sabato 30 aprile 2016

URUK HAI





“ … la ferocia dell’uomo nei confronti del suo simile supera tutto ciò che possono fare gli animali, e che di fronte alla minaccia che essa scaglia sulla natura intera persino gli animali recedono inorriditi”. (Jacques Lacan, Introduzione teorica alle funzioni della psicoanalisi in criminologia, in Scritti, vol. 1, p. 141).








Il bambino abusato è spesso un bambino poco sorvegliato, solo, in alcuni casi non desiderato e persino superfluo: nato in un determinato contesto, già strumentale in quell’ambito, funzionale a mantenere il legame, quando questo contesto muta, il bambino diventa un peso, ed è in quel momento che può diventare il “fiero pasto” del pedofilo, con la complicità dei genitori o con la loro incuria.
La famiglia del bambino abusato è, in genere, una famiglia disorganizzata, talvolta costituita da un solo genitore (quando ci sono entrambi i genitori il padre è abitualmente assente, inconsistente, il che è peggio di quando è un pessimo esempio), in genere la madre, che nutre e cura fisicamente i suoi figli, non riesce ad essere loro vicina emotivamente, non ne comprende le esigenze affettive e ciò fa in modo che questi bambini, trascurati per molto del loro tempo e affamati d’affetto, possono essere attratti dalle attenzioni del pedofilo.
È necessaria una svalutazione di sé molto profonda e una altrettanto intensa devastazione interiore per non riuscire ad essere presente col proprio figlio, per non accorgersi del grande disagio (un bambino non riesce a nascondere un evento così grande, magari non trova le parole o le lacrime, ma il dolore è li se riesci a vederlo, se lo vuoi vedere), è necessario un naufragio totale della tua esistenza per giocare la vita e il benessere di tuo figlio sul tavolo delle contrattazioni dei rapporti umani.
Il pedofilo è un tizio mai cresciuto, convinto di essere un bambino cerca rapporti con gli altri bambini, ma essendo anche fisicamente adulto impone i codici della sessualità genitale al mondo del bambino, che ne è ancora estraneo.








Come se questo non bastasse, il pedofilo non è soltanto uno che voglia avere un rapporto sessuale con un bambino, ma anche uno dotato di una ferocia e di un sadismo estremi, il limite fra approfittare sessualmente e infliggere dolore, umiliazione e sofferenza è molto labile, anche il pedofilo in apparenza più candido e gentile può arrivare a seviziare e perfino ad uccidere un bambino qualora si trattasse di scegliere fra salvare la sua immagine, la sua libertà, il suo “buon nome” e la vita stessa del bambino.
Un pedofilo è spesso un tale che a sua volta è stato abusato, fisicamente e/o psicologicamente, uno che fa confusione fra sessualità adulta e sessualità infantile, uno che può confondere il proprio stesso sangue (essere, dunque, anche incestuoso) e quello altrui, oppure uno che è vissuto in una famiglia disgregata, esattamente come le sue piccole vittime, per questo inizialmente si pone come elemento riparatore per la solitudine e la sofferenza del bambino.
È un disagio talmente grave e profondo che i clinici danno poche speranze terapeutiche, la pedofilia è totalmente egosintonica, non viene percepita come un problema interno, etico, non crea sensi di colpa, spesso è condivisa da altri sodali con cui ci si incontra e ci si rinforza a vicenda, vengono creati gruppi di scambio di immagini pedopornografiche o di racconto delle proprie orride imprese.
L’unica cosa che si teme è quella di perdere la “maschera”, un pedofilo è spesso inserito in ambienti che gli danno una reputazione inattaccabile e lo mettono in contatto con le sue possibili prede: può essere un insegnante, un preparatore atletico, un prete … uno di cui non ci si meraviglia se ha dei rapporti o delle attenzioni per i bambini.








Potrebbe anche mostrarsi, per una donna sola, separata, con figli piccoli e lontana dalla famiglia d’origine e con poche amicizie vere, come una specie di principe azzurro innamorato di te e a cui piacciono i tuoi bambini; lentamente pur di non perderlo una donna scellerata può accettare di dargli in pasto i propri figli, di chiudere un occhio o addirittura di costringerli.
Il pedofilo non cambia, non facilmente, alcuni colleghi che ci hanno a che fare, disperati, dicono di rinchiuderli e di buttare via la chiave, la stessa disperazione unita all’impotenza porta a pensare a soluzioni estreme, alla castrazione chimica  (qualche sadico anche a quella fisica).
L’unica cosa che li può smuovere a un ravvedimento di facciata è la paura della punizione, della ritorsione (avete presente qual è la sorte di un pedofilo quando entra in un carcere?), o di perdere la libertà, ma non è il caso di fidarsi di questi cambiamenti repentini e, a meno di un miracolo in stile Lourdes, è bene diffidare anche dei cambiamenti più lenti, non è necessariamente vero che l’età avanzata e la prolungata carcerazione (magari corredata dalla “buona condotta”) restituiscano sempre un soggetto nuovo.      





RITRATTO DI UN PEDOFILO

“Lo scongiuro della morte appare allora come il vero significato dell’operazione seduttiva e dell’incubo fallico della prestazione.
[Da qui in poi è una lunga nota al testo].
Il riferimento al nostro ex premier si impone. Non si può intendere davvero il rituale divenuto celebre come ‘bunga bunga’ se non lo si mette in rapporto al sacrario monumentale che Silvio Berlusconi ha edificato nella sua villa di Arcore per ottenere un posto nell’eternità e che sembra mostri, con un certo orgoglio, ai suoi ospiti. È quello, in effetti, lo sforzo supremo per consegnare la sua immagine all’eternità, sottraendo la sua potenza fallica ai tarli del tempo. Una specie di viagra di marmo che dovrebbe permettere all’uomo, mortale come tutti, di erigersi come un fallo gigante al di là della corruzione del tempo. La tragica (e farsesca) verità del ‘bunga bunga’ è tutta in questo esorcismo affannato dallo spettro della morte, nel rifiuto del tempo che passa, nell’ostinato attaccamento a una immagine di sé che non è quella di un uomo anziano, minato dal passare irreversibile del tempo, ma di un giovanotto in perenne calore. È la grande lezione della clinica psicoanalitica della perversione: il vero luogo del ‘bunga bunga’ non è il lettone di Putin, ma il sacrario, il mausoleo cimiteriale dove viene preparato illusoriamente un posto nell’eternità. Nessun eroismo, nessuna arte della seduzione, nessuna passione. Nel sesso il nostro ex premier cerca piuttosto la prova della sua esistenza. La prestanza fallica del proprio corpo è il suo vero e unico tarlo. La sua vita è totalmente catturata dallo specchio. Tutto è concentrato sul proprio Io. Come potrebbe dedicarsi, se non a tempo perso, ad altro … ? Meglio far ‘girare la patonza’, l’amuleto, il feticcio che lo protegge dalla morte assicurandogli di essere ancora vivo. Il suo ‘amore per le donne’ nasconde questo uso solo psicofarmacologico e non erotico dei corpi femminili. Si tratta di una schiavitù che costituisce un potente rimedio nei confronti della sua angoscia di morte e che per tale ragione – come avviene frequentemente in questi casi clinici – gli fa perdere la testa esponendolo ai comportamenti più autolesivi, rendendolo, per esempio, vittima di ricattatori senza scrupoli. La moltiplicazione affannosa dei corpi, la ricerca incestuosa (‘Ho due bambine …’) e vampiresca della loro giovinezza (‘Ventinove anni è già vecchietta’), la verifica ossessionata della propria resistenza fallica (‘Me ne sono fatte otto’), l’esibizione continua della propria immagine di uomo di successo celebrato dai sondaggi, mostrano come il godimento perverso di Silvio Berlusconi non dia in realtà alcuna soddisfazione, ma esiga, come un vero e proprio tiranno, unicamente la sua ripetizione compulsiva. Siamo stati del resto avvertiti da chi lo conosceva bene: il solo interesse del ‘drago’ è quello di ricercare nelle sue ‘vergini’ la linfa impossibile dell’immortalità [Parole come “drago” e “vergini” fanno riferimento alla seconda lettera che Veronica Lario, ex moglie di Berlusconi, inviò a Repubblica per annunciare il suo divorzio dal marito e di cui vi aggiungo uno stralcio dove affronta il problema in questione: “Non posso stare con un uomo che frequenta le minorenni. Chiudo il sipario sulla mia vita coniugale. Io e i miei figli siamo vittime e non complici di questa situazione. Dobbiamo subirla, e ci fa soffrire…Non posso più andare a braccetto con questo spettacolo. Qualcuno ha scritto che tutto questo è a sostegno del divertimento dell’imperatore. Condivido. Quello che emerge dai giornali è un ciarpame senza pudore. E tutto in nome del potere … Figure di vergini che si offrono al drago per rincorrere il successo e la notorietà…e per una strana alchimia, il paese tutto concede e tutto giustifica al suo imperatore. Ho cercato di aiutarlo…ho implorato le persone che gli stanno vicino di fare altrettanto, come si farebbe con una persona che non sta bene. E’ stato tutto inutile. Credevo avessero capito…mi sono sbagliata. Adesso dico basta”].
Dobbiamo vedere tutta l’angoscia (e la sua negazione) che trasuda da questo corpo anziano impegnato in un forcing disperato e senza alcuna possibilità di riuscita. In esso il desiderio di niente come desiderio dell’Altro raggiunge il suo apice perverso: l’esercizio di una padronanza di godimento che si vorrebbe sottrarre all’incidenza fatale del tempo, l’affermazione del corpo sessuale che si vorrebbe realizzare come monumento, come statua in grado di risparmiare il feticcio fallico della detumescenza impietosa imposta dalla morte.
(Massimo Recalcati, I ritratti del desiderio, Raffaello Cortina, Milano, 2012, p. 86-88, € 14).



giovedì 14 aprile 2016

UTERO IN AFFLITTO








«“Pure tu sei addiventata zoccola!”, “Si!”. “E denari l’hai fatte?”, “Si!”, “Meglio accussi, mo’ chiudi bottega e ce spusammo subito, ci sta poco tiempo, io voglio figli, molti, 25-30, noi dobbiamo diventare tanti e forti, perché ci dobbiamo difendere.  Fra poco ci scanneremo a vicenda per un bicchiere d’acqua, pe’ nu piezzo e pane, è pe chesto c’havimmo a essere assai, pe ce difendere. Hai capito?”. “I’ t’aggio sempe voluto bene, i’ so’ pronta!”. “Subito! Nun ce sta tiempo!”. “Pasquà, ma che dici? Nun te preoccupà, ringrazia a Maronna che t’ha fatto ‘a grazia e turnà. Nun ce pensà chiù, è passato. Chello che è stato è stato, chi ha avuto ha avuto e chi ha rato ha rato! Guardate, guardate figlio mio tu stai na bellezza, mo’ è finita, nun ce pensà chiù a ste miserie. Pasquà tu si vivo, vivoooo”. “Si, so vivo!”».
(Pasqualino settebellezze, di Lina Wertmüller, con Giancarlo Giannini e Francesca Marciano, dialogo finale).








Pasquale Frafuso, detto Pasqualino Settebellezze proprio perché è tutt’altro che bello eppure non si capisce come faccia ad avere successo con le donne, è proprio “ ‘o sfaccimm e l'uommene”, un uomo da nulla, “ ‘n’ommo e niente” insomma.
Unico maschio in una famiglia composta da sette donne (la madre e sei sorelle), poveri in una società feroce che tende a sfruttare il debole come la Napoli degli anni 30, Pasqualino, che non è un pilastro d’uomo, anzi è piuttosto male in arnese (interpretato da un Giancarlo Giannini più magro del solito e vestito appositamente con abiti eccessivamente larghi, lunghi ed ampi che lo fanno apparire più piccolo di quanto non sia in realtà), cerca disperatamente di mantenere tutta la sua famiglia sul cammino del decoro, del rispetto e dell’onore.
Data la scarsità di mezzi economici, la famiglia convive con un’altra (divisi da una cortina di tende, ma in realtà senza poter godere di una vera e propria privacy, anzi vivono immersi nella promiscuità, e le pacche nel sedere, che sembrano essere gradite e accolte con un sorriso, sono molto frequenti e sembrano un modo abituale dei maschi di quell'ambiante di salutare le donne).
Madre, sorelle e conviventi, tutte le donne di casa insomma, lavorano alacremente a cardare la lana per confezionare materassi, un lavoro non certo prestigioso, anzi piuttosto umile e ripetitivo, anche poco remunerativo, ma è pur sempre una fortuna averlo e mantiene decorosamente tutta la famiglia.
In particolar modo permette al gallo di casa, a Pasqualino, di andarsene in giro per Napoli con la falcata elastica di chi non “tiene pensieri”, fischiettando, corteggiando le ragazze, sempre ben vestito e ben calzato, col baffetto da sparviero molto ben curato e con i capelli costantemente unti di brillantina e tagliati secondo la moda, con l'occhio di triglia e i modi da guappo.
Ma non ha fatto i conti con l’infinita stupidità femminile quando questa si coniuga alla massiccia svalutazione di sé, della propria bellezza, della propria avvenenza, realizzando di non piacere a nessuno; anzi trasforma questo sentimento nell'opposto, nel sentirsi affascinante e di poter piacere a tutti.
Quando si risolve ad elemosinare un briciolo d’amore da un uomo pure quando questo amore palesemente non c’è, ed è sostituito dallo sfruttamento (pensate per un attimo alle recenti vicende dell’ex ministro Federica Guidi, che si definiva “sguattera del Guatemala”).
La sorella maggiore Concettina (interpretata dall’attrice Elena Fiore), stanca di cucire materassi, alla tenera età di trentasette anni, goffa e volgare nei movimenti, esteticamente brutta e canoramente stonata e con la voce rauca, viene colta dalla vaghezza di calcare il palcoscenico, di cantare e di ballare, di diventare una donna di spettacolo di successo, acclamata e applaudita.
Come se ciò non bastasse, si innamora di un certo “Totonno e Diciotto Carati”, altro personaggio di mezza tacca il cui nome altisonante e l’immagine di sé grandiosa serve a occultare la reale miseria di ciò che si è, il quale dietro ad un teatro di periferia alquanto sgangherato nasconde la sua vera attività, che è quella del magnaccia.







Concettina viene irretita con la possibilità di esibirsi nei migliori teatri e, forse, anche con la promessa di un matrimonio, in realtà ben presto si trova nel locale del suo “fidanzato” in abiti discinti ad accogliere i clienti; è qui che, su segnalazione, la trova il fratello e, nel tentativo di riportarla a casa, viene fermato dal Totonno con due schiaffi.
Pasqualino non è certo migliore di lui, entrambi non fanno un vero lavoro per vivere, entrambi sono mantenuti dalle donne, entrambi hanno un senso della dignità e dell’onore che è tipicamente mafioso; Pasqualino non può accettare la pubblica umiliazione subita, ed è così, da questo momento, che si mette in mano alla camorra, impersonata da Don Raffaele che lo consiglia di eliminare il suo rivale, se vuole riacquistare l’onore e si offre di procurargli una pistola e un piano per ucciderlo.
Con qualche difficoltà Pasqualino uccide davvero Totonno poi, come consigliatogli da Don Raffaele, si accinge a tagliarlo a pezzi e metterlo in tre valige, per poterlo trasportare meglio; giunto in stazione però, a causa del suo agire maldestro e di una serie di contrattempi, viene scoperto col cadavere nelle valige ancora in suo possesso e arrestato.
Gli avvocati della camorra, ormai Pasqualino è un pupo nelle loro mani, contribuiscono a farlo ritenere infermo di mente e ad evitargli il carcere a vita sostituito da 12 anni da scontare nel Manicomio Criminale di Aversa; più che Settebellezze avrebbero dovuto chiamarlo Settefortune, perché la sua insanità mentale lo preserva dal partecipare ad uno dei più assurdi e sanguinosi conflitti di tutti i tempi, la Seconda Guerra Mondiale, migliaia di giovani sani di mente, infatti, vengono inviati al fronte a combattere e molti di loro non faranno più ritorno.
Ma Pasqualino, che è riuscito a conquistarsi la fiducia dello staff medico, viene lasciato relativamente libero all’interno del manicomio, dove svolge qualche lavoretto di pulizia in cambio di qualche privilegio, si caccia di nuovo nei guai  perché viene sorpreso a violentare una donna legata in un letto di contenzione; questo episodio molto grave fa si che egli perda ogni protezione e ogni privilegio ed è costretto ad arruolarsi nell’esercito per essere inviato in Russia.
Qui, insieme al compagno Francesco, disertano e tentano di ritornare a casa attraversando la Germania, ma vengono miseramente catturati dai nazisti e condotti in un campo di concentramento; Pasqualino pur di sopravvivere alla follia del campo di sterminio e alla crescente ferocia dei nazisti che presagiscono la sconfitta e si accaniscono ancora di più contro tutti coloro che ritengono nemici, decide di sfruttare il suo inspiegabile fascino con le donne e di sedurre nientemeno il feldmarescialllo Hilde, un donnone che comanda con polso di ferro il campo di concentramento.







Ricorda in quegli istanti drammatici che sua madre gli diceva che in ogni donna, se sai scavare bene, troverai un po’ di miele … in ciascuna, ma proprio in tutte tutte? Ho i miei dubbi, ci sono donne senza miele, o il cui miele non è destinato a te in nessun caso, Pasqualino dunque rischia e anche parecchio, perché Hilde è pur sempre "è una sadica e feroce assassina", come gli ripete Francesco.
 Ma lui insiste e smuove qualcosa in quell’ammasso di carne e disciplina, cosa smuove non è chiaro, ma per i fini di Pasqualino poco importa, da quel momento diventa l’amante … o meglio, l’uomo di monta, della comandante del campo, diventa un kapò della sua baracca e si macchia delle peggiori infamità, come selezionare i detenuti da fucilare perché accusati di furto di viveri e, in un crescendo drammatico e degradante, uccide con le sue stesse mani Francesco, l’amico di molte vicissitudini e sventure, che stanco di subire si ribella a quella grandiosa assurdità.
Quando la guerra finisce e i soldati sovietici (non americani, come ipocritamente narra Roberto Benigni nel suo La vita è bella, nella speranza di racimolare un oscar, che poi ha vinto davvero e forse l’avrebbe vinto senza quella piaggeria) liberano i detenuti sopravvissuti ai campi di concentramento, Pasqualino se ne torna a casa nella sua Napoli, si accorge che tutte quante le sue sorelle sono “addiventate zoccole”, anche la ragazzina il cui sguardo moriva dietro al suo profilo è pesantemente truccata e non si contano più i soldati stranieri con cui è andata a letto.
Nell’Italia “liberata”, semidiroccata dai bombardamenti, povera di viveri perché i raccolti erano andati distrutti o erano marciti sulle piante in assenza di chi li cogliesse, col mercato nero che proponeva i beni di prima necessità a prezzi improponibili e con il razionamento che li distribuiva in quantità insufficienti dopo lunghe file, fare la vita, battere il marciapiede, ricevere uomini era diventato il mestiere più redditizio con tutti quei soldati americani, inglesi, indiani, canadesi, australiani e nord americani nel nostro territorio.  
Ma anche lPasqualino era “addiventato zoccola” vendendosi a Hilde nel campo di concentramento, e chissà quante altre volte si era venduto (e continuerà a vendersi) pur di sopravvivere; quanti intorno a loro erano “addiventate zoccole” pur di continuare a galleggiare, pur di ritagliarsi in centimetro di terra o di cielo .. politici, militari, burocrati che gettavano al vento ogni loro ideologia, ogni credo, ogni religione, e diventavano ipso facto antifascisti convinti e capitalisti integrali.
Le loro donne indossavano le vesti americane, mangiavano cioccolata, fumavano camel o marlboro, ballavano il twist o il booghie booghie, gli uomini facevano i magnaccia, erano per così dire comprensivi, per bisogno o per privilegio, i loro figli lustravano le scarpe agli ufficiali o ai sottufficiali, nascevano bambini di colore …   Io nun capisco 'e vvote che succere, e chello ca se vere nun se crere. E' nato nu criaturo, è nato niro, e 'a mamma 'o chiamma gGiro, sissignore, 'o chiamma gGiro.







I figli, i nipoti e i pronipoti di Pasqualino Settebellezze sono fra noi, si sono moltiplicati, hanno sgomitato, hanno studiato, fanno politica, amministrano la cosa pubblica, sono burocrati asserragliati in qualche ufficio, pronti a vendere cara la pelle e a ricattare ogni amministrazione che voglia ben apparire (non necessariamente ben fare), fanno impresa … o meglio, approfittano di ogni buona occasione per ricavarne soldi e potere, senza amare niente e senza produrre niente di rilevante.
Sono ossessionati dalla loto riproduzione, dall’essere in tanti, dall’essere forti, e se la riproduzione genetica non basta, fanno proselitismo, invocano conversioni, esercitano intimidazioni, moralismi, verso chi è diverso da loro, fino alla caccia alle streghe e al rogo più o meno simulato.
Un uomo libero non vuole che tutti gli altri indistintamente siano uguali a lui, che pensino come lui, che si comportino come lui, tollera e auspica, anzi, la differenza, ne trae linfa vitale di confronto; ma questi tremebondi individui che si affastellano dietro un totem politico, religioso o pseudo scientifico e naturalistico cercano l’omologazione, tendono a piallare qualsiasi differenza, anche a costo i costringere, anche a costo di piegare e di distruggere … e per poter piegare un uomo libero hanno bisogno della forza, devono essere in tanti.
D’altronde l’hanno già fatto, la storia parla chiaro, in duemila anni il cristianesimo ha spianato sistematicamente ogni oppositore gli si sia presentato nel suo cammino, come ogni mafia che si rispetti, non è prevista la convivenza, la tolleranza, la loro esistenza esclude ogni diversità, a costo dello sterminio … il nazismo è l’espressione più alta e più organizzata del cristianesimo e di ogni religione monoteista, per cui la propria “verità” esclude ogni altra verità, il proprio dio esclude l’esistenza di ogni alto dio … e i risultati sono sotto gli occhi di tutti, basta vedere ciò che sta accadendo in Palestina, o in Siria, o anche qui da noi in Occidente a partire dall’11 settembre 2001.
Duemila e passa anni dopo l’avvento di Cristo è cambiato qualcosa nell’umanità? Siamo migliorati o, al contrario, ci scanniamo fra di noi con più convinzione e con meno sensi di colpa di prima, perché crediamo che sia un dio che lo vuole? Quanti sacerdoti, imam o rabbini hanno invocato la guerra santa, hanno benedetto le armi? Quanti hanno stretto accordi con i più feroci carnefici pur di perseguire i soliti obiettivi: prestigio e potere?
Se venisse il vostro Cristo sulla terra cosa ne penserebbe della vostra indifferenza, del vostro cinismo, della vostra imbecillità di fronte ad una tragedia come quella dei migranti che bussano alle nostre porte per chiedere asilo …  “Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, 36 nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi” (Matteo, 25, 35-36).







Questi individui sono, come Pasqualino, deboli con i forti e forti con i deboli, come lo è ogni fascismo che si rispetti (approfitta della matta legata nel letto di contenzione nel Manicomio Criminale di Aversa,  si prostituisce in maniera degradante con la comandante del campo di concentramento),  e sono “addiventati zoccole” tutti quanti … un parapiglia, non ci si capisce più nulla.
Politici che sembrano messi li dal potere economico perché facciano i loro interessi, giornalisti che celebrano i politici “deviati”, figure istituzionali che hanno propugnato per anni il libero mercato, la globalizzazione, la libertà e la convenienza come unico criterio d’impresa, l’apertura delle frontiere per la libera circolazione delle merci e non dicono una parola sugli innumerevoli muri che vengono eretti in Occidente per tentare di arginare la povertà, la disperazione, la speranza di una vita migliore, che noi stessi abbiamo provocato e suscitato.
Muri che mortificano fino ad uccidere la nostra poliedricità e la nostra umanità e fanno emergere solo chiusure, egoismi, grettezze e meschinità, per questo dico a voi, che ancora possedete un briciolo di sensibilità, di umanità, qualche lampo di intelligenza, di fare figli, molti, “25-30, noi dobbiamo diventare tanti e forti, perché ci dobbiamo difendere.  Fra poco ci scanneremo a vicenda per un bicchiere d’acqua, pe’ nu piezzo e pane, è pe chesto c’havimmo a essere assai, pe ce difendere”.
Fate un po’ come vi pare, se siete giovani usate il metodo tradizionale, o il viagra, o le tecniche assistite, l’adozione o l’utero in affitto, educate i figli degli altri se siete insegnanti, ma trasmettete a chiunque vi capiti a tiro il bagliore della vostra umanità, qualche lampo di conoscenza, la curiosità verso l’ignoto e, soprattutto il dubbio.
Perché tutti i conflitti derivano da certezze assolute, mentre dal dubbio deriva ogni ulteriore ricerca e ogni passo avanti dell’umanità e, visto che parliamo di dubbi, permettetemi di dubitare anche di questo mio appello alla prolificazione, io non ho figli, non penso di averne e non ho smanie di adottarne o di seminarne in uteri peregrini, ogni fascismo ha propagandato la figura dell’uomo come carne da macello per le guerre o come muscoli per la produzione e la donna come ristoratrice e come fucina per la riproduzione.
Non tutti i fascismi si sono sempre francamente definiti fascismi, e persino il fascismo non era “fascismo” prima di conoscerlo e di vedere dove sarebbe andato a parare, solo in pochi avevano compreso fin dal suo esordio cosa sarebbe stato, non a tutti era sembrato da demonizzare, anzi riscuoteva simpatie nella media borghesia di Paesi come la Francia, l’Inghilterra, la Svezia, che pure finirono per combatterlo.







Talvolta il fascismo si è anche chiamato liberalismo (un liberale è un fascista in giacca e cravatta e Mussolini non sarebbe andato al governo senza l’appoggio dei liberali), o democrazia cristiana (perché il cristianesimo ha una struttura profondamente verticistica e profondamente fascista, non a caso sigla due grandi e strategici accordi sia col fascismo in Itali, sia col nazismo in Germania, in funzione anti-comunista).
Oggi da noi si può chiamare anche Lega, o insinuarsi nei movimenti populisti come l’M5S o Forza Italia, ma è strutturale anche nel PD, ridotto ad espressione momentanea dei cosiddetti “poteri forti” (chiesa, mafie, lobby economiche, massoneria …) che all’ombra di un ragazzotto ambiziosetto messo li apposta con tutto il circo equestre di persone ricattabili per ambizione, stupidità, amicizie e sodalizi discutibili, fanno i propri affari come e meglio di prima.

A volte ha l’aspetto di un tizio calvo, tarchiato, tracagnotto, con la mascella volitiva e con pose da buffone che viene scambiato per un grand’uomo, altre volte può sembrare un manichino della Rinascente con dei ridicoli baffetti e un modo di agitarsi e di parlare francamente isterico, altre volte ancora può assumere la fisionomia del grande vecchio saggio col capo canuto, o quelle di un giovane di belle speranze, un chierichetto o un boy scout … ma mai egli prende su di sé la possibilità del dubbio, mai parla a partire da sé, ma sempre in nome di qualcosa di più grande, di trascendente, che dovrebbe imporsi a prescindere.