venerdì 13 marzo 2020

C’È IL COVONA VIVUS


















«E come potevamo noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull'erba dura di ghiaccio, al lamento
d'agnello dei fanciulli, all'urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento».
(Salvatore Quasimodo, Alle fronde dei salici, in Giorno dopo giorno, 1945).












Ogni fenomeno, ogni cosa che  accade, nell’era del virtualismo e del sovranismo, o nell’era del virtualismo sovrano, deve avere un tempo e un luogo (d'altronde lo dice anche Kant sono intuizioni pure a priori, creazioni pure della sensibilità, che fonda spazialmente e temporalmente l'esperienza, presupposti senza i quali non riusciremmo neanche a pensare), e questo serve ad ancorare qualunque evento alla realtà, visto che noi stessi non lo siamo e che guardiamo il mondo fondamentalmente attraverso uno schermo e ci entriamo in contatto sempre più raramente.
Un luogo allora è necessario, anzi è imprescindibile, qualora non ce ne fosse uno ben individuabile, semplicemente lo creiamo, come ad esempio nel caso attuale del corona virus, un virus non ha un luogo, può essere in ogni luogo, entra indisturbato ovunque, è difficile arginarlo e non ha confini, ma per poterlo pensare, per credere che sia qualcosa di reale, dobbiamo poterlo collocare da qualche parte, a questo pensano i media: reiterando un nome più volte si crea un luogo, inviando immagini si mettono contenuti visivi in questo luogo, ecco che in pochi passaggi abbiamo la cornice per il nostro evento: Wuhan per la Cina e Codogno per l’Italia (che ha dovuto competere con Vo Euganeo per qualche giorno, ma alla fine l’ha spuntata lui ... a proposito, per chi non lo sapesse vo in veneto è il presente indicativo del verbo andare: mi vo, ti ve, i va, ok se te ga capì, mi vo vanti!) … paesi di cui in precedenza sapevamo a malapena che esistessero ora sono diventai più importanti di Roma e di Milano, più centrali di New York, più discussi di Mosca, individui sciapi, incolori, senza alcuna qualità, diventano improvvisamente delle celebrità solo perché ci abitano, solo perché stanno vivendo quell’avventura “straordinaria” del corona virus, come se fossero gli unici al mondo.
Improvvisamente tutto ciò che dicono, ciò che fanno, come vivono, quello che pensano, sono interessanti, la popolarità delle loro pagine social schizza alle stelle, anche se postano la foto del loro gattino, la loro opinione sul virus vale più di quella dell’organizzazione Mondiale della Sanità.
Il tempo poi, pur essendo altrettanto importante è piuttosto monotono: è sempre l’indicativo presente “io sono” qui e ora, non esiste altro temo nel mondo del sovranismo virtuale o del virtualismo sovrano, non esiste alcun passato, già ciò che ho detto o fatto ieri o anche solo stamattina non esiste più, non me ne curo affatto, non me ne prendo più la responsabilità, non mi appartiene più, non mi imbarazza che qualcuno me lo ricordi per farmi notare come ciò che dico e che faccio ora sia in contraddizione anche netta con ciò che ho detto e fatto ieri: solo così possiamo spiegarci le contraddizioni dei politici sovranisti di oggi riguardo alle loro dichiarazioni sul corona virus (è tutto sotto controllo – il governo è incapace di gestire la crisi; abbiamo il miglior sistema sanitario del mondo – se continua così non ci saranno più posti in rianimazione; l’Italia è una grande nazione e gli italiano un popolo responsabile – siamo una manica di cretini, chi festeggia, chi scappa al sud assaltando i treni, chi organizza aperi-virus, chi brinda alla vittoria elettorale insieme ai suoi supporter, chi vuole andare allo stadio; l’economia deve continuare, non possiamo fermare il Paese – chiudiamo fabbriche, scuole, uffici, chiese, negozi; apriamo i porti, gli aeroporti, le stazioni, benvenuti turisti – chiudiamoci in casa).
Poi, come nei peggiori film, c’è la divisione netta fra buoni e cattivi, fra intelligenti e deficienti, fra noi e loro, perché un virus fa sempre paura, un virus non si può combattere, non si può neanche vedere, ti entra dentro come Diabolik e dopo puoi sperare che il tuo organismo riesca a sconfiggerlo, soprattutto questo Covid – 19 che ci è sconosciuto e per cui non possediamo anticorpi, e c’è anche da sperare che non faccia troppi danni al nostro organismo durante il suo passaggio, e poter rappresentarci di fronte qualcuno che sia bastardo come il virus che ci minaccia e contro cui possiamo sfogare la nostra rabbia e la nostra impotenza è importante: ne sanno qualcosa tutti coloro che furono accusati di essere degli untori della peste nel non lontano passato, o tutti coloro che sono stati linciati, impiccati o bruciati vivi solo perché serviva un capro espiatorio su cui sfogarsi.


















Nello stesso tempo e con la stessa energia, si creano gli eroi, si mitizza qualcuno da contrapporre alla schiera dei bastardi, perché altrimenti il mondo sarebbe un inferno, alle torme di scellerati che incuranti di divulgare il virus anche al sud Italia, ai loro stessi parenti, sciamavano per la stazione di Milano in un vero e proprio assalto al treno, con la tuta addosso come se fino a pochi istanti prima erano distesi sul divano a guardare i tg, con una scarpa e una botta, con i calzini spaiati e la valigia fatta velocemente ruzzolandovi dentro qualsiasi cosa senza fermarsi a scegliere, si creano gli angeli della solidarietà e quelli della sanità.
I primi, perlopiù giovani, alcuni persino appartenenti ai centri sociali (e nemmeno uno di Casa Pound o della Lega … aiutiamoli a casa loro, poi anche nel caso di italiani, di veneti e di lombardi persino, gli impavidi camerati fascio-leghisti si sono dissolti nel nulla, persino i loro leader sembrano scomparsi, qualcuno si chiede se siano mai esistiti: Berlusconi (o almeno il suo ectoplasma) è ospite con la sua nuova fidanzata-badante nella villa a Cannes della figlia Marina, di Salvini dopo essere stato in una baita in Trentino a mangiare taglieri di prosciutti e di formaggi, ad abbracciare soppresse e provoloni  e a baciare salami ... è facile baciare salamelle emiliane, cioccolata umbra e pecorini sardi ... vieni a baciare fichi d'india in Sicilia ..., unico caso al mondo di un salame che bacia un altro salame, dopo essere stato a Londra, si sa, il corona virus rispetta i paesi dove a governare c’è un’altra testa coronata, sarà rinchiuso nel suo buncker, come il führerbunker di Hitler a Berlino, lui da tempo si è fatto costruire un capitanobunker a Milano Magnate, e nemmeno la Meloni è rintracciabile, ma nel suo caso si sa che il tempo dei Meloni è in estate, in quella stagione danno il meglio di sé) si offrono di far la spesa, comprare medicine, portare a spasso il cane e di svolgere svariate incombenze quotidiane per persone anziane, disabili o malati.
Nel secondo caso ci sono medici, infermieri, personale sanitario, che sono sottoposti a turni massacranti, visto l’afflusso di malati negli ospedali, contagiati o sospettati di contagio o soltanto di gente spaventata che chiede informazioni e cerca conforto, che vanno ad aggravare una situazione già precaria per cui i vari tagli alla sanità, effettuati da tutti i governi, di qualsiasi colore negli ultimi 25 anni, hanno ridotto all’osso il personale e reso obsoleti molti macchinari, non a caso i nostri politici, persino quelli sovranisti, in caso di bisogno vanno a farsi curare all’estero o si fanno ricoverare in cliniche di eccellenza dove tengono parecchi amici e che non sono aperte a tutti, pur essendo in gran parte sovvenzionate con fondi pubblici.
Così abbiamo assistito a striscioni di incoraggiamento e  di ringraziamento fuori da alcuni ospedali nelle città in prima linea per la lotta al contagio, abbiamo visionato tutti i video e le immagini apparsi sui social con medici ed infermieri che soccombono a dormire sulla scrivania dopo turni di lavoro massacranti, con i segni sul viso di una maschera che ti preme sulla pelle da diverse ore, abbiamo riempito quelle pagine di like, di cuoricini, di abbracci, qualcuno si è spinto più in là facendo recapitare in ospedale delle pizze da asporto perché si rifocillassero.
Sembra di stare al festival dei buoni sentimenti, eppure aleggia nell’aria qualcosa di artificiale, di più, aleggia nell’aria non un vero e sentito grazie a persone che stanno affrontando la crisi non risparmiando energie e correndo anche dei seri rischi, visto che in molti casi non sono equipaggiati a difendersi dal contagio come lo erano i medici cinesi, né come lo sono i medici dello Spallanzani o quelli che sono andati a recuperare i nostri concittadini in Cina per accompagnarli in quarantena nel suolo italiano; negli ospedali ordinari manca tutto: le mascherine, i guanti, i tamponi, i posti in rianimazione, già insufficienti per affrontare la normale routine.



















Sembra più un sentimento che necessita di superfici specchio perché quel caloroso abbraccio, quel sentirsi più buoni, più efficaci, più bravi, ricada addosso a chi lo emette, come se ringraziando questi eroi dell’abnegazione mi sentissi un eroe anch’io, come se il loro coraggio di gente che rischia ogni giorno fosse il mio stesso coraggio che me ne sto a casa, come se i 25 miliardi per la crisi covid-19 li avesse stanziati Salvini dalla baita in Trentino e non Conte da Palazzo Chigi (e infatti Salvini se n’è preso il merito).
Un sentimento buonista che serve più ad autocelebrarmi, dunque, e non a inviare un sentito grazie alle persone che lavorano duramente mentre tutto il resto del Paese è in pausa forzata; è facile prevedere che un sentimento così labile e poco profondo svanisca nel nulla qualora non ci siano più i presupposti e i motivi che lo hanno generato, o che addirittura si trasformi nel suo opposto se mutano le circostanze.
Accade questo mentre scrivo, che nella città immaginaria di … vediamo, Metropolis no perché non è così estesa, Atlantide neanche perché non è lambita dal mare, Topolinia no perché manca i commissario Bassettoni e poi qui i topi non li mangiano vivi, Vigata o Montelusa nemmeno perché son nomi che sanno di terronia, Napule … Paliermo … Reggio Calabbria no, neanche Gotham City va bene, manca Batman, manca Robin e mancano anche    Joker, l'Enigmista, Due Facce, il Pinguino, Mister Freeze, e allora la chiameremo Treville, città piccola che ha un unico municipio e tre baseleghe soltanto.
Nell’ospedale di Treville, in tempi di corona virus, un medico chirurgo (ma che chirurgo lo è per davvero perché opera in sala operatoria, mentre tutti i medici risultano anche chirurghi, anche se non sanno tenere un bisturi in mano e mentre per il parcheggiatore dei Parioli siamo tutti dottori, infatti qualsiasi livello di scolarità tu abbia ti dice comunque: “Ja parcheggio subbito a machina, dottò”) si senta male, talmente male che gli sorge un sospetto, fa il tampone e risulta positivo.
Lui viene posto immediatamente in isolamento e forse non si accorge di quello che succede intorno a lui, ma tutti i suoi colleghi, gli infermieri, il personale sanitario dall’Os fino a quello che fa la pulizia per le scale e per i corridoi, fino all’usciere, quelli che sono venuti in contatto con lui, in sala operatoria, in corsia, in corridoio, al bar, in tutto il perimetro dell’ospedale, vengono percepiti come untori, appestati, gli angeli sono caduti nel fango.



















Niente più striscioni di ringraziamento fuori dall’ospedale, le pagine dei social prima frequentatissime e piene di follower, oggi languono desolate, persino il mostro di Foligno o quello arrestato per aver stuprato e ucciso una bambina in Campania mi hanno tolto l’amicizia, da quando la notizia è uscita sui giornali (quelli locali di Treville) amici e conoscenti si sono fatti sentire, i primi preoccupati, i secondi per sapere dove fossi in modo tale da evitarmi, nel condominio dove abito ormai mi salutano appena, mentre solo ieri erano larghi di sorrisi e strette di mano e abbracci virtuali, se mi incontrano cambiano marciapiede, fanno finta di non vedermi, mi salutano a distanza agitando la manina, afferrano i loro bambini e anche i loro cani se fanno le mosse di avvicinarsi a me, mi lasciano volentieri l’ascensore tutto per me e poi chiamano un’azienda di pulizie per disinfettarlo, mi lasciano persino il parcheggio, spostando le loro macchine che si trovano vicine alla mia e se voglio una pizza me la devo pagare … anzi devo farmela io, visto che le pizzerie sono chiuse.
Tutti i diretti interessati in ospedale pensavano che la Asl sarebbe intervenuta prontamente,  invece è intervenuto sui giornali solo il direttore sanitario assicurando che era tutto sotto controllo, il personale lavora protetto dalle migliori misure di protezione, mentre tutti i locali frequentati dal medico infetto sono stati accuratamente sanificati e vengono regolarmente sanificati più volte al giorno (si, come prima del virus, dalla signora col secchio, il mocio e Mastrolindo), e i tamponi all’equipe della sala operatoria e al personale del reparto dove lavorava?
Sponte sua non s’è visto nessuno, sollecitato da una delegazione medica con a capo alcuni primari che hanno chiesto spiegazioni, alla Asl hanno risposto prima che i tamponi si fanno solo in presenza di sintomi conclamati, alla replica che in presenza di sintomi conclamati il personale ospedaliero avrebbe già potuto infettare mezza città, visto che ciascuno ha una famiglia, dei parenti, deve fare almeno quelle commissioni improcrastinabili come far la spesa e altre cose prosaiche, e poi vedono, visitano, entrano in contatto giornalmente con altri colleghi e con i pazienti, ammettono che non ci sono tamponi per tutti.
Dopo quattro giorni, QUATTRO, si risolvono a fare il tampone solo al personale di sala, chi insomma è entrato in stretto contatto col medico contagiato, gli altri pedalare anzi, se volete la mascherina fatevela da soli con la carte forno gli elastici e le graffette, come hanno mostrato da Barbara D’Urso, come guanti usate i sacchetti riciclabili del supermercato, come cuffia quelle della piscina o quelle del courtesy kit degli hotel (tanto in hotel non ci va più nessuno e soprattutto non mangiate più i topi vivi, che è per quello che abbiamo il corona-virus.




                                                                       Da Emme

20 commenti:

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    1. Non sono d'accordo, il nord da circa 25 anni a questa parte non ha bisogno della burocrazia romana per essere lento e inefficiente, ci riesce benissimo da solo.

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    1. Sai, in tutta sincerità, non ho scritto questo post per discuterne a questo livello, e con gente come te, sono stanco, è stata una giornata pesantissima, pensala come vuoi ma cambia interlocutore per questo tipo di discorso. Io prendo in considerazione solo gente vera, non quacquaraquà

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  4. Sapientone almeno impara a scrivere: quaquaraquà

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  5. Grazie per la tua articolata riflessione e grazie per le foto che svelano la vena creativa e un po' pazzoide che pervade il paese.

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    1. Siamo un Paese di santi, poeti, navigatori, furbetti, squinternati e stravaganti.
      Ciao, grazie a te per le tue visite

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  6. Mi associo, la riflessione che fai ci aiuta a vedere le cose da più punti di vista. Le foto poi mostrano come sia variegata la natura umana (troppo forte la foto del sub seduto in metro eh! eh! eh!).
    Un salutone e alla prossima

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    1. La paura fa strani scherzi, c’è chi si rende ridicolo prendendo provvedimenti eccessivi e spesso inadeguati, chi in assenza di protezioni efficaci inventa qualsiasi cosa pur di avere l’impressione di essere protetto; poi c’è chi stentatamente non prende alcuna protezione, e quando vi è costretto dalle circostanze, lo fa in maniera inadeguata (come il governatore della tua Liguria, che mostrava tutto il suo fastidio in pubblico nell’indossare la mascherina, e che lui con parte della sua giunta si sono fatti fotografare con una mascherina messa male, che copriva solo la bocca e non il naso).
      Questi ultimi sono i più pericolosi, specie se in questo momento assumono incarichi decisionali, gestionali e amministrativi, specie se sono capi popolo; hanno più paura degli altri, così tanta da negare il pericolo (vedi Sgarbi ad esempio (che fra l’altro è un po’ che non lo si sente più … per fortuna), e invitano altri a negarlo insieme a loro, esponendosi al contagio e andando ad aggravare una situazione già fin troppo severa.
      Il sub credo sia un falso, nel senso che non dev’essere correlato all’epidemia in corso, l’ho inserito fra gli altri tanto per ridere un po’ e sdrammatizzare.
      Ciao

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  7. Io non ricordo, da che sono nata, di aver mai avuto così tanta paura in vita mia. Per un periodo, un bel po' di anni fa, ho pure sofferto di attacchi di panico, ma non è' nulla in confronto allo stato d'animo con cui convivo in questi giorni... Penso che la Vita abbia deciso di darci una lezione che difficilmente dimenticheremo. Io... vi abbraccio fortissimo tutti. Almeno qui ci si può' abbracciare.

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    1. Paura e attacco di panico non sono paragonabili, la paura, se non si impadronisce di te completamente, paralizzando ogni tua volontà e ogni tuo desiderio, o sfociando in comportamenti rituali eccessivi, che sfiorano il ridicolo (come accade in alcune di queste immagini), può essere positiva, perché ti permette di affrontare un pericolo reale senza trascurarlo, negarlo o sottovalutarlo.
      Io ho timore del corona virus, ma non ho paura, questo mi permette di essere di aiuto per quello che posso in questo momento di stop forzato della mia attività, prendendo le dovute precauzioni, perché penso che il nemico più insidioso e pericoloso non sia il virus in sé, che mieterà le sue vittime certamente ma non è più letale di altri pericoli con cui conviviamo da sempre, ma la paura quando è incontrollata e ci porta a fare cose sconsiderate (come quei poveri disgraziati che in preda al panico sulle torri gemelle, per sottrarsi dal pericolo dell’impatto dell’aereo sulla torre si gettarono dalle finestre).
      La vita non ci da lezioni, io credo che le cose accadono senza un fine morale ben preciso, nella successione degli eventi ci sono forse motivazioni causali (o forse casuali) che niente hanno a che vedere con una mente pensante (più o meno illuminata) che le diriga e le disponga.
      Siamo noi, poi, che possiamo (o non possiamo) trarre insegnamento da questi: fra poco (il più breve tempo possibile, spero) quando tutto questo sarà finito, molti di noi riprenderanno la loro vita così come era prima, con gli stessi errori di prima, contenti di ritornare alla “normalità”, solo pochi ne trarranno qualche insegnamento, forse ispireranno la loro vita in base a questo nuovo insegnamento, forse cercheranno di convincere gli altri a seguire (o anche solo a riflettere su) questo insegnamento, ma come al solito non scalfiranno che la superficie delle cose, se avranno successo, diventeranno una moda che durerà per un po’ senza cambiare la sostanza delle cose (come temo stia diventando il “fenomeno” Greta).
      In un blog di lingua spagnola ho letto: “No volvemos a la normalidad, porque la normalidad era el problema” (non torneremo alla normalità, perché la normalità era il problema), che era lo slogan che si respirava dopo la caduta del regime di Pinochet in Cile, questa mi pare la cosa più sensata e intelligente che sia stata scritta in occasione di questa pandemia: dovemmo rivedere fino alle fondamenta le nostre teorie economiche e sociali, i rapporti reciproci fra persone, enti e stati sovrani, renderci conto che siamo tutti interdipendenti e che il sovranismo, i confini, l’isolamento e l’autarchia sono delle solenni cazzate.
      (segue)

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    2. Che non è più possibile per l’Occidente ricco e potente (o per gli stati che ad esso si ispirano come la nuova Russia, l’India e la Cina) depredare e sfruttare le risorse proprie e quelle degli altri, e utilizzare il suolo (preferibilmente quello altrui) per sversare i nostri rifiuti, che dovremmo fondare la democrazia su presupposti più solidi di una chiamata periodica alle urne di gente sempre più ignorante, sempre più isolata, sempre più spaventata, sempre più schiava del consumismo, e sempre peggio informata, anzi sempre più indirizzata a pensarla come la grande produzione, distribuzione e gli interessi dei potentati mondiali vogliono che la pensi.
      In questo senso è desolante constatare che pur in un frangente come questo, vedi molte persone, troppe, che si ribellano perché privati della loro libertà e non capiscono che l’esercizio di quella che chiamano libertà può essere deleterio per loro e per gli altri, invece di chiedere conto a chi ci ha governati fino adesso per lo stato di cose in cui ci troviamo, perché il corona virus non è un caso (anche se non è frutto deliberato di un laboratorio), ma è la conseguenza del modo che abbiamo di relazionarci con gli altri, di utilizzare le nostre risorse e di pensare a noi stessi.
      È desolante, altresì, constatare che sono molto più numerosi quelli che danno l’assalto ai supermercati, quelli che ucciderebbero per una bottiglia d’acqua o per un rotolo di carta igienica, di coloro che si prestano a far la spesa e ad aiutare chi è impossibilitato a farlo o ha bisogno di aiuto, o che offrono volontariamente la propria opera senza trarne gloria né profitto.
      Un abbraccio a te, col cuore e con la mente

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  8. Ciao, quoto in toto la tua risposta al commento appena sopra. Ho apprezzato e condivido la citazione in spagnolo. Sono in piena zona rossa e più del virus ho paura delle persone. Vedo come si comportano, sento ciò che esprimono, quello che pensano. La razionalità, la cognizione di causa, il senso del dovere, l'umiltà, e potrei continuare, non esistono più.. Mi sento sopraffatta dall'ignoranza, dall'egoismo, dalla stupidità, dall'incapacità di uscire da uno schema di vita viziato.
    Condivido anche: .. "Sembra più un sentimento che necessita di superfici specchio perché quel caloroso abbraccio, quel sentirsi più buoni, più efficaci, più bravi, ricada addosso a chi lo emette.."
    Mi infastidiscono tutti quei messaggi che arrivano "Io sto a casa" .. Certo che sto a casa, è normale e giusto, non mi dispiace, ne approfitto per fare tanto altro..
    Ho passato una serata a leggere dell'influenza spagnola. E' stato interessante, preoccupante, utile, almeno per me.
    Sursum corda Garbo
    Ciao

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    1. L’uomo in situazioni eccezionali da il peggio di sé, questo è acclarato, spesso la paura, il panico, sono più deleteri del problema stesso che ci troviamo ad affrontare, anche chi riesce a superare il problema, chi sopravvive ad una pandemia o ad una grave crisi, deve fare i conti con una immagine dell’umanità molto differente rispetto a quella che aveva prima, meno ingenua e meno idealizzata, ti sembra di vedere il vero volto dell’umanità, e ti accorgi che è orribile, come vedere il quadro di Dorian Gray.
      Nello stesso tempo scorgi cose di te, non proprio edificanti, che magari non conoscevi e forse non sospettavi nemmeno, questo ti spaventa se è possibile ancora di più che vedere il lato peggiore degli altri; passata la tempesta puoi cercare di mettere una pietra sopra a tutto questo o puoi cercare di conviverci cercando di integrare anche gli aspetti negativi tuoi e degli altri che sono emersi in questa fase anomala.
      Ma, per fortuna, in tempi infausti non emerge solo il peggio di ciascuno, può venir fuori anche il meglio, aspetti e risorse mai prima d’ora mostrati, nemmeno a noi stessi, coraggio insospettato, doti eccezionali che non pensavamo di possedere: tutto scorre più veloce, pensieri, emozioni, sentimenti, sensazioni, tutto sembra più facile, più spontaneo, più efficace, le soluzioni ai problemi grandi e piccoli sono più alla nostra portata.
      A te che piace l’arte, soprattutto quella visiva, citerò il grande Michelangelo e la sua Battaglia di Cascina, o meglio il cartone di un affresco mai realizzato; non sto a parlarti del contesto storico in cui si situa l’opera, chi la commissionò e perché, né della rivalità con Leonardo a cui fu commissionata un’opera simile che avrebbe dovuto fronteggiare quella michelangiolesca nel salone grande di Palazzo Vecchio, né ancora la differenza di stile e di contenuti delle due opere, perché conoscerai tutto questo molto meglio di me.
      Vado direttamente al dunque, Michelangelo rappresenta le truppe fiorentine, che si trovavano nei pressi di Pisa, presso Càscina, assaliti dalla calura della giornata decidono di fare un bagno in Arno; i pisani ne approfittano per sorprenderli, con una sortita che voleva coglierli impreparati, svestiti, lontani dalle armi e in condizioni di inferiorità.
      Ma l’immenso pericolo rappresentato dal nemico che li ha sorpresi sguarniti, invece di atterrire i fiorentini, li galvanizza ancora di più e, guidati dai loro comandanti, Mario Donati e Galeotto Malatesta, contrattaccano vigorosamente e respingono i pisani infliggendo loro una catastrofica sconfitta.
      Giulio Carlo Argan, autore del manuale di storia dell’arte che avevo al liceo ne parlava in questi termini, se ondo lui Michelangelo aveva non un eroe che coraggiosamente compiva atti straordinari, ma un uomo comune che nel momento più critico della sua esistenza si riscattava dalla sua mediocrità, dal sonno della carne, si scuoteva dal torpore e reagiva dando il meglio di se stesso, affrontando sfide mai osate prima.
      E, invero, lo stesso Michelangelo più volte si è trovato di fronte a sfide impossibili, come il blocco di marmo di pessima qualità e malamente sbozzato con cui fece il David, oppure il mandato del papa Giulio II di dipingere la Cappella Sistina, cioè quasi 500 m², una prateria, da affrescare da solo (perché oltre ad alcuni garzoni di bottega che gli preparava no l’intonaco e i colori non volle assistenti pittori), a lui che in fondo era e riteneva di essere fondamentalmente uno scultore e, sebbene avesse già dipinto qualcosa di pregevole, fino ad allora non si era mai misurato con un affresco vero e proprio.
      (segue)

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    2. Credo che questo concetto dell’eroicità possa essere trasferito tout court nella genialità artistica di cui la città di Firenze fu senza dubbio il faro d’Europa e che produsse un numero incalcolabile di artisti di ogni genere che arricchirono il mondo di bellezza; si trattava di una città di mercanti, bottegai, usurai, cambiavalute, ecc., che gareggiava per la supremazia con professionisti altrettanto scaltri e accorti e che era pressata dalle grandi potenze europee, sulle quali, non potendo primeggiare in potere e ricchezza, predominava in arte, cultura, bellezza e in uno stile di vita raffinatissimo e senza precedenti, nemmeno nella Roma imperiale.
      Pensavo, rileggendolo, che la funzione specchio della gratitudine che si manifesta in lodi sperticate fosse stato espresso da me in maniera piuttosto farraginosa, e non ero sicuro che arrivasse, invece vedo che almeno a te è abbastanza chiaro come lodare il coraggio e l’altruismo del personale sanitario sia in realtà un modo per dimenticare la propria viltà, un modo cioè per sentirsi coraggiosi e buoni per interposta persona, come quando, seduti comodamente sul nostro divano viviamo avventure rischiosissime, con premio finale, attraverso i protagonisti di un film.
      Che sia finzione poi lo vedi quando tengono a distanza (a colte anche troppo e in modo irrazionale) lo stesso personale sanitario nella vita di tutti i giorni: lodano che il medico o l’infermiere sano si avvicini e curi i malati rischiando la propria vita, e poi evitano quotidiano di avere a che fare con quello che fino a pochi istanti prima avevano definito eroe.
      È questa la cosa che fa più male agli ospedalieri: rischiare la vita ogni giorno, leggere striscioni elogiativi, sentirsi considerati eroi, e poi avvertire che le persone che li conoscono si scansano al loro avvicinarsi: eroe si, ma a casa tua!
      Sursum corda semper, Julia!

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  9. Sono trascorsi 15 giorni dalla pubblicazione di questo post: lo scrivo nello sforzo di ancorare il mio tempo alla realtà, a questa realtà. Perchè nell’era del “virtualismo sovrano”, come ben dici, ogni fenomeno deve avere un tempo e un luogo.
    La realtà all’esterno appare ora immobile. La percezione che di essa abbiamo sembra non svolgersi più né in un tempo né in un luogo “fuori”.
    La realtà sembra muoversi tutta “dentro”: dentro gli ospedali, dentro le imprese, dentro i supermercati, dentro le case.
    E poi in un dentro del dentro: dentro la televisione, dentro i cellulari, dentro i social, dentro le chat, dentro i gruppi dei social e delle chat.
    E poi in un dentro del dentro del dentro, filtrato su comunanze di pensieri, di riflessioni, di sensibilità, in cui si sente più forte la lontananza rispetto a chi percepiamo estraneo o non intimamente affine.
    E poi nel dentro più dentro che è Dentro di Noi.
    Mi ricorda un po’ la teoria degli insiemi studiata in matematica al liceo - insiemi, sottoinsiemi, inclusione e appartenenza - in versione sociologica però.

    Mi piace tantissimo la frase che hai riportato di quel blog spagnolo: “non torneremo alla normalità perché la normalità era il problema”.
    Lo leggo come un auspicio per una nuova consapevolezza, sia personale che collettiva.

    In questi giorni difficili, dove tutto intorno è terremoto emotivo, mi viene da pensare che ci salva sempre un orizzonte ulteriore, un laico “principio speranza”, uno sguardo amicale che resta nel tempo…
    o una semplice canzone che desidero lasciarti così, come questa, nelle meravigliose note e parole di Claudio Lolli….
    Un abbraccio virtuale. Ciao Garbo.

    Emme

    https://youtu.be/idyWH1iKvks

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    1. Mi sono sempre sentito estraneo dal mondo virtuale, non riesco ad adeguarmi al mondo delle televisioni, dei cellulari, dei social, delle chat … anche se li uso in modica quantità, stando ben attento a non farmi più assorbire da esso come se fosse il mondo reale (http://www.filosofico.net/Antologia_file/AntologiaN/NIETZSCHE_%20COME%20IL%20MONDO%20VERO%20DI.htm).
      Il mondo virtuale è più attraente, più scintillante, meno pericoloso (almeno in apparenza) perché mi da l’illusione di potermi sottrarre ad esse quando mi si profila qualche pericolo o la noia, ma gradatamente ti cattura, ti tira dentro per i piedi, pian piano non distingui più non tanto ciò che è reale (perché, cos’è veramente reale?) ma ciò che è autentico, ciò che è in sintonia col tuo profondo, da ciò che non lo è, pian piano diventi anche tu virtuale, da carne e sangue che eri diventi supporto siliceo, un bit, un giga, un codice alfanumerico.
      Siamo sovranisti perché viviamo in un mondo virtuale? Oppure viviamo nel mondo virtuale perché ci siamo scoperti attratti dal sovranismo? Di certo possiamo essere sovranisti non perché siamo ignoranti o poco intelligenti, come crede qualcuno, ma perché siamo isolati, delle monadi leibnitziane, poco in contatto con gli altri e poco in contatto con noi stessi, con le nostre esigenze e con i nostri desideri autentici.
      Il virus, come i social, ci trascina in un mondo irreale, inquietante, spaventoso, e rischia allo stesso modo di snaturarci come già fanno i social, anzi di più visto che è potenziato dai social, esso può diventare numeri (contagiati, morti, guariti recitati ogni sera come un rosario), che non vogliono dir niente, perché non parlano della sofferenza di chi è malato, non parlano della fatica di chi cura e di chi amministra una situazione di cui non ha alcuna esperienza pregressa, non parlano della paura di chi se ne sta asserragliato a casa e in mancanza di visibilità del suo nemico, il virus, teme le persone che gli si avvicinano, o del terrore di chi nega il pericolo ed esce, trasgredisce le limitazioni, fa cose assurde come se volesse dimostrarsi magicamente la sua immunità e invulnerabilità.
      Sarà banale dirlo, perché è diventato quasi uno slogan, e come tutti gli slogan diventa vissuto superficiale e no profondo, ma io cerco di rimanere umano, sempre in contatto con me stesso finché posso, finché ho il coraggio di vedermi per ciò che sono, essere fragile, umano e dunque mortale, essere che oggi c’è è respira e domani ogni soffio vitale e intellettivo potrebbe abbandonare questo mio corpo, ma nello stesso tempo granitico, forte, capace di incidere in profondità sull’altro, dandogli sollievo nella sofferenza estrema, aiutandolo in questo dispiegamento straordinario di forza, consolandolo quando vogliono farlo diventare, un caso, un numero, una maschera, un eroe, e non semplicemente un individuo dotato di pensieri e di sentimenti propri.
      Se la normalità è questo gigantesco desoggettivizzare le persone per farne semplici strumenti di un disegno politico e organizzativo razionale, pragmatico, il cui unico scopo è il profitto, allora la normalità stessa è il problema fondamentale, più del virus; non voglio dire, come sta facendo già qualcuno, che il virus è quasi una benedizione perché ci renderà migliori., più consapevoli, questo, se avverrà, avverrà spontaneamente, il virus in sé potrebbe renderci persino peggiori, più egoisti, ancora più chiusi di prima.
      Nulla ci vieta, però, di fare una profonda riflessione sul nostro modello sociale, politico, economico, sul consumo indiscriminato e sulla produzione scriteriata di beni di prima necessità, sulle culture e sugli allevamenti intensivi, sullo sfruttamento assurdo delle risorse e sull’inquinamento folle del pianeta come se non ci fosse un domani.
      Un abbraccio a te e grazie per il Grande freddo del grande Claudio Lolli

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  10. È da tanto che non vengo a trovarti, neanche in questo luogo virtuale dove ci si può trovare senza paura di contagio, oppure no, che mica contagia solo il virus, anche il grande freddo contagia, oh se contagia... sono giorni strani, di clausura dove mi ritrovo in una folla di pensieri...e se fosse accaduto un paio di anni fa? Non posso pensarci, in isolamento, senza possibilità di abbracci, poi il sollievo più assurdo, l'immunità di chi non corre più alcun rischio, di chi non teme il contagio, e la paura per chi ancora rischia... Saremo migliori? Solo alcuni, il resto per il tempo giusto. Appena un po' prima di dimenticare. Con le tragedie che il mondo ha attraversato oggi dovremmo essere quasi angeli, invece siamo della stessa pasta di sempre. Domani pochi ricorderanno che in questi giorni è toccato riscrivere persino l'Antigone, nessun Creonte da scongiurare, un coagulo di proteine e acido, è bastato quello perché Antigone sia costretta ad accettare l'editto... questo ricorderò a lungo.

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    1. Saremo migliori? Se devo fare affidamento alle mie esperienze pregresse, alle mie osservazioni personali, alle mie riflessioni sulle pagine di storia, risponderei certamente di no; il dolore, la sofferenza, possono essere stimoli potenti per il cambiamento, ma non è detto che lo siano e non è detto che il cambiamento, li dove avvenga, sia necessariamente di segno positivo.
      Se poi devo prestare fede a Lacan, mi chiederei perché ci attendiamo un cambiamento positivo dopo aver vissuto una disgrazia, perché in generale ci attendiamo che il domani debba essere migliore dell’oggi; quando gli chiesero la differenza fra un nevrotico e uno che non lo è Jacques Lacan rispose che il nevrotico si attende che il domani sia migliore dell’oggi, e questa speranza lo aiuta a vivere, chi non è affetto da nevrosi si attende, bene che vada, che il domani sia uguale all’oggi … ou pire (o peggio).
      Trovo affascinante la tua suggestione di paragonare il dramma attuale all’Antigone di Sofocle, solo però per ribaltare la nobiltà di intenti e di sentimenti che esprime questa antica opera letteraria: non c’è alcun Creonte, è vero, e al posto di Antigone c’è la sorella Ismene … ou pire!
      Ciao

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