martedì 8 novembre 2016

SPAGHETTI IN SALSA MORESCA TARATATÀ











“Anno domini nostri Iesu  XP Christi MXCI, tempora quadragesime, Vinni in la marina di li Michenchi, ora dicta Donnalucata, lu barbaru ammiro Balicani saraxinu cum uno maniu exerxitu, per dixtruiri omni quilli fidili kriptiani et la nostra ixula. Et lu barbaru cani nun ci riuxio, chi le populo di Xicli si moxi tuctu et si armau et occursi per constringherlo et farilo fughire a quillo barbaro infidili. Ma videndo lo numiro di li infidili grandi assai, se prostaro cum la fachia per terra et precando nostro xeniuri Ieso XP Christo et la MP Maria Virgine de la Pietati, che camaru per darichi fortia et coraio per dischiachari li barbari saraxini. Et illico et statim videro in lo chelo una nugola che isplindia ut solis cum dintra la Virgine MP Maria cum brandus in dextira et chi rintronava a lu sou populo: «En adsum ecce me civitas dilecta, protegum te dextera mea». Si livaru de terra di un subitu et videro lo exerxito di li Normandi ut velociter aquila per aiutarili et uniti tucti si moxiro ut fulminem supra quilli infidili et li distruxero; et fu tali la confuxione et la neghia et lo pavento che si uchisero ipsi stixi ut more canis ydrofabi. Durau la punia quasi per uno iorno et di poi li sancti xaxerdoti cantaru ‘Tedeum laudamus’ et lo ‘Magnificat’ accumpaniati di lo exerxitu et di lo populo. et la nocti tucti li Normandi et tucto lo populo si rixtaro in lo dicto locu per pregari et ringratiari a Dio et MP Maria Virgine chi li salvau di lo echidio di li infidili. La matina si arritroao lo campo cum immenso numiro di morti et li barchi di li infidili tucti fugati. Et de poi si ringratiau lu grandi Dio et la MP Maria Virgine et si chamao di li pii sancti xaxerdoti ‘sancta MP Maria militum pro Xiclensibus’, et si stabileo farichi la festa omni anno in lo iorno sabato prechedente a la dominia di passioni iorno sollemni de la punia. Et cussi fu liberata la nostra terra per sempre amen”. (Codici sciclitani, rinvenuti nel 1878 presso l’archivio dell’Arciconfraternita di Santa Maria la Nova a Scicli - Scripta in tabula ligni cipressi).










Nell’anno domini 1091, in tempo di quaresima, dalla spiaggia di Micenci in quella che oggi viene chiamata Donnalucata si poteva vedere il mare antistante completamente oscurato dalle vele nere degli agili legni saraceni capitanati da Belcane (Bell Kahn o Al Gamali, emiro del califfo Maad Al Munstansir).
Non si trattava di una delle tante scorrerie che i pirati moreschi praticavano sulle coste italiche, di quelle che depredavano piccoli villaggi e i cosiddetti “bagli”, masserie fortificate, per quelle sarebbe stato più opportuno un numero di navi e di uomini molto inferiore, che desse meno nell’occhio, perché l’incursione fosse più veloce e indisturbata.
Si trattava, piuttosto, di un vero e proprio esercito, un'armata di 600 chelandie e 60.000 uomini, la più imponente mai sbarcata sull'isola, che oscurò l'orizzonte visibile dal litorale fra Sampieri e Plaja Grande.













I mori intendevano riprendere il controllo dell’Isola, perso gradualmente ad iniziare dal 1061 con il colpo di mano di Roberto il Guiscardo che conquistò Messina fino al 1091 (anno in cui avvengono i fatti narrati dal Codice sciclitano) quando gli ambasciatori dell’emiro Ibn ‘Abbād, conosciuto come Benavert, signore di Noto e di Siracusa, ultimo baluardo della dominazione moresca in Sicilia, che aveva combattuto strenuamente e disperatamente fino alla fine l’esercito normanno di Ruggero d’Altavilla, si recarono a Mileto durante le nozze di Ruggero con Adelaide di Monferrato, recando profferte di pace che erano in realtà una capitolazione.
I saraceni non si erano mai rassegnati alla perdita dell’Isola Bella, la consideravano una terra colma di delizie e per molti di loro era la terra natia, la propria patria conquistata e predata da gente estranea che veniva dal nord.
Durante questa guerra trentennale contro i mori innumerevoli furono le battaglie, gli assedi, i colpi di mano, le alterne vicende e gli esiti incerti, e vi fu un proliferare di racconti in cui fu necessario l’intervento divino per risolverne le sorti, si trattò di santi o angeli guerrieri o, in casi estremi come questo, addirittura dell’intervento armato della Vergine Maria … l’esatto opposto ad una valkiria o ad una virago, una figura che è già difficile immaginarsi col coltello in mano a pelare patate, figuriamoci con una spada in mano a squartare musulmani.










Ma quando urge il bisogno ogni espediente che possa essere efficace è buono, la figura della Vergine è una figura semi-divina, il perfezionamento della Eva edenica, che non partorisce l’uomo perfetto, l’uomo ad immagine e somiglianza di Dio (secondo i disegni divini), ma addirittura il figlio di Dio, e lo partorisce senza aver conosciuto un uomo, senza essersi contaminata dal peccato, è l’unica donna senza il peccato originale … solo Cristo può dire altrettanto.
Mentre tutti i santi erano degli uomini e, dunque, dei peccatori, seppure fossero riusciti a sollevarsi al livello dell’espiazione e del perdono per i loro peccati; a livello di potenza certamente la madre del Cristo era superiore a qualsiasi santo, ed assicurava la vittoria contro qualsiasi nemico.
Gli sciclitani moderni, che festeggiano ogni anno l’ultimo sabato del mese di maggio (la tradizione indicherebbe il sabato precedente alla passione di Cristo, quindi quello che precede la domenica delle palme) la Madonna delle Milizie, il cui appellativo non fa riferimento alle “milizie” come esercito però, ma ai Milici, la piana fra Scicli e Donnalucata dove si narra che la battaglia fosse stata combattuta, immaginano la Madonna che brandisce la spada sopra un destriero, come se si fosse lanciata al galoppo nella mischia per incoraggiare l’esercito cristiano.










In realtà i “Codici” riportano il racconto di una Madonna assisa su una nuvola che incita i cittadini di Scicli e i guerrieri normanni, senza però partecipare attivamente alla battaglia, pur avendo in pugno una spada, una Madonna che rispetta comunque il suo ruolo divino, quando la divinità è ormai diventata trascendente, una divinità che ancora interviene nei fatti del mondo ma solo per esortare l’uomo, non per partecipare attivamente alle vicende.
Il passaggio dalla nuvola al cavallo nella vulgata del festeggiamento sciclitano potrebbe avere delle ragioni religiose e ideologiche, certamente, ma è più probabile che abbiano prevalso le ragioni scenografiche (vuoi mettere un’amazzone a cavallo, l’imponenza, l’eleganza, la potenza del gesto iconico …) ed economiche (la “nuvola di Fuksas” inaugurata di recente all’EUR è costata 275 milioni secondo lo stesso Massimiliano Fuksas, quasi 500 milioni di euro secondo la sottosegretaria all’economia Paola de Micheli, cifre che il comune di Scicli, che conta poco più di 27 mila abitanti, non potrebbe permettersi di spendere, né vorrebbe ripiegare sulla più economica “nuvola di Fantozzi”).
Come in ogni vittoria che si rispetti, finite i dovuti ringraziamenti alla Madonna a Cristo e a tutti i santi e le cerimonie religiose di rito, iniziarono i festeggiamenti laici, si organizza un gran banchetto che dura per diversi giorni e il piatto principale, se incontra l'approvazione di tutti, diventa piatto della tradizione locale.










Dopo il trionfo della Norma di Bellini, ad esempio, si iniziò in Sicilia ad apostrofare con: “È una Norma!” qualsiasi cosa rasentasse la perfezione, tanto che il celebre commediografo siciliano Nino Martoglio esclamò entusiasta questa frase di fronte ad un piatto di pasta al pomodoro condito con melanzane fritte, ricotta salata e basilico e da allora questo tipo di pasta viene chiamata “alla norma”.
Dal momento che i marinai non erano usciti in mare per la pesca a causa del “nero periglio che vien da lo mare”, si dovette improvvisare un piatto sostanzioso senza il pesce fresco, usando cioè abbondantemente acciughe salate e bottarga di tonno; al piatto si volle dare una nota esotica usando spezie allora estranee alla nostra cucina come la cannella (solo più di cento anni più tardi Federico II di Svevia pretenderà questa spezia per condire il suo piatto preferito, i maccheroni con lo zucchero, ma si tratta di una rara eccezione, solo pochissimi uomini raffinati dell’Occidente e qualche crociato conoscevano la cannella e la usavano quando riuscivano a trovarla) e questo spiega il nome di “salsa moresca”.
In quanto al “taratatà” è un suono onomatopeico con cui si vuole ricordare il clangore delle armi che si incrociavano, spade, sciabole, scimitarre, coltelli, lance, alabarde, picche, come se la battaglia si stesse ancora combattendo e si fosse appena passati dallo sferragliare delle armi bianche allo sferragliare di pentole, piatti e posate.












LA RICETTA TRADIZIONALE (per 4 persone).

- 320 gr. di spaghetti (io trovo che i migliori in assoluto siano gli spaghetti grossi n. 5 della Rummo, provati per la prima volta questa estate in Sicilia, quando ho organizzato una spaghettata fra amici visto che ero riuscito a trovare delle vongole che profumavano ancora di mare, in alternativa, visto che non si trovano ovunque, uso pure i De Cecco … in ogni caso lo spaghetto migliore è quello che si spezza ma non si piega subito in cottura, quello che ci mette almeno un minuto in acqua bollente prima di entrare completamente nella pentola).
- 100 gr. di bottarga di tonno in gran parte grattugiata o già in polvere, mettendo in disparte alcune fettine sottili per la guarnizione del piatto (ne ho portata di eccezionale questa estate da San Vito lo Capo, da Scopello, da Castellammare del Golfo, da Trapani, da Favignana, in passato ho usato quella di Portopalo, di Avola e di Marzamemi … non saprei dire qual è la migliore).
- 80 gr. di pangrattato.
- 40 gr. di pinoli.
- 1 arancia non trattata (fra pochi giorni arrivano sui mercati le arance tarocco e sanguinella di Sicilia, evitate se potete le navel).
- 1 limone non trattato.
- 1 cucchiaio raso di aceto di vino bianco.
- 1 peperoncino o un pizzico di peperoncino in polvere o la punta di un cucchiaino di crema di peperoncino rosso.
- 1 spicchio d’aglio.
- 4 cucchiai di olio extra-vergine di oliva (andrebbe un olio mediamente o decisamente fruttato, limitandomi a quelli siciliani di cui ho fatto una piccola scorta questa estate, visto che ho trascorso le mie vacanze nella zona a più alta vocazione olearia e vinicola dell’Isola, prediligerei per questo piatto un olio DOP delle valli trapanesi, un oglirola, un biancolella o un cerausola, o un DOP delle valli del Belice; in loro assenza o se avete gusti più delicati ripiegate su una DOP dei monti Iblei o della Val Demone, da escludere le DOP Val di Mazara per il fruttato molto delicato e il sentore erbaceo).
- cannella in polvere.
- un ciuffo di prezzemolo.
- sale.
- zucchero.

Preparazione:

In un padellino antiaderente tostate il pangrattato e i pinoli a fuoco molto dolce finché non si imbruniscono un po’ e diventano di un bel colore nocciola. Tritate in un mortaio o nel frullatore la bottarga di tonno con parte la buccia dell’arancia e del limone grattugiata superficialmente, senza giungere al bianco, e bagnatela col succo di metà dei due agrumi e con l’aceto in cui avete disciolto un po’ di zucchero e di sale. Aggiungete la polvere di cannella nella quantità che incontra il gusto del vostro palato. Mettete questa salsa in una terrina capiente che possa contenere il tutto e lasciatela riposare per mezzora.
In una pentola antiaderente abbastanza grande da contenere la pasta fate imbiondire in olio d’oliva a fuoco dolce lo spicchio d’aglio spellato, tagliato a metà e privato dell’anima, cioè del nerbo interno, lasciando solo la polpa o capsula esterna, prima che si annerisca e rovini tutto toglietelo e buttatelo via; aggiungete il peperoncino intero che spezzetterete col mestolo di legno, o la polvere o la crema di peperoncino rosso, Fate, cioè, come se steste preparando l’aglio, oglio & peperoncino.    
Cuocete gli spaghetti al dente per i minuti indicati dalla azienda produttrice (anche un minuto in meno), scolateli e versateli nella pentola con l’olio e il peperoncino, saltateli per circa un minuto a fuoco vivace e versateci sopra il pan grattato e i pinoli. Sulla pasta ancora calda, ma a fuoco spento, versate la salsa agrumata, un po’ di olio a crudo se è molto asciutta ( o un po’ d’acqua di cottura che avrete conservato) e disponetela in una terrina o, meglio, in un pirofila in ceramica da portata, guarnita con le fette di bottarga e i ciuffi di prezzemolo che avrete in precedenza lavato ed asciugato accuratamente e, se preferite, qualche fetta di arancia e di limone.










Ciccio Sultano, per rimanere in tema di saraceni e per rimanere in zona, chef stellato del ristorante Il Duomo di Ragusa, e proprietario del più abbordabile locale I Banchi (sempre in città), interpreta questo piatto in un modo molto più elaborato, ma con risultati eccellenti.
Ragusa è una città che amo molto, la prediligo ad esempio a Modica, la sua eterna rivale e, se non avessi dei ricordi molto radicati e degli affetti profondi che mi ci legano, la preferirei persino a Siracusa, per la pace che vi regna e perché il tempo in quella città sembra esservi sospeso. Da Piazza della Libertà, dove giungete dalla Statale 115, se volete trovare un parcheggio specie in estate, attraversate a piedi il Ponte Nuovo, via Roma, la Cattedrale e vi portate in Corso Italia e da li, attraverso serpentine e scale, come fosse una discesa agli inferi, vi ritrovate a Hybla il cuore stesso della città, la parte più antica, ed è come se aveste fatto un viaggio nel tempo.
Dagli edifici moderni del nostro tempo, scivolate impercettibilmente verso la Ragusa del dopoguerra, della ricostruzione dopo i bombardamenti alleati, fino all’imponente e massiccio stile architettonico fascista, al liberty della belle epoque, fino a palazzi, chiese e magioni che sono rimaste quasi inalterate dal XVIII° e dal XIX° secolo, finché alla fine della discesa vi trovate alle spalle della Chiesa di San Giorgio, senza ombra di dubbio il capolavoro di Rosario Gagliardi.










In quale città trovate ancora un Circolo della Conversazione in stile neoclassico decorato con capitelli dorici, triglifi, donne alate, sfingi, leoni antropomorfi e ghirlande di fiori; la sala principale, quella delle feste, ha quattro grandi specchiere con cornici dorate appese alle pareti, divani in damasco rosso appoggiati alle pareti tappezzate in seta rossa e rossi sono pure i tendaggi alle finestre e alle porte, al centro ammirate un grande lampadario di rame a forma di zucca con tanto di tralci pendenti … in quale altra regione italiana si fa ancora conversazione oggi? Quale altro scrittore se non Elio Vittorini poteva scrivere Conversazioni in Sicilia … e dove altro se no? Converrete che Conversazioni in Emilia o in Basilicata non avrebbe avuto lo stesso effetto?
Questa estate ho voluto togliermi lo sfizio di concedermi una cena presso Il Duomo, nonostante a Ragusa si mangi bene ovunque, persino e forse soprattutto se vi fermate in una rosticceria dove fanno le tipiche scacce; mi è dispiaciuto dover eliminare tutti gli altri primi piatti in lista per assaggiare finalmente la sua “salsa moresca”, persino i nomi erano invitanti: c’erano dei “paccheri fuori norma” con sugo allo scoglio, che al di là del tipo di pasta che non incontra il mio entusiasmo, doveva essere buonissimo, lo spaghettino con “ambrosia” di gambero rosso “in amore” dev’essere stato una delizia.
Ho dovuto proprio arrendermi all’evidenza, io non riuscirò mai a fare un primo piatto così invitante alla vista, così profumato, sentivo la fragranza di fiori inesistenti, di salmastro, di oriente, sapore di mare e di antica tonnara, sentivo quasi il vociare della mattanza, il rollio e lo sciabordio delle barche alla fonda, il dibattersi del tonno sotto i colpi degli arpioni, lo sbattere del suo corpo cilindrico contro gli scafi di legno dei barconi, l’odore intenso di sangue e di sale … solo un inzolia vinificato in purezza, che mi è costato da solo un mese di duro lavoro, poteva accompagnare degnamente un piatto simile.










Spaghetti in salsa moresca taratatà secondo Ciccio Sultano. E qui una versione leggermente modificata. Il piatto lo trovate riportato con lo stesso nome anche nel menù de I Banchi, ad un prezzo quasi dimezzato, non saprei dirvi se si tratta dello stesso piatto, ma spero che sia un modo per far assaggiare questa delizia anche a chi non può permettersi quei prezzi.






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