giovedì 10 marzo 2016

SATOR AREPO TENET OPERA ROTAS




"Ma io non voglio andare fra i matti" osservò Alice. "Bè, non hai altra scelta" disse il Gatto "Qui siamo tutti matti. Io sono matto. tu sei matta". "Come lo sai che sono matta?" disse Alice. "Per forza" disse il Gatto: "altrimenti non saresti venuta qui".
(Lewis Carroll, Alice nel paese delle meraviglie).   




Inizio dal commento di Mario Adinolfi perché da qualche parte bisogna pure iniziare, c’è chi sostiene che chi si avventura nella melma prima o poi si impantana, correrò questo rischio e ritengo tuttavia possibile strutturare un discorso decente pur partendo da materie vili.
Mi riterrò fortunato se alla fine di questa lettura non vi avrò annoiato troppo, sarò felice se vi avrò trasmesso qualche buona idea su cui riflettere, ma il mio vero intento è quello di iniziare una discussione in base al quale anch’io alla fine possa avere qualche buona idea vostra su cui riflettere e se considererò tutto questo scritto come qualcosa di ingenuo, una buona scala che mi ha permesso, grazie al vostro aiuto, di andare oltre.  
Anche ad una lettura superficiale è chiaro fin da subito l’intento di Adinolfi in questo commento, a lui dell’atroce delitto di un giovane; dell’esplosione del fallimento esistenziale della vita di altri due giovani e della sofferenza dei familiari della vittima, della sua ragazza e delle famiglie dei carnefici, che si guardano attoniti e inorriditi alla possibilità di aver allevato e nutrito due mostri con sembianze umane, non gliene frega niente.
Non spende nemmeno una parola di umana pietas, il cristianesimo che dice di professare non l’ha sensibilizzato neanche un po’ a provare compassione e amore per il prossimo, per il più debole; ad Adinolfi interessa accusare prima di tutto Repubblica, rea, a suo avviso, di celare la grande verità che sanno tutti, e cioè l’uso di quella parola chiave, “gay”, che secondo lui dovrebbe chiarire tutto.
Celare perché Repubblica è succube della potente lobby LGBT, la quale pretende che siano occultati quei particolari per lei fastidiosi.
E Adinolfi non ci fa attendere per svelare quali siano questi particolari, lui bontà sua non è succube della potente lobby, anzi la combatte a viso aperto come un cavaliere del Sacro Soglio, come una Sentinella in Piedi; anzi, più che svelarci vi accenna, vi annuisce, vi allude, ci suggerisce, perché confida nella nostra intelligenza e perché sa che ha più effetto retorico, è più efficace e persuasiva un’idea che crediamo di aver avuto noi, che un’idea di esplicita provenienza altrui.
L’idea è di una semplicità e di una banalità disarmanti, ed è proprio questo il suo punto di forza maggiore, i pubblicitari sanno perfettamente che bisogna trasmettere concetti estremamente semplici legati ad emozioni altrettanto elementari se vuoi essere incisivo, non devi rivolgerti all’individuo adulto e razionale, devi rivolgerti piuttosto all’individuo infantile, immaturo e irrazionale che c’è in ciascuno di noi.
Umberto Eco mi ha fatto comprendere (e spero non soltanto a me), quali sono i criteri che un concetto deve ottemperare perché si insedi ossessivamente nella mente delle persone in modo tale da stravolgere il suo giudizio e da essere estremamente difficile da sloggiare, anche dopo averla controbattutta con tutta una serie di argomenti razionali e pieni di buon senso … d’altronde pensare è faticoso, e la nostra mente segue soprattutto il principio del minimo sforzo, in questo caso un’idea preconfezionata, ottenuta senza alcuna fatica, che però riteniamo nostra, diventa irresistibile.
I principi di economia del pensiero di Eco sono essenzialmente tre: i concetti si collegano fra di loro per analogia; creano processi circolari lungo una serie di analogie, ciò dimostra che il gioco è valido; le connessioni non devono essere inedite ed appaiono vere perché sono ovvie.





Se volete è lo stesso schema secondo cui si insedia e si diffonde un pettegolezzo: “Sai ho visto la Tale ieri l’altro in via Garibaldi”, “In via Garibaldi ci abita il Tale”  … e qui avete l’esempio di una coincidenza e di una analogia che sta iniziando a diventare sospetto più che lecito iniziando a creare quel rapporto circolare di cui parla Eco, secondo cui la Tale passava in via Garibaldi perché ci abita il Tale e il fatto che quest’ultimo abiti in via Garibaldi, spiega la presenza in quella via della Tale.
Ma fin qui siamo di fronte soltanto a due tautologie che dovrebbero sostenersi a vicenda, a dare la certezza assoluta al sospetto precedente è che questa connessione effettuata fra la presenza di lei in quella via e il fatto che in quella via ci abiti lui, è che la connessione fra questi due eventi non deve essere inedita, basta soltanto che un’altra comare abbia pensato la stessa cosa, che il gioco è fatto.
È il meccanismo propulsore della credenza nei miracoli, è il principale motore propulsivo della fabbrica dei miti, dei santi e dell’affermazione delle religioni, quella che ha il più elevato potenziale mitopoietico si afferma, le altre soccombono … ecco perché il culto di Mitra, che era molto simile al Cristianesimo, decade e quest’ultimo ne esce vincitore.
E non importa mai la qualità, la stoffa, la serietà, la credibilità di chi inizia a diffondere la connessione, le origini del mito, delle sacre scritture, delle dicerie e delle chiacchiere si perdono sempre nell’indeterminato, quando si divulga un pettegolezzo ci si ricorda sempre e solo di chi te lo riporta e del luogo in cui ha avuto origine, mai chi l’ha detto per primo, è così per l’Iliade e l’Odissea, è così per le Sacre Scritture è così quando qualcuno ti avvisa che nel tuo ambiente di lavoro stanno tramando per farti fuori.



L’idea geniale di Adinolfi è che la semplice parola “gay” spiega all’improvviso due fra i più recenti efferati delitti, quello di Luca Varani e quello di Gloria Resboch, infatti, secondo lui, “gay impazziti” sono sia la coppia Manuel Foffo e Marco Prato, sia Gabriele Defilippi e Roberto Obert, appartenenti senza dubbio alla “galassia” Lgbt.
Ma perché Adinolfi ci tiene tanto ad introdurre il termine “gay” in questi delitti, non è sufficiente definirli crimini efferati? Non è sufficiente, come per tutti gli altri crimini, cercare di capire come e perché sono avvenuti? Che importanza può avere se Prato, Foffo, Defilippi e Obert fossero o non fossero gay o etero, terroni o polentoni, cattolici o musulmani, nazisti o ebrei, patrizi o plebei, orazi o curiazi, burini o romani, scapoli o ammogliati?
Nessuna se vogliamo comprendere davvero il crimine, anzi far intervenire categorie estranee al delitto per spiegare un delitto rischia di fuorviarci, di farci trovare una verità di comodo proprio per non addentrarci in una verità che può essere scomoda, può essere orrenda, oppure (nella peggiore delle ipotesi) potrebbe esserci indifferente, nel senso: “Ma si, ma chi ‘o conosceva a questo, stupido lui a fidasse di quei due … o stupida lei a fidasse de Defilippo … quello che fa er programma Omini e Donne e Amici … tsé, “amici” semo tutti amici finché nun cerchi de fregamme!”.
Adinolfi vuole condurci a credere che invece proprio la parola “gay” spiegherebbe tutto, come se ci dicesse che queste cose così crude ed efferate possono accadere solo fra gli omosessuali, solo persone con gusti sessuali “strani”, degli “anormali”, degli “invertiti”, dei “degenerati”, dei “pederasti” (sto usando alcuni dei termini con cui la scienza del passato ha definito gli omosessuali) potevano commettere cose di questo genere.
È nella galassia omosessuale che delitti così orrendi possono accadere (Avete notato il termine “galassia” usato da Adinolfi? Sembra quasi che voglia mettere quanta più distanza possibile fra sé e l’omosessualità, come se avesse qualcosa da temere, allo stesso modo in cui in passato venivano definiti “uranisti”. Urano è il settimo pianeta per distanza dal sole, seguito solo da Nettuno e Plutone. E come lo stesso Adinolfi mette distanza fra sé e gli altri stratificandosi di rotoli di ciccia, esattamente come le macchine dell’autoscontro sono protette da una scocca in gomma che attutisce gli urti. Adinolfi è la personificazione vivente, il verbo fatto carne, dell'espressione romanesca "m'arimbarzi!").  





In fondo Adinolfi segue la logica delle nostre paure più elementari, quando in una comunità avviene un fatto strano, un delitto atroce o una serie di sciagure, il primo naturale tentativo che prende corpo è quello di attribuire le cause della disgrazia a qualcosa di esterno, qualcosa di estraneo ma che è pur sempre presente nel nostro ambiente, seppure marginale, perché chiunque sia la causa avrebbe dovuto per forza trovarsi nel luogo del delitto e perché così è facile da punire o da espellere.
Quasi mai chi commette un delitto efferato in cui ci si accanisce ossessivamente sul corpo con ferocia è un estraneo, quasi mai i delitti senza movente apparente sono commessi da sconosciuti, a partire dal primo delitto in assoluto, quello di Caino su Abele, delitti di questo tipo sono commessi da consanguinei, da persone che ti sono vicine, perché solo chi prova dei sentimenti molto forti per qualcuno può mutare questi sentimenti qualora veda in pericolo il legame, in un estremo tentativo di dominio, di controllo, di punizione efferata o di sospendere la volontà di abbandono, inaccettabile, nella morte che non ha più volontà.
Sul perché del capro espiatorio a portata di mano il rimando ad Eco è doveroso, in particolare al dialogo fra Adso e Salvatore ne Il nome della rosa:
«”Perché gli ebrei?” chiesi a Salvatore. E mi rispose: “E perché no?”. E mi spiegò che per tutta la vita avevano appreso dai predicatori che gli ebrei erano i nemici della cristianità e accumulavano quei beni che a essi erano negati. Gli chiesi se non era però vero che i beni venivano accumulati dai signori e dai vescovi, attraverso le decime, e che quindi i pastorelli non combattevano i loro veri nemici. Mi rispose che, quando i veri nemici sono troppo forti, bisogna pur scegliere dei nemici più deboli. Riflettei che per questo i semplici son detti tali. Solo i potenti sanno sempre con grande chiarezza chi siano i loro nemici veri. I signori non volevano che i pastorelli mettessero a repentaglio i loro beni e fu una grande fortuna per loro che i capi dei pastorelli insinuassero l’idea che molte delle ricchezze stavano presso gli ebrei».
(Terzo Giorno, Sesta, p. 195).  





L’omosessuale, l’ebreo, il musulmano, lo zingaro, l’eretico, l’anziano, la donna, …, ci fanno paura non soltanto perché diversi da noi, e il diverso provoca diffidenza, ma perché in essi proiettiamo parti di noi che non vogliamo riconoscere come nostre, e combattendole all’esterno pensiamo di poterle dominare senza viverle, senza prenderne contatto, senza mai riconoscerle come nostre, come se eseguissimo un controllo a distanza.
La nostra è una cultura del conformismo, per sentirci tranquilli dobbiamo sforzarci di essere simili l’un l’altro e pretendiamo che l'altro sia simile a noi, anche a costo di costringerlo, pena il dileggio, l'espulsione o l'eliminazione.
In una cultura siffatta in cui l’identità collettiva riposa sull’unicità e sulla uniformità, tutto ciò che è diverso si situa di fatto ai limiti estremi della comunità stessa, appena tollerato, anzi schernito, dileggiato, disprezzato e pronto ad essere usato come capro espiatorio nei momenti di crisi.
Potremmo fare un parallelismo puntuale su come si costruisce l’identità individuale e come si è formata storicamente e culturalmente l’identità collettiva; l’adolescenza nella nostra società è l’età in cui si è più sensibili al fenomeno dell’uniformità e a combattere ogni diversità, l’adolescente contrasta in maniera feroce tutto ciò che esula dall’immagine di uomo che crede di dover essere, non esita ad accanirsi contro tutti gli altri adolescenti che vede diversi da lui (più alti, più bassi, con problemi di handicap, affetti da alopecia, da albinismo, con la pelle diversa dalla sua, provenienti da popoli e culture diverse), perché questo lo fa sentire tranquillo, dalla parte del giusto.
La nostra società vive attualmente un periodo evolutivo di eterna adolescenza, siamo bambini per poco, adolescenti per sempre, e poi subito vecchi, come scrive Gustavo Zagrebelsky nel suo Senza adulti, Einaudi, Torino, 2016, € 12, ecco perché le dinamiche inclusive ed esclusive dell’adolescenza sono regole usuali anche fra gli adulti.



La realtà di un delitto, di un fatto di sangue, è sempre molto più complessa, e termini “chiave” come “gay” non risolvono niente, anzi sono comode sporgenze a cui aggrappare la nostra stanchezza della carne, le nostre derive elitarie, le nostre paure risvegliate che hanno bisogno di una sciarpa di Linus (a proposito, in psicoanalisi gli oggetti e i giocattoli che teniamo cari, a metà fra l’interno e l’esterno, fra il me e l’altro, che ci proteggono, che ci rassicurano, sono detti oggetti transizionali se riferiti ad un bambino, feticci se riferiti ad un adulto).
La realtà dei delitti Varani e Resboch è ancora tutta la fuori, tutta da capire, altro che gay, galassie omosessuali, lobby Lgbt, alabarde spaziali, lame rotanti, missili e magli perforanti, raggio antigravità, disintegratori paralleli, il tuono spaziale, il doppio boomerang, e “punio papale”.
L’ipotesi di Adinolfi si tiene su per forza, attaccata alla saliva, perché nel caso del duo Prato e Foffo io non riesco nemmeno a vederla questa presunta omosessualità, Foffo organizzava eventi per la galassia omosessuale? Io ho avuto a che fare nel corso della mia vita con delinquenti, derogati, alcolisti, giocatori d’azzardo, mafiosi, assassini, serial killer,…, ma questo non fa di me nessuna di queste cose.
Lo stesso Foffo dice che lui era “etero” mentre Prato era gay, ed è stata ritrovata una lettera in cui quest’ultimo scriveva di voler diventare una donna, però poi scopri che i due avevano avuto una breve relazione fra di loro (e questo non impedisce a Foffo di continuare a dirsi etero e di definire gay solo il suo amico), scopri che Prato aveva avuto un’altra breve relazione con Flavia Vento (non mi è sfuggito che quest’ultima abbia approfittato di questo evento per pubblicizzarsi un po’, ma qualcosa dev’esserci stato fra i due), e poi non è che gli omosessuali vogliono diventare donne.




Riportare questi due commenti di Flavia Perina non vuol dire essere d'accordo con lei, fanno parte soltanto del contorno che accompagna l'argomento di cui sto parlando, anch'essi sono esplicativi di ciò di cui parlo.



Tutti concordano nel definirli due bravi ragazzi, tutti sembrano cadere dalle nuvole, poi scopri l’uso decennale di cocaina, la frequentazione di feste equivoche che più che festini gay mi sono sembrati più simili alle orge romane, dove c’era di tutto, sesso omo ed etero, uso di svariate sostanze, rapporti liberi e rapporti mercenari, vecchie conoscenze e perfetti sconosciuti, persone di varie età, tutte brave persone, tutti bravi ragazzi, perfettamente integrati, gente educata, che ti saluta, .ti dice buongiorno e buonasera, ti tiene aperta la porta dell’ascensore se stai per arrivare, non tiene alto il volume della musica e se decide di dare un festino e di uccidere qualcuno, educatamente gli fa fare una doccia prime e gli recide le corde vocali così non disturba i vicini.
No, questi non sono gay, queste sono persone dall’identità confusa, quelli che in clinica psichiatrica vengono definiti borderline, e se la loro identità è confusa, figuriamoci la loro sessualità, sono persone che possono essere etero con Flavia Vento e gay con un maschio, che possono esasperare il loro machismo o voler diventare donna, che si sballano per non avvertire il vuoto del loro essere nulla, che potrebbero farsi del male o farsi umiliare o picchiere dagli altri solo per sentirsi vivi e ancora per sentirsi vivi potrebbero progettare (stiamo parlando di casi isolati, perché la diagnosi di borderline è oggi molto diffusa e non tutti, fortunatamente, sono così pericolosi o aggressivi, non  tutti mettono in atto ciò che talvolta minacciano) omicidi o suicidi efferati e spettacolari, non tutti vi accolgono in casa loro nascondendo martelli e coltelli sotto i cuscini del loro divano.
Se l’ipotesi che il povero Luca Varani sia stato adescato con la promessa di alcuni euro o di cocaina gratuita offerta munificamente dal padrone di casa (che aveva acquistato parecchie centinaia di euro di roba) in cambio di un rapporto sessuale, fosse provata, lo stabilire che avvenissero rapporti sessuali mercenari normalmente in questo ambiente, non ci porta automaticamente a puntare il dito sulla comunità gay tutta.
Un gay può avere rapporti mercenari così come un etero va a puttane (o con i trans, anzi sembra che i trans siano più gettonati e più cari delle signorine di facili costumi che frequentano i nostri viali), ma la stragrande maggioranza dei gay ha rapporti affettivi e sessuali consenzienti e stabili con altre persone, non esiste una maggiore tendenza ai rapporti mordi e fuggi, che sono più indici di superficialità in individui sia gay sia etero.



Credo, infine, che tutta l’aggressività che questi delitti hanno elicitato, diretta a seconda delle proprie paure personali o collettive, o a seconda delle convenienze, vero la comunità gay, verso il padre di Foffo che dopo solo 48 ore dal delitto, si è presentato a Porta a Porta (qualcuno gli ha augurato di ammazzarsi), contro Bruno Vespa che intervista il padre di un criminale, sia perfettamente speculare all’aggressività senza senso che si è sprigionata durante questi due delitti.

È la stessa aggressività, nasce dalla stessa radice, dallo stesso vuoto e conduce allo stesso naufragio esistenziale di vite vissute senza darsi un senso alcuno, senza prendere fra le proprie mani saldamente le briglie della propria esistenza, lasciandosi cullare dall’essere studente fuori corso a vita, sballato perennemente, eternamente bravo ragazzo, con una normalità ipermimetica, ma che può trasformarsi in un killer efferato se solo se ne offre l’occasione, o la brava persona che non farebbe del male a nessuno e che “giustamente” (dal suo punto di vista) si scatena con tutta la ferocia di cui è capace (una ferocia di cui non ha consapevolezza) contro chiunque arriva a disprezzare per ignoranza, par paura o per comodo.




Una delle poche canzoni di Max Gazzé che non ci vuole una laurea in filosofia per capirla :-)

7 commenti:

  1. Il pensiero unico è sintomatico di questa adolescenza innaturale e fuori tempo massimo.
    Un sedicente statista diceva che gli italiani sono come dodicenni e neanche tanto bravi a scuola. Uno che se ne intendeva.

    Sottoscrivo il tuo post.

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  2. E' strano come crediamo di vivere in una delle forme di società in cui la nostra libertà personale sia più tutelata e abbia più diritto ad esistere, mentre poi in realtà costruiamo un pensiero unico che insegue l'assoluto in ogni ambito in cui si applica, illudendoci di fare la cosa giusta, di metterci le spalle al sicuro, di tenere così le variegate fila della nostra vita, mentre invece creiamo in questo modo più disgregazione e più scissione nelle nostre esperienze e nella società in cui viviamo. Perché questo assoluto sia davvero assoluto deve essere condiviso da tutti, deve essere il mainstream, e chi non ci crede o è recalcitrante deve essere convertito a forza, disprezzato, posto ai limite della società, espulso, perseguitato, reso innocuo o eliminato. A questi due giovani (e a tanti altri come loro), studenti fuori corso, figli di papà, organizzatori di feste, dalla sessualità confusa, dall'identità incerta, dalla vita disordinata, si contrappone un Mario Adinolfi, sedicente giornalista, scrittore, politico, creatore di movimenti giovanili o religiosi, giocatore professionista di poker, che difende la famiglia tradizionale tanto da averne persino due con relativa prole. L'unica differenza fra Prato e Foffo da un lato e Adinolfi et similia dall'altro è che i primi sono giunti al gesto estremo per inseguire l'assoluto, e non esiste più assoluto della morte (propria o altrui), mentre Adinolfi insegue l'assoluto del proprio ego, che deve avere la stessa circonferenza della sua cintura e la stessa visibilità della sua sagoma, con ogni mezzo, senza scrupoli, difendendo persino Mastrapasqua e la Chaouqui che sono indifendibili.
    Ciao

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  3. Leggo solo ora il tuo post. Ho seguito con molta distanza le vicende di cronaca e i deliri di Adinolfi mi sono giunti solo di striscio. Del resto un panda che dichiara guerra a kung-fu panda non passa inosservato! I meccanismi di denegazione sono cosa nota a livello individuale e a livello sociale direi che la lezione di Arendt sulla banalità del male non è stata ancora pienamente accettata. Negare i mostri è necessario nel delirante miraggio di affermare così la propria identità. Le menti disturbate hanno bisogno di mostri, non potrebbero vivere senza, ed è qui la loro patologia. Vivono attraverso la negazione e se smettono di farlo s'accorgono che non hanno nulla di positivo da dire, nulla da costruire. A livello sociale questo gioco perverso conduce alla politica della paura, ai discorsi all’altezza della pancia e risposte all’altezza dei coglioni. E' dura inseguire le ragioni sociali di questo stato di perversa adolescenza permanente. Perché direi che questo tipo di adolescenza è perverso, l'adolescenza non è sempre perversa. E’ età di domande, dubbi, ricerca, è un magma caotico che prende forma e il contagio sociale è fondamentale per le modalità di consolidamento di quelle forme. E’ in questa interdipendenza tra processi di formazione soggettiva e processi collettivi che vanno cercate molte espressioni delle nostre relazioni, da quelle più ovvie e “normali” a quelle di malessere più tragico. Un malessere che può degenerare nel suicidio dell’adolescente che non sopporta lo stigma del disprezzo, nell’omicidio più efferato da arancia meccanica per quanti non maturano l’irreversibilità della morte o mettono in scena la propria morte nell’unico modo possibile per vedere “l’effetto che fa”. La sessualità dei soggetti in questione conta relativamente in queste vicende, conta nella misura in cui la sessualità spiega le pulsioni e il carattere ma, sia chiaro, qui stiamo parlando di una sessualità perversa che nulla ha a che fare con l’omosessualità, sebbene sia inutile dirlo a chi a sua volta ha una sessualità disturbata. La perversione è trasformare gli altri in cose, è ignorare l’unicità e la irreversibilità degli individui, è supporre la loro intercambiabilità… tutti sintomi senza identità di genere e senza preferenza di genere. E, badiamo bene, non sono solo sintomi soggettivi, sono anche sintomi della nostra collettività. Le maglie della società si allentano nel momento in cui le persone perdono la loro unicità. Siamo nell’epoca della società statistica come tristemente preconizzava Musil, l’assenza di qualità si cela con la simulazione di tutte le qualità e quello che conta è dare un valore medio che tutto riassume e semplifica. Siamo nella società del disprezzo di sé e degli altri perché tutti i valori sono stati traditi, ogni promessa è stata disattesa, ogni fiducia è stata offesa. Tu hai fatto un discorso di invidiabile lucidità, sotto il nume di Eco non poteva essere altrimenti, e alla tua analisi ho solo aggiunto pochi, disordinati elementi che spero possano aiutarci in questa riflessione così faticosa. In questo contesto gli Adinolfi sono un'altra espressione di malessere e vanno fermati quando sono origine di malessere per altri ma sappiamo entrambi che non saranno le argomentazioni logiche a convincere un soggetto in preda alle ossessioni. Quello di cui abbiamo bisogno è una società degna di questo nome, inclusiva, accogliente, solidale. Tutto ciò che non è più, tant’è che non so quanto sia opportuno parlare ancora di società, forse basta collettività, forse formazione gregaria è sufficiente. Solo in una società l’individuo può coltivare il senso dell’altro.
    Ciao

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  4. @ Antonio,
    mi sono reso conto, attraverso il tuo commento, che ciò che ho scritto sull’adolescenza potrebbe far credere che io consideri questo periodo della vita dell’uomo come negativo o come carente. Mi dai l’opportunità di chiarire meglio cosa ne penso. Non credo che il meccanismo predominante sia quello di inclusione-esclusione che ho descritto, che invece è più tipico della paranoia; l’adolescenza è un periodo straordinario di curiosità senza limiti, di ricerca dell’assoluto in ogni campo, che non ritornerà mai più, almeno a quei livelli. E, nello stesso tempo, il timore di apparire ed essere diverso dagli altri. Le due cose sono in qualche modo collegate, come lo sono l’anelito e il contrappeso, l’acceleratore e il freno. Se vogliamo, poi, l’adolescenza è un periodo evolutivo creato artificialmente, inizia ad affermarsi nel XIX° secolo, in concomitanza con l’affermarsi della libertà di un individuo di poter essere ciò che vuole. Quando ciascuno di noi era semplicemente ciò che era stato suo padre, e suo nonno prima di lui, e il bisnonno prima di tutti loro, quando dovevi sposarti con la donna che i tuoi genitori avevano così saggiamente scelto per te, l’adolescenza era superflua. Ma per poter essere ciò che vuoi è necessario un periodo in cui puoi scoprire/costruire chi sei.
    Ma per conoscere davvero chi sei non devi limitarti a giudicare l’altro moralisticamente e a tenerlo costantemente ad una distanza innocua (né troppo vicino, né troppo lontano, perché in fondo in questo modo l’altro ci fa essere qualcosa per differenza e a basso costo emotivo), ma devi avere il coraggio di confrontarti con l’alterità dell’altro e di riappropriarti di tutto ciò che di tuo hai messo in lui perché erano cose per te inaccettabili.
    A volte, e qui prendo in prestito gli esempi che fai tu, ci si può suicidare illudendosi così di cancellare lo stigma del disprezzo altrui, oppure si può uccidere una persona che si disprezza profondamente perché uccidendo lui .non vedo il disprezzo che ho di me stesso.
    Un disprezzo così profondo, nascosto molto bene dagli strati concentrici di “bravo ragazzo” che tutti quelli che ti conoscono spalmano incessantemente su di te, e che non fanno altro che aumentare questo disprezzo sia perché ti senti un impostore, sia perché hai creato solo rapporti superficiali, con persone superficiali che preferiscono fermarsi a ciò che tu mostri loro di essere.
    Io non so più di cosa abbiamo bisogno, Antonio, storicamente si sono avute le risposte di “Stati etici”, come lo era la polis greca oppure, caduta la polis e le condizioni che ne determinavano le possibilità di esistenza, si è ripiegato su gruppi di amici che si educavano l’un l’altro alla virtù, come sono state le grandi scuole filosofiche dell’antichità come la Stoa i il Giardino di Epicuro.
    Tralasciando alcuni mistici, alcuni grandi della chiesa che attraverso alcune esperienze esistenziali sono giunti ad uno stato di libertà interiore invidiabile, l’unica “scuola” organizzata oggi che ancora aspira a far sorgere un soggetto laddove prima c’era il caos (il freudiano “Wo Es war, soll Ich werden” o il lacaniano: “Le moi doit déloger le ça!”) è la psicoanalisi, l’unica palestra ascetica che si pone il problema non di pompare i muscoli, ma di creare un soggetto in grado di relazionarsi col mondo in modo da rispettare se stesso e gli altri.
    Per il resto, sia a livello scientifico, sia a livello filosofico … in ogni ambito, il soggetto è costantemente negato, assente, solo così possiamo cancellare anche la soggettività altrui e trattare gli altri e noi stessi come oggetti intercambiabili.
    Un abbraccio

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  5. Probabilmente hai ragione a parlare della psicanalisi come di una scuola che aspira a far sorgere il soggetto ma non mi è chiaro cosa intendi per "organizzata" e non sono pienamente convinto che possa bastare. Il dominio, passami il termine, dell'indagine della psicoanalisi è il soggetto ma ci sono fattori non soggettivi che vanno considerati. Tempo fa Galimberti scrisse La casa di psiche, un libro in cui proponeva l'ambizioso progetto dalla psicanalisi alla consulenza filosofica, come diceva il sottotitolo. Non so cosa ne sia stato del progetto, non credo abbia avuto grande riscontro ma le ragioni di un simile progetto a me sembrano solide e sinteticamente esposte dallo stesso Galimberti in questo video. Quello che voglio dire è che c'è una dimensione che esula dal soggetto e soprattutto esula dal soggetto che ricorrerebbe alla psicoanalisi. Questo non significa ovviamente negare il soggetto ma situarlo in un contesto senza il quale non esisterebbe. Il ruolo del soggetto nell'epistemologia è cambiato molto ma convengo con te che spesso la scienza e la filosofia indulgono in un positivismo ottocentesco perché è quello che più s'adatta al mito dell'uomo razionale che fa da alibi perfetto all'homo oeconomicus. Un abbraccio.

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  6. "Di solito Alice si dava degli ottimi consigli, però poi li seguiva raramente."
    (Lewis Carroll - Alice nel paese delle meraviglie)

    Emme punto.

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  7. The Sator has been describe in earth measured
    http://earthmeasured.com/contact-us

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