“Lo sai, mettersi ad amare
qualcuno, è un’impresa. Bisogna avere un’energia, una generosità, un
accecamento … C’è perfino un momento, al principio, in cui bisogna saltare un
precipizio: se si riflette non lo si fa”.
(Jean-Paul Sartre, La nausea, p. 195).
Aveva ucciso Dio, fin da bambina,
si, lei lo aveva ucciso, ma non da sola: “Siamo stati noi ad ucciderlo: voi [lei]
e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto questo? Come
potemmo vuotare il mare bevendolo fino all’ultima goccia? Chi ci dètte la
spugna per strusciar via l’intero orizzonte? Che mai facemmo, a sciogliere
questa terra dalla catena del suo sole? Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci
moviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E
all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un
basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su
di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto più freddo? Non seguita a venire notte,
sempre più notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? Dello strepito
che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non
fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? Anche gli dèi si
decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci
consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di più sacro e di
più possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri
coltelli; chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremmo noi
lavarci? Quali riti espiatori, quali giochi sacri dovremo noi inventare? Non è
troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione? Non dobbiamo noi stessi
diventare dèi, per apparire almeno degni di essa?” (F. Nietzsche, La gaia scienza,
aforisma 125).
Aveva ucciso, solo qualche anno
dopo, l’autorità dei suoi genitori, i valori della sua classe sociale, era
rimasta delusa dai suoi coetanei, da quelli che lei riteneva i più ribelli, i
più anticonformisti, l’amica Zazà, il cugino Jacques e perfino Maurice Merleau-Ponty, che frequentò
fin da ragazza, era bello, affascinante, intelligente, disinvolto e aveva un
sorriso disarmante, ma era credente, si crogiolava nei valori borghesi e si
accontentava delle verità rivelate e di quelle che la scienza aveva rese
disponibili, non era un esploratore, non un avventuriero, per cercare devi
avere fame e sete e Maurice queste cose non le avvertiva … quando Simone capì
che fra lui e Zazà c’era una simpatia reciproca ne fu davvero felice, loro due
erano simili, più simili di quanto ciascuno di loro lo fosse con lei.
A diciannove anni si iscrisse
presso l’École Normale Supérieure di
Parigi, era un grande traguardo per lei, aveva dovuto convincere i suoi
genitori, non era facile allora per una ragazza frequentare una scuola che fino
a qualche anno prima era esclusiva per maschi e tuttora era governata da
maschi, avrebbe dovuto impegnarsi davvero per essere presa sul serio dai
colleghi e dai professori maschi; a diciannove anni si era iscritta in filosofia
e non aveva più il cielo stellato sopra di lei, né la legge morale dentro di
lei, scrutava l’orizzonte in cerca di compagni di viaggio, ma non ne trovava …
esisteva un compagno di viaggio per il viaggio che intendeva fare?
Distingueva i suoi compagni in talas (vale a dire credenti, cattolici
praticanti, che era anche sinonimo di borghesi e di pedanti), che lei odiava, e
in anti-talas, cioè i non credenti,
gli anticonformisti, i ribelli; questi ultimi erano in numero inferiore, ed
anche fra di essi l’atteggiamento ribelle era soltanto un vezzo estetizzante,
nessuna convinzione profonda alla base, e lei stessa non aveva condotto alle
estreme conseguenze la sua rottura col suo ambiente culturale, ma questo ancora
non lo capiva.
C’erano quei tre, è vero, Paul Nizan, André Herbaud
e Jean-Paul Sartre, che sembravano
interessanti, erano arroganti, superbi, ironici, intelligenti e non si
fermavano di fronte a niente e a nessuno, se ritenevano corretta una cosa
lottavano anche contro tutti i compagni, i professori e l’opinione pubblica;
erano preparati ad un livello molto più elevato della media della scuola, che
già era alta, perché non era una scuola facile e vi giungeva solo gente molto
determinata, e taglienti nei giudizi, dotati di una dialettica notevole, potevano
zittire i migliori normalisti, i migliori sorbonisti e non di rado anche
qualche professore.
Ma loro non la badavano nemmeno, non si accorgevano
affatto che lei esistesse, se ne stavano per conto loro ed erano molto
selettivi nelle amicizie, non frequentavano chiunque volentieri; nelle sue
Memorie Simone non è molto chiara, non si capisce se punta su Herbaud perché le
piace (“Il mio sguardo, scoraggiato dai grigi candidati al concorso si riposava
con piacere sul suo volto roseo, illuminato da due occhi di un azzurro
infantile; i suoi capelli biondi erano fitti e vigorosi come erba … nonostante
l’eleganza del suo abito blu, della sua sciarpa chiara, del suo completo ben
tagliato, gli avevo riscontrato qualcosa di campagnolo” (p. 319), oppure perché
egli: “…era l’unico che mi sembrasse accessibile” (p. 318).
Leggendo ciò che scrive sembra
che Simone ed André si incontrassero sempre per caso, per caso lei era presente
in gennaio al corso di Brunschvicg, mentre lui leggeva la sua relazione, per
caso entrambi frequentavano le lezioni di
Brunschvicg e si trovavano seduti fianco a fianco, per caso lei che non
lo faceva mai decide di far colazione al ristorante interno alla Biblioteca
Nazionale, proprio quando lui era seduto ad un tavolo e la fa accomodare come
se avessero avuto un appuntamento per parlare insieme di Hume e di Kant, sempre
per caso lo incontra in rue Soufflot, accompagnato da Sartre e da Nizan, con
sottobraccio una donna in grigio …
Io di donne non ho mai capito
niente, ma una piccola perla di saggezza si è impigliata sulla mia rete: quando
hai a che fare con una donna niente avviene per caso, una donna è il
determinismo, il meccanicismo, l’inesorabilità, l’ineluttabilità e
l’implacabilità fatte persona, la Legge di Murphy calzata e vestita, ma senza
l’ombra del pessimismo che la parola “male” le aggiunge, limitandosi cioè a
formularla come: “Se qualcosa deve andare, andrà!”.
Non accade MAI che una donna
inizi a frequentare la tua compagnia, che si trovi spesso nei posti in cui ci
sei anche tu, che ti inviti da qualche parte, che ti chieda di accompagnarla in
qualche posto, che si trovi con una certa frequenza presente su MSN qualche
minuto dopo che sei entrato tu, non troppi altrimenti crescono le probabilità
che tu sia impegnato con qualcun’altra entrata nel frattempo, e che lei non
vede, e nemmeno troppo pochi da suscitare il sospetto che fosse li in agguato
ad attendere te.
Non succede per caso che iniziate
ad uscire insieme, che tu ti innamori di lei, che correte insieme mano nella
mano a perdifiato contro la pioggia e poi ancora col fiatone vi baciate in un
cortile col cuore di lei che bussa sul tuo petto e col tuo che bussa sul suo;
non succede per caso che vi fidanziate, andiate a convivere, vi sposiate, vi
ritrovate a spingere una carrozzella con due gemelli monozigoti a cui date il
latte e cambiate i pannolini sperando di non invertire le due cose, non succede
per caso che vi ritroviate in cinema, teatri, balletti, a vedere film in tv o
ad ascoltare musica che non avreste mai ascoltato, e quel bel ristorantino dove
si mangia così bene scordatelo, da oggi solo cibi sani, magri e biologici, se
lei non vi avesse costr… suggerito di farlo.
Per una donna non è importante
l’amore in sé, che per essere amore deve poter essere libero, spontaneo e
potersi costruire e creare mentre accade, è più importante che tutto avvenga
come lo vuole lei, come lei l’ha sognato, come Vincent van Gogh che diceva: “"Prima sogno i miei dipinti, poi
dipingo i miei sogni", una donna sogna in ogni dettaglio il suo principe
azzurro, il matrimonio, la cerimonia, gli invitati, i piatti di portata, i
regali, quanti figli vorrebbe, la casa, l’automobile, il mutuo in banca, dove
fare le vacanze, la scuola e le carriere per i bambini, fino alla stele tombale
e ai pomelli di ottone che orneranno il feretro.
Nessun tipo di amore potrebbe
sopravvivere a questo furor organizzandi.
È stato tutto accuratamente
preparato in ogni minimo dettaglio, ogni tassello aveva il suo punto
d’incastro, ogni bottone la sua asola, ogni porta il suo pomello, ogni cosa il suo perché, ogni dama il suo lacché,
ogni lingua il suo parler, ogni bagno
il suo bidet, ogni pancia il suo gilet e ogni bar il suo caffè; la Cia, la
Fed-ex, la NATO, l’Unesco, il Fondo Monetario Internazionale, la Banca
Mondiale, le Nazioni Unite e la Lega Interstellare Galattica, guardano con
ammirazione queste doti e le studiano per uniformarvi i loro sistemi
organizzativi.
Quindi, dicevamo, per caso
accadde che Simone de Beauvoir incontrasse con una certa frequenza André
Herbaud, ora qui ora li, sempre per caso iniziarono a parlare fra di loro
spontaneamente, sempre per caso egli, col suo fare ironico e scanzonato che lo
rendeva simpatico e divertente a tutti, iniziò a parlarle dei suoi due amici:
Sarte e Nizan, ancora per caso la introdusse alla loro teoria degli Eugène
(ispirati in realtà agli omonimi Eugeni di Cocteau
in Le Potomak) e fu ancora per caso
che le dedicò il suo Ritratto di un
normalista qualunque.
Strana amicizia quella che
intercorreva fra il signor Herbaud e la signorina De Beauvoir, se non altro
perché lui era sposato, non ve lo avevo detto? Ve lo dico ora, Andrè Herbaud
era un uomo sposato, per i genitori di Simone, che lo conoscevano ormai perché
frequentava la loro casa, lo ritenevano simpatico, colto, divertente,
intelligente, ironico e persino un bell’uomo, egli rimaneva pur sempre un simpatico,
divertente, intelligente, ironico, bell’uomo sposato.
E non stava affatto bene che un
uomo sposato frequentasse una ragazza nubile, di buona famiglia in età da
marito, non ne poteva venire nulla di buono: se lei si fosse innamorata di lui
sarebbe stato un disastro e anche se il loro rapporto si fosse mantenuto nei
limiti del decoro e fosse rimasto solo una buona amicizia [ma non era stato
Nietzsche a dire che: “Le donne possono stringere benissimo amicizia con un
uomo; ma per poterla conservare – a tal fine deve ben aiutare una piccola
antipatia fisica”. (Umano, troppo umano,
I, 390; 2011), e non sembrava questo il caso], rimaneva il fatto che non era
decoroso frequentare un così bell’uomo e per di più sposato, cosa avrebbero
pensato i possibili pretendenti, e la gente? Gli unici amici maschi che una
ragazza borghese di buona famiglia può e deve frequentare sono quelli che ti
presenteranno il tuo futuro marito.
E a dirla tutta, non si
comportavano esattamente come due amici, contribuivano a dirsi tali e fra di
loro non era accaduto nulla di meno che corretto, però … ecco … come dire …
l’attrazione fra di loro si sarebbe tagliata col coltello e poi lui era anche un
po’ geloso e possessivo; giunse il momento per Herbaud di presentare Simone ai
suoi due amici, lo fece con molta titubanza, assalito dai dubbi, e non come
credette Simone perché temeva che lei non fosse all’altezza della compagnia e
si sforzava di dire o di pensare qualcosa di intelligente, egli temeva la loro
rivalità.
Non tanto di Paul Nizan,
anch’egli sposato e che già spingeva la carrozzina, e che fra l’altro Herbaud
non considerava particolarmente temibile in quanto a fascino, Andrè temeva
proprio Sartre, che era l’unico scapolo, l’unico che avrebbe potuto davvero
spingersi con pieno diritto oltre la semplice amicizia e giocarsi le carte del
sentimento, ed era il più bravo di loro tre ad incantare una donna con le
parole: se lui e Paul erano intelligenti ed ironici Jean-Paul era un genio, e
gli bastava aprire bocca perché qualunque donna se ne accorgesse.
E ciò che più André temeva
avvenne, Sartre, estremamente intraprendente, non perse tempo ad invitare
Simone a passare una serata sola con lui, ed ella accettò di buon grado;
Herbaud, saputolo, dovette esercitare tutto il suo ascendente per far cambiare
idea a Simone, Sartre a suo dire era un tipo molto pericoloso, avrebbe
certamente tentato di accaparrarsela tutta per se e, gli Eugeni non vogliano, forse ci sarebbe persino riuscito … poteva
fallire Rodolfo Valentino, Yves Montand, Jean-Paul Belmondò, Alain Delon,
Marlon Brando, Giacomo Casanova … ma non poteva fallire Jean-Paul Sartre.
Gelosia? Si rispose Herbaud, era
molto geloso dei suoi amici, disse senza rispondere. Era forse per gelosia che
quella volta che egli passeggiava insieme a Sartre vicino alla vasca del
Lussemburgo, l’aveva ignorata senza salutarla, eppure era certa che lui l’aveva
vista, oppure aveva rinnegato la loro amicizia perché se ne vergognava? Si
infastidiva ogni volta che vedeva qualche amico o qualche studente che si
rivolgeva a lei, la rimproverava di essere molto indulgente e di sprecare il
suo tempo con persone che valevano ben poco. Fatto sta che Simone si convinse e
declinò l’invito, ma come fare perché Jean-Paul non se ne adontasse? E qui la
coppia Simone André ebbe il colpo di genio: mandarono la sorella di lei,
Hélène.
Non sapete cosa avrei dato pur di
vedere la faccia di Sartre quando si vede arrivare Poupette che gli disse che
Simone era dovuta andare improvvisamente fuori città, ma c’era li lei
disponibile a sostituirla per la serata. Pensate che se la sia bevuta? Ma non abbiamo appena finito di dire che era un genio ...
Egli era un giovanotto di 22 anni allora, io alla sua età, pur cercando di non ferire la ragazza, le avrei detto ben chiaro che sono io a decidere con chi uscire, e quando lo decido sono io ad invitarla, non mi piacciono i rimpiazzi, le sostituzioni, se sua sorella non poteva o aveva cambiato idea bastava che mi avvertisse, dopo di che l’avrei salutata amabilmente, magari con inchino e baciamani, e sarei andato via.
Egli era un giovanotto di 22 anni allora, io alla sua età, pur cercando di non ferire la ragazza, le avrei detto ben chiaro che sono io a decidere con chi uscire, e quando lo decido sono io ad invitarla, non mi piacciono i rimpiazzi, le sostituzioni, se sua sorella non poteva o aveva cambiato idea bastava che mi avvertisse, dopo di che l’avrei salutata amabilmente, magari con inchino e baciamani, e sarei andato via.
Sartre invece fa buon viso a
cattivo gioco ed accetta questo “risarcimento”, quello che è inequivocabilmente
frutto di una concezione borghese e bottegaia dell’amore, ti avevo promesso una
serata con me, ti risarcisco con quello che posso, con qualcosa di pari valore,
e porta Hélène al cinema e in qualche locale.
Si direbbe che Sartre allora
possedesse già la saggezza che ho acquisito io solo ora, perché adesso se mi
succedesse una cosa del genere la prenderei con molta più filosofia di
quand’ero giovane, mi divertirebbe lo scambio e probabilmente sarei ancora più
galante, cercando di regalare alla mia nuova dama una serata indimenticabile,
ma non è proprio così, Poupette al suo rientro si lamentò per quella serata,
sapeva già prima di accettare l’appuntamento quanto Jean-Paul fosse brutto, ma
tutti ne magnificavano il dialogo, la simpatia, l’ironia, la genialità, quella
sera con lei era stato piuttosto spento.
Oggi una cosa del genere non potrebbe più succedere, perché non ci sono più le sorelle di una volta, se tu osassi proporre a tua sorella di andare a qualche appuntamento con un uomo al posto suo, ti manderebbe allegramente a quel paese ... a meno che il tizio non sia Brad Pitt.
Oggi se una donna cambia idea sul suo appuntamento con un uomo o ha nel frattempo trovato di meglio, non lo avvisa neppure, gli da buca semplicemente e lo blocca su wathsapp per evitare di sentire le sue sacrosante proteste, poi, se ancora il tizio le interessa, se nel frattempo non ha concluso o se l'asse del suo interesse non ha ancora deciso da che parte pendere, dopo qualche giorno lo richiama in un'ora di punta, così lo sventurato ha poco da riflettere e poco da replicare, e gli dice: "Non ti ho dato buca. Dico sul serio. Ero ... rimasta senza benzina. Avevo una gomma a terra. Non avevo i soldi per prendere il taxi. La tintoria non mi aveva portato il tailleur. C'era il funerale di mia madre! Era crollata la casa! C'è stato un terremoto!Una tremenda inondazione! Le cavallette! Non è stata colpa mia! Lo giuro su Dio!" ... senza scusarsi.
Questo appuntamento mancato fu l’acme del potere di Herbaud su Simone de Beauvoir, il capolavoro del suo fascino, tutto ciò che gli riuscì di esercitare su di lei, il trionfo della sua potenza, da qui il declino; Simone era sempre più perplessa e persino infastidita riguardo al senso di possessività che lui dimostrava nei suoi confronti, ma alla fine egli aveva presentato la ragazza ai suoi petit camerades e si incontravano tutti e tre per studiare insieme e preparare l’esame di agrégation (un corrispettivo della nostra abilitazione all’insegnamento).
Oggi una cosa del genere non potrebbe più succedere, perché non ci sono più le sorelle di una volta, se tu osassi proporre a tua sorella di andare a qualche appuntamento con un uomo al posto suo, ti manderebbe allegramente a quel paese ... a meno che il tizio non sia Brad Pitt.
Oggi se una donna cambia idea sul suo appuntamento con un uomo o ha nel frattempo trovato di meglio, non lo avvisa neppure, gli da buca semplicemente e lo blocca su wathsapp per evitare di sentire le sue sacrosante proteste, poi, se ancora il tizio le interessa, se nel frattempo non ha concluso o se l'asse del suo interesse non ha ancora deciso da che parte pendere, dopo qualche giorno lo richiama in un'ora di punta, così lo sventurato ha poco da riflettere e poco da replicare, e gli dice: "Non ti ho dato buca. Dico sul serio. Ero ... rimasta senza benzina. Avevo una gomma a terra. Non avevo i soldi per prendere il taxi. La tintoria non mi aveva portato il tailleur. C'era il funerale di mia madre! Era crollata la casa! C'è stato un terremoto!Una tremenda inondazione! Le cavallette! Non è stata colpa mia! Lo giuro su Dio!" ... senza scusarsi.
Questo appuntamento mancato fu l’acme del potere di Herbaud su Simone de Beauvoir, il capolavoro del suo fascino, tutto ciò che gli riuscì di esercitare su di lei, il trionfo della sua potenza, da qui il declino; Simone era sempre più perplessa e persino infastidita riguardo al senso di possessività che lui dimostrava nei suoi confronti, ma alla fine egli aveva presentato la ragazza ai suoi petit camerades e si incontravano tutti e tre per studiare insieme e preparare l’esame di agrégation (un corrispettivo della nostra abilitazione all’insegnamento).
E spesso uscivano insieme anche a
far baldoria, tuttavia non permetteva che ella uscisse da sola con Sartre (o
con chiunque altro), una volta che quest’ultimo la invitò di nuovo, André si
affrettò a dire che quella sera Simone sarebbe uscita con lui, naturalmente non
era vero, naturalmente loro due quella sera uscirono davvero insieme, però
Simone non lo contraddisse, nonostante ne fosse sconcertata (decideva lei con
chi uscire, o no?), e nemmeno Jean-Paul, che aveva capito, fece storie, forse
per non contrariare l’amico, forse perché sembrava cha a Simone stesse bene
così.
E che dire poi delle sue idee
sulle donne, quando le aveva confessato la cotta per suo cugino Jacques, lui le
aveva suggerito di sposarlo, motivando ciò col fatto che se una donna vuole
essere rispettata deve sposarsi, inoltre, mentre un ragazzo che fosse ancora
vergine dopo i 18 anni era un nevrotico, una donna non avrebbe dovuto darsi ad
un uomo se non in legittime nozze, lui non avrebbe potuto certo rispettare una
donna che gli si fosse concessa altrimenti.
Quanto era lontano dal sentire di
Simone questo suo sproloquio sessista, non si ha una donna come Simone de
Beauvoir, non era donna che potesse appartenere a qualcuno come se fosse una
proprietà, in quanto a farsi rispettare, è proprio la donna che si sposa per
essere rispettata che non ha rispetto di sé, Herbaud avrebbe sentito dire molto
presto quanto Simone si facesse rispettare anche senza sposarsi, il suo nome
sarebbe corso con un filo di rispetto, mentre il suo sarebbe stato dimenticato
se la donna non lo avesse citato come amico.
Ma ciò che la distaccava
maggiormente da lui era sentirgli dire che avrebbe scritto libri, voleva essere
celebre, famoso, nominato, rispettato, ma considerava lo scrivere come un mezzo
per ottenere il successo, quanto era diverso da Sartre, che in ogni cosa era
generosissimo, soprattutto di sé, si era prodigato intere giornate a spiegare
loro i passaggi più difficili di autori come Kant, Descartes, Leibniz, Spinoza,
attività che a lui personalmente non serviva a niente, tutto ciò che possedeva
lo condivideva con gli amici ed era animato da una curiosità infinita anche per
le cose più banali, sulle quali faceva considerazioni di straordinario acume, e
quando aveva tratto da quella conoscenza qualcosa che riteneva interessante, lo
condivideva con gli altri disinteressatamente, senza cioè pretendere nulla in
cambio.
All’età di cinquant’anni, nel
pieno della sua maturità di donna e quando il loro rapporto era ormai
pienamente consolidato, Simone de Beauvoir scrive di Sartre: “- Non smette mai
di pensare, - m’aveva detto Herbaud. Ciò non significava che secernesse formule
e teorie a ogni piè sospinto: aborriva la pedanteria. Ma il suo spirito era
sempre all’erta. Ignorava i torpori, le sonnolenze, le evasioni, le tregue, la
prudenza, il rispetto. S’interessava di tutto e non prendeva mai niente per
ammesso. Di fronte ad un oggetto, invece di farlo sparire a beneficio di un
mito, d’una parola, d’un’impressione, d’un’idea preconcetta, lo osservava, e
non lo lasciava prima di averne compreso le attinenze e le risultanze, i sensi
molteplici. Non si domandava ciò che bisognava pensare, ciò che sarebbe stato
originale o intelligente pensare, ma soltanto ciò che lui ne pensava. In tal
modo deludeva gli esteti, avidi di un’eleganza inattaccabile. […]. Eli
interessava sempre la gente che non si spaventava alla novità, poiché, non mirando
all’originalità, sfuggiva ad ogni conformismo. La sua attenzione ostinata,
ingenua, coglieva le cose nella loro profusione, con grande vivezza”. (Memorie, p. 347-348).
Si sentiva sempre più lontana da Herbaud, che in quel periodo era molto assorbito da sue preoccupazioni e dal timore di non aver passato lo scritto dell’esame, e sempre più affine a Sartre, a cui la accomunava un comune sentire, come se ciascuno per la sua via giungessero a conclusioni comuni, anzi, Sartre sembrava sempre essere almeno di un passo davanti a lei, giungeva felinamente come la folgore sempre per primo dove lei sarebbe arrivata con i suoi tempi, la sua metodicità, il suo assiduo lavoro e la sua lentezza, non per niente Herbaud, che aveva notato per primo questo aspetto del suo carattere, l’aveva soprannominata il Castoro (facendo un jeux de mots o calembour fra Beauvoir, che era il suo cognome e Beaver, che vuol dire castoro).
Così come il cugino Jacques era
uscito di scena da sé, anche Herbaud uscì di scena per le circostanze della
vita, ma forse era solo una comparsa che aveva temporaneamente rubato la scena
a qualcun altro, solo perché come Giovanni Battista lo preannunciava; André
Herbaud non superò l’esame dell’agrégation,
come presagiva da tempo, e si ritirò a Bagnoles-de-l’Orne, il paese natale
della moglie, senza salutare nessuno, una settimana dopo, venuto a Parigi a
ritirare le sue cose, salutò tutti e ci tenne in particolar modo a salutare
Simone.
La portò al Balzar – Cosa prendete? – le chiese – Ai tempi miei prendevate una
limonata. – Sono sempre i tempi vostri – disse lei, con poca convinzione. Lui
sorrise – È
quello che volevo sentirvi dire! – Entrambi sapevano di aver mentito.
Sartre … dunque! Si sentiva
sempre più attratta da lui, quando stavano insieme avrebbe voluto trattenere il
tempo con le sue mani, per ritardare il momento del distacco, e quando era
lontana non vedeva l’ora di incontrarlo; ma fin qui siamo ancora in fase di
infatuazione, aveva provato già la stessa cosa con Herbaud, solo che stavolta era
più intensa, più forte, più coinvolgente, un artiglio che l’afferrava per le
viscere e lei se ne sentiva catturata.
Non era solo un uomo
dall’intelligenza geniale, era anche divertente, molto più di tanti che aveva
conosciuti, aveva una bella voce, sapeva cantare e recitare (proprio come suo
padre Georges), memorabile fu la sua interpretazione di Charlie Chaplin che canta Je
cherche après Titine nel film Tempi
moderni, quel suo buffo medley di
linguaggio pseudo-francese e italiano, che Simone ricorda ad orecchio, ma il
cui testo originale e completo è questo:
Se bella giu satore
Je notre so cafore
Je notre si cavore
Je la tu la ti la
twah.
La spinash o la
bouchon
Cigaretto portobello
Si rakish spaghaletto
Ti la tu la ti la
twah.
Senora pilasina
Voulez vous le
taximeter?
Le zionta su la seata
Tu la tu la tu la wa.
Sa montia si n'amora
La sontia sogravora
La zontcha con sora
Je la possa ti la
twah.
Je notre so lamina
Je notre so cosina
Je le se tro savita
Je la tossa vi la
twah.
Se motra so la sonta
Chi vossa l'otra
volta
Li Zoscha si catota
Tra la la la la la
la.
Non si trattava solo di Sartre,
un’intera generazione di artisti, di letterati, di filosofi, di poeti francesi
erano folli, e contagiavano chiunque toccassero, chiunque venisse a stabilirsi
a Parigi, come spiegare altrimenti fenomeni come il surrealismo, il dadaismo e
l’esistenzialismo francese, come spiegare che l’arte, la pittura, la
letteratura, la poesia e la filosofia permeavano le coscienze comuni, si riversavano
nella vita di ciascuno, erano accessibili a tutti, magari non nei concetti, ma
nei criteri a cui si ispiravano, come sguardo sul mondo e senso da dare alla
propria vita.
Come spiegare altrimenti, se non
attraverso la follia che un gruppo ben nutrito di persone, alcune legate fra
loro da saldi sentimenti di amore e di amicizia, altre che si conoscevano
appena e altre ancora che si conoscevano di nome ma si incontravano li per la
prima volta, il 19 marzo del 1944, nel giorno che precedette l’equinozio di primavera,
nel pieno della guerra con Parigi occupata dai nazisti, senza luce elettrica, e
con una difficoltà estrema a procurarsi i beni di consumo di prima necessità, si
incontrarono a casa di Leiris, alla luce delle candele, condividendo qualche
bottiglia di vino e di cognac, per interpretare Le Désir attrapé par la queur (Il
desiderio afferrato per la coda), una commedia scritta da Picasso nel 1941.
Picasso in questa sua prima e
ultima opera letteraria si faceva beffe ironicamente delle privazioni a cui la
guerra e l’occupazione tedesca li obbligava, Camus condusse il gioco, battendo
sul pavimento con un bastone per annunciare i cambiamenti di scena, Leiris
interpretò il ruolo di Gros Pied (Piedone) e Sartre quello di Bout Rond (Punta
Rotonda),la De Beauvoir interpretò la Cousine (Sua Cugina). Dora Maar, la
compagna di Picasso, era l’Angoisse Grasse (l’Angoscia Grassa) e la moglie del
poeta Hugnet l’Angoisse Maigre (l’Angoscia Magra). Zanie Campan, giovane
attrice sposata con l’editore Jean Aubier, incarnava La Tarte (La Torta). Tra
quelli che guardavano e applaudivano c’erano Georges Bataille, Lucien ed Armand
Salacrou, Georges Limbour, Sylvia Bataille, Jacques Lacan, Jean-Louis Barrault,
Braque e tutta la famiglia sartriana. Due giorni dopo questa rappresentazione,
Brassaï
fece tornare da Leiris i principali testimoni e attori della festa per
immortalarli con la sua macchina fotografica. Gli amici più stretti banchettarono
sino all’alba. Mouloudji cantò “Les Petits Pavés” e Sartre “Les papillons de
nuit” e “J’ai vendu mon âme au diable”.
In seguito a questa notte le
frequentazioni fra i partecipanti si infittiscono, si ritrovano nei caffè con
le vetrate ancora oscurate da pesanti tendaggi blu, per sfuggire ai
bombardamenti tedeschi prima dell’invasione, pranzano e cenano insieme, a
gruppi più o meno numerosi, ma hanno anche tanta voglia di replicare quella
notte clandestina, ed iniziano ad organizzare ora a casa dell’uno, ora dell’altro,
quelle che Leiris chiamerà fiestas.
La De Beauvoir scrive: “…Parigi era
un vasto Stalag [campo di concentramento nazista]. Noi avevamo scongiurato
questa dispersione, e se non avevamo infranto la regola, per lo meno l’avevamo
elusa; bere e parlare insieme, nel cuore delle tenebre, era un piacere così
furtivo che ci sembrava illecito; aveva il fascino delle felicità clandestine”.
(L’età forte, p. 497).
Ve lo immaginate il più grande
filosofo del ‘900 che fa il pagliaccio, canta in farsetto e spinge il piedino
all’indietro spostando così tutto il corpo, come un ballerino di break dance? Ve
lo immaginate cantare, danzare e recitare? Riuscite ad immaginare i più grandi
artisti, letterati e filosofi del tempo, quelli che stanno ritessendo la trama
della cultura, interrotta dalla guerra, spezzata da Auschwitz e da Dachau,
frammentata e dispersa a Hiroshima e Nagasaki, quelli che ci restituiranno la
dignità di essere uomini e di guardarci ancora in faccia con un po’ di rispetto
e con qualche speranza, folleggiare fra loro in piena guerra e in piena
occupazione, quando gli esiti sono incerti e i destini di ciascuno
imperscrutabili? “I beni più grandi ci vengono dalla follia …” (Platone, Fedro,
244d), e come folli tutti costoro banchettavano: “tra saggezza e ignoranza…tra
il mortale e l’immortale … tra uomini e dèi …” (Platone, Simposio, 202°, 202d).
Dov’è finita adesso tutta quella loro divina follia?
Heidegger non l’avrebbe mai
fatto, ogni volta che guardo una foto di Heidegger non posso fare a meno di
pensare che sua moglie o la sua governante esagerassero con l’amido sui
colletti delle camicie, anche Freud era un uomo serio, non che non ridesse ma
rideva come secondo Umberto Eco
ridono i tedeschi: uno fa una battuta, e tutti ridono fragorosamente, era un
uomo che non amava affatto la musica, nemmeno quella roboante e impetuosa di
Wagner … ma che è musica quella? Ogni volta che la ascolto mi viene voglia di
invadere la Polonia. Conoscono la dolcezza, la malinconia, gli stati
crepuscolari, la maestosità dell’essere e li esprimono nella musica e nelle
arti: Beethoven, Bach, Brahms, Strauss, Schuman, Mendellsohn, Pachelbel, …, ma
la lievità, la leggerezza, che ne sanno i germanici di leggerezza? Persino
Mozart, che compose sinfonie, opere, concerti per strumento solista, musica da
camera (fra cui quartetti e quintetti d'archi) e sonate per pianoforte, marce,
danze, divertissement, serenate e
cassazioni, struttura le sue opere secondo la tradizione classica, in cui
nessuna nota è fuori posto e il ritmo della composizione può essere scandito da
un metronomo.
Solo gli italiani e i francesi in
Europa e nel mondo occidentale conoscono davvero la légèreté, che non è una dieta o una marca di maionese, ma la
grazia, la soavità, la lievità di vivere sulla sofficità di una nuvola, di
prendersi cura di sé, di viziarsi, di trattarsi bene, di cercare il meglio per
noi e per le persone che ci stanno vicine, la conosciamo perché l’abbiamo
inventata noi, gli altri ce la invidiano, tentano di imitarci, ma con pessimi
risultati.
Se il mondo fosse governato dai
tedeschi ... e ci siamo andati molto vicini...bastava che all’atomica ci
arrivassero loro per primi ... e ci sono andati vicini ... perché la prima fissione nucleare fu operata nel dicembre 1938, da Otto Hahn e dal suo assistente Fritz Strassmann che bombardarono un campione di uranio con una pioggia di neutroni, ottenendo atomi di bario e di kripton come risultato di questo bombardamento; perché molti degli scienziati che costituirono il Progetto Manhattan erano
tedeschi e italiani, i tedeschi capitanati da Werner Karl Heisenberg non fecero
in tempo a realizzare la bomba.
Se comandassero i tedeschi i treni arriverebbero in orario, le macchine sarebbero affidabili e potenti, l’economia mondiale sarebbe una meraviglia, ovunque regnerebbe l’ordine e l’organizzazione, ma senza quella spensieratezza tipica di noi latini, senza troppo gusto estetico, senza senso del bello, senza quella viglia di godersi la vita.
Se comandassero i tedeschi i treni arriverebbero in orario, le macchine sarebbero affidabili e potenti, l’economia mondiale sarebbe una meraviglia, ovunque regnerebbe l’ordine e l’organizzazione, ma senza quella spensieratezza tipica di noi latini, senza troppo gusto estetico, senza senso del bello, senza quella viglia di godersi la vita.
I tedeschi sono sistematici anche
nella follia, i loro deliri sono organizzati come quelli di un paranoico, e
infatti il tedesco tende alla paranoia, Hitler era paranoico, Heidegger aveva
un carattere paranoico, due guerre mondiali sono state fatte per la paranoia
che affligge i tedeschi; mentre i francesi tendono di più al narcisismo e noi
italiani all’esibizionismo e all’isteria.
Noi siamo completamente senza
metodo, solo un tedesco potrebbe scrivere le tre Critiche di Kant, un Kant che
fra l’altro era assai abitudinario, era inflessibile nell’orario dei pasti, in
quello della sveglia e del sonno, con qualsiasi tempo alla stessa ora (pure in
caso di guerra) faceva la stessa passeggiata per le vie di Königsberg; mettetevi in mano la Fenomenologia dello spirito di Hegel e
capirete di cosa sto parlando, ma anche Il
capitale di Marx potrebbe darvene un’eccellente idea, e se mettessimo a
confronto le due più grandi opere di filosofia del ‘900, Essere e tempo di Heidegger e L’essere
e il nulla di Sartre, capireste all’istante la differenza, da un lato la
tela di un ragno, geometrica e razionale, sembra scritta col bisturi o con una
goccia di cristallo, dall’altro un’opera impressionista, un acquerello
multicolore, un Matisse o un Van Gogh.
Capita spesso in alcuni incontri
di lavoro internazionali di fare qualche confronto fra le varie culture, una
volta chiesi una pausa di quindici minuti mentre stavo parlando perché avevo
voglia di un caffè, con noi c’erano colleghi spagnoli, portoghesi, francesi,
svizzeri, austriaci, ungheresi, svedesi, danesi, finlandesi, statunitensi,
sudamericani e, naturalmente, tedeschi, visto che i padroni di casa erano di
Monaco di Baviera, il mio collega patron
della kermesse mi domandò con ironia:
“Quindici minuti italiani o quindici minuti tedeschi?”, e rise fragorosamente
insieme a tutti i tedeschi presenti … ovviamente sto scherzando, non avrete
mica preso sul serio tutta questa accozzaglia di luoghi comuni, di sordidi
cliché, di ammuffiti pregiudizi?