martedì 1 novembre 2016

LA SOLIDARIETÀ SPIEGATA AI NON UDENTI (CHI HA ORECCHIE INTENDA …) 2





Scala dei Turchi

James M. Gavin





Se volete comprendere quanto è radicata la solidarietà nella nostra cultura bisogna rileggere gli antichi testi, l’Iliade e soprattutto l’Odissea che parla di un uomo, Ulisse,  che ha peregrinato per molti anni, che si è trovato fra genti molto diverse e sconosciute, di cui non sapeva mai cosa attendersi, e che si è trovato al cospetto di essere mitologici, divini e semi-divini che di volta in volta gli erano benevoli od ostili.
Gli antichi greci la chiamavano xenìa, ed era l’ospitalità dovuta allo straniero; chi era stato straniero in mezzo a gente sconosciuta capiva immediatamente il valore di questo concetto, chi non si era trovato in condizione di bisogno non lo sapeva ancora, per questo era un obbligo essere ospitali e solidali in attesa di comprenderne il significato sulla propria pelle, perché non stiamo sempre nello stesso luogo e il mondo è una ruota che gira e chi adesso è in difficoltà domani potrebbe essere chi ti trovi davanti quando sei tu ad essere in difficoltà.
Sul concetto di solidarietà non soltanto si fonda la convivenza, ma i greci saggiamente dividevano il mondo in civile o in barbaro proprio sull’applicazione di questo concetto.





Robert Capa 1943

Scala dei Turchi




Polifemo che mangia i compagni di Ulisse invece di ospitarli come insegnano le leggi divine, non può nemmeno essere considerato un essere umano, viene rappresentato con tratti belluini, una bestia selvatica e inospitale, che non trova alcuna solidarietà nemmeno fra gli altri ciclopi, che pure accorrono a vedere cosa sta succedendogli, ma vanno via troppo presto quasi sollevati dal non dover prestargli alcun soccorso dicendogli che se “nessuno” lo molestava, allora si trattava di un male mandatogli dagli dei: non gli restava che accettarlo e non rompere ulteriormente le scatole.
Oppure, potremmo attingere alla parabola del buon samaritano, che ci definiamo cattolici o credenti non importa, anche il nostro ateismo, il nostro agnosticismo, e il nostro scetticismo religioso derivano da radici giudaico-cristiane e dal pensiero greco, nel bene e nel male e non ne sono ancora uscite, così come anche le inserzioni di pensiero orientale nella nostra cultura avvengono in questi ceppi antichi.
È importante cercare di capire cosa abbia voluto dire il Cristo con questa parabola, cosa voglia dire “ama il prossimo tuo”, di quale “prossimo” sta parlando? E cosa abbia voluto significare il suo gesto di andare a morire in croce?


Gela, 12-07-1043, l'ultima battaglia del Regio Esercito

Monty Willys

Mussolini a Siracusa, 10 luglio 1943

Pantalica

Nicosia, 1943




Da ciò derivano molte cose che magari hanno perso ogni connessione con i motivi originari, ma che continuano ad esistere con dando loro un altro senso, più comprensibile ai nostri giorni; da questo deriva la nostra apertura, la nostra curiosità, la nostra solidarietà verso l’altro e sempre da questo, dai limiti di questo concetto, deriva anche la nostra chiusura.
Se ci chiudessimo solamente, senza alcun contatto con l’esterno, moriremmo entro breve, se ci aprissimo senza alcuna cautela, perderemmo ben presto ogni identità e ci dissolveremmo in nulla, bisogna imparare dalle favolette antiche o dalle cose semplici, come ad esempio la respirazione.
Inspirare è introdurre in noi qualcosa di esterno, aria, virus, batteri, smog, odori, in tutto ciò c’è qualcosa che ci è essenziale per vivere, qualcosa di superfluo e qualcosa di dannoso; il nostro organismo è capace di utilizzare ciò che ci serve, di neutralizzare ciò che è dannoso e di espellere con l’espirazione ciò che è superfluo e i prodotti della nostra respirazione, la trasformazione dell’ossigeno in anidride carbonica.


Pantalica

Pantalica

Patton

Phil Stern, Sicilia



Un organismo sano, un popolo sano, sanno senza averlo mai studiato che non puoi lasciar entrare tutto e non puoi impedire a qualsiasi cosa di entrare, non puoi costruire muri e non puoi presentarti completamente indifeso e disarmato, perché la vita è scambio e cambiamento … continuo, oltre c’è solo la morte, la rigidità cadaverica, il nulla.
Chiunque mi venga a dire prima gli italiani, sbaglia, perché dobbiamo guardare al tutto, e prima gli italiani si tradurrebbe nell’occuparsi prima del solletico che ho sul collo, perché è più vicino alla testa, e non della gamba che si è incastrata in una tagliola.
Ho conosciuto molti che seguono la filosofia del: “Prima gli italiani”, questi stessi che solo qualche tempo fa dicevano “Prima i padani”, e fra i padani, che non sono tutti uguali: “Prima i lumbard” se eri lumbard o “Prima i veneti” se eri veneto, e ancora lumbard è una parola grossa, fra lumbard si sono scannati fino a ieri, Lodi contro Milano, Ivrea contro Piacenza, Bergamo contro Brescia, ma anche fra milanesi se mi son del Giambellino perché non posso discriminare chi viene dalla Ghisolfa o dalla Bovisa … son minga esseri umani, e perché chi abita al piano di sotto non posso chiamalo terun, se Dio avesse voluto che fosse pari a me l’avrebbe fatto abitare nel mio stesso pianerottolo, no?


Phil Stern, Sicilia

Phil stern, Sicilia

Phil Stern, Licata 1943

Phil stern, Licata 1943





E poi, si fa presto a dire prima questi o prima quelli, e chi tiene famiglia che fa? Se c’è qualcosa da spartire, prima i miei figli ed io stesso, poi se ne rimane gli amici e poi tutti gli altri: questa è l’equazione della mafia, questa è ciò che bisognerebbe estirpare in Italia se volessimo eliminare la mafia, l’unica differenza fra il padre di famiglia a Totò Riina è che quest’ultimo la difende con le armi quest’idea.
Corleonese, abitante di una zona montuosa sopra Palermo, un paesello isolato di agricoltori e di pastori, ignorante come una capra e con modi rudi e violenti che ripugnavano persino al mafioso palermitano, Totò Riina si è preso con pistola, mitra ed esplosivo tutto ciò che gli sarebbe stato negato per nascita ed estrazione sociale, ma questo è costato alla Sicilia e all’Italia intera molti morti ed anni di terrore e la dissoluzione di ogni forma di Stato.
Dall’altra parte non c’era lo Stato, se no avrebbe vinto quest’ultimo, c’era un’altra mafia con modi  meno grezzi e meno ripugnanti, ma per questo non meno feroci, e che disintegravano lo Stato ancora di più dei modi di Totò Riina, che in qualche modo è stato eccessivo fino a costringere qualcosa ad organizzarsi e a combatterlo … e in sostituzione si è strutturata un’altra forma di mafia sommersa, meno eclatante e roboante, che tesse le sue fila nell’ombra e crea un clima in cui pochi decidono il posto in cui devono stare tutti, nessuno escluso e a chi non sta bene non resta che andarsene … in un modo o nell’altro.


Soldati inglesi in Piazza Teatro, Avola

Prigionieri italiani, Ragusa.

Private Roy W. Humphrey of Toledo, Ohio is being given blood plasma after he was wounded by shrapnel in Sicily on 8-9-43-NARA-197268

Robert Capa





Certo, potrei fregarmene di tutte queste persone che sbarcano nel suolo italico, in fondo non le ha invitate nessuno, è un atto di arroganza presentarsi senza invito e senza l’abito di cerimonia, affamati e maleodoranti; ma secondo lo stesso principio dovrei anche fregarmene dei terremotati del centro Italia, chi li conosce? E poi, è evidente che è colpa loro se gli è crollato tutto addosso, guarda un po’ come hanno costruito. 
E che dire del crollo del cavalcavia sulla Milano-Lecco, che imbecilli, nessuno a Milano o a Lecco era andato a controllare che stavano costruendo un cavalcavia con la segatura. E i palermitani a cui è crollato il pilone del viadotto dell’autostrada? Si vede che gli individui che interrano dentro i piloni non sono più quelli di una volta, prima mettevano dentro i piloni persone più solide del cemento armato, adesso sono tutti di fragile costituzione, per forza i piloni crollano.
Un aiuto a ricostruire? Si, sono siciliano, ma Palermo è già un’altra Sicilia per me, diversa faccia diversa razza. E perché dovrei accettare di pagare con le mie tasse di finanziare le scuole, io che non ho figli, gli ospedali, io che sto benissimo, gli stipendi degli statali, che mi stanno pure antipatici, la Tav quando non me ne frega niente che una carota da Torino a Lione impiegherà mezzora di viaggio in meno, il ponte sullo stretto quando ho intenzione di fare le mie vacanze nei Caraibi, a Cuba o alle Bahamas?


Sbarco ad Anzio

Sbarco A Gela


L'affondamento della nave tipo Liberty Robert Rowan, colpita l'11 luglio da un bombardiere tedesco dinanzi Gela



Perché dovrei accettare che parte di ciò che ho guadagnato serva come cassa integrazione, mobilitazione, per chi ha perso il lavoro, perché dovrei privarmi di ciò che è mio in funzione di un ipotetico sussidio di disoccupazione, se sei stato così incauto da impiegarti in una azienda in crisi, senza sbocchi futuri, o che si è trasferita altrove per pagare meno tasse e con costi del lavoro inferiori è mica colpa mia? E poi, ogni assegno è assistenzialismo, rischiamo di creare nuclei di parassitismo.
Perché dovrei abbandonare il mio letto caldo, la mia abitazione confortevole per recarmi nei posti dove è successa una tragedia per prestare soccorso, perché donare il proprio sangue per gli altri, se è mio vuol dire che ne ho bisogno, e se nel sangue ci fosse l’anima come dicono i testimoni di Geova? Meglio andarci cauti. 
Perché costringermi a mangiare nella mensa comune quando mangio molto meglio a casa mia, perché frequentare bagli pubblici istituiti per parecchie persone con tutte queste brutte malattie infettive, perché chiudere bottega senza guadagnare, quando altri alzano muri e barricate, perché dormire in tenda con coperte che non scaldano ora che ho un’età e dovrei avere più riguardo per i miei reumatismi?


Scala dei Turchi

Scala dei Turchi


Sicily Husky WWII Dead Pilot 1943 Soldati americani dinanzi al corpo di un pilota tedesco nei pressi di Gela, 12 luglio 1943




Se tutti quanti la pensassimo in questo modo non ci sarebbe più l’Italia, non ci sarebbe l’Europa, non ci sarebbe il mondo e nemmeno più l’uomo, noi esseri umani nasciamo e moriamo nel bisogno, ed abbiamo un periodo della nostra vita piuttosto breve in cui siamo capaci di produrre più risorse di quelle che ci servono per sopravvivere, risorse che servono nell’immediato per aiutare a sopravvivere i nostri neonati che sono il nostro futuro e i nostri vecchi che sono il nostro passato.
Ma questo schema è valido anche per agglomerati umani più ampi della famiglia, per i gruppi, i clan, i villaggi, i paesi, gli stati, il mondo intero, perché tutto è interdipendente; noi non saremmo niente senza gli altri e gli altri sarebbero diversi senza di noi, perché la nostra presenza cambia il tutto, come onda che si propaga sempre più impercettibilmente.
Finora ho affrontato la questione prevalentemente in termini utilitaristici: sii solidale perché potresti aver bisogno della solidarietà altrui, o se non tu qualcuno dei tuoi, perché riproducendoci creiamo altri destini che non dipendono esclusivamente da noi, ma che possono dipendere da fattori e da persone anche molto lontane e imprevedibili.



Caciocavallo ragusano

Soldati tedeschi in Sicilia

Troina, Enna




Ora la affronterò, sfiorandolo appena, il resto dell’approfondimento lo affido a voi se vorrete, l’elemento più tipicamente umano della solidarietà, a noi uomini capita che se qualcuno sta cadendo sotto i nostri occhi, istintivamente ci proiettiamo verso di lui con le mani per sostenerlo, tutto avviene senza avere il tempo per pensare, senza che ci rendiamo conto di chi è quella persona, senza che possiamo far calcoli su quanto ci possa essere utile sorreggerlo.
Succede semplicemente che l’essere umano ha la facoltà di mettersi rapidamente nei panni altrui, di vedersi contemporaneamente come chi sorregge e chi sta per cadere e, istintivamente agiamo; ho usato il termine istintivo, ma non è propriamente un istinto, è la capacità contemporanea di essere noi e di essere altro da noi, che possediamo in potenza fin dalla nascita, ma che va sviluppata a partire dai giochi di ruolo fra madre e bambino.
Col tempo cerchiamo di capire cosa sta pensando il nostro interlocutore al di la di ciò che ci dice e ciò che sta provando, quali sentimenti lo agitano, per far questo dovremmo avere la capacità di essere lui e nel frattempo di rimanere noi stessi, questa capacità si affina col tempo, ma può anche rimanere ad un livello molto rudimentale: esistono persone che non riescono a capire cosa l’altro provi, che non riescono a mettersi in contatto emotivo con un altro essere umano, a stabilire una vera relazione fatta della possibilità di comprendersi al di la della complementarietà reciproca e dell’istinto animale.




Catania





Chi non ne è capace non dovrebbe sbandierare questo suo limite come un merito, ma vederlo come una mutilazione, una difficoltà, invece si inventa pseudo-leggi razionali o naturali per giustificare il suo utilitarismo (che è l’unica cosa che gli rimane se non sa andare oltre allo sfruttamento reciproco fra persone: tu mi dai sesso e figli e io ti mantengo, come concezione del matrimonio e del rapporto uomo donna), che sarebbero l’unica modalità giusta, corretta, sensata per approcciarsi ad un’altra persona.
Crea barriere, muri, chiude saracinesche per non prendere assolutamente atto di essere un menomato emotivo, cerca la compagnia, l’assenso, di altri menomati come lui per rassicurarsi di essere nel giusto, crea movimenti politici, d’opinione, per promuovere la sua menomazione, auspicando che tutti siano menomati al pari di lui, e squalifica, discrimina ed elimina, se è necessario, chi si ostina a non essere menomato.
Il filosofo spagnolo Miguel de Unamuno, nel 1936 poco prima della guerra Civile spagnola, in occasione di un discorso del Generale Millán Astray presso l’università di Salamanca in cui egli era rettore, replicò in questo modo agli innumerevoli: “Viva la muerte!” dei suoi sostenitori che punteggiavano le pause del militare:   

“ ... Ho sentito or ora un necrofilo insensato gridare: ‘Viva la morte!’. Ed io che ho passato la vita forgiando paradossi che hanno suscitato l’ira e l’incomprensione degli altri, debbo dirvi, da esperto autorevole, che questo paradosso di un altro mondo mi è repellente. Il generale Millán  Astray è un menomato. Sia detto senza alcuna intonazione irriverente. E’ un invalido di guerra. Come lo era Cervantes. Sfortunatamente ci sono troppi invalidi in Spagna in questo momento. Anzi ce ne sarebbero perfino di più se Dio non ci venisse in aiuto. Mi duole pensare che il generale Millán Astray possa dettare il modello della psicologia di massa. Un mutilato che manchi della grandezza spirituale di Cervantes è solito cercare infausta assistenza provocando la mutilazione attorno a sé".


2 commenti:

  1. Caro Garbo, prima di scrivere qualunque cosa sento il bisogno di ringraziarti per quello che hai scritto. Anche se temo sia vero quanto dici all'inizio, che è sempre più forte la sensazione che quanto diciamo serva poco a chi non ha... orecchie per intendere, è altrettanto vero che un'idea può trovare strade impreviste per crescere e forse è questa consapevolezza che spinge a scrivere. Il tuo post suona molte corde, quelle della storia di questo paese, della storia della tua famiglia che è storia di molte famiglie simili e suona le corde di una storia millenaria e presente che si fa sempre più lontana come i valori dell'ospitalità e della solidarietà. Quali sono le cause della mutilazione emotiva che non è solo del nostro paese e non è solo di questi tempi? Tu citi la latitanza del padre eppure la figura del padre che evochi nel tuo racconto opera in un contesto familiare in cui la figura materna è fondamentale. Questa lettura non mi convince pienamente poiché comporta una contrapposizione tra figura materna/paterna che in qualche modo risuona con egoismo/altruismo. In altre parole mi chiedo se questa non sia l'ennesima lettura al maschile della nostra psiche ma non so darmi una risposta. Così come non so darmi una risposta sulle cause sociali di questa mutilazione perché ce ne sono eccome. Una mutilazione emotiva che per certi versi è richiesta, sebbene ipocritamente celata. E' richiesta dall'efficienza dell'apparato tecnico, è richiesta dal richiamo alla competitività, al merito e al successo, è richiesta dalla crescita continua. E' richiesta dalla metafora della rete che ha soppiantato quella della catena. Un tempo si poteva dire che una catena è forte quanto il suo anello più debole, e oggi? Oggi abbiamo la rete, se un nodo cede niente paura, la rete tiene. Hai perfettamente ragione a dire che l'empatia è inscritta nella nostra storia evolutiva ma questo non la fa essere qualcosa di scolpito per sempre. Se è stata inscritta è perché è stata coltivata nelle nostre strutture sociali, come tu stesso dici. Temo che per molti versi stiamo smettendo di coltivarla, fatti salvi i casi estremi che ci richiamano a quell'empatia per istinto, appunto. Il tema della distanza è centrale per l'empatia, tu stesso lo hai considerato in un precedente articolo. Quanto è lontano l'evangelico "prossimo"? Oggi parliamo di società globale ma il concetto di prossimo si è sviluppato in comunità di piccole dimensioni. Oggi il prossimo dista da noi migliaia di km, lo vediamo attraverso tv e satelliti ma non ne sentiamo l'odore, non sentiamo l'orrore da cui fugge, non sentiamo esplodere neanche le bombe che gli piovono addosso, è come nei videogame. Le nostre "conquiste" tecniche sono al passo con quelle emotive? Siamo al passo con la nostra storia? Come possiamo dire che la cosiddetta società globale stia coltivando l'empatia per chi sta dall'altra parte del pianeta quando ti insegna ad avere successo per non essere un fallito e tutto quello che riesce a realizzare è una moltitudine di falliti di successo? Ecco, tu hai affidato ai commenti un eventuale approfondimento del tuo bell'articolo e io faccio solo domande! Non ho altro amico mio, ho solo domande. Buon fine settimana.

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  2. L’assenza di una figura paterna forte, valorosa, potente, autorevole, capace di staccarti dalle gonne materne e inserirti nel mondo sociale, è invocata da sociologi, psicologi e psicoanalisti all’origine di ogni regime autoritario: sospeso fra l’intimità della casa e la paura e attrazione del mondo esterno, in assenza di un Virgilio che ti faccia da guida, ti affidi alla prima figura autoritaria che ti fa apparire facile questo passaggio. Da un padre potente ma assente passiamo ad una figura paterna onnipotente, ne diventiamo seguaci e succubi, siamo anche disposti a perdere la nostra libertà e la nostra dignità pur di sentirci adeguati.
    Perdere valori come l’umanità e la solidarietà, per sostituirli col cameratismo e il senso di appartenenza esclusivo, appartengono come sai ad ogni regime autoritario e si raggiungono solo in seconda battuta: solo una persona forte, autorevole, produttiva, capace di creare cose e ragionevolmente sicura delle proprie capacità, può permettersi si essere solidale.
    Altrimenti ti trovi di fronte all’annullamento di sé al servizio dell’altro (come madre Teresa), un sistema in cui in realtà annulli anche l’individualità dell’altro, che diventa solo bisogno e sofferenza, che ti sono necessari per dare un senso alla tua vita e che inconsapevolmente perpetui perché se sparisse la sofferenza tu non sapresti più chi sei e cosa puoi fare.
    Oppure ti trovi di fronte all’egoismo, alla grettezza, all’insensibilità, più o meno sbandierate in base a quanto la società ritiene sensato o meschino questo atteggiamento (e questa è una società che trova giusto pensare solo a sé … non c’è né prima né dopo degli slogan ipocriti “prima gli italiani”, c’è solo il proprio io e nient’altro).
    Non si tratta di valori legati all’essere uomo o all’essere donna, non è che la donna sia più egoista dell’uomo, è solo che nella nostra società patriarcale la donna, la mamma, significa casa, intimità, esclusività, mentre in genere è il padre che ti introduce in società, è nel nome del padre che noi siamo conosciuti fuori dalla nostra casa, mentre dentro casa non hai bisogno di appellarti al tuo cognome per far sapere chi sei.
    Tutto ciò che circola in casa è nostro, di tutti, e quasi non esiste la proprietà privata, fuori casa è essenziale distinguere di chi è qualsiasi cosa, è essenziale imparare lo scambio e confrontarti col dono; fuori casa esistono degli estranei che non hanno alcun legame precostituito con me, il cui legame è tutto da costruire o da non costruire affatto, e bisogna stabilire di volta in volta le regole per questo legame, regole che possono essere sociali oppure personali se si creano altri rapporti intimi.
    In qualche modo, solo con l’ingresso nel sociale si pone davvero il problema della solidarietà, ma le basi dell’empatia, dell’essere contemporaneamente te stesso e l’altro, le apprendi nei giochi di ruolo e nei contatti visivi e non con la madre, senza questa capacità fondamentale la solidarietà sarebbe solo generosità ed ostentazione di potenza.
    Alcune domande e alcune considerazioni sono più interessanti di mille risposte :-).
    Ciao

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