mercoledì 17 luglio 2019

IL RE DI GIRGENTI










“«Ho l’ordine di andare subitu nella vostra casa e abbrusciarla» disse il Capitano. «C’è qualichi cosa che vulite salvari?». «Si» arrispose Zosimo «una cascitedda di ligno, nica. La tengo ammucciata, ma vi dico indovi». «Che c’è dintra?». «L’occurrenti pi fari una comerdia [aquilone]».  Montaperto abbrusciò sulamenti la casa, non l’àrbolo di zorbi che c’era darrè. […] Allato alla cassetta di ligno, che dintra aviva quattro stecche di canna, un foglio di carta velina cilestre, un grossu gomitolo di spago e un pugnu di farina, c’erano puru cinco libri e macari chisti non si potivanu leggiri, erano tutti strazzati e sfarinati. A Montaperto ci parsi di capiri un titolo, «Comedia» o qualichi cosa di simili di un tali Lighieri e un altro, in latinu, che faciva «…gnitate hominis» di uno che di nome faciva Pico. Li ghittò nel rogo della casa”.
(Andrea Camilleri, Il re di Girgenti, Sellerio, 2001, pp. 423-424).











“Questa è la vera difficortà di la doppia morti, la morti cchiù amara, la morti cchiù disgraziata, che non è moriri senza sapiri di moriri, e questa sarebbe la morti semplici, ma moriri sapennu di moriri, quannu ti fannu accanusciri il momento preciso di la morti tò, quanno vidi che questo pugno di rena che ti hanno posato davanti dicendoti: «quanno lu tempo se lo è portato via granello appresso granello, a questo mumentu stabilitu la vita tò è finuta», quanno un ponentino leggiu leggiu accumenza a fàrisi sentiri e tu hai voglia a inserrare porte e finestre, hai voglia a sigillare minime fessure, hai voglia a tappare pirtusa, nenti, nenti, quel ponentino che non si arrinesce a capire da dove s’infila, trova sempri modo di trasire e di fare scumparire la rena granello appresso granello e tu sai, tu accapisci che ogni cosa che fai non la potrai rifare cchiù doppo semplicementi pirchì non ci sarà cchiù un doppo e perciò se finisci di fabbricare la comerdia, quanno che hai finito di fabbricare la comerdia, quanno la comerdia è fatta, quanno la comerdia è fabbricata, quanno la comerdia è finuta, quanno alla comerdia non c’è cchiù nenti da aggiungere, quannu la comerdia è pronta a volari, sei tu stesso che finendo di fabbricare la comerdia hai dato una soffiata forte a quello che resta del pugno di rena e ne hai fatto volare via minimu minimu la metà e allura che faccio? la metto o non la metto quest’ultima strisciolina di carta velina? e se la metto e la comerdia è finita non è macari finita la vita mè? sai che ti dico? eh, sai che ti dico? iu non ci penso cchiù iu lo mettu l’ultimo pezzu di carta velina e itivinni a pigliarvela ‘n culu tutti quanti ecco fatto l’ho messo vediamo se la colla di farina tiene la comerdia è finuta bonanotti bonanotti macari se sta accomenzanno proprio ora a fare jorno”.
(Andrea Camilleri, Ibid., p. 427-428).










“Montaperto chiuse la porta. Taliò la comerdia posata sul tavolino. Era proprio bella, fabbricata a regola, equilibrata in ogni parti sò, pareva viva, pareva squasi fremesse a starsene accussì ferma, pareva che non aspittava che il minimo suspiro di vento per pigliari il volo. «Noi semo pronti» disse il Capitano. «E voi?». «Macari io sono pronto» fece Zosimo. il Capitano parse dubbitoso. «E di sta comerdia che ve ne fate? Ve la volete portare appresso fino alla forca?». «È proibitu?». «Proibitu no, ma non mi pari giustu lu momentu». «Se mi raprite il finestrone, la faccio volare. Questa è l’ora bona, c’è il venticeddro del matino». «Mi levate una curiosità?» spiò Montaperto. «A disposizione vostra». «Pirchì date tanta importanzia a una comerdia chè joco di picciliddri? Scusatemi se ve lo dico, ma non mi pare cosa d’omo granni».
«Volete sapiri che rapprisenta pi mia questa comerdia? Non rapprisenta nenti, questa comerdia è sulamenti una comerdia». Il Capitano lo taliò ‘ncertu. Montaperto era omo di guerra, ma era macari uno che gli piaciva speculare, trovare alle cose una significazione diversa da come le cose parevano. «E allura?». «Ci jucai un jornu ch’ero picciliddro e mi parse una meraviglia, un miracolo, mi parse di stare volanno con la comerdia istissa, mi sentii lèggiu lèggiu, allato ai passeri, alle palumme, ai carcarazzi, alle allodole, aceddro tra gli aceddri. E feci giuramentu sullenne, allura, che nell’ora di la morti, avrei fatto vulare un’autra comerdia per lassare sta terra leggiu leggiu, scordannomi lu piso di lu corpu. V’abbasta comu spiegazioni?».
Il Capitano fece ‘nzinga di si calando la testa. raprì il balcuni che dava nel cortiglio interno del castello e Zosimo, pigliata delicatamente la comerdia, lo seguì fora. Abbrividenno per la friscanzana, teneva la comerdia con due dita strette nel punto in cui lo spaco era stato legato, proprio all’incrocio delle due listelle di canna che ne formavano lo scheletro. Di subito si fece pirsuaso che era arrinisciuto a fabbricare un apparecchio miracolosamente perfetto, magicamente equilibrato in ogni singola parti sò. Già tenuta accussì, la comerdia vibrava a ogni minima alitata del matino e pareva una criatura viva, un falco artigliato alla mano del falconiere.
Zosimo aspittò tanticchia col vrazzo isato poi arrivò una folata di vento, ma Zosimo capì che non teneva consistenza, avrebbe fatto capozziare la comerdia mandandola macari a sbattere supra i tetti. Doppo ne venne ‘n’autra, né troppo forti né troppo deboli, giusta, e lui allentò la stritta delle due dita e in mezzo a li dita lo spaco principiò a scorrere veloci sempri cchiù veloci via via che la comerdia pigliava la correnti per il verso giustu e acchianava ‘n celu, acchianava con la cima puntata dritta, comu se fosse stata sparata, tirandosi appresso la cordicella con tanta forza e prescianza che Zosimo sentì la pelle delle dù dita prima irritarsi e doppo principiare ad abbrusciarsi comu se quello non fosse semprici spaco ma una lama di foco. La comerdia oramà squasi si era confunnuta con una nevola e lo spaco era finito. Zosimo ne tenne ancora tanticchia stritto il capo non arrisolvendosi a perdiri per sempri la criatura sò.
Me l’arricordo precisu comu fu quann’era picciliddro e mi fabbricai la comerdia cu la carta che mi aveva arrigalato la bonarma di don Aneto Purpigno. E la comerdia, mentri vulava, principiò a stracangiarsi, non era cchiù carta velina e colla di farina e listelli di canna, no, tutto ‘nzemmula addivintò viva, si trasformò in palumma, una vera palumma, ma impastoiata, tenuta prigioniera dallo spaco che iu serrava ‘ntra li dita e tirava tirava tirava pia viri la sò libirtà comu sta facenno quest’autra comerdia e iu ora ci la dugnu la sò libirtà ma lo so che se lasso stu spaco nun sulamenti mi perdo la comerdia ma mi perdo macari la fantasia, mi perdo la capacità di cangiare li cosi a piacimento mio e vidilli, tutti sti cosi, non comu sunnu ma comu li ho fatti addivintari iu, va beni, ma che te ne fotte della fantasia ora comu ora che ti trovi a un passu di la morti, non è megliu perdiri la fantasia chiuttosto che negari la libirtà a una comerdia?”.
(Andrea Camilleri, Ibid,, pp. 429-432).  










“Dal som de l’escalina al punto indovi ci stava il boia c’erano sei passi e Zosimo li fece squasi di prescia pirchì si scantava che gli comparissero ancora morti viventi e armàli parlanti a scassargli i cabasisi, a dargli o a spiargli significanze. Si fermò davanti a Casimirro Capuano, «Faccio una cosa sverta sverta» lo rassicurò il boia. «Non dubito della maistranza tò» fece Zosimo. «Girati».
Zosimo gli dette le spalli. ‘Ntonio Impiduglia, uno degli aiutanti, s’avanzò con una cordicella in mano e face per attaccare i polsi di Zosimo darrè la schina. «No» ordinò il Capitano Montaperto. Impiduglia s’arretirò e al posto so avanzò l’altro aiutante, Binno Lopasquale, che teneva nelle mano un cappuccio nìvuro da mettiri ‘n testa al condannato.
«No» disse ancora il Capitano Montaperto. Macari Lopasquale s’arretirò. Zosimo si voltò a mezzo verso il Capitano e gli fece un sorriso di ringrazio. Casimirro, con mano dilicate che parivano quelle di una fìmmina, passò la corda intorno al collo di Zosimo, gliela assistimò bene. Doppo fece ‘nzinga agli aiutanti e i due pigliarono la corda e s’addisposero uno avanti e uno narrè, come ci si mette quanno si fa lu jocu del tiro alla funi. Casimirro isò la testa e controllò a vista la carrucola dintra la quali passava la corda. Tutto pareva a posto. Taliò il Capitano per fargli accapire che, supra il palco, boia e connannato erano pronti e aspittavano l’ordini. e il capitano isò un vrazzo.
A Zosimo venne bisogno di stranutare come per un raffriddori improvviso. Si tenne a forza. Ma il naso gli chiurì di nuovo. Isò una mano per darsi una grattatedda e le dita so incontrarono qualichi cosa sospisa. Era uno spaco che pinniva dall’alto. Taliò strammato verso il cielo e vitti la comerdia. La comerdia era tornata e ora sinni stava alta e ferma a pirpindicolo priciso supra la so testa. Comu aviva fatto a tornari? E pirchì era tornata? Doppo capì e si sintì slargare il core: lui aviva pinsato di perdiri la fantasia lascianno lo spaco della comerdia e inveci le cose stavano diverso. e nel priciso momentu nel quali il Capitano abbasciava il vrazzo, Zosimo agguantò lo spaco con le due mano sentendo uno strappo violento, certamente quello della comerdia che ripigliava movimento e altezza.
Lesto, principiò ad acchianare lungo lo spaco e inveci di provare stanchizza per la faticata a ogni bracciata si sentiva cchiù leggiu e cchiù liberatu. A un certo punto si fermò e taliò verso terra. Vitti la piazza, le case con la gente supra i tetti che accomenzava ad andarene e in mezzo alla piazza vitti macari il palco e una cosa, una specie di sacco, che pinnuliava dalla forca dunnuliando. Rise. e ripigliò ad acchianare”.
(Andrea Camilleri, Ibid., pp. 442-444).








L'estremo saluto ad Andrea Camilleri, il più grande scrittore italiano degli ultimi quarant'anni, conosciuto più per la serie poliziesca del Commissario Montalbano, di cui dopo il primo non avrebbe più voluto saperne, ma che ha avuto un successo incredibile, che per i suoi straordinari romanzi.
In questi giorni da quando un mese fa circa fu ricoverato in rianimazione per arresto cardiocircolatorio, avrà contrattato con i guardiani dell'aldilà se gli lasciavano scrivere ancora un ultimo libro; dopo il rifiuto, avrà chiesto se almeno poteva contare sul fatto che avrebbe ritrovato le sue amate sigarette, del whisky, gli arancini e la pasta incasciata di Adelina, e gli spaghetti alle vongole, le triglie di scoglio o il polpo a strascinasale di Enzo ... e anche la vista rivoleva indietro, perché anche laggiù ci saranno certamente tutte le cose belle di quaggiù. Un grande abbraccio, mi terrò stretti i libri che hai scritto e l'esempio di eccezionale umanità e impegno civile, in un tempo in cui gli scrittori vanno in tv o sono attivi sui social solo quando vogliono promuovere la loro ultima opera.



12 commenti:

  1. Un bellissimo saluto a Andrea Camilleri, commovente, al quale vorrei unirmi avendo sempre apprezzato le sue opere e il suo impegno civile. Un grande maestro che ci mancherà molto.
    Ciao Garbo, grazie

    RispondiElimina
  2. Ho sempre apprezzato il suo stile, l'impegno, le dichiarazioni. Sono sicuro che ci mancherà, ma credo che potrà essere d'esempio alle generazioni future.
    Ciao Andrea.

    RispondiElimina
  3. Ci mancherà molto quest'uomo che ha saputo scrivere così bene ciò che sentiva e ciò che immaginava. E non solo la sua Sicilia ma anche altri aspetti umani così ben descritti da Camilleri. E poi c'era la sua chiara posizione nella vita, coerente con le sue idee, leale, sincero...e si che si mancherà, eccome. Ma credo che ha lasciato un'impronta che tutti possono vedere
    Un salutone e bel saluto a Camilleri anche da me

    RispondiElimina
  4. Ci sono Anime che non dovrebbero mai andarsene.
    A Lui dovrebbe essere stata concessa la Vita Eterna su questa terra.
    Lo amo e lo stimo profondamente. E mi mancherà. Tanto.
    E' vero, gli hai dedicato un saluto bellissimo e commovente. Grazie davvero.
    Ciao.

    RispondiElimina
  5. Un saluto a te e a Camilleri, più vivo di molti di noi.

    RispondiElimina
  6. Grazie per questo raffinato "coccodrillo" che mi ha fatto voglia di rileggere Il re di Girgenti.
    Seguiamo con lo sguardo l'aquilone Camilleri volare alto nel cielo.

    RispondiElimina
  7. Non dimentichiamo che Camilleri fu oggetto anche di feroci critiche che lo accusavano di proporre una letteratura troppo popolare (in accezione negativa), contestato da una parte della critica vestita di miope snobismo, basita di fronte allo straordinario consenso dei lettori.
    “È come una cassata, e cioè una meravigliosa torta piena di squisitezze, ma zeppa pure di stucchevoli canditi, pesante e indigesta”, scriveva Pietrangelo Buttafuoco.
    Ora, a parte il fatto che la cassata siciliana è sempre stato in assoluto il mio dolce preferito, credo che la grandezza di Camilleri sia proprio questa sua vena popolare, la capacità di parlare a tutti senza peccare di superficialità.

    Da ieri leggo e rileggo sui social stralci di brani dei suoi libri.
    Tra tutti mi ha colpito il seguente (perché sempre ci colpisce maggiormente ciò che più riflette il nostro sentire):
    “Arriva un momento - pinsò - nel quale t'adduni, t'accorgi che la tua vita è cangiata. Ma quando è successo? - ti domandi. E non trovi risposta, fatti impercettibili si sono accumulati fino a determinare la svolta. O macari fatti ben visibili, di cui però non hai calcolato la portata, le conseguenze. Spii e rispii ma la risposta a quel <> non la sai trovare. “
    (da “Il ladro di merendine”).

    Bellissimo.

    Segnalo infine la meravigliosa lunga riflessione di Camilleri sul disimpegno degli intellettuali italiani in politica, risalente al 2013 su MicroMega, attuale come fosse oggi: http://temi.repubblica.it/micromega-online/camilleri-alla-ricerca-dellimpegno-perduto/

    Ciao Garbo...sempre bello leggerti
    Un saluto grande.
    Emme

    RispondiElimina
  8. "...la risposta a quel - quando - non la sai trovare".

    (erano venute solo le virgolette basse <> senza il contenuto)...scusami ;)

    RispondiElimina
  9. Camilleri ?

    Un' immonda accozzaglia dei luoghi comuni della societàdelconumsodellaproduzionedellusura.

    Per quello esaltato e celebrato sui mass media della societàdelconsumodellaproduzionedellusura.

    RispondiElimina
  10. Domanda: "Come capire quando è necessario un consulto con uno psicologo ?"

    Rispondo: "Lascia perdere gli psicologi..

    Gli psicologi della societàdelconsumodellaproduzionedellusura vivono e prosperano all'interno di questa società

    quindi propongono come "modello di vita ideale" quello di questa società, che garantisce la loro prosperità,

    ed etichettano come "matti" tutti quelli che non si adattano a quel modello, come tecnica di persuasione per farli adattare a quel modello.

    In realtà è esattamente il contrario.

    Come dice Khrisnamurti: "Non è indice di buona salute mentale essere ben adattati ad una società malata".

    Continua sul mio blog..

    RispondiElimina
  11. Camilleri ?

    Un esaltato sostenitore dell'immigrazione ,

    cioè un perfetto opinion meichere dei pochissimi che hanno tutta la ricchezza tutte le banche e tutte le imprese

    che vogliono aggiungere disperati immigrati ai disperati nativi,

    per poi proporre loro, certi che accetteranno, il contratto di lavoro che io chiamo omagnistaminestraosaltistafinestra,

    cioè con salari ridicoli e condizioni di lavoro precarie,

    per ridurre il costo della forza lavoro ed aumentare i loro profitti.

    RispondiElimina
  12. Sciascia scriveva della sicilianità dei Siciliani;
    concordo con lui pur essendo titolare, nel mio piccolo, della calabresità dei Calabresi.
    "Montalbano sono!" e Camilleri era Siciliano!
    Ciao da luigi (e=mc2)

    RispondiElimina