domenica 8 marzo 2020

DONNE CH'AVETE INTELLETTO D'AMORE




Rupert Bunny, Pastoral.

Santa Rosa di Viterbo, dettaglio dipinto Tondo della Vergine col Bambino tra due Sante e due Angeli, del Perugino e di Andrea d'Assisi.



Photographer above the skies of Berlin, 1912

Maxim Sayapin



"Donne ch’avete intelletto d’amore,
i’ vo’ con voi de la mia donna dire,
non perch’io creda sua laude finire,
ma ragionar per isfogar la mente.
Io dico che pensando il suo valore,
Amor sì dolce mi si fa sentire,
che s’io allora non perdessi ardire,
farei parlando innamorar la gente".
(Dante Alighieri, Rime della Vita Nova, XIV, 1-8).




Apollonio Di Giovanni, Novella di Griselda, Decameron X, X.


The Woods, by Econita




"Umana cosa è l’avere compassione degli afflitti, e come che a ciascuna persona stea bene, a coloro è massimamente richesto li quali giá hanno di conforto avuto mestiere ed hannol trovato in alcuni; tra li quali, se alcuno mai n’ebbe bisogno o gli fu caro o giá ne ricevette piacere, io sono un di quegli. Per ciò che, dalla mia prima giovanezza infino a questo tempo oltre modo essendo stato acceso d’altissimo e nobile amore, forse piú assai che alla mia bassa condizione non parrebbe, narrandolo io, si richiedesse, quantunque appo coloro che discreti erano ed alla cui notizia pervenne io ne fossi lodato e da molto piú reputato, nondimeno mi fu egli di grandissima fatica a sofferire: certo non per crudeltá della donna amata, ma per soperchio fuoco nella mente concetto da poco regolato appetito, il quale, per ciò che a niun convenevole termine mi lasciava contento stare, piú di noia che bisogno non m’era spesse volte sentir mi facea. Nella qual noia tanto refrigerio giá mi porsero i piacevoli ragionamenti d’alcuno amico e le sue laudevoli consolazioni, che io porto fermissima oppinione, per quello essere addivenuto che io non sia morto. Ma sí come a Colui piacque il quale, essendo egli infinito, diede per legge incommutabile a tutte le cose mondane aver fine, il mio amore, oltre ad ogni altro fervente ed il quale niuna forza di proponimento o di consiglio o di vergogna evidente, o pericolo che seguirne potesse, aveva potuto né rompere né piegare, per se medesimo in processo di tempo si diminuí in guisa, che sol di sé nella mente m’ha al presente lasciato quel piacere che egli è usato di porgere a chi troppo non si mette ne’ suoi piú cupi pelaghi navigando; per che, dove faticoso esser solea, ogni affanno togliendo via, dilettevole il sento esser rimaso. Ma quantunque cessata sia la pena, non per ciò è la memoria fuggita de’ benefici giá ricevuti, datimi da coloro a’ quali per benivolenza da loro a me portata erano gravi le mie fatiche; né passerá mai, sí come io credo, se non per morte. E per ciò che la gratitudine, secondo che io credo, tra l’altre vertú è sommamente da commendare ed il contrario da biasimare, per non parere ingrato, ho meco stesso proposto di volere, in quel poco che per me si può, in cambio di ciò che io ricevetti, ora che libero dirmi posso, e se non a coloro che me aiutarono, alli quali per avventura per lo lor senno o per la loro buona ventura non abbisogna, a quegli almeno a’ quali fa luogo, alcuno alleggiamento prestare. E quantunque il mio sostenimento, o conforto che vogliam dire, possa essere e sia a’ bisognosi assai poco, nondimeno parmi, quello doversi piú tosto porgere dove il bisogno apparisce maggiore, sí perché piú utilitá vi fará e sí ancora perché piú vi fia caro avuto. E chi negherá, questo, quantunque egli si sia, non molto piú alle vaghe donne che agli uomini convenirsi donare? Esse dentro a’ dilicati petti, temendo e vergognando, tengono l’amorose fiamme nascose, le quali quanto piú di forza abbian che le palesi, coloro il sanno che l’hanno provato e pruovano: ed oltre a ciò, ristrette da’ voleri, da’ piaceri, da’ comandamenti de’ padri, delle madri, de’ fratelli e de’ mariti, il piú del tempo nel piccolo circúito delle loro camere racchiuse dimorano, e quasi oziose sedendosi, volendo e non volendo in una medesima ora, seco rivolgono diversi pensieri, li quali non è possibile che sempre sieno allegri. E se per quegli, mossa da focoso disio, alcuna malinconia sopravviene nelle lor menti, in quelle conviene che con grave noia si dimori, se da nuovi ragionamenti non è rimossa: senza che, elle sono molto men forti che gli uomini a sostenere; il che degl’innamorati uomini non avviene, sí come noi possiamo apertamente vedere. Essi, se alcuna malinconia o gravezza di pensieri gli affligge, hanno molti modi da alleggiare o da passar quello, per ciò che a loro, volendo essi, non manca l’andare [p. 5 modifica]attorno, udire e veder molte cose, uccellare, cacciare o pescare, cavalcare, giucare e mercatare, de’ quali modi ciascuno ha forza di trarre, o in tutto o in parte, l’animo a sé e dal noioso pensiero rimuoverlo almeno per alcuno spazio di tempo, appresso il quale, o in un modo o in uno altro, o consolazion sopravviene o diventa la noia minore. Adunque, acciò che per me in parte s’ammendi il peccato della fortuna, la quale dove meno era di forza, sí come noi nelle dilicate donne veggiamo, quivi piú avara fu di sostegno; in soccorso e rifugio di quelle che amano, per ciò che all’altre è assai l’ago, il fuso e l’arcolaio; io intendo di raccontare cento novelle, o favole o parabole o istorie che dire le vogliamo, raccontate in diece giorni da una onesta brigata di sette donne e di tre giovani nel pistilenzioso tempo della passata mortalitá fatta, ed alcune canzonette dalle predette donne cantate al lor diletto. Nelle quali novelle, piacevoli ed aspri casi d’amore ed altri fortunosi avvenimenti si vedranno cosí ne’ moderni tempi avvenuti come negli antichi; delle quali le giá dette donne che quelle leggeranno, parimente diletto delle sollazzevoli cose in quelle mostrate ed utile consiglio potranno pigliare, e conoscere quello che sia da fuggire e che sia similmente da seguitare: le quali cose senza passamento di noia non credo che possano intervenire. Il che se avviene, che voglia Iddio che cosí sia, ad Amore ne rendano grazie, il quale liberandomi da’ suoi legami m’ha conceduto di potere attendere a’ loro piaceri".
(Giovanni Boccaccio, Decameron, Proemio).




7 commenti:

  1. Non ricordavo le parole di Dante Alighieri dalla Vita Nova e l'estratto dal Decameron del Boccaccio mi ha fatto fare una ripassata su letture giovanili di tipo scolastico (ma erano quelle letture pesanti e un po' noiose, diverse da quando leggi in età adulta). Per me 8 marzo è tutto l'anno, e non è il solito modo di dire. Nella metà degli anni '70 ho avuto tante amiche femministe che a me e ad altri nostri amici di quegli anni sono riuscite (come dire) ad "educarci" sui diritti delle donne (i miei genitori non mi hanno mai insegnato niente sulle donne, ma non ne ho mai fatto un problema ad entrambi. Tutto quello che so sulle donne sono le donne stesse ad avermelo insegnato). Poi negli anni '80 e '90 ho collaborato spesso e volentieri con donne importanti, e alcune di queste donne mi hanno anche insegnato un lavoro. Via via sino ad oggi, ho sempre avuto stima e rispetto per molte donne che ho conosciuto, inclusa la mia attuale compagna...

    ...insomma, negli anni sono stati fatti tanti passi in avanti ma vista la situazione (la definirei tristemente una "mattanza" prettamente italiana, cose che non leggo che avvengono così tanto e allo stesso modo all'estero) c'è da fare molto di più. Ciò che è stato creato in passato (leggi a favore delle donne e altro) non è bastato, non è sufficiente. A mio modesto parere bisogna iniziare sin dalla famiglia, cioè sin da bambini insegnando il concetto del rispetto dell'altro. Io direi "difendere la posizione", difendere e migliorare ciò che è stato fatto. E l'esempio deve partire innanzitutto dall'alto...

    Mi è molto piaciuta la foto della bimba con la maglietta con scritto peace love rock and roll e il famoso brano di Battiato che hai postato
    Un salutone

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    1. Il rispetto per l’altro, e per le donne in particolare, l’ho imparato nella mia famiglia, avendo come modelli mia madre e mio padre; la prima era una donna che, pur rispettando il ruolo sociale che la cultura del suo tempo le assegnava, si è sempre fatta rispettare al di fuori e all’interno della sua famiglia, sia dal marito che dai suoi tre figli maschi, mentre mio padre è stato per me un modello di rispetto verso l’altro a prescindere, solo perché esiste, uno che ha mantenuto questo rispetto anche in condizioni molto difficili e che ho visto pochissime volte oltrepassare questo confine con persone e in situazioni che ti pongono dei seri dubbi circa il fatto che chiunque e in qualsiasi situazione sia da rispettare.
      La vita, poi, ha affinato e perfezionato in molti casi il mio rispetto per l’altro, e per me che sono maschio non c’è più “altro” che una donna da cui mi separa una cesura di fondo che fa si che per quanto mi sforzi non la riuscirò mai a comprendere fino in fondo, e per cui spesso mi rimane la sospensione del giudizio (inteso in senso lato) e l’accettazione di lei così com’è, oppure l’interruzione del rapporto qualora mi senta particolarmente estraneo a lei ed irritato con lei.
      Il femminicidio (la “mattanza”, come la chiami tu) è un fenomeno in aumento esponenziale e credo sia destinato ad aumentare ancora se non riusciamo a comprenderne le cause profonde e il profondo disagio da cui deriva, se non smettiamo di approcciarci ad ogni fenomeno violento attraverso le categorie morali della riprovazione univoca, e della distinzione dei ruoli in “vittima” e “carnefice”: un femminicidio non è un atto di violenza estremo che un uomo compie su una donna, ma qualcosa che avviene in una coppia, fra due persone, ed avviene per motivi inerenti soprattutto alla relazione che costituisce quella coppia, prima che per motivi personali dei singoli.
      La foto della bambina è piaciuta molto anche a me.
      Ciao

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  2. Applauso a questo post per la Giornata Internazionale della Donna.
    Concordo con le preferenze di @accadebis.
    La prima lotta di emancipazione umana è quella contro il patriarcato.

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    1. Grazie per l’applauso, ma in questo caso non ho fatto altro che assemblare cose: brani, immagini e musica altrui (nella maggior parte dei casi). Il patriarcato come forma di organizzazione della società e come ideologia è definitivamente sconfitto ovunque, ma proprio per questo è molto più pericoloso di prima. Patriarcale era l’organizzazione societaria derivata dall’adozione dell’agricoltura come forma quasi esclusiva di economia e di sostentamento; mentre i cacciatori raccoglitori avevano con molta probabilità un’organizzazione interna in cui non esisteva alcuna subordinazione fra i sessi, perché nella raccolta e nella caccia di animali di piccola taglia (la caccia ai mammuth è più leggenda che realtà) una donna poteva valere quanto un uomo e la capacità di tenere insieme e unito un gruppo (e per questo bisogna avere capacità relazionali e una sensibilità nel comprendere ciò che agita l’animo umano proprio e altrui) era sicuramente più importante della forza bruta.
      I nuovi agricoltori dovevano dissodare la terra con la forza muscolare e il lavoro dei campi era certamente molto più duro e faticoso che cacciare e raccogliere frutti spontanei, per cui la struttura fisica e muscolare dell’uomo faceva la differenza, un figlio maschio era più importante di una figlia femmina, perché rappresentava una possibilità maggiore di sopravvivenza e la capacità di creare eccedenze di cibo per i momenti di carestia (inevitabili in una economia che dipende esclusivamente dalla variabilità dei fenomeni atmosferici).
      Oggi che l’agricoltura è profondamente modificata e che non è più l’economia esclusiva della nostra società, l’organizzazione patriarcale ha perso ogni suo senso ed è in crisi ovunque, perché ovunque la new economy si sta diffondendo, e al seme, all’aratro, alla falce, alla vanga e alla spiga, si sono sostituiti l’hamburger e la coca cola, che sembrano sorti dal nulla, da nessun campo arato e da nessun animale allevato (difficile immaginare il grano a partire da quel panino molliccio che McDonald ti mette in mano e difficile immaginare un manzo da quel grumo scuro e insapore di un hamburger che ci trovi dentro).
      Ma il patriarcato ha creato delle strutture sociali che vivono su posizioni di rendita, pensa alle religioni monoteiste dove al vertice sta sempre e comunque un dio maschio, vecchio e saggio, onnipotente e padrone assoluto della nostra vita e di tutti i suoi ambiti esistenziali dalla nascita alla morte e, naturalmente, al rapporto fra le persone, fra i sessi e delle nostra vita affettiva.
      (segue)

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    2. Pensa alle caste che trasmettono di padre in figlio condizioni di vita privilegiate, in cui sono gli altri a tirare l’aratro e a fare tutto ciò che non vogliono fare, in cui si accumulano gran parte delle risorse e ci si arroga il potere di distribuirle secondo il proprio arbitrio o delle leggi che essi hanno istituito, oppure di decretare chi non ha diritto ad alcuna risorsa, impedendogli l’accesso o attraverso l’uso dell’indifferenza, del respingimento, della banalizzazione e minimizzazione del disagio altrui.
      La crisi del patriarcato ha creato rigurgiti di fenomeni patriarcali molto più integralisti e intrisi di bieco fanatismo rispetto a prima, c’è in atto una radicalizzazione molto più potente di prima da parte di chi teme di perdere il proprio potere acquisito, che fa leva sull’angoscia che crea l’epifenomeno della morte del patriarcato, che è la perdita della propria identità.
      Se non appartengo più al popolo eletto, a quello a cui Dio ha dato la vera fede, se non faccio parte della “parte giusta del mondo”, se non sono “maschio” come la mia religione mi ha insegnato fin dal catechismo, come mia madre mi ha fatto credere perché in possesso di quel “piccolo scettro” che fa la differenza fra me e una donna anche come posizione sociale, posizione mia nel mondo, come senso della vita, come tutte le persone e tutti gli ambienti che ho frequentato mi hanno confermato, allora chi o cosa sono?
      Di fronte ad una donna che mina tutto ciò che ha costituito la mia identità maschile fin dall’inizio, di fronte al femminismo la cui rivendicazione dei diritti della donna minaccia il ruolo che credo di avere nel mondo e il potere che dovrei esercitare per sentirmi a mio agio in questa società, si risveglia il cameratismo maschile, le battute sessiste, l’esercizio della coercizione atta a rimettere le donne al loro posto “naturale”, si rispolvera il concetto di “natura” (se non bastano i principi religiosi) che dovrebbe far comprendere alla donna il proprio ruolo e, nei casi più estremi, si ricorre alla violenza, persino a quella estrema.
      Dobbiamo rifondare i rapporti fra donna e uomo, fra esseri umani, fra umani ed animali, fra uomo e natura, uomo e mondo su altre basi di quelle del defunto patriarcato, ma che ancora stentano a venire e per cui ogni rivendicazione dei propri diritti da parte di qualcuno è vista da qualcun altro come limitazione dei propri diritti e una minaccia per la propria identità.
      Ciao

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  3. Non volermene se del tuo post leggo e apprezzo solo il significato poetico. Sono antifemminista e questo 8 marzo da qualche tempo mi infastidisce per l'ipocrisia e la superficialità che molto spesso lo connota. Essere donna non vuol dire fare la guerra all'uomo..
    Ciao

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    1. Come potrei volertene solo perché esprimi le tue idee, e in considerazione anche del fatto che questo blog è nato soprattutto per dialogare, per avere uno scambio con persone che la pensano diversamente da me, e non solo per trovare conferme a ciò che io penso.
      Credo anch’io che spesso molte celebrazioni (inclusa questa della Celebrazione della Giornata Mondiale della Donna) siano spesso intrise di ipocrisia e di superficialità; sono d’accordo con te quando dici che essere donna non vuol dire far la guerra all’uomo, come il versante più deleterio del femminismo ha inteso rivendicare i propri sacrosanti diritti.
      Anzi, non ha senso alcuno che la donna cerchi di essere “uomo”, almeno secondo ciò che superficialmente viene inteso come tale, secondo cioè i suoi simboli esterni e i ruoli ricoperti che la nostra società ne faceva appannaggio esclusivamente maschile; non ho pregiudizi di fondo riguardo ad esempio ad una donna che voglia fare il soldato, mi chiedo però se vuole fare il soldato soltanto perché un’arma in mano la fa sentire più potente e perché occupa un posto che ritiene di prestigio che prima era destinato solo al maschio, o perché è questo un suo desiderio profondo che coinvolge un senso personale e collettivo di difesa e di ripristino della giustizia nel mondo.
      Nel caso di fare il soldato, mi chiedo anche per un uomo quale motivo lo spinge ad abbracciare le armi e con esse anche la possibilità di ferire, di uccidere e di essere feriti e morire; ci sono sempre motivi profondi per ciò che facciamo, e ciò che facciamo si lega inevitabilmente a ciò che siamo e a ciò che crediamo di essere: solo che talvolta il nostro fare rispecchia il nostro essere profondo (anche se raramente) e talaltra invece lo nega e lo nasconde, è un ripiego, una rivalsa, un meccanismo inconscio in cui la difesa (la paura) ha un ruolo maggiora del desiderio e per cui la difesa è un baluardo contro il desiderio e quindi contro noi stessi.
      In un altro senso, invece, sono convinto che la guerra fra uomo e donna (ma anche fra un individuo e l’altro) è inevitabile, il rapporto stesso fra me e l’altro si struttura come una dialettica, se l’altro non fosse per me un problema, un ostacolo, un mistero, non avverrebbe alcuna comprensione, non si instaurerebbe alcun vero rapporto reale fra me e lui: l’amore, in particolare, è auspicabile (almeno per come la penso io) che sia una dolce guerra, dove anche un certo livello di aggressività reciproca trovi fondamento e venga elaborata dalla coppia secondo modalità giocose e creative che inventeranno di volta in volta nel loro percorso di vita insieme.
      Ciao

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