martedì 26 maggio 2015

YOUTH









Punta in alto, stavolta, Paolo Sorrentino con questo suo Youth (la giovinezza), ambientato quasi del tutto in un Hotel de Charme Relais jugendstil incastonato nelle Alpi svizzere, ai confini del cielo, quasi allo stesso livello delle nuvole; uno di quei posti dove si inseguono bellezza, salute e la perduta giovinezza, le funzioni di quel corpo che con l’età sembrano rallentate o le modifiche ad un corpo che si vuole far rientrare più possibile in canoni di bellezza quanto mai standardizzati, imperanti fino alla ferocia, rigidi fino alla follia.
Non si tratta più qui, come ne La grande bellezza, di inseguire le vicende di un oscuro (per il resto del mondo) arbiter elegantiarum in un mondo senza eleganza, maître à penser  in un mondo sans pensée, vestito pacchianamente con banali colori pastello e corredato persino di un’orrenda panciera che da quel tocco di mondana vanità che condisce il personaggio come un pinzimonio, con i capelli tinti e l’espressione perenne sul viso da magnaccione romanesco.
Né di inseguire impietosamente la cafonaggine romana di un mondo, come quello romano/italiano, che sa perfettamente di essere periferia, parassitismo, nullità, inutilità, senza alcuna affettazione e senza scopo alcuno; o i tanti vizi e le poche virtù di potenti prelati in odore di sacro soglio, di giornalisti di partito famosi e celebrati che ormai non legge più nessuno, di imprenditori spiantati, di editori nani, di sante terese di Calcutta, di matti che vogliono raggiungere il “successo” dando craniate sui piloni dell’acquedotto romano, di aironi che volano sopra i tetti di Roma, di donne formose che fanno le spogliarelliste per pagarsi le cure di una grave malattia, di turisti cinesi, di nobili in affitto, di scrittori in cerca di successo che se ne tornano a casa, di feste pacchiane e di visite ai palazzi romani di notte.









Qui siamo pur sempre in area vip, ma non locale, non romanesca, non cafona, c’è la mitteleuropa bene in questo hotel, donne con occhi azzurri e verdi … da gatta, da vetro di Murano o da murrina veneziana, che emanano un benessere che si deposita pur nelle pieghe della loro pelle da vecchi o nelle loro fattezze di giovani, sembrano tutti cesellati e rifiniti da artisti valenti, da maestri di roba fina, non "merce" che puoi trovare al mercatino che proviene da Hong Kong.
Trovi registi che non si arrendono al declino, direttori d’orchestra che non dirigono più … nemmeno quando è la stessa regina d’Inghilterra a chiederglielo, attori famosi che stanno “preparando un personaggio”, bambini prodigio col violino, belle signore di tutte le età, miss universo che tolgono il fiato e che ti ridanno fiducia sull’esistenza di Dio, Diego Armando Maradona obeso, in disarmo e senza fiato che però palleggia ancora bene con una palla da tennis, medici di un cinismo incredibile che viene scambiato per ironia e ragazze massaggiatrici che leggono il mondo con i propri polpastrelli e che inventano passi di danza al computer e monaci buddisti (che non si sa bene che ci facciano in un hotel sulle Alpi svizzere) che alla fine lievitano ... quando ormai non ci crede più nessuno … quando non li vede nessuno.
Vagheggia nell’ovatta di musiche celestiali ed elettroniche di buon gusto (com’era nell’altro film), fra un tizio che disdegna di dirigere la London Philarmonic Orchestra e in alta montagna dirige un orchestra di mucche al pascolo con tanto di picchio, di urogallo e di scroscio dell’acqua di ruscello che intervengono a scandire il tempo.









Per capire che ci troviamo nella soffice impalpabilità vaporosa delle nuvole basta soltanto meditare sulla scelta dell’attore protagonista: Michel Caine, con la sua bianca e ondulata chioma e gli occhi da pesce lesso, a cui segue il brizzolato tendente al bianco di Harvey Keitel, con i suoi occhi di lince, o le linee dolci e flessuose di Rachel Weisz, mollata dal marito perché: “Non è brava a letto” (ma che basta guardarla per capire che non è vero, che invece ti farebbe impazzire se capitassi sotto le sue lenzuola) e corteggiata in maniera incredibilmente stravagante da uno scalatore, una specie di Ronald Meissner svizzero, uno che la porterà ad altezze celestiali, in tutti i sensi.
Ce lo dicono le continue incursioni nell’onirico, che non sempre ho apprezzato, perché avevano un che’ di hollywoodiano (tipico di chi vince un Oscar ... si, l'Oscar Rafone ... e poi si monta la testa), o il fastoso concerto finale per la regina e il principe consorte, molto affettato e raffinato, ce lo dice l’atmosfera stessa dell’hotel, talmente lussuoso da sembrare un sogno e abbastanza decadente e datato da trasportarti quasi in un altro tempo, nell’epoca d’oro delle vacanze termali, da farti quasi stupire, trasecolare, incantare perché sembri uscire dal mondo tecnologico e hard che conosci.
Tutte quelle fräulein in divisa, i camerieri e il personale tutto in livrea, i medici gli infermieri e gli estetisti in camice, gli assistenti con uniformi riconoscibili, persino i pazienti e gli ospiti dell'hotel hanno l'accappatoio e gli asciugamani tutti uguali, tutti uniformemente ripiegati a forma di testa di cigno, tutti in coda, o allineati per le terapie, per la piscina, ridicoli omuncoli deformati dalla rifrazione dell'acqua e del vapore che li ricopre e li circonda, sottoposti a qualsiasi tortura e alla noia più mortale pur di star bene, essere in forma o esteticamente belli.
E solo in Svizzera questo può accadere, un popolo che si dedica maniacalmente a costruire orologi fra i più precisi al mondo, che infonde un'infinita pazienza ad intagliare scatole di legno, a scolpirvi figure, ad inserirvi meccanismi di precisione per farne orologi a cucù che si muovono con una precisione e con una sincronia che sbalordisce, e che realizza coltellini, utensili di complicata fattura e produce formaggi unici al mondo.  
È praticamente un incubo quell’ossessione di tutte le età alla salute e alla bellezza, l’attenzione maniacale all’attività che svolgi, agli esercizi che fai, ad esami, terapie, saune, massaggi, alla dieta su cui si depositano tutte le tue nevrosi e tutte le tue difficoltà di vivere sotto la patina di attenzione alla linea e alla salute, alle gocce di pipì che emetti in un giorno.
Fred Ballinger è il protagonista del film, anziano e disincantato, sostiene che alla sua età è inutile volersi rimettere in forma e forse, ma questo lo aggiungo io, è inutile a qualsiasi età perché la forma che hai è semplicemente ciò che sei, e vorrebbe sapere dal suo più caro amico, il regista  Mick Boyle, com’era a letto quella ragazza (Gilda, mi pare) di cui erano innamorati entrambi, mentre quest’ultimo fa di tutto per non fargli capire se lui lo sa, pur negando di essere mai sto con lei.
Ma non crediate che il film sia del tutto etereo ed iperboreo, ogni tanto (molto più spesso di quanto crediate) verrete colpiti da vere e proprie staffilate in faccia di carne rossa sanguinolenta, proprio quando credevate di essere diventati vegani, di nutrirvi soltanto di nettare e di ambrosia e di odiare persino i derivati animali come latte, formaggi e uova.
Vi arriverà un sonoro schiaffo di quelli  che fanno più eco di uno jodel che risuona sulle vallate alpine, solo perché avrete guardato una signorina che ancheggiando attraversa la sala da pranzo, uno sguardo impercettibile per tutti, ma che vostra moglie ha avvertito di sicuro o, il che è lo stesso, che ha creduto di avvertire; non si tratta di semplice gelosia, è un gioco molto più complesso e molto più perverso .








Sentirete i bramiti e gli ululati di una signora in calore che scopa selvaggiamente (non scandalizzatevi, non dobbiamo aver paura dei termini, anche dei più volgari, quando non ne esistono altri che non siano eufemistici per definire certe cose … si sarebbe anche potuto dire: “Se la sbatteva nel bosco contro un albero” se preferite ma di certo non: "Facevano l'amore") col marito nel bosco (lo schiaffeggiato, e non crediate che sia un caso, schiaffo e sesso sono legati fra loro … prima dello schiaffo non avreste mai immaginato tutta questa passionalità in questa coppia), potrete osservare il fisico alto, slanciato tetragono e segaligno dello scalatore che corteggia, con successo, la figlia di Fred e i suoi modi rustici che vi riporteranno con i piedi ben piantati per terra … e persino la follia della moglie di Fred che fissa nel vuoto i canali di Venezia, vi riportano su un piano di realtà.
Di cosa parla Sorrentino in Youth? Mentre nella Grande bellezza parlava dell’amore, del successo, della noia, della grande deriva che il mondo occidentale ha imboccato, e solo alla fine, attraverso una sottile malinconia che conduce ad una bellezza indicibile, si giunge a mettere a fuoco lo “scopo della vita” (ricordate la “fessa” o “l’odore delle case dei vecchi”?), qui parla della fine, della vecchiaia, della solitudine, della morte.
Cosa resterà di noi quando non ci saremo più, cosa resta di noi quando siamo vecchi e il mondo è in mano ai giovani? I ricordi che avremo lasciato nelle persone care, in coloro che ci hanno amato? E perché allora abbiamo l’impressione che lo sforzo per farci ricordare sia stato enorme, titanico, e i risultati molto miseri? Perché le persone sembrano ricordare le cose in maniera completamente diversa da come le ricordiamo noi, non tanto negli avvenimenti reali e realmente accaduti, ma anche nella valenza affettiva che noi diamo loro?
Quali ricordi poi se Igor' Stravinskij è sepolto quasi dimenticato sotto una lastra di pietra disadorna e senza fiori nel cimitero dell’isola di san Michele a Venezia, mentre la tomba di Lady D. è continuamente sommersa di fiori, di bigliettini, di lettere, bagnata dalle lacrime della gente e per lei persino Elton John si è scomodato a dedicarle una canzone?
I due amici, Fred il direttore d’orchestra e Mick il regista non potrebbero essere più diversi in quanto ad affrontare il problema del loro declino e della loro prossima scomparsa (vista l’età avanzata), quest’ultimo insegue il film dei film, l’ultimo film che sia il suo testamento artistico e spirituale, quello in cui sogna di raggiungere vette insperate … ma a giudicare dalle proposte sembra a corto di ispirazione, di idee e circondato da simpatici sfigati.
Alla fine sarà il suicidio il suo capolavoro, si butterà dalla finestra dell’hotel sotto gli occhi attoniti dell’amico che non prova nemmeno a fermarlo (ho pensato a Mario Monicelli quando l'ho visto), e dopo aver ricevuto il rifiuto dall’attrice che sente più vicina l’unica che potrebbe interpretare la parte della protagonista femminile che ha in mente, che si defila perché pensa di interpretare un serial televisivo che le risolverà gli innumerevoli problemi economici, ma non quelli psicologici … perché la si vede litigare di brutto con le hostess dell’aereo in preda ad un attacco di panico piuttosto violento.







Fred è apatico, vuole fermare il tempo, non vuole aggiungere più nulla al suo successo, vuole che lo ricordino per le buone cose che ha fatto, tergiversa sulla sua biografia che gli viene sollecitata da una casa editrice francese e alla fine manda tutto al diavolo, rifiuta di accettare di dirigere ancora una volta in una kermesse per i reali inglesi, nel corso del quale gli sarà conferito il titolo di lord.
Il motivo? Quando non ne può più glielo urla un faccia all’emissario della regina, le sue Opere Semplici non possono essere interpretate perché l’ultima donna a cantarle è stata sua moglie e questa non può più farlo … finché lui sarà in vita non accetterà di dirigere qualche altro soprano su quelle note.
Forse alla fine capisce che ciò che vorrebbe fermare non esiste più comunque, che gli si è sgretolato tutto col tempo e che l’unico modo di fermare il tempo è quello di seguirne il fluire, quello di continuare a fare cose nuove finché siamo in vita … per questo accetterà, alla fine, di dirigere l’orchestra ancora una volta.
Non avrebbero potuto essere più diversi Mick e Fred, per quest’ultimo le emozioni sono sopravvalutate, per il primo le emozioni sono tutto; sbagliano entrambi se cristallizzano tutta la questione in maniera polare e diametralmente opposta: o è vera l’una cosa, o è vera l’altra, e hanno entrambi ragione perché ciascuno coglie un aspetto delle emozioni.
Le emozioni sono molto importanti, ma sono sensazioni di breve durata, caleidoscopiche, fluttuanti, non fai in tempo a fissarne una che ne stai già provando un’altra, non fai in tempo a capirla, a viverla, che già si è trasformata in qualcos’altro, ciò che è importante è ciò che ci fai con le emozioni: puoi comporre, se sei un artista, opere indimenticabili, per esempio, o puoi usarle come mattoni per costruire qualcosa dentro di te, per edificare ciò che sei e vuoi essere, oppure ancora puoi riversarle all’esterno, donandole a chi ti sta vicino … in fondo è il legame emotivo fra le persone tutto ciò che rimane anche quando siamo lontani, anche quando qualcuno non c’è più, sepolto sotto una lastra di pietra.







“Che cosa resterà di me? Del transito terrestre?
Di tutte le impressioni che ho avuto in questa vita?”
(Franco Battiato, Mesopotamia, in Giubbe rosse, 1989).


Del film La grande bellezza ne avevo parlato, in un certo senso, QUI.


giovedì 21 maggio 2015

FALSI INVALSI








Non so bene dove l’ho letto (i primi segni dell’avanzare dell’età e del marasma cronico della demenza senile sono le dimenticanze e i vuoti di memoria), se in Diogene Laerzio, in Luciano de Crescenzo o altrove, mi pare comunque che si trattasse di Parmenide che incontrò per i campi di Elea il piccolo Zenone, di famiglia poverissima, che  stava raccogliendo la legna, e fu colpito dal modo sistematico, ordinato e intelligente con cui il bambino costituiva le fascine per poterle trasportare meglio e con meno fatica (Platone, il solito pettegolo, riporta invece nel suo dialogo, il Parmenide, che fu attratto invece dall’avvenenza del fanciullo, tanto che lo adottò e ne fece il suo amasio).
Vi racconto questa vicenda solo per dirvi che nell’età d’oro della nostra cultura, quando il mondo era calpestato dai sandali di Parmenide, di Empedocle, di Eraclito, di Socrate, di Eschilo, di Fidia, di Apelle, di Prassitele e di Lisippo, quando un uomo era noto per le sue opere e per le sue azioni e non per i suoi titoli, quando per insegnare bastava il riconoscimento dei propri allievi e della stima degli altri sapienti che con lui dialogavano e magari polemizzavano, bastava l’intelligenza di un uomo per valutare un altro uomo.
Le imprese poi dell’allievo, la gloria che conseguiva, la diffusione della sua opera, la sua viva parola, testimoniavano poi sul valore della stima che di lui aveva espresso il suo maestro; sul valore di Zenone di Elea basterebbe soltanto ciò che ci tramanda Diogene Laerzio ed altri riguardo al suo contegno verso il tiranno Nearco, o i suoi famosi argomenti (paradossi) in difesa del pensiero parmenideo.
Anche il sarcasmo platonico ci aiuta in qualche modo a comprendere, la battuta che nella scelta di Zenone come allievo prediletto e figlio adottivo abbia prevalso la sua avvenenza, non squalifica il valore e l’intelligenza di Zenone (e come potrebbe), semmai aggiunge qualcosa in più, ci fa capire come Zenone riuscisse ad essere così convincente ed affascinante nelle diatribe, perché sappiamo infatti che era alto e di bell’aspetto, tutte cose che aiutano e predispongono l’animo all’ascolto e all’attenzione, soprattutto in una società marcatamente omofila come quella greca antica.
Oggi, quando il mondo è calpestato dai mocassini Prada di Matteo Renzi, dalle cesare Paciotti della Gelmini, dalle Miou Miou di Maria Elena Boschi, dalle Salvatore Ferragamo di Stefania Giannini, dalle Liu-Jo di Marianna Madia, dalle Christian Louboutin di Daniela Santanché e dalle Tod’s di Maurizio Gasparri, è stato introdotto un nuovo metodo standardizzato di valutazione per la scuola primaria e secondaria: l’INVALSI.
Già, dopo “esodato”, “biodiversità”, “choosy”, “esondato”, “bomba d’acqua” e varie altre amenità per non basterebbero la tortura e la pubblica gogna per chi conia queste sconcezze, entra prepotentemente nel nostro slang il termine “invalsi”, così al plurale, perché è un acronimo di 'Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema dell'Istruzione.







Questo sistema è staro introdotto con la legge n. 176 del 25 ottobre 2007 dal allora ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni e consiste in una prova di italiano e in una di matematica , ciascuna provvista delle rispettive griglie di correzione, di cui potete farvi un’opinione personale consultando il sito invalsi.it, nella sezione “area prove”.
Dietro l’alibi di affidare la valutazione del singolo studente ad uno strumento neutrale, affidabile, obiettivo, generale, e di sottrarlo all’arbitrio e ai limiti del singolo insegnante, in realtà si uniforma l’insegnamento in tutta la penisola azzerando diversità locali, regionali, culturali, personali, si cerca di imporre un programma unico in tutte le scuole (se dovrò rispondere a queste domande conviene studiare ciò che mi aiuti nella risposta e non perdere tempo altrove), si perde ancora di più il senso che lo studio e l’apprendimento sono importanti in sé e non in funzione di esami e di valutazioni.
In gran parte si perde anche la trattazione e l’approfondimento dell’attualità, di ciò che suscita la curiosità di studenti ed insegnanti, perché alla fine si verrà valutati su ciò che il ministero ha previsto con largo anticipo, per cui ciò che accade adesso non sarà occasione per capire come va il mondo e come funzionano le cose.
Si esautorano gli insegnanti ancora di più del loro potere autonomo di valutazione, del loro intuito, della capacità di costruire un rapporto con ciascuno dei propri studenti, all’interno del quale poterli poi valutare, un sistema che non è esente da errori, da arbitrarietà e da pregiudizi, ma che è e rimane in ogni caso il sistema migliore se esistono dei contrappesi all’interno del consiglio di istituto fra docenti, genitori, rappresentanti degli studenti, per evitare gli sbagli valutativi più grossolani o vere e proprie manifestazioni di mobbing o di discriminazione.
Si esautorano insegnanti e studenti riguardo agli argomenti da trattare e sul come affrontarli, su cosa vogliono approfondire e su cosa eventualmente tralasciare in ogni determinato anno scolastico, per ogni determinata materia; questo permette di crescere, perché il senso vero dell’istruzione è quello di fare di bambini, adolescenti, ragazzi, degli “uomini” prima di tutto, delle persone mature, degli adulti responsabili e non semplicemente persone che sappiano risolvere un problema logico, che sappiano calcolare l’area di una superficie curva irregolare o che conoscano perfettamente l’anno in cui Napoleone fu sconfitto a Waterloo.
La scuola è sempre stata un problema per qualsiasi governo del dopoguerra, da li sono nate le contestazioni più feroci, studenti ed insegnanti hanno sempre riempito le piazze per protestare contro riforme assurde, manovre incredibili, governi e ministri inetti.
Si è tentato di tamponare sempre la falla che di volta in volta si apriva concedendo agli insegnanti qualcosa, mettendo in atto una riforma della scuola dopo l’altra, nessuna delle quali però ha sortito qualche efficacia degna di essere menzionata, per il semplice fatto che in Italia si tende a fare nell’Istruzione riforme a costo zero, riforme di facciata che però non intaccano la sostanza dei problemi che via via si sono creati nella scuola e che, non risolti, si sono accumulati e sono stati trasmessi in eredità da governo a governo, da ministro a ministro.
I vari ministri dell’istruzione che si sono succeduti, in mancanza di fondi (proporrei che quello dell’Istruzione sia un ministero senza portafogli da oggi in poi) e dovendo addirittura fronteggiare dei tagli alla spesa più o meno indiscriminati, hanno cercato di mantenere un po’ di potere all’interno del ministero col ricatto: creando cioè un numero enorme di precari in attesa di una cattedra da poter manovrare e sfruttare a loro piacimento.
Ma, evidentemente, questo non basta più, allora arrivano e si trasformano in legge le felici idee da un lato di affidare al potere dei presidi, per chiamate diretta, l’assunzione temporanea di personale docente, travolgendo così attese, scatti di anzianità, criteri più o meno standardizzati che si erano faticosamente creati finora per mettere ordine in un ambito estremamente caotico come quello delle assunzioni e delle supplenze, dall’altro, in maniera totalmente schizofrenica, si affida alla standardizzazione e a regole generali la valutazione degli studenti .
Credo sia superfluo dirvi che è in atto, non solo nell’Istruzione, un tentativo di accentrare il potere su una persona sola, è la regola dell’asso piglia tutto, il Senato sarà composto da “nominati” e non da persone elette dai cittadini, la camera sarà composta da persone a cui teoricamente occorrerebbe il 40% dei voti, ma in pratica col secondo turno si può essere eletti con una maggioranza relativa, anzi, relativissima dei votanti, persino con un 20%.
Faccio un esempio, secondo i sondaggi che stimano le proiezioni di voto, facendo finta che siano attendibili, se si votasse adesso il PD sarebbe il primo partito e potrebbe anche raggiungere il 40% dei voti occorrenti al primo turno e prendere il potere da subito; in questo caso avrebbe un premio di maggioranza incredibilmente alto da permettere a questo partito di governare da solo indisturbato perché l’opposizione non potrebbe contrastarlo in alcun modo e il pericolo di opposizione interna sarebbe controllabile e addirittura risibile, perché possiedi ampio margine di manovra e di potere.
Se non arriva al 40%, andrebbe al ballottaggio col partito che ha avuto il secondo miglior risultato (in questo caso gli M5S), dove vince chi ha anche un solo voto in più e, considerando che nessun partito fra gli esclusi farebbe confluire sui cinquestelle il suo voto, la vittoria è assicurata senza richiedere aiuti esterni, senza alleanze e senza compromessi.







Da li in poi il PD sarebbe padrone dell’Italia per cinque lunghissimi anni e potrebbe approvare indisturbato qualsiasi cosa, anche modificare la costituzione o proporre Paolini Paperino come padre nobile della patria; non esistono contrappesi costituzionali e l’opposizione non avrebbe mai i numeri per influire sulle decisioni …. il fascismo al suo insediamento ebbe vita più difficile.
La ventilata riforma della RAI, il cui slogan (ormai logoro) era “togliamo la Rai ai partiti”, in realtà la consegnerebbe al governo: non più tutti insieme appassionatamente, io prendo Rai1, tu Rai1, lui Rai3, l’altro i canali satellitari, ma il governo pigliatutto.
Collegate a questo, perché anche qui si parla di scuola, di valutazione e di merito, sono le dichiarazioni di un giovane studente universitario, Gabriele Flamigni, che frequenta la facoltà di filosofia dell’ateneo di Pisa; in sostanza Gabriele dice, e ha cercato di difenderlo in tutte le sedi istituzionali e non, che non gli sembra giusto che uno studente la cui famiglia abbia un reddito alto debba essere escluso dalle agevolazioni nel pagamento delle tasse universitarie.
La sua tesi è che gli sconti, le esenzioni e le agevolazioni debbano riguardare più il merito che il reddito, insomma lui (che sostiene di avere la media del 30 e lode) e gli altri come lui che studiano e che si impegnano, dovrebbero essere agevolati, favoriti o del tutto esentati nel pagamento delle tasse universitarie.
Sarebbe questo, a suo dire, un modo per l’Italia di tenersi i “cervelli” a casa, di non farli emigrare altrove, dove potrebbero trovare condizioni migliori.
Mi colpisce non solo l’idea in sé, ma il fatto che quest’idea abbia potuto avere tutta questa eco da essere riportata persino sui quotidiani, da creare addirittura dibattiti … e allora, quando questo accade, quando nessuno spiega e fa capire a Gabriele quanto la sua pretesa sia assurda, ti rendi conto di come le tenebre avvolgano fittamente il nostro livello culturale e di come qualsiasi sciocchezza possa venire a sostituire dibattiti per più seri e produttivi per un giovane universitario e non solo per lui.
In verità non saprei da dove iniziare a controbattere una simile opinione, per il semplice fatto che mi pare costituita da assurdità che si reggono su altre assurdità, di cose che riteniamo ormai scontate, ma che scontate non sono o non dovrebbero essere, di credenze ormai radicate sulle quali l’ipocrisia predominante ha trovato un comodo e vile livello di intesa, che stanno portando a ipotesi e pretese ancora più assurde e più ridicole.
Parto dalla “media del trenta e lode”, ciò vuol dire tutti 30 e lode … una monotonia incredibile, noiosa, monocorde, che mi fa addirittura paura … per me vuol dire che il livello di ambizione, di stima di sé, è talmente elevato che non potrebbe accettare che so io nemmeno un semplice 30 o un ventinove, ciò vuol dire anche che tutte le materie in studio sono ugualmente interessanti, appassionanti, che ti interessano allo stesso modo e con la stessa intensità il pensiero di Tommaso d’Acquino e la sua interpretazione della logica aristotelica e la filologia romanza, che ti trovi bene con qualsiasi insegnante, da quello esigente e pignolo, a quello simpatico e alla mano, come uno Zelig.
Altro aspetto problematico di questo discorso è quello di identificare il “cervello” (l’intelligenza) con l’esito scolastico, la realtà stessa è la disconferma più accurata e puntuale di questa ipotesi, Albert Einstein ebbe una carriera scolastico poco brillante, di molti altri personaggi che adesso illuminano il firmamento della nostra letteratura, delle arti e delle scienze, a scuola non andavano affatto bene, alcuni furono sconsigliati dall’insistere, altri furono considerati persino ritardati mentali.
E che dire poi di coloro che a scuola non ci sono neanche andati? Socrate non frequentò alcuna università, Leopardi non aveva alcun titolo scolastico avendo studiato nella biblioteca di famiglia, e l’elenco sarebbe molto lungo e giunge fino a quando decidemmo che un semplice foglio di carta e degli studi principalmente libreschi potessero sostituire qualsiasi prova o saggio di abilità: in fondo bastava ascoltare Socrate o Leopardi anche solo per cinque minuti per rendersi conto dello spessore della loro preparazione o della profondità del loro discorso, mentre non basterebbe il curriculum studiorum più articolato, i titoli più ambiti e le pubblicazioni più vaste per convincermi del valore di una persona in assenza di un incontro vis a vis.







L’intelligenza sfugge a molti sistemi razionali e standardizzati di valutazione e di misurazione, non puoi certo coglierla chiedendo allo studente nel breve corso di un esame universitario, di darti conto del programma della tua materia i insegnamento; l’intelligenza va valutata solo quando è in corso un rapporto approfondito di conoscenza fra le persone e devono intervenire anche i fattori emotivi, creativi e intuitivi nella valutazione.
Per “sfangare” un 30 o un 30 e lode ad un esame bastano l’impegno, il saperla raccontare, il saper presentarsi e una buona dose di paraculina, è di una facilità incredibile il saper blandire e irretire un professore universitario, presentandosi magari simili a lui nell’aspetto, nel modo di fare, per quanto riguarda la cultura o l’ambiente di provenienze e con la faccetta da bravo ragazzo (quella almeno che ha in mente il professore), oltre a non trascurare alcuni accorgimenti come quello di sapere bene che cose che lui predilige, anzi mostrare che le prediligi anche tu, non fare l’errore di non acquistare e studiare eventuali libri scritti da lui, anche se sono “opportunamente” e ipocritamente messi nella sezione dei libri a scelta (è questo un criterio ulteriore di valutazione, chi sceglie i miei libri è più bravo a prescindere … i professori universitari sono gli esseri più vanagloriosi e auto-compiacenti del mondo).
Ti dirò, anzi, che l’intelligenza, quella vera, è persino controindicata per un esame o per una carriera universitaria, perché (può sembrare strano) ma tanti professori universitari (soprattutto italiani) non sono intelligenti, sono appena mediocri, per cui non solo tendono a premiare quelli più simili a loro (altri mediocri), ma addirittura penalizzano l’intelligenza quando la incontrano, perché non la capiscono e li infastidisce. preferiscono circondarsi di cose e di persone alla loro portata (e qual è questa portata te ne accorgi dei lavori che producono, dai discorsi fatti nei congressi e da alcune iniziative molto discutibili, come quella di quel Tizio che invitò schettino a tenere una lectio all’università di gestione del panico in caso di calamità).
L’intelligenza, anzi, è bandita da ogni struttura istituzionale, perché chi organizza le istituzioni non è mai intelligente; oppure, nei rarissimi casi in cui una istituzione nasca dall’intelligenza di un fondatore, provvedono poi i burocrati che la amministrano a farla sparire o a snaturarla del tutto.
I primi test psicologici che misuravano l’intelligenza avevano l’imbarazzante tendenza di attribuire le migliori stime agli individui più simili agli ideatori di questi test sia per quanto riguarda la cultura, l’ambiente di provenienza, il sesso e altre caratteristiche; quando negli USA furono applicati agli immigrati per selezionare i differenti individui nei lavori a loro più adatti, successe un disastro … sembrava che tutte queste persone in ingresso in America fossero sottosviluppate, si invocarono differenze razziali, culturali, nutrizionali … finché qualcuno intelligente (ce ne sono anche fra gli psicologi) non giunse a realizzare che il contadino proveniente dal centro della Sicilia non era necessariamente stupido se non sapeva l’anno in cui Eisenhower divenne presidente degli stati uniti, ma se lo metti a piantare alberi di limoni in un giardino tu fa un lavoro di alta ingegneria e di sopraffina intelligenza.
Ma la cosa che mi ha fatto incazzare di più in questa dichiarazione (presa di posizione difesa ad oltranza), non è solo la giovane età di questo ragazzo, che non lascia ben sperare per il futuro, ma il fatto che manca di cogliere il senso stesso delle agevolazioni in fatto di tasse.
Caro Gabriele, non si tratta di una lotteria, di un quiz a premi,  della Ruota della Fortuna o di Affari Tuoi (ma tu stai “fiorendo”, come dicevano i greci, in un periodo storico in cui il presidente del consiglio e il leader dell’opposizione più becera hanno partecipato entrambi a quiz televisivi, mentre i leader degli altri due movimenti più seguiti sono entrambi due guitti … per cui è logico che tu abbia un po’ di confusione sull’essenza delle cose quando il successo arride a chi gestisce abilmente l’apparenza).
Queste agevolazioni scolastiche sono nate ispirandosi ad un principio di uguaglianza degli uomini, perché fra te e chi nasce in una famiglia economicamente e/o culturalmente svantaggiata non ci siano differenze di sorta che pregiudichino o impediscano in partenza a qualcuno di aspirare alle stesse ambizioni, perché entrambi possiate accedere alla pari all’insegnamento e alle professioni che ad esso preludono.







Certo, chi ne usufruisce dovrà dimostrare di esserne meritevole, in caso contrario l’aiuto non va soltanto a chi ne è meritevole e basta, ma a chi fra gli altri svantaggiati si dimostri più meritevole; perché di questo si tratta, in fondo, di aiutare chi ha bisogno, non soltanto di premiare chi lo merita.   
Il cristianesimo, il comunismo e il liberalismo si ispirato tutti quanti a questo principio, gli uomini devono poter partire per quanto è possibile dallo stesso livello, devono poter accedere allo stesso modo alle risorse e alle possibilità disponibili, solo quando avrai esaudito questo irrinunciabile principio, potrà subentrare il discorso del merito puro, solo allora la vita potrà e dovrà premiare il più meritevole, chi si è impegnato di più, il più bravo.
Mi chiedo come è possibile per una persona di intelligenza almeno media se non superiore, non comprendere questo semplice assioma di equità e di giustizia che ci fa uomini civilizzati e non bestie feroci, come possiamo pensare di poter avere dei privilegi solo perché abbiamo avuto la fortuna di nascere in un Paese ricco e progredito, che la terra ci appartenga solo perché abbiamo avuto la fortuna di nascervi (e quando si tratta di riconoscere i diritti di chi ci è nato, mi riferisco alla famosa diatriba sullo ius soli, si invoca il fatto che non basta nascervi soltanto, ma bisogna nascervi da genitori italiani, e quando si presenta Balotelli, non basta avere genitori italiani, ma genitori italiani del tuo stesso colore di pelle o col tuo stesso DNA).
Perdendo di vista lo stato di bisogno, la necessità dell’altro, la temporanea difficoltà,  la sua fatica di vivere, talvolta anche l’affanno e la disperazione, io perdo di vista me stesso, perché la mia forza non sta nell’egoismo, nell’egocentrismo, nel pensare solo a me stesso, nell’individualismo esasperato, nell’autoreferenzialità, nel solipsismo, ma nel riconoscere nell’altro una possibilità di me stesso, il mio stesso bisogno, i miei limiti.








Solo un dio o un topo di fogna possono girarsi dall’altra parte di fronte a qualcuno che ha bisogno, di fronte a qualcuno che ti chiede aiuto, e autoassolversi con discorsi di una banalità, di una grettezza, di una povertà mentale imbarazzanti.
Tutti i più grandi spiriti che hanno dato forma al pensiero occidentale, da Socrate a Cristo, da Locke a Hume a Voltaire, a Diderot, a Montesquieu, a Proudhon, a Marx hanno posto a fondamento di ogni cultura e di ogni società il doppio principio di dare a ciascuno in base al proprio bisogno e a ciascuno secondo i propri meriti … dove ovviamente il bisogno sta alla base del merito e va soddisfatto prima.
Dall’essere responsabile del proprio fratello, dalla parabola del buon pastore, da quella del buon samaritano a quella del figliol prodigo, Cristo ci ha detto che correre in aiuto al proprio fratello in pericolo è più importante del riconoscere i meriti degli altri; Marx che la proprietà privata è un furto, soprattutto se c’è chi muore di fame e il liberalismo che tutti gli uomini nascono uguali e che sono soltanto le convenzioni, il sopruso e le dittature a creare le differenze e tutti i particolarismi, le oligarchie, i leghismi a giustificare queste differenze.

Non è vero che il sonno della ragione genera mostri, talvolta genera anche leghisti e la frequentazione dei talk show genera Salvini ... il "gran dragone, dal colore del fuoco, con sette teste e dieci corna e sette diademi sulle teste. La sua coda trascinava la terza parte delle stelle del cielo e le precipitò sulla terra. Poi il dragone si pose davanti alla donna che stava per dare alla luce, per divorare il figlio appena fosse nato". (Apocalisse, 12, 3-5).