giovedì 21 maggio 2015

FALSI INVALSI








Non so bene dove l’ho letto (i primi segni dell’avanzare dell’età e del marasma cronico della demenza senile sono le dimenticanze e i vuoti di memoria), se in Diogene Laerzio, in Luciano de Crescenzo o altrove, mi pare comunque che si trattasse di Parmenide che incontrò per i campi di Elea il piccolo Zenone, di famiglia poverissima, che  stava raccogliendo la legna, e fu colpito dal modo sistematico, ordinato e intelligente con cui il bambino costituiva le fascine per poterle trasportare meglio e con meno fatica (Platone, il solito pettegolo, riporta invece nel suo dialogo, il Parmenide, che fu attratto invece dall’avvenenza del fanciullo, tanto che lo adottò e ne fece il suo amasio).
Vi racconto questa vicenda solo per dirvi che nell’età d’oro della nostra cultura, quando il mondo era calpestato dai sandali di Parmenide, di Empedocle, di Eraclito, di Socrate, di Eschilo, di Fidia, di Apelle, di Prassitele e di Lisippo, quando un uomo era noto per le sue opere e per le sue azioni e non per i suoi titoli, quando per insegnare bastava il riconoscimento dei propri allievi e della stima degli altri sapienti che con lui dialogavano e magari polemizzavano, bastava l’intelligenza di un uomo per valutare un altro uomo.
Le imprese poi dell’allievo, la gloria che conseguiva, la diffusione della sua opera, la sua viva parola, testimoniavano poi sul valore della stima che di lui aveva espresso il suo maestro; sul valore di Zenone di Elea basterebbe soltanto ciò che ci tramanda Diogene Laerzio ed altri riguardo al suo contegno verso il tiranno Nearco, o i suoi famosi argomenti (paradossi) in difesa del pensiero parmenideo.
Anche il sarcasmo platonico ci aiuta in qualche modo a comprendere, la battuta che nella scelta di Zenone come allievo prediletto e figlio adottivo abbia prevalso la sua avvenenza, non squalifica il valore e l’intelligenza di Zenone (e come potrebbe), semmai aggiunge qualcosa in più, ci fa capire come Zenone riuscisse ad essere così convincente ed affascinante nelle diatribe, perché sappiamo infatti che era alto e di bell’aspetto, tutte cose che aiutano e predispongono l’animo all’ascolto e all’attenzione, soprattutto in una società marcatamente omofila come quella greca antica.
Oggi, quando il mondo è calpestato dai mocassini Prada di Matteo Renzi, dalle cesare Paciotti della Gelmini, dalle Miou Miou di Maria Elena Boschi, dalle Salvatore Ferragamo di Stefania Giannini, dalle Liu-Jo di Marianna Madia, dalle Christian Louboutin di Daniela Santanché e dalle Tod’s di Maurizio Gasparri, è stato introdotto un nuovo metodo standardizzato di valutazione per la scuola primaria e secondaria: l’INVALSI.
Già, dopo “esodato”, “biodiversità”, “choosy”, “esondato”, “bomba d’acqua” e varie altre amenità per non basterebbero la tortura e la pubblica gogna per chi conia queste sconcezze, entra prepotentemente nel nostro slang il termine “invalsi”, così al plurale, perché è un acronimo di 'Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema dell'Istruzione.







Questo sistema è staro introdotto con la legge n. 176 del 25 ottobre 2007 dal allora ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni e consiste in una prova di italiano e in una di matematica , ciascuna provvista delle rispettive griglie di correzione, di cui potete farvi un’opinione personale consultando il sito invalsi.it, nella sezione “area prove”.
Dietro l’alibi di affidare la valutazione del singolo studente ad uno strumento neutrale, affidabile, obiettivo, generale, e di sottrarlo all’arbitrio e ai limiti del singolo insegnante, in realtà si uniforma l’insegnamento in tutta la penisola azzerando diversità locali, regionali, culturali, personali, si cerca di imporre un programma unico in tutte le scuole (se dovrò rispondere a queste domande conviene studiare ciò che mi aiuti nella risposta e non perdere tempo altrove), si perde ancora di più il senso che lo studio e l’apprendimento sono importanti in sé e non in funzione di esami e di valutazioni.
In gran parte si perde anche la trattazione e l’approfondimento dell’attualità, di ciò che suscita la curiosità di studenti ed insegnanti, perché alla fine si verrà valutati su ciò che il ministero ha previsto con largo anticipo, per cui ciò che accade adesso non sarà occasione per capire come va il mondo e come funzionano le cose.
Si esautorano gli insegnanti ancora di più del loro potere autonomo di valutazione, del loro intuito, della capacità di costruire un rapporto con ciascuno dei propri studenti, all’interno del quale poterli poi valutare, un sistema che non è esente da errori, da arbitrarietà e da pregiudizi, ma che è e rimane in ogni caso il sistema migliore se esistono dei contrappesi all’interno del consiglio di istituto fra docenti, genitori, rappresentanti degli studenti, per evitare gli sbagli valutativi più grossolani o vere e proprie manifestazioni di mobbing o di discriminazione.
Si esautorano insegnanti e studenti riguardo agli argomenti da trattare e sul come affrontarli, su cosa vogliono approfondire e su cosa eventualmente tralasciare in ogni determinato anno scolastico, per ogni determinata materia; questo permette di crescere, perché il senso vero dell’istruzione è quello di fare di bambini, adolescenti, ragazzi, degli “uomini” prima di tutto, delle persone mature, degli adulti responsabili e non semplicemente persone che sappiano risolvere un problema logico, che sappiano calcolare l’area di una superficie curva irregolare o che conoscano perfettamente l’anno in cui Napoleone fu sconfitto a Waterloo.
La scuola è sempre stata un problema per qualsiasi governo del dopoguerra, da li sono nate le contestazioni più feroci, studenti ed insegnanti hanno sempre riempito le piazze per protestare contro riforme assurde, manovre incredibili, governi e ministri inetti.
Si è tentato di tamponare sempre la falla che di volta in volta si apriva concedendo agli insegnanti qualcosa, mettendo in atto una riforma della scuola dopo l’altra, nessuna delle quali però ha sortito qualche efficacia degna di essere menzionata, per il semplice fatto che in Italia si tende a fare nell’Istruzione riforme a costo zero, riforme di facciata che però non intaccano la sostanza dei problemi che via via si sono creati nella scuola e che, non risolti, si sono accumulati e sono stati trasmessi in eredità da governo a governo, da ministro a ministro.
I vari ministri dell’istruzione che si sono succeduti, in mancanza di fondi (proporrei che quello dell’Istruzione sia un ministero senza portafogli da oggi in poi) e dovendo addirittura fronteggiare dei tagli alla spesa più o meno indiscriminati, hanno cercato di mantenere un po’ di potere all’interno del ministero col ricatto: creando cioè un numero enorme di precari in attesa di una cattedra da poter manovrare e sfruttare a loro piacimento.
Ma, evidentemente, questo non basta più, allora arrivano e si trasformano in legge le felici idee da un lato di affidare al potere dei presidi, per chiamate diretta, l’assunzione temporanea di personale docente, travolgendo così attese, scatti di anzianità, criteri più o meno standardizzati che si erano faticosamente creati finora per mettere ordine in un ambito estremamente caotico come quello delle assunzioni e delle supplenze, dall’altro, in maniera totalmente schizofrenica, si affida alla standardizzazione e a regole generali la valutazione degli studenti .
Credo sia superfluo dirvi che è in atto, non solo nell’Istruzione, un tentativo di accentrare il potere su una persona sola, è la regola dell’asso piglia tutto, il Senato sarà composto da “nominati” e non da persone elette dai cittadini, la camera sarà composta da persone a cui teoricamente occorrerebbe il 40% dei voti, ma in pratica col secondo turno si può essere eletti con una maggioranza relativa, anzi, relativissima dei votanti, persino con un 20%.
Faccio un esempio, secondo i sondaggi che stimano le proiezioni di voto, facendo finta che siano attendibili, se si votasse adesso il PD sarebbe il primo partito e potrebbe anche raggiungere il 40% dei voti occorrenti al primo turno e prendere il potere da subito; in questo caso avrebbe un premio di maggioranza incredibilmente alto da permettere a questo partito di governare da solo indisturbato perché l’opposizione non potrebbe contrastarlo in alcun modo e il pericolo di opposizione interna sarebbe controllabile e addirittura risibile, perché possiedi ampio margine di manovra e di potere.
Se non arriva al 40%, andrebbe al ballottaggio col partito che ha avuto il secondo miglior risultato (in questo caso gli M5S), dove vince chi ha anche un solo voto in più e, considerando che nessun partito fra gli esclusi farebbe confluire sui cinquestelle il suo voto, la vittoria è assicurata senza richiedere aiuti esterni, senza alleanze e senza compromessi.







Da li in poi il PD sarebbe padrone dell’Italia per cinque lunghissimi anni e potrebbe approvare indisturbato qualsiasi cosa, anche modificare la costituzione o proporre Paolini Paperino come padre nobile della patria; non esistono contrappesi costituzionali e l’opposizione non avrebbe mai i numeri per influire sulle decisioni …. il fascismo al suo insediamento ebbe vita più difficile.
La ventilata riforma della RAI, il cui slogan (ormai logoro) era “togliamo la Rai ai partiti”, in realtà la consegnerebbe al governo: non più tutti insieme appassionatamente, io prendo Rai1, tu Rai1, lui Rai3, l’altro i canali satellitari, ma il governo pigliatutto.
Collegate a questo, perché anche qui si parla di scuola, di valutazione e di merito, sono le dichiarazioni di un giovane studente universitario, Gabriele Flamigni, che frequenta la facoltà di filosofia dell’ateneo di Pisa; in sostanza Gabriele dice, e ha cercato di difenderlo in tutte le sedi istituzionali e non, che non gli sembra giusto che uno studente la cui famiglia abbia un reddito alto debba essere escluso dalle agevolazioni nel pagamento delle tasse universitarie.
La sua tesi è che gli sconti, le esenzioni e le agevolazioni debbano riguardare più il merito che il reddito, insomma lui (che sostiene di avere la media del 30 e lode) e gli altri come lui che studiano e che si impegnano, dovrebbero essere agevolati, favoriti o del tutto esentati nel pagamento delle tasse universitarie.
Sarebbe questo, a suo dire, un modo per l’Italia di tenersi i “cervelli” a casa, di non farli emigrare altrove, dove potrebbero trovare condizioni migliori.
Mi colpisce non solo l’idea in sé, ma il fatto che quest’idea abbia potuto avere tutta questa eco da essere riportata persino sui quotidiani, da creare addirittura dibattiti … e allora, quando questo accade, quando nessuno spiega e fa capire a Gabriele quanto la sua pretesa sia assurda, ti rendi conto di come le tenebre avvolgano fittamente il nostro livello culturale e di come qualsiasi sciocchezza possa venire a sostituire dibattiti per più seri e produttivi per un giovane universitario e non solo per lui.
In verità non saprei da dove iniziare a controbattere una simile opinione, per il semplice fatto che mi pare costituita da assurdità che si reggono su altre assurdità, di cose che riteniamo ormai scontate, ma che scontate non sono o non dovrebbero essere, di credenze ormai radicate sulle quali l’ipocrisia predominante ha trovato un comodo e vile livello di intesa, che stanno portando a ipotesi e pretese ancora più assurde e più ridicole.
Parto dalla “media del trenta e lode”, ciò vuol dire tutti 30 e lode … una monotonia incredibile, noiosa, monocorde, che mi fa addirittura paura … per me vuol dire che il livello di ambizione, di stima di sé, è talmente elevato che non potrebbe accettare che so io nemmeno un semplice 30 o un ventinove, ciò vuol dire anche che tutte le materie in studio sono ugualmente interessanti, appassionanti, che ti interessano allo stesso modo e con la stessa intensità il pensiero di Tommaso d’Acquino e la sua interpretazione della logica aristotelica e la filologia romanza, che ti trovi bene con qualsiasi insegnante, da quello esigente e pignolo, a quello simpatico e alla mano, come uno Zelig.
Altro aspetto problematico di questo discorso è quello di identificare il “cervello” (l’intelligenza) con l’esito scolastico, la realtà stessa è la disconferma più accurata e puntuale di questa ipotesi, Albert Einstein ebbe una carriera scolastico poco brillante, di molti altri personaggi che adesso illuminano il firmamento della nostra letteratura, delle arti e delle scienze, a scuola non andavano affatto bene, alcuni furono sconsigliati dall’insistere, altri furono considerati persino ritardati mentali.
E che dire poi di coloro che a scuola non ci sono neanche andati? Socrate non frequentò alcuna università, Leopardi non aveva alcun titolo scolastico avendo studiato nella biblioteca di famiglia, e l’elenco sarebbe molto lungo e giunge fino a quando decidemmo che un semplice foglio di carta e degli studi principalmente libreschi potessero sostituire qualsiasi prova o saggio di abilità: in fondo bastava ascoltare Socrate o Leopardi anche solo per cinque minuti per rendersi conto dello spessore della loro preparazione o della profondità del loro discorso, mentre non basterebbe il curriculum studiorum più articolato, i titoli più ambiti e le pubblicazioni più vaste per convincermi del valore di una persona in assenza di un incontro vis a vis.







L’intelligenza sfugge a molti sistemi razionali e standardizzati di valutazione e di misurazione, non puoi certo coglierla chiedendo allo studente nel breve corso di un esame universitario, di darti conto del programma della tua materia i insegnamento; l’intelligenza va valutata solo quando è in corso un rapporto approfondito di conoscenza fra le persone e devono intervenire anche i fattori emotivi, creativi e intuitivi nella valutazione.
Per “sfangare” un 30 o un 30 e lode ad un esame bastano l’impegno, il saperla raccontare, il saper presentarsi e una buona dose di paraculina, è di una facilità incredibile il saper blandire e irretire un professore universitario, presentandosi magari simili a lui nell’aspetto, nel modo di fare, per quanto riguarda la cultura o l’ambiente di provenienze e con la faccetta da bravo ragazzo (quella almeno che ha in mente il professore), oltre a non trascurare alcuni accorgimenti come quello di sapere bene che cose che lui predilige, anzi mostrare che le prediligi anche tu, non fare l’errore di non acquistare e studiare eventuali libri scritti da lui, anche se sono “opportunamente” e ipocritamente messi nella sezione dei libri a scelta (è questo un criterio ulteriore di valutazione, chi sceglie i miei libri è più bravo a prescindere … i professori universitari sono gli esseri più vanagloriosi e auto-compiacenti del mondo).
Ti dirò, anzi, che l’intelligenza, quella vera, è persino controindicata per un esame o per una carriera universitaria, perché (può sembrare strano) ma tanti professori universitari (soprattutto italiani) non sono intelligenti, sono appena mediocri, per cui non solo tendono a premiare quelli più simili a loro (altri mediocri), ma addirittura penalizzano l’intelligenza quando la incontrano, perché non la capiscono e li infastidisce. preferiscono circondarsi di cose e di persone alla loro portata (e qual è questa portata te ne accorgi dei lavori che producono, dai discorsi fatti nei congressi e da alcune iniziative molto discutibili, come quella di quel Tizio che invitò schettino a tenere una lectio all’università di gestione del panico in caso di calamità).
L’intelligenza, anzi, è bandita da ogni struttura istituzionale, perché chi organizza le istituzioni non è mai intelligente; oppure, nei rarissimi casi in cui una istituzione nasca dall’intelligenza di un fondatore, provvedono poi i burocrati che la amministrano a farla sparire o a snaturarla del tutto.
I primi test psicologici che misuravano l’intelligenza avevano l’imbarazzante tendenza di attribuire le migliori stime agli individui più simili agli ideatori di questi test sia per quanto riguarda la cultura, l’ambiente di provenienza, il sesso e altre caratteristiche; quando negli USA furono applicati agli immigrati per selezionare i differenti individui nei lavori a loro più adatti, successe un disastro … sembrava che tutte queste persone in ingresso in America fossero sottosviluppate, si invocarono differenze razziali, culturali, nutrizionali … finché qualcuno intelligente (ce ne sono anche fra gli psicologi) non giunse a realizzare che il contadino proveniente dal centro della Sicilia non era necessariamente stupido se non sapeva l’anno in cui Eisenhower divenne presidente degli stati uniti, ma se lo metti a piantare alberi di limoni in un giardino tu fa un lavoro di alta ingegneria e di sopraffina intelligenza.
Ma la cosa che mi ha fatto incazzare di più in questa dichiarazione (presa di posizione difesa ad oltranza), non è solo la giovane età di questo ragazzo, che non lascia ben sperare per il futuro, ma il fatto che manca di cogliere il senso stesso delle agevolazioni in fatto di tasse.
Caro Gabriele, non si tratta di una lotteria, di un quiz a premi,  della Ruota della Fortuna o di Affari Tuoi (ma tu stai “fiorendo”, come dicevano i greci, in un periodo storico in cui il presidente del consiglio e il leader dell’opposizione più becera hanno partecipato entrambi a quiz televisivi, mentre i leader degli altri due movimenti più seguiti sono entrambi due guitti … per cui è logico che tu abbia un po’ di confusione sull’essenza delle cose quando il successo arride a chi gestisce abilmente l’apparenza).
Queste agevolazioni scolastiche sono nate ispirandosi ad un principio di uguaglianza degli uomini, perché fra te e chi nasce in una famiglia economicamente e/o culturalmente svantaggiata non ci siano differenze di sorta che pregiudichino o impediscano in partenza a qualcuno di aspirare alle stesse ambizioni, perché entrambi possiate accedere alla pari all’insegnamento e alle professioni che ad esso preludono.







Certo, chi ne usufruisce dovrà dimostrare di esserne meritevole, in caso contrario l’aiuto non va soltanto a chi ne è meritevole e basta, ma a chi fra gli altri svantaggiati si dimostri più meritevole; perché di questo si tratta, in fondo, di aiutare chi ha bisogno, non soltanto di premiare chi lo merita.   
Il cristianesimo, il comunismo e il liberalismo si ispirato tutti quanti a questo principio, gli uomini devono poter partire per quanto è possibile dallo stesso livello, devono poter accedere allo stesso modo alle risorse e alle possibilità disponibili, solo quando avrai esaudito questo irrinunciabile principio, potrà subentrare il discorso del merito puro, solo allora la vita potrà e dovrà premiare il più meritevole, chi si è impegnato di più, il più bravo.
Mi chiedo come è possibile per una persona di intelligenza almeno media se non superiore, non comprendere questo semplice assioma di equità e di giustizia che ci fa uomini civilizzati e non bestie feroci, come possiamo pensare di poter avere dei privilegi solo perché abbiamo avuto la fortuna di nascere in un Paese ricco e progredito, che la terra ci appartenga solo perché abbiamo avuto la fortuna di nascervi (e quando si tratta di riconoscere i diritti di chi ci è nato, mi riferisco alla famosa diatriba sullo ius soli, si invoca il fatto che non basta nascervi soltanto, ma bisogna nascervi da genitori italiani, e quando si presenta Balotelli, non basta avere genitori italiani, ma genitori italiani del tuo stesso colore di pelle o col tuo stesso DNA).
Perdendo di vista lo stato di bisogno, la necessità dell’altro, la temporanea difficoltà,  la sua fatica di vivere, talvolta anche l’affanno e la disperazione, io perdo di vista me stesso, perché la mia forza non sta nell’egoismo, nell’egocentrismo, nel pensare solo a me stesso, nell’individualismo esasperato, nell’autoreferenzialità, nel solipsismo, ma nel riconoscere nell’altro una possibilità di me stesso, il mio stesso bisogno, i miei limiti.








Solo un dio o un topo di fogna possono girarsi dall’altra parte di fronte a qualcuno che ha bisogno, di fronte a qualcuno che ti chiede aiuto, e autoassolversi con discorsi di una banalità, di una grettezza, di una povertà mentale imbarazzanti.
Tutti i più grandi spiriti che hanno dato forma al pensiero occidentale, da Socrate a Cristo, da Locke a Hume a Voltaire, a Diderot, a Montesquieu, a Proudhon, a Marx hanno posto a fondamento di ogni cultura e di ogni società il doppio principio di dare a ciascuno in base al proprio bisogno e a ciascuno secondo i propri meriti … dove ovviamente il bisogno sta alla base del merito e va soddisfatto prima.
Dall’essere responsabile del proprio fratello, dalla parabola del buon pastore, da quella del buon samaritano a quella del figliol prodigo, Cristo ci ha detto che correre in aiuto al proprio fratello in pericolo è più importante del riconoscere i meriti degli altri; Marx che la proprietà privata è un furto, soprattutto se c’è chi muore di fame e il liberalismo che tutti gli uomini nascono uguali e che sono soltanto le convenzioni, il sopruso e le dittature a creare le differenze e tutti i particolarismi, le oligarchie, i leghismi a giustificare queste differenze.

Non è vero che il sonno della ragione genera mostri, talvolta genera anche leghisti e la frequentazione dei talk show genera Salvini ... il "gran dragone, dal colore del fuoco, con sette teste e dieci corna e sette diademi sulle teste. La sua coda trascinava la terza parte delle stelle del cielo e le precipitò sulla terra. Poi il dragone si pose davanti alla donna che stava per dare alla luce, per divorare il figlio appena fosse nato". (Apocalisse, 12, 3-5).




14 commenti:

  1. Oddio, Garbo, l'Ateneo Pisano si è allevato proprio una serpe in seno: ci vuole tutta l'eccellenza pregressa e in atto della nostra Università e delle Scuole S.Anna e Normale, con la profusione di grandiose personalità nei rami più doversi per reggere una botta così!!
    Dovrò mettere in guardia il mio ingenuo figlio studente di scienze politiche circa gli esseri fuori controllo che circolano tra le facoltà!!.
    Quanto all'Invalsi, non importa essere specialisti della pedagogia per vederne l'assurdità e l'inadeguatezza.

    PS:io vedo il tuo blog in dimensioni minuscole.
    Per leggere e commentare ho trascritto il post in un documento di testo.
    Saluti
    Fata C

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  2. Questo è il risultato dopo l'era berlusconi, suggellata dall'era renzi. Il figlio di buona famiglia che sicuramente ha studiato alla buona scuola e che avrà una buona laurea in filosofia è figlio di questa "cultura". Ho incontrato fior fiore di imbecilli laureati con 110 e lode, gente incapace di muovere un passo dal proprio angusto ambito di "pensiero" e questo accade non solo perché l'intelligenza è cosa ben diversa dal montarozzo di cose che si conoscono ma anche perché questa spirale di imbecillità è spesso allevata dagli stessi professori quando sono sacerdoti della propria disciplina (e di sé stessi) più che adoratori della conoscenza e prima ancora dell'ignoto. Il ragazzetto mostra un'insanabile debolezza in quel filone di pensiero che tu hai sintetizzato con quei nomi che fanno tremare i polsi ma la storia ci ha mostrato anche che questa stirpe si diffonde, ha avuto riconoscimenti internazionali e ha fatto danni indicibili e ancora poco considerati, penso alla genia dei Milton Friedman e della scuola di Chicago. Questo è sicuramente il modello di scuola che piacerà sicuramente al tipo di Pisa. Secondo me non tutte le fughe di cervelli sono da evitare, anche perché non tutti quelli che scappano hanno un cervello da portarsi appresso. Ciao.

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  3. ...a parte un sicuramente di troppo ho dimenticato di esprimere apprezzamento per le parole del maestro, ci tenevo a dirlo. Ciao.

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  4. Gli smartphone, compagni inseparabili di giovani e giovanissimi, sono dotati di programmi "badante";
    cortana e siri, sono due esempi di "assistente personale" in grado di sollevare da diverse "fatiche";
    a quando un'intelligenza artificiale che ci esoneri del pensiero autonomo per consegnarci, docili, al pensiero unico?

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  6. "Non so bene dove l’ho letto (i primi segni dell’avanzare dell’età e del marasma cronico della demenza senile sono le dimenticanze e i vuoti di memoria) ..." ; praticamente Ti sei già dichiarato nell'incipit!

    I test con le crocette non sono dimostrazione di sapere e di aver compreso ciò che, magari, si impara e si ripete a pappagallo. La cultura, l'intelligenza, ...non si misurano con i quiz che, semmai, dimostrano solo memoria; anche l'asino la possiede e rientra anche da solo nella sua fattoria di residenza.

    Ciao da luigi

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  7. Le misure generalmente impiegate per valutare il merito individuale o la situazione di bisogno non sempre esprimono la realtà del merito effettivo o dell’effettivo bisogno, anzi spesso ne costituiscono ingiusto o fasullo discrimine. Diffido della meritocrazia, del potere cui deve soggiacere, degli strumenti che usa, di chi la persegue, ma credo piuttosto nel merito, nella motivazione individuale, nell’impulso all’innovazione e al miglioramento collettivo che ne sono sottesi. Penso che non abbiamo ancora individuato metodi oggettivi per valutare meriti e bisogni, e ciò dipende forse dal fatto che essi non sono oggettivabili nè misurabili in sè, tanto meno sulla base di test, graduazioni, voti, performance, redditi o indicatori isee che non sempre corrispondono alla realtà di ciò che intendono rappresentare.
    Un saluto...ciao da Flâneuse

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  8. @ Fata Confetto,
    stiamo perdendo, credo un po’ tutti, avviati verso un individualismo esasperato in cui esisto solo io e se ho un occhio di riguardo per alcune persone che mi circondano, lo faccio solo in funzione di me stesso, il senso delle cose: la solidarietà, la sensibilità, l’empatia, il fatto che non esiste un Io senza un Tu.
    Questo ragazzo è soltanto l’ultimo anello di una catena, il più ingenuo, il meno colpevole forse, ma il più pericoloso, perché è quello che non conosce più il dubbio, di un modo di essere che ormai si respira ovunque e che, come l’aria, ormai non lo vediamo più, non ci accorgiamo nemmeno che esiste, perché è diventato un pensiero (e un sentire) automatico.
    Ciao

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  9. @ Antonio,
    io credo che si sia giunti all’individualismo esasperato, al narcisismo, al delirio attuale a partire dall’Io penso cartesiano, cioè dal fondamento stesso della modernità; per strada abbiamo smantellato, azzerato, raso al suolo, qualsiasi legame con la natura, con gli altri e, fatalmente, con noi stessi.
    Oggi, seduti sulle macerie di una grande cultura, quella classica, che non comprendiamo più e al massimo ne facciamo oggetto di culto museale, di sterili esercizi filologici, di attribuzioni a “Marcantonio o a Marcagrippa” (come scrisse Giacomo Leopardi nelle sue lettere al padre), di occasioni per vincere un concorso a cattedra, abbiamo sostituito al fluire di questa cultura (che era insieme saper essere e saper fare) la finzione dell’Io assoluto, dell’uomo che non deve chiedere mai, di colui che è padrone delle cose e delle persone, di chi non ha più dubbio alcuno (tieni presente che l’Amleto di Shakespeare precede di circa 30 anni il Discorso sul metodo di René Descartes … e quest’ultimo vince definitivamente sul primo, il dubbio si dissolve e l’uomo incomincia a fare senza capire, senza capirsi e senza dubbio alcuno … e fa orrori, come le due guerre mondiali e l’olocausto).
    L’unico indizio dell’assurdità del cammino intrapreso è il disagio, l’angoscia, il senso di vuoto che ci attanaglia, ma anche per quello abbiamo trovato comode soluzioni, esistono terapie scientifiche, la cui efficacia e accertata, che eliminano anche questo fastidio, con rimedi psicologici o farmacologici, esiste una grande azienda, la multinazionale delle multinazionali, che ha il compito specifico di distrarci da noi stessi, di allontanarci da ogni vicinanza, da ogni trasparenza a noi stessi, con un eterno luna park, con cose sempre nuove da desiderare e da inseguire.
    Milton Freedman, per quello che posso capire io che non mi occupo di economia, è stato uno dei più grandi esponenti del laissez-faire … un po’ come l’arcivescovo di Narbona Arnaud Amaury che ad un soldato che gli chiedeva come comportarsi ora che stavano per entrare nella città di Béziers, come avrebbero fatto cioè i soldati a distinguere gli eretici catari dai “buoni cristiani”, sembra abbia risposto con la frase che divenne celebre: “Uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi”.
    In entrambi i casi è un operare senza riflettere e senza dubbi, confidando in qualche entità superiore “Dio”, o il “mercato”, che avrebbero messo ordine nel caos.
    Ciao

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  10. @ Berica,
    non frequento smartphone, ho ancora un vecchio cellulare che si carica a manovella e batto i tasti con schegge di selce, non sapevo quindi di badanti digitali, di assistenze varie … io sto ancora litigando con word di windows per ché “corregge” automaticamente il mio testo soprattutto quando è già grammaticalmente corretto, con risultati risibili.
    Io non penso ad un’unica soluzione, al pensiero unico, non vedo chi potrebbe o dovrebbe imporlo: non la religione (perché ci sono le religioni, molto agguerrite e in continua lotta tra loro), non l’economia (le cui multinazionali si comportano una con l’altra come le tre religioni monoteiste fra di loro), non l’ideologia (dal momento che dopo il comunismo e il liberalismo non esiste più niente che possa prenderne il posto).
    Credo che oscilleremo fra il caos del navigare a vista, dei Renzi che succedono ai Letta, che succedono ai Monti, che succedono ai Berlusconi, che succedono ai Prodi … senza che qualcuno lasci qualcosa di solido o osi qualcosa di coraggioso … governicoli che stanno bene un po’ a tutti perché tutti quanti possiamo fare un po’ quello che cavolo ci pare.
    Ciao

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  11. @ Luigi,
    mi sono dichiarato nell’incipit? E che altro potevo fare, è la verità, non ricordo le cose e quel po’ che ho studiato sulle malattie progressive e degenerative del cervello non mi da altra chance che prepararmi al peggio … a proposito, come hai detto che ti chiami?
    I test a scelta multipla possono accertare al massimo una preparazione nozionistica, non le capacità di ragionamento; ma la mia obiezione fondamentale è che nessuno strumento cerca di valutare la maturità di un ragazzo, questo perché l’istruzione oggi si propone qualsiasi obiettivo tranne quello di aiutare un bambino a diventare uomo.
    Ciao

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  12. @ Flâneuse,
    son d’accordo con te che non esistono indicatori affidabili che possano misurare accuratamente il merito o il bisogno, ma le ideologie che facevano riferimento a questi concetti (il liberalismo ad esempio possiamo sintetizzarlo con lo slogan. “Dare a ciascuno in base al suo merito”, mentre il comunismo con: “Dare a ciascuno in base al suo bisogno”) non sono naufragate perché non riuscivano a misurare i bisogni o i meriti reali delle persone, ma per la loro parzialità. Una società fondata soltanto sul merito sarebbe disumana, vecchi e bambini considerati cittadini di serie B visto che non producono merito, i disabili forse andrebbero sopressi perché considerati inutile zavorra (sembra fantascienza ma l’ Ausmerzen nazista, un programma teso all’eliminazione di tutti gli individui improduttivi, affrontato da Marco Paolini in un libro e in uno spettacolo teatrale passato per Rai3, e l’eugenetica, sono realmente esistiti e hanno prodotto il loro triste raccolto).
    Una società basata esclusivamente sul bisogno sarebbe poco vitale, poco competitiva, immobile, e assistenzialistica … non farebbe crescere i suoi cittadini, sempre soggetti allo Stato, al Partito, che provvede paternalisticamente alle loro esigenze… l’economia sovietica è implosa per questo motivo e furono patetici i tentativi di stimolare la produzione additando a modello Aleksej Grigor'evič Stachanov per aumentare la produttività solo per accrescere la gloria della Nazione.
    Ma, al di la di questo, mi sto interrogando proprio alla radice sull’esigenza di uno stato di occuparsi dei meriti e dei bisogni dei suoi cittadini, anzi certe volte mi verrebbe da dire con Manlio Sgalambro molto più radicalmente: “Che io debba essere governato: ecco da dove inizia lo scandalo della politica”.
    Francesco d’Assisi finché ebbe un alito di vita si oppose con tutte le sue forze al fatto che l’ordine dei frati minori che lui aveva fondato potesse essere proprietario di qualcosa, potesse detenere il possesso o di decime (come si usava a suo tempo) o ricevere elemosine, anche a fin di bene, anche per ridistribuire questi beni ai poveri. Francesco credeva che inevitabilmente la ridistribuzione da parte di esseri umani avrebbe comportato ingiustizia, ma credeva altresì che fosse un atto di arroganza senza pari per un uomo porsi nella condizione di poter essere il “benefattore” (e non un uomo come te, che nel linguaggio di Francesco si poteva anche tradurre con: “Più indegno di te”), e di dover stabilire lui i meriti e il bisogno.
    Ciao

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  13. ¡Hola, Garbo! ¿Qué onda?
    Beso, Ines

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  14. @ Ines,
    Un beso para ti, dulce Gitana :-)
    Hola

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