignoranza…tra il mortale e l’immortale … tra uomini e dèi …” (Platone, Simposio, 202°, 202d). Dov’è finita adesso tutta quella loro divina follia?
Heidegger non l’avrebbe mai fatto, ogni volta che guardo una foto di Heidegger non posso fare a meno di pensare che sua moglie o la sua governante esagerassero con l’amido sui colletti delle camicie, anche Freud era un uomo serio, non che non ridesse ma rideva come secondo Umberto Eco ridono i tedeschi: uno fa una battuta, e tutti ridono fragorosamente, era un uomo che non amava affatto la musica, nemmeno quella roboante e impetuosa di Wagner … ma che è musica quella? Ogni volta che la ascolto mi viene voglia di invadere la Polonia. Conoscono la dolcezza, la malinconia, gli stati crepuscolari, la maestosità dell’essere e li esprimono nella musica e nelle arti: Beethoven, Bach, Brahms, Strauss, Schuman, Mendellsohn, Pachelbel, …, ma la lievità, la leggerezza, che ne sanno i germanici di leggerezza? Persino Mozart, che compose sinfonie, opere, concerti per strumento solista, musica da camera (fra cui quartetti e quintetti d'archi) e sonate per pianoforte, marce, danze, divertissement, serenate e cassazioni, struttura le sue opere secondo la tradizione classica, in cui nessuna nota è fuori posto e il ritmo della composizione può essere scandito da un metronomo.
Solo gli italiani e i francesi in Europa e nel mondo occidentale conoscono davvero la légèreté, che non è una dieta o una marca di maionese, ma la grazia, la soavità, la lievità di vivere sulla sofficità di una nuvola, di prendersi cura di sé, di viziarsi, di trattarsi bene, di cercare il meglio per noi e per le persone che ci stanno vicine, la conosciamo perché l’abbiamo inventata noi, gli altri ce la invidiano, tentano di imitarci, ma con pessimi risultati.
Se il mondo fosse governato dai tedeschi ... e ci siamo andati molto vicini...bastava che all’atomica ci arrivassero loro per primi ... e ci sono andati vicini ... perché la prima fissione nucleare fu operata nel dicembre 1938, da Otto Hahn e dal suo assistente Fritz Strassmann che bombardarono un campione di uranio con una pioggia di neutroni, ottenendo atomi di bario e di kripton come risultato di questo bombardamento; perché molti degli scienziati che costituirono il Progetto Manhattan erano tedeschi e italiani, i tedeschi capitanati da Werner Karl Heisenberg non fecero in tempo a realizzare la bomba.
Se comandassero i tedeschi i treni arriverebbero in orario, le macchine sarebbero affidabili e potenti, l’economia mondiale sarebbe una meraviglia, ovunque regnerebbe l’ordine e l’organizzazione, ma senza quella spensieratezza tipica di noi latini, senza troppo gusto estetico, senza senso del bello, senza quella viglia di godersi la vita.
I tedeschi sono sistematici anche nella follia, i loro deliri sono organizzati come quelli di un paranoico, e infatti il tedesco tende alla paranoia, Hitler era paranoico, Heidegger aveva un carattere paranoico, due guerre mondiali sono state fatte per la paranoia che affligge i tedeschi; mentre i francesi tendono di più al narcisismo e noi italiani all’esibizionismo e all’isteria.









Noi siamo completamente senza metodo, solo un tedesco potrebbe scrivere le tre Critiche di Kant, un Kant che fra l’altro era assai abitudinario, era inflessibile nell’orario dei pasti, in quello della sveglia e del sonno, con qualsiasi tempo alla stessa ora (pure in caso di guerra) faceva la stessa passeggiata per le vie di  Königsberg; mettetevi in mano la Fenomenologia dello spirito di Hegel e capirete di cosa sto parlando, ma anche Il capitale di Marx potrebbe darvene un’eccellente idea, e se mettessimo a confronto le due più grandi opere di filosofia del ‘900, Essere e tempo di Heidegger e L’essere e il nulla di Sartre, capireste all’istante la differenza, da un lato la tela di un ragno, geometrica e razionale, sembra scritta col bisturi o con una goccia di cristallo, dall’altro un’opera impressionista, un acquerello multicolore, un Matisse o un Van Gogh.
Capita spesso in alcuni incontri di lavoro internazionali di fare qualche confronto fra le varie culture, una volta chiesi una pausa di quindici minuti mentre stavo parlando perché avevo voglia di un caffè, con noi c’erano colleghi spagnoli, portoghesi, francesi, svizzeri, austriaci, ungheresi, svedesi, danesi, finlandesi, statunitensi, sudamericani e, naturalmente, tedeschi, visto che i padroni di casa erano di Monaco di Baviera, il mio collega patron della kermesse mi domandò con ironia: “Quindici minuti italiani o quindici minuti tedeschi?”, e rise fragorosamente insieme a tutti i tedeschi presenti … ovviamente sto scherzando, non avrete mica preso sul serio tutta questa accozzaglia di luoghi comuni, di sordidi cliché, di ammuffiti pregiudizi?