mercoledì 12 ottobre 2016

FREUD, LACAN E LA BELLA MACELLAIA 1








* La lettura di questo post è sconsigliata ai vegani, mentre i vegetariani possono leggerlo solo in presenza dei loro genitori *





Annibale Carracci, Bottega del macellaio

Graziella Ciliberto, Dormiente

Jacques Lacan


«Vi è una categoria di donne con le quali ogni tentativo di utilizzare per il lavoro analitico la traslazione amorosa, senza tuttavia soddisfarla, comunque non riesce. Si tratta di donne dalla passionalità elementare che non ammette surrogati: figlie della natura, che non accettano una realtà psichica in cambio di quella materiale, e che, per dirla col poeta, sono accessibili soltanto alla “logica della polenta … alla tesi della bistecca”. Con tali persone la scelta è questa: o ricambiare l’amore oppure attrarre su di sé l’ostilità della donna delusa; e in nessuno dei due casi si possono salvaguardare gli interessi della cura».
(Sigmund Freud, Osservazioni sull’amore di traslazione, 1912, O.S.F. Bollati Boringhieri, Torino, Vol. 7, p. 369).




Annibale Carracci, Bottega del macellaio (Grande macelleria), 1585 circa, Christ Church Gallery, Oxford.



«”Lei dice sempre che il sogno è un desiderio esaudito”, incomincia a dire una mia spiritosa paziente: “Ora le voglio raccontare un sogno il cui contenuto rivela invece un desiderio non esaudito. Come lo mette d’accordo con la sua teoria? Il sogno è questo:
“Voglio offrire una cena, ma non ho altre provviste tranne un po’ di salmone affumicato. Penso di uscire a comprare qualcosa, ma mi ricordo che è domenica pomeriggio e che tutti i negozi sono chiusi. Voglio telefonare a qualche fornitore, ma il telefono è guasto. Così devo rinunciare al mio desiderio di fare un invito a cena”.
Naturalmente io rispondo che soltanto l’analisi può decidere del significato del sogno, anche ammettendo che a prima vista esso appare ragionevole, coerente e somigliante al contrario di un appagamento di desiderio. “Ma da quale materiale proviene il sogno? Lei sa che lo spunto di un sogno si trova sempre nelle esperienze del giorno prima”.
Analisi. Il marito della paziente, un bravo e onesto macellaio all’ingrosso, le ha detto il giorno prima che sta diventando troppo grasso e che intende quindi iniziare una cura dimagrante. Si alzerà presto, farà del moto, osserverà una dieta rigorosa e soprattutto non accetterà più inviti a cena. Ridendo, la paziente continua a parlare del marito, dice ch’egli ha conosciuto al suo tavolo abituale in birreria un pittore che voleva a tutti i costi fargli un ritratto, perché non aveva mai visto una testa così espressiva. Ma suo marito, con il suo schietto modo di fare, lo ha ringraziato dicendosi convinto che il pittore avrebbe preferito all’intera sua faccia un pezzo di sedere di una bella figliuola [Il gioco di parole dal tedesco è intraducibile, “posare” si dice Dem maler sitzen, letteralmente: sedere per il pittore; Goethe celia con i seguenti versi in Totalität: Und wenn er keinem Hinter hat, Wie kann der Edle sitzen? E se non ha sedere, come può sedersi il nobiluomo?]. Attualmente è molto innamorata del marito e lo tormenta amorevolmente. Lo ha anche pregato di non regalarle del caviale. Le chiedo cosa significa e lei mi risponde che da molto tempo desidera poter mangiare ogni mattina un panino con caviale, ma non si concede questo lusso. Naturalmente suo marito le farebbe avere subito del caviale, se lei glielo chiedesse, invece l’ha pregato di non regalargliene per poter continuare a stuzzicarlo. Questa motivazione mi sembra debole. Dietro queste informazioni poco soddisfacenti, si celano di solito motivi inconfessati. Basti pensare ai soggetti ipnotizzati di Bernheim, che eseguono un compito postipnotico e che, richiesti dei motivi delle loro azioni, invece di rispondere che non li sanno, si trovano costretti a inventare una motivazione palesemente insufficiente. Qualche cosa di simile ci sarà nel caso del caviale della mia paziente. Noto che è costretta a crearsi nella vita un desiderio inappagato e che il suo sogno le dà per esaudita questa rinuncia. Ma perché il bisogno di un desiderio inappagato?
Ciò che le è venuto in mente sinora non è stato sufficiente per l’interpretazione del sogno. Insisto per sapere qualcos’altro. Dopo una breve pausa, che corrisponde appunto al superamento di una resistenza, ella mi riferisce di aver fatto visita ieri a un’amica, di cui in fondo in fondo è gelosa perché suo marito non fa che lodarla. Per fortuna quest’amica è molto secca e magra e a suo marito piacciono le bellezze formose. Di che cosa ha dunque parlato quest’amica magra? Naturalmente del suo desiderio di diventare un po’ più formosa. Le ha anche chiesto: “Quand’è che ci invita di nuovo? Da lei si mangia sempre tanto bene”.
Ora il significato del sogno è chiaro. Posso dire alla paziente: “È proprio come se lei, di fronte a quella sollecitazione, avesse pensato: ‘Proprio te inviterò, perché tu possa farti una bella mangiata, ingrassare e piacere ancora di più a mio marito. Preferisco non dare più cene’. Infatti il sogno le dice che non può offrire nessuna cena ed esaudisce quindi il suo desiderio di non contribuire all’arrotondamento dell’amica. Il proponimento di suo marito di non accettare più inviti a cena per riuscire a dimagrire, le insegna che i cibi offerti nei pranzi di società fanno ingrassare”. Alla conferma della soluzione manca ora soltanto una coincidenza qualsiasi. Anche il salmone affumicato del contenuto del sogno non ha ancora trovato la sua derivazione. “Come arriva al salmone citato in sogno?”. “Il salmone affumicato è il cibo preferito della mia amica”, risponde. Casualmente, anch’io conosco la signora e posso confermare che si concede il salmone non più di quanto la mia paziente si conceda il caviale.
Lo stesso sogno ammette anche un’altra e più sottile interpretazione, resa addirittura necessaria da una circostanza accessoria. Le due interpretazioni non si contraddicono tra loro, anzi si sovrappongono e costituiscono un bell’esempio del consueto doppio senso dei sogni e di tutte le altre formazioni psicopatologiche. Abbiamo appreso che, contemporaneamente al sogno del suo desiderio non esaudito, la paziente si sforzava di procurarsi nella realtà un desiderio inappagato (il panino col caviale). Anche l’amica aveva espresso un desiderio, e precisamente quello di ingrassare, e non ci meraviglieremmo se la nostra paziente avesse sognato che il desiderio dell’amica non viene appagato. Infatti è desiderio della paziente che un desiderio dell’amica – precisamente quello d’ingrassare – non si realizzi. Ma invece ella sogna che è il suo desiderio a non realizzarsi. Si ottiene così una nuova interpretazione, se supponiamo che nel sogno ella non intenda sé stessa bensì l’amica, che si sia sostituita all’amica o, in altre parole, si sia identificata con lei. Penso che ella abbia realmente agito così e che il fatto di essersi costruita un desiderio inappagato nella vita reale costituisca una prova di questa identificazione.
Ma che significato ha l’identificazione isterica? Per chiarirlo, occorre un’esposizione più approfondita. L’identificazione è un momento estremamente importante nel meccanismo dei sintomi isterici; per mezzo suo gli ammalati riescono a esprimere nei loro sintomi non soltanto le esperienze proprie, ma quelle di molte persone, a soffrire, in un certo senso, per un’intera moltitudine e a rappresentare, senz’altrui concorso, tutte le parti di una commedia. Mi si obietterà che questa è la ben nota imitazione isterica, la capacità da parte degli isterici di imitare tutti i sintomi altrui che li hanno colpiti, una simpatia, per così dire, spinta sino alla riproduzione. Con ciò, però, è indicata soltanto la via sulla quale si svolge il processo psichico dell’imitazione isterica; ma una cosa è la via, un’altra l’atto psichico che la percorre. È un atto un po’ più complicato di quello che si ama indicare come imitazione isterica e corrisponde, come chiarirà un esempio, a un processo deduttivo inconscio. Il medico che ha una paziente con un certo tipo di convulsioni all’ospedale, in una stanza con altre malate, non si meraviglierà venendo a sapere una mattina che quel particolare attacco isterico è stato imitato dalle altre malate. La sua reazione sarà semplice: esse hanno visto e imitato; si tratta di infezione psichica. Si, ma l’infezione psichica si svolge pressappoco in questo modo. Di solito le ammalate sanno l’una dell’altra più di quanto sappia il medico e, quando la visita è terminata, si interessano l’una dell’altra. Se una di loro presenta oggi il suo attacco, le altre sapranno immediatamente che esso è provocato da una lettera giunta da casa, da un ridestato dispiacere amoroso, e così via. La loro simpatia si desta e si compie in loro una deduzione, che però non giunge alla coscienza: “Se una causa come questa può provocare un attacco di questo tipo, anch’io posso avere lo stesso tipo di attacco perché cause come questa sono valide anche per me”. Se tale conclusione potesse diventare cosciente, sfocerebbe forse nell’angoscia di avere un attacco del genere; ma di fatto la deduzione si svolge su un terreno psichico diverso, e sfocia quindi nella realizzazione del sintomo temuto. l’identificazione non è dunque semplice imitazione, bensì appropriazione in base alla stessa pretesa etiologica. Essa esprime un “come”, e si riferisce a qualche cosa di comune che permane nell’inconscio.
Di solito, l’identificazione viene utilizzata nell’isteria come espressione di una comunanza sessuale. Nei suoi sintomi l’isterica si identifica di preferenza – anche se non in modo esclusivo – con persone con le quali ha avuto un rapporto sessuale, oppure che hanno rapporti sessuali con le stesse persone che ne hanno con lei stessa. Anche il linguaggio tien conto di questa concezione: due amanti sono “una cosa sola”. Nella fantasia isterica, come nel sogno, è sufficiente per l’identificazione pensare a rapporti sessuali, senza che essi debbano per questo avere valore di realtà. La mia paziente segue dunque unicamente le regole dei processi ideativi isterici, quando dà sfogo alla sua gelosia verso l’amica (che peraltro riconosce ingiustificata) ponendosi in sogno al suo posto e identificandosi con lei attraverso la creazione di un sintomo (quello del desiderio inappagato). In altre parole, si potrebbe enunciare il procedimento anche in questo modo: in sogno ella si sostituisce all’amica perché questa si sostituisce a lei presso il marito e perché lei vorrebbe prendere il posto dell’amica nell’apprezzamento del marito».
(Sigmund Freud, L’interpretazione dei sogni, 1899, O.S.F., Vol. 3, Bollati Boringhieri,1989, pp.142-145).


Dario Cecchini


Sigmund Freud




Questo è quanto scrive Freud del sogno di questa donna, non credo occorra commentarlo perché il maestro viennese aveva il dono di scrivere bene e di farsi comprendere anche meglio, riprenderò in seguito il suo discorso solo quando sarà necessario per far capire le differenze fra la sua e le altre interpretazioni.
In sintesi, egli dimostra alla moglie del macellaio che non è vero che il suo sogno riguarderebbe un desiderio insoddisfatto, che non è vero che il suo desiderio sarebbe quello di offrire una cena ma, al contrario, proprio quello di non offrirla, senza che lei per questo venga meno alla sua famosa ospitalità e senza che possa dirsi che sia colpa sua.
In questo modo, con la cena mancata, realizzerebbe ben due desideri, potrebbe aiutare il suo amato marito nella cura dimagrante che intende intraprendere e potrebbe evitare che la sua amica ingrassi proprio grazie a lei, e in questo modo possa piacere ancora di più a suo marito, che apprezza molto le donne formose.
Infine, le dice che ha operato nel sogno una identificazione fra lei e l’amica, a partire dal desiderio insoddisfatto di entrambe per il caviale l’una e per il salmone affumicato l’altra, la finalità di questa identificazione è quella di poter essere apprezzata da suo marito come questi sembra apprezzare questa donna.
Jacques Lacan scinde fin da subito il desiderio con la domanda, secondo lui la bella macellaia si identificherebbe all’amica perché entrambe formulano una domanda: “Mi piacerebbe far colazione con un panino al caviale!” o ”mi piacerebbe mangiare più spesso del salmone affumicato!”, … ma desidero che non me lo si dia!

Massimo Recalcati


Massimo Recalcati

Laughing_Fool,  Sciocco che ride, dipinto olandese del 1500 ca.


Dario Cecchini


Non si tratta di soddisfazione dei bisogni, la nostra macellaia non vuole semplicemente soddisfare la sua fame, la sua sete, la necessità d’aria o le sue esigenze sessuali, troppo semplice, ella, secondo Lacan:
“Ne vuole altri gratuiti, e per essere ben certa che lo siano, vuole non soddisfarli. Ecco perché alla domanda: che cosa desidera la spiritual spiritosa macellaia?, si può rispondere: del caviale. Ma questa risposta è senza speranza perché di caviale proprio lei non ne vuole”.
(Jacques Lacan, 1958, La direzione della cura e i principi del suo potere, in Scritti, Einaudi, Torino, 1974, p. 621).
Lo stesso discorso lo aveva reso solo poco tempo prima nel suo seminario in questi termini:
“Che cosa desidera? Desidera del caviale … E cosa vuole? Vuole che non le si dia del caviale”.
(J. Lacan, 1957.1958, Seminario Libro V Le formazioni dell’inconscio, Einaudi, Torino, p. 373).
Massimo Recalcati coglie molto acutamente l’opposto della posizione isterica in un motto di spirito raccontato dallo stesso Freud, in cui un signore decaduto chiede in prestito una certa somma di denaro ad un suo conoscente benestante, descrivendogli dettagliatamente il suo stato miserevole e le sue difficoltà. Non molto tempo dopo il benefattore scopre il suo beneficiato in un tavolo di ristorante a gustarsi un piatto di salmone e maionese. Comprensibilmente indignato entra e rimprovera lo sciagurato che scialacqua i suoi soldi in quel modo invece di farne un uso migliore; ma il suo beneficiato replica a sua volta stupefatto che non capisce perché il suo conoscente se la prenda tanto: se uno non ha denari non può mangiare il salmone con la maionese, se ha denari non deve mangiare il salmone con la maionese … e che diamine!
(Massimo Recalcati, Jacques Lacan. La clinica psicoanalitica: struttura e soggetto, Raffaello Cortina, Milano, 2016, pp. 315-316; Sigmund Freud, Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio, 1905, OSF, Bollati Boringhieri, Torino, Vol. V, pp.43-44) 
Lacan qui ribalta in realtà la concezione freudiana del desiderio, per Freud il desiderio è sempre un fatto conativo e volitivo, nasce da un surplus energetico di tipo libidico o aggressivo, che spinge in direzione della sua gratificazione e verso la ricerca di un oggetto su cui scaricarsi.



Pieter_Aertsen_005 Pieter Aertsen, Banco di macelleria con la Fuga in Egitto, 1551, Uppsala, Collezioni d'arte dell'Università di Uppsala.




Per Lacan, invece, il desiderio parte invece da una mancanza, non una mancanza di qualcosa o di qualcuno ma proprio una mancanza ad essere, il desiderio sarebbe la metonimia di questa manque à être, che non può essere riempita da una scarica, da una gratificazione, da un oggetto, ma soltanto dal riconoscimento da parte dell’altro, ma non si tratta di un altro qualunque, ma dell’Altro con la A maiuscola, dell’altro che da senso alla mia stessa esistenza.
Per un bambino quest’Altro potrebbe essere suo padre o sua madre, per qualcuno è Dio (certamente lo è per un mistico), per qualcun altro ancora potrebbe essere un leader carismatico o anche un ideale, uno per cui si può andare a morire, ma potrebbe anche essere rappresentato da un amante, uno che è il mio stesso sangue, l’aria che respiro, ciò che Giulietta fu per Romeo (e viceversa), ciò che Isotta fu per Tristano, Amleto per Ofelia.
Come scrive lo stesso Lacan:
“Il desiderio è ciò che si manifesta nell’intervallo scavato dalla domanda aldiquà di se stessa, in quanto il soggetto, articolando la catena significante, porta alla luce la mancanza ad essere insieme all’invocazione a ricevere il complemento dall’Altro, se l’Altro, luogo della parola, è anche il luogo di questa mancanza (manque)”.
(J. Lacan, La direzione della cura, p. 623).
Il ribaltamento non poteva essere più completo: così come Freud aveva ribaltato il desiderio della bella macellaia, non più desiderio di offrire una cena ma vorrei prendere il tuo posto nell’interesse che mio marito sembra avere nei tuoi confronti e non sarò certo io ad offrirti una cena per farti ingrassare e piacergli così ancora di più, Lacan, rileggendo il testo di Freud, dice che è tipico delle isteriche formulare desideri che rimangano però insoddisfatti.
L’isterica, in altre parole, si sottoporrebbe volontariamente o meglio soggiacerebbe inconsapevolmente ad una sorta di supplizio di Tantalo, o al giogo dell’asino che insegue perennemente una carota attaccata ad un bastone che penzola davanti ai suoi occhi: ogni volta che l’asino si muove verso la carota anche il bastone su cui essa sta attaccata si muoverebbe, e l’asino così non la raggiunge mai. 







L’isterica cioè sarebbe soggetta al godimento della privazione, perché nella sua logica la soddisfazione equivarrebbe alla morte e all’estinzione del desiderio stesso, quindi lo si preserva in vita perseguendolo costantemente ma senza mai appagarlo.
Lacan sostiene che l’isterica è li a mostrare l’esistenza del desiderio al di la di ogni possibile domanda, solo in “quanto occupa la funzione a titolo di desiderio rifiutato”, e aggiunge: ”Non capirete mai niente di un’isterica o di un isterico se non partite da questo primo elemento strutturale”.
(J. Lacan, 1957.1958, Seminario Libro V Le formazioni dell’inconscio, Einaudi, Torino, p. 375).
Se Lacan riprende da Freud, seppure con le differenze che abbiamo notato, l’identificazione della macellaia con l’amica attraverso il significante della mancanza (il caviale per l’una, il salmone affumicato per l’altra), va oltre le intenzioni interpretative del professore viennese quando introduce attraverso il sogno di questa donna ben altre due identificazioni tipiche dell’isteria.
La seconda identificazione che fa l’isterica, secondo Lacan, è quella “virile”, ella cioè guarda la donna con gli occhi di un uomo, si identifica al desiderio dell’uomo; non si tratta di una identificazione “omosessuale” però, fa notare lo psichiatra francese, ma semmai “uomosessuale”: la macellaia guarda la sua amica per comprendere cosa suo marito ci trovi di bello e di amabile in lei da non cessare di tessere elogi su questa donna, vuole trovare in lei quella femminilità che sente mancarle.
Con le parole dello stesso Lacan:
“Ma com’è possibile che un’altra, l’amica, possa essere amata? Non basta forse, perché la paziente ci pensi, che il marito la consideri? Com’è possibile che un’altra possa essere amata da un uomo che non potrebbe restarne soddisfatto? Lui, l’uomo dal bel culo? Dal bel di dietro? Ecco, messa a punto la questione che in generale è quella isterica: la donna si identifica all’uomo (prima identificazione) e la fetta di salmone affumicato arriva al posto del desiderio dell’Altro”.
(Jacques Lacan, La direzione della cura, p. 622).
Com’è possibile, infatti, che quest’uomo, il suo uomo, possa tessere tutti questi elogi, lasciando forse trasparire una simpatia per questa donna, che per la moglie è già interesse e forse amore, se quest’uomo è già suo, ed è notoriamente attratto dalle donne formose, come lo è lei, donne dal bel culo insomma, mentre l’amica è secca secca come una fetta di salmone affumicato?
L’isterica, secondo Lacan, difetterebbe nella specularizzazione narcisistica della propria immagine, e per ovviare a questa che sente come una menomazione da un lato scruta molto attentamente cosa piace al maschio e cerca di plasmarsi in base a questo desiderio, il desiderio dell’Altro (se ti piacciono quelle formose, io sarò formosa), e dall’altro eleva l’Altra donna al rango dell’Ideale, come se questa possedesse quel quid di femminilità che lei non possiede e che vorrebbe avere.

(SEGUE ...)


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